Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 09

Total number of words is 4433
Total number of unique words is 1728
27.3 of words are in the 2000 most common words
40.6 of words are in the 5000 most common words
47.6 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
volte, su testate di valloni secondarî il combattimento si accanisce e
si allarga non per il valore del passaggio ma per secondare l'azione
che si svolge altrove, per arrivare a posizioni che dominano. Ogni
episodio è l'anello di una catena. La sicurezza di un'ampia conca o di
una rilevante vallata, per un allacciamento di occupazioni minuscole
che sembrano isolate, può dipendere dall'esistenza di una pattuglia
lontana, quasi sperduta, aggrampata ad una vetta precipitosa, una vetta
che dalla conca o dalla vallata non si vede nemmeno.

Percorrendo il fronte come noi facciamo, da occidente ad oriente, si
sente che l'azione va pulsando più intensa. La frontiera austriaca,
dopo essere discesa a inglobare nell'impero le terre più santamente
nostre, fino al Garda, risale nel Cadore ad avvicinarsi alla frontiera
geografica, pur così lontana. Qui la nostra offensiva si è trovata
relativamente più prossima alla vera terra austriaca e punta verso il
fianco di grandi comunicazioni interne dell'impero. Perciò le difese si
accumulano contro questi sbocchi e la guerra vi si fa più attiva e più
aspra.
Al di là della tenebrosa vallata del Fiorentina, alto in una profondità
azzurra si apriva al nostro sguardo stupito tutto un oceano di
montagne, una fantastica distesa di immense onde di pietra dalle creste
frastagliate e in ombra, lambite appena sul fianco dal sole, diafane
e di un colore glauco di acque, con sollevamenti fluidi di costoni
cilestrini, una sterminata evanescenza di forme gigantesche nelle quali
non si riconosceva più l'eterna immobilità poderosa della roccia.
Sulle onde, dei marosi più alti, un irrompere di masse sublimi: il
Pelmo dominatore e nobile, un signore dei monti, il Civetta seghettato
e strano, le Pale di San Martino più lontane, una furia di guglie
turchine, e ad occidente il Marmolada solenne, sul quale i ghiacciai
accumulano nevicate di millenni nel loro spessore ovattato. Ghiacciai e
nevai chiazzano di candore l'azzurro delle vette ed hanno una mollezza
di nubi rapprese fra le cime, di nubi adagiate e immobili.
A mano a mano che, isolatamente per non essere scorti dalle vedette
nemiche, salivamo le ultime rampe del passo dell'Averau, scoprivamo
alla nostra sinistra l'angusta e vicina valle d'Andraz, al di là della
quale il famoso Col di Lana pareva salire con noi, oltre un costone
dell'Averau, mostrandoci prima la sua cima nuda, poi le sue falde
boscose, poi i suoi declivî più bassi immersi nell'ombra. Sul Col di
Lana il combattimento è continuo. Anzi, è il solo punto di questa
zona nel quale la battaglia abbia assunto un carattere regolare,
sistematico, continuativo.
Un'occhiata ad una carta ne rivela subito la ragione. Risalite con
lo sguardo la strada che da Feltre per Agordo arriva, correndo da
sud a nord, alla frontiera lungo la valle del Cordevole. Il Col di
Lana fronteggia la valle e la domina. Appena il viaggiatore arriva a
quel delizioso laghetto che il Cordevole forma vicino al villaggio di
Alleghe, nello sfondo, simmetricamente fra le due verdi pareti laterali
della valle, si vede profilarsi il cono quasi regolare di un monte
che ha l'aria di chiudere il passo. È il Col di Lana, che sorge alla
confluenza del Cordevole e dell'Andraz, come una di quelle case erette
ad un bivio, che si vedono da lontano e che sbarrano la prospettiva.

Ma la strada non continua lungo la valle oltre la frontiera, il
Cordevole non costituisce un passo primario; e la lotta non si
sarebbe fatta forse così intensa sul Col di Lana, se ai piedi della
montagna, quasi rasentando la frontiera, non passasse la famosa strada
delle Dolomiti, un'opera gigantesca, costata all'Austria delle somme
colossali, la quale, correndo parallelamente al confine, costituiva una
preziosa via di arrocco fra valle e valle. Essa era intesa a facilitare
gli spostamenti delle forze destinate ad invaderci. Il possesso
incontrastato di questa strada è di una utilità indiscutibile. Il Col
di Lana la difende, e dominando tutta la valle superiore del Cordevole
esso è anche un posto di osservazione eccellente, che piomba il suo
sguardo nelle nostre retrovie.
La nostra azione ha tessuto una rete di operazioni offensive intorno al
Col di Lana, prima di attaccarlo. Ci spingemmo subito a prendere cime
e passi, affacciandoci da ogni parte, comparendo sui fianchi dei colli,
conquistando vette, aprendo strade, permettendo alle nostre artiglierie
pesanti di arrivare su posizioni inaudite, dalle quali hanno aperto il
fuoco contro i forti austriaci eretti sulla zona del Cordevole. Avemmo
notizia il sei luglio del primo bombardamento sistematico delle opere
di Corte e della Tagliata Tre. Altri forti erano bombardati presso
Falzarego.
Gli austriaci tentarono replicatamente di scacciarci dalle nostre
posizioni avanzate, di spezzare la catena delle nostre operazioni, ma
non riuscirono mai. Attaccarono il 9 luglio, per due volte, durante
la notte, le nostre forze alla testata al vallone Franze, cioè delle
forze che si avvicinavano da nord-ovest al Col di Lana. Attaccarono
sull'aspro vallone di Travenanzes, fra le Tofane, il 23 e il 27
luglio. Il 29 attaccavano di notte, di sorpresa, le cime di Pescoi e
il Sasso di Mezzodì, a ponente del Col di Lana, del quale eravamo già
parzialmente in possesso.
Fu il 16 luglio che la nostra fanteria conquistava alla baionetta le
prime pendici del monte. Visto dall'immenso gradino, tutto chiaro di
rocce sgretolate, che sale al passo dell'Averau, avevamo l'illusione di
vedere il Col di Lana vicinissimo, sotto a noi, illuminato in pieno dal
sole mattutino. Vedevamo distintamente le trincee, i passaggi coperti,
le blindature. Le posizioni nostre e quelle del nemico sono ad una
ottantina di metri.
Non si ha idea di queste trincee che rampano sul declivio scosceso, di
questo attacco millimetrico che si attacca con gli artigli alle falde
della montagna che scava. Non si spara più, non si può più sparare
il fucile. Il dislivello precipitoso copre gli uni e gli altri. Si
combatte a furia di granate a mano.

Il monte non è roccioso, ma ha la linea ardita di un cono, e sulla
sua sommità un'erba povera e grama verdeggia. Non è sulla estrema
aguzza vetta che si combatte. Dalla vetta scendono due costoni, che,
poco sotto alla cima, avanzano ognuno una specie di gobba, ad altezze
diverse. Su queste due gobbe gli austriaci hanno scavato due ridotte,
munite di blindature a terrapieno, con delle trincee così profonde che
sembrano spaccature. Nell'ombra di questi solchi nulla si muove. Gli
uomini sono affossati nel buio. Noi vedevamo dall'alto e di scorcio
queste posizioni, e avevamo l'impressione di un allineamento di fosse
regolari colme d'oscurità.
Intorno l'erba è scomparsa. Il suolo rossiccio ha l'aspetto della terra
lavorata di fresco. Tutta la parte superiore del monte è come vangata
dalle esplosioni delle granate. Sembra scorticata. Anche la vita
vegetale è fuggita. Le due ridotte, sporgendo sui costoni, dominano. Un
poco al disotto, altri solchi, più sottili, si direbbe più svelti: le
trincee che assaltano. Si vedono venir su come delle serpi, tracciando
una linea piena di violenza, a zig-zag. La testa avanza, si tende, e la
coda si perde in basso fra le prime boscaglie, fra gli abeti più snelli
e più arditi, avanguardie della selva che sembra montare all'assalto
anche lei, tutta irta di punte verdi.
In mezzo agli alberi, del legname biancheggia in un disordine da
cantiere. Si combatte il nemico e il freddo, si scavano trincee e si
fanno rifugi, si lotta e si lavora, bisogna vincere l'austriaco e la
montagna. Ma tutto questo s'indovina senza vederlo. Le nostre posizioni
sembrano deserte come quelle avversarie.
Per riconoscere quei due cucuzzoletti fortificati i soldati hanno
dato loro un nome. Uno a destra, più alto, lo chiamano il Cappello di
Napoleone; l'altro il Panettone. Ci vuole una straordinaria fantasia
per riconoscere la più vaga somiglianza fra quelle due fosche ridotte
e le cose indicate dai loro nomi, ma su tutto il fronte sorge la
necessità di creare una nomenclatura per località anonime, che
prendono inaspettatamente un interesse enorme nella storia degli uomini
compensandosi così della oscurità profonda del loro passato, e nulla
di più bizzarro di questi nuovi nomi che entrano gravemente nelle carte
dello Stato Maggiore e nell'uso della guerra.
Sotto al sinistro sconvolgimento di solchi e di scavi, pieno
di una truce immobilità, più in basso del bosco, dove i declivî
si addolciscono nella valle d'Andraz e si chiariscono di prati,
biancheggiano villaggi abbandonati. Alcuni sono in rovina, altri,
distrutti dal fuoco, non mostrano più che i basamenti di pietra
sui quali le casette di legno s'innalzavano con i loro tetti neri e
scoscesi. Gli austriaci quando non possono più difendere distruggono.
Cercano di privarci di ricoveri e mettere il gelo dalla loro parte.
Erano minuscoli aggruppamenti di quelle pittoresche casette da paese
nordico che nelle vallate cadorine chiamano _tabià_. Salesei, Pieve
di Livinallongo, Agai, Franza, formano nel verde un disseminamento
di piccoli edifici e di macerie. Agai fu bombardato con proiettili
incendiarî sparati da Corte il 9 luglio. Divampò ai primi colpi. Il
nemico tentava di ostacolare la nostra occupazione di Pieve, cioè di
paralizzare il nostro movimento ai piedi del Col di Lana sul quale ci
preparavamo a salire.

Nella notte del 14 luglio le truppe destinate al primo attacco
marciarono lungamente per i sentieri della foresta, risalendo nel
fondo della valle d'Andraz, contornando le falde del monte. La notte
era oscurissima, ma di tanto in tanto di fra i rami degli abeti
scendeva improvviso e vivido un raggio bianco, che illuminava i
tronchi e le pietre; i soldati si fermavano un istante nelle ombre.
Erano i proiettori austriaci che frugavano gli approcci. Investiti
dal chiarore subitaneo, i nostri avevano sempre, per un istante,
l'impressione di essere stati visti, come se quel raggio fosse stato
uno sguardo soprannaturale e fosforescente, e impugnavano il fucile in
atteggiamento guardingo. Poi le tenebre si richiudevano più profonde;
il lieve rumore eguale dei passi era coperto dallo scrosciare del
torrente.
L'assalto dato il 16 luglio conquistò i primi trinceramenti, sui
contrafforti che scendono verso Agai e verso Pieve. Fu preparato da un
intenso fuoco di artiglieria. I cannoni tiravano alternativamente prima
a granata, per demolire le difese e forzare il nemico ad abbandonarle,
e poi a _shrapnell_ per colpirlo nella fuga. L'assalto fu magnifico.
Si videro le nostre file uscire dal folto del bosco nelle prime radure
e salire con un impeto irresistibile, formando un formicolìo grigio
e veloce e ululante su tutto il costone. Delle mine scoppiavano; il
fumo e il polverone delle esplosioni avvolgevano a tratti l'assalto
in un nembo rossastro; poi al dissiparsi della nube si scorgevano i
nostri che proseguivano, colmando i vuoti, finchè sparirono tutti nella
trincea nemica. I lavori di rafforzamento furono rapidi. Qualche giorno
dopo, un altro passo avanti.
All'imbrunire furono portati due pezzi lassù. Venivano issati adagio
adagio, nel buio. Lunghe file d'uomini silenziosi tiravano le corde,
puntando i calcagni ai tronchi degli alberi, e non si udiva che il loro
ansimare. A mezzanotte i due pezzi erano fuori delle posizioni, pronti.
Erano a sessanta metri dalle trincee austriache. Ai primi colpi, così
vicini che le spolette erano graduate a zero, gli austriaci sorpresi
abbandonarono le trincee e fuggirono attraverso le ultime propaggini
del bosco, poi sui prati macilenti dell'erta vetta.
Il 28 luglio l'attacco progrediva sul costone sud che scende verso
Pieve. Il 4 agosto, un altro assalto, e si prendeva l'ultima linea di
trincee austriache, oltre le quali non ci sono più che le ridotte: il
Panettone e il Cappello di Napoleone. Ma appaiono formidabili.
La nostra artiglieria le batte con una precisione stupefacente, ma la
loro posizione elevata le protegge in parte dal fuoco. E l'artiglieria
austriaca, ben nascosta dietro qualche spalla del monte Sief, che è
quasi una seconda vetta, più lontana, del Col di Lana, può concentrare
efficacemente i suoi tiri sulle due ridotte al momento in cui fossero
prese. La preparazione di ogni movimento deve essere accurata, lunga.
Ad essa si dedica, con una volontà ferrea e una ingegnosità fertile
di risorse, un ufficiale superiore che porta uno dei più gloriosi nomi
guerrieri del mondo. La fiducia delle truppe è immensa.
E il loro buon umore anche. Se fossimo nelle loro trincee sentiremmo
chiacchierare e ridere. Soltanto le vedette, rigide nell'attenzione,
tacciono guardando per le feritoie. Di tanto in tanto dei dialoghi
singolari s'intrecciano fra trincee italiane e austriache, alla notte,
quando il silenzio porta lontano le voci sommesse.
Una notte una squadra nostra avanzava fuori della trincea, strisciando
dietro ai sacchi di terra sospinti e rotolati. Le vedette nemiche se ne
accorsero e uscirono pure dalle posizioni per poter sparare. Dei colpi
di fucile risuonarono. Le due squadre rimasero in silenzio a scrutarsi
nel buio. Allora un soldato torinese che parla tedesco bisbigliò da
dietro il suo sacco: «Venite giù, vi trattiamo bene!» — Dopo un breve
silenzio una voce dall'alto rispose, nello stesso tono: «Non possiamo,
c'è l'ufficiale, dietro a noi, che ci sparerebbe addosso!»
Qualche volta i tedeschi attaccano la testata delle trincee
d'approccio, per interrompere i lavori di zappa. Gettano allora
centinaia di granate a mano; anzi, spesso non le lanciano nemmeno, le
lasciano rotolare giù con la loro miccia accesa che fa un frullìo da
trottola; si direbbe che ne rovescino dei cesti. Anche le mine aeree
sono entrate in azione. I nostri, con un colpo di mano, sono riusciti
una volta a portar via un lanciamine e a fare dei prigionieri.
La situazione su quella vetta, a 2400 metri, è così bizzarra che un
giorno un colpo di cannone ci ha portato un prigioniero. Una granata
nostra ha demolito un angolo di una trincea austriaca, e l'angolo è
franato giù fino alla trincea italiana trascinando nel terriccio e fra
i sassi del parapetto crollato un soldato tedesco, tutto stordito e
impolverato.

Mentre contemplavamo questo straordinario campo d'azione, il vallone
di Andraz risuonava lungamente di cannonate, che acquistavano fra le
falde dei monti e per le gole una sonorità fantastica. Ad ogni colpo
la montagna faceva un commento senza fine. Lo ripeteva, e lo ripeteva,
lo lanciava e lo riprendeva, dandogli la continuità di uno scroscio
immane.
Poi una batteria non lontana da noi ha aperto il fuoco, e la
torre titanica dell'Averau ha urlato. Era un effetto d'echi di una
grandiosità paurosa. Dopo l'esplosione, metallica e violenta, passava
qualche istante di silenzio, e improvvisamente la roccia, dall'altra
parte, tuonava. Pareva qualche cosa di vivo quel ruggito, pareva la
vera voce di quegli smisurati giganti di pietra, che hanno forme così
personali e violente, una voce apocalittica. Dopo l'Averau, le alti
pareti del Nuvolau rombavano, con oscillazioni fuggenti nel suono
profondo. Quando si acquietavano le vette vicine, si udivano lontano
brontolare ancora le balze del Busella.
Per qualche tempo l'ascensione dell'ultimo tratto ci ha chiuso ogni
vista con un paesaggio di macigni. Pareva di salire il gradino di
un girone dantesco. Arrivati al rifugio ci siamo affacciati sopra
un panorama di orrore, sopra un mondo inverosimile, tutto muraglie
titaniche, tutto picchi, tutto cuspidi, affascinante, spaventoso,
sublime, solcato da abissi, tagliato da canaloni angusti come
corridoi, chiusi fra pareti immense, un mondo privo di terra,
privo di vita, fatto di pietra nuda, foggiata in una convulsione
di forme soprannaturali, senza declivî, senza una curva, angolose,
strapiombanti, vertiginose: il paesaggio delle Tofane.
Quale terribile terreno di guerra questo incubo di rocce! La torre
dell'Averau non era che un'avanguardia. Tutte le montagne qui sono
torri, sfaldatesi lentamente in miriadi di secoli, torri che accendono
le loro guglie oltre i tremila metri nello splendore luminoso delle
terse altitudini gelate del mondo, e che precipitano i loro speroni a
picco in voragini che il sole non tocca mai fino al fondo.
Sono moli prodigiose, striate di rosa e di grigio, alle quali la
regolarità delle stratificazioni geologiche dà un'apparenza di
costruzione favolosa, di cose volute, di edifici incomprensibili e
immani eretti per sovrapposizione di pietre a ranghi, come l'uomo erige
le sue mura minuscole e presuntuose.
Canaloni creati dall'allargarsi di spaccature profonde chilometri,
offrono i rari e difficili accessi alle altezze; le frane dei detriti
vi hanno formato come delle sterminate cateratte cineree e immobili.
Su quelle cateratte la nostra fanteria s'inerpica, e a poco a poco si
scorgono i sentieri che essa vi traccia, sottili, tortuosi e scoscesi.
È impossibile descrivere, ed è difficile capire la nostra azione in
quel labirinto infernale, in quel paesaggio da tregenda. Fra il gruppo
delle Tofane e l'Averau passa la continuazione della strada delle
Dolomiti che va a Cortina. Verso l'oriente, in fondo ad un allargamento
lontano e luminoso di vallate, vedevamo un po' di verde, un po' del
mondo nostro, e nel verde una deliziosa cittadina che pare fatta di
ville: Cortina. Dalla parte opposta, una barriera maestosa e orrenda
di vette, sorelle delle Tofane, un caos di punte aguzze che la strada
valica ad una depressione, detta il passo di Falzarego. Il gruppo delle
Tofane è traversato da nord a sud dalla gola di Travenanzes, nella
quale abbiamo fatto numerosi prigionieri. Quasi tutte le strade sono in
mani nostre.
Ma le occupazioni delle vette s'intrecciano. Le linee dei fronti
s'infrangono, per così dire, sull'inaccessibile, e i frammenti,
composti di piccole pattuglie, vagano, ascendono, scalano, si
sorprendono. È la caccia. Caccia meravigliosa e appassionante da
cercatori di nidi d'aquila.
L'Austria ha l'ausilio dei contrabbandieri e dei cacciatori tirolesi
di camosci. Bisogna riconoscere che la guerra amareggia profondamente
i contrabbandieri, e con ragione: spostando le frontiere la loro
industria finisce. La simpatia dei frodatori di dogane è andata tutta
alla nostra nemica. Vi è stata una leva in massa di tali gentiluomini,
che costituiscono su questa zona una piccola milizia indipendente di
franchi tiratori.
Sono loro, conoscitori profondi della montagna, che presidiano le vette
più alte. Stanno alla posta; sanno da dove potrà spuntare un soldato e
aspettano, dietro ad un fucile di precisione, che tira spesso a palla
esplosiva, munito di alzo a cannocchiale, montato su cavalletto.

Le esplorazioni sono come un duello all'americana. Nell'immenso caos
di pietra, la lotta è fra pochi uomini. Si fanno giorni e giorni
di marcia su incredibili sentieri da capra, per arrivare addosso ad
una pattuglia da una parte non vigilata. Si sta per lunghe giornate
immobili, attaccati ad una roccia, sopra due palmi di cornice al bordo
di un abisso, per sorprendere il movimento imprudente di un uomo, che è
attaccato ad un'altra roccia, sopra un altro abisso.
Vicino al passo di Falzarego, ai piedi della Prima Tofana, la più
prossima al vallone, vi è una vetta più bassa che i nostri chiamano il
Castello. Tutti i nomi, anche gli antichi, ricordano castelli e torri,
tanto l'idea di costruzioni sovrumane sorge spontanea. Nel fondo del
vallone, proprio sotto all'Averau, sono le Cinque Torri, delle masse
rossastre, isolate, che sembrano i resti di qualche fortezza favolosa.
Dunque sul Castello c'era un posto austriaco. Una notte, una audace
pattuglia nostra è andata a sorprenderlo.
La scalata era impossibile. Non potendo arrivare dal basso bisognava
arrivare dall'alto. Dopo un lungo cammino sulle cornici della Tofana, i
nostri poterono calarsi con una lunga corda sopra una specie di angusto
pianerottolo che sovrastava il posto nemico. Udivano, mentre scendevano
lungo la fune, gli austriaci discorrere sotto a loro, nel buio. La
conversazione si cambiò in un gridìo di spavento e di dolore, quando
una grandine di granate a mano scoppiò fragorosamente sul Castello,
illuminandolo di baleni azzurrastri. Poi silenzio profondo.
Qualche minuto dopo i nostri si aggrampavano l'uno all'altro sorpresi,
e si stringevano contro la parete di pietra, immobili. Delle altre
granate scoppiavano ora in alto, su delle sporgenze della roccia,
sopra a loro. Un posto austriaco annidato sulla vetta della Prima
Tofana li cercava a colpi di esplosivo. I tre aggruppamenti nemici si
sovrastavano a trecento metri l'uno dall'altro.
Qualche volta di notte, da punte altissime scende la luce viva di
un razzo illuminante, la cui fiamma bianca rimane sospesa come una
meteora. Dei proiettori si accendono e rischiarano a una a una le
asperità delle rocce. Anche sul Col di Lana improvvisamente si vedono
spesso apparire nel colmo della notte vividi chiarori, come sulla vetta
d'un vulcano.
La vita sulle Tofane, faticosa, terribile, ha però dei lati che
seducono lo spirito avventuroso dei nostri soldati. È una guerra
selvaggia nella quale si esaltano le virtù individuali. Ognuno può
avere il suo metodo, la sua tattica, il suo piano. Si vive entro
spaccature delle rocce, senza ricoveri, senza tende. Delle pattuglie si
sperdono, talvolta in quel labirinto di orrori e tornano sfinite dopo
due o tre giorni di ascensioni e di discese nella immensità misteriosa
di dirupi irriconoscibili.
Fu in questa guerriglia delle Tofane che rimase ucciso il generale
Cantore, mentre si sporgeva a guardare un appostamento nemico.
Un silenzio assoluto stagnava nella gola di Falzarego. Ci pareva di
dominare il paesaggio grandioso e strano di un pianeta morto. Ma di
tanto in tanto si udiva un lontano colpo di fucile, che rimbombava
sordamente, cupo e velato.
Quando ridiscendevamo, qualche _shrapnell_ di grosso calibro cadeva
verso la strada, sporcando il sereno col suo fumo giallo che la brezza
fredda incanalava e disperdeva giù nella valle.
L'eco dell'Averau protestava.


SULLE VETTE DELL'ALTO AGORDINO.
_5 settembre._

Il sentiero ascende così ripido, che i muli scivolano ad ogni passo e
si portano avanti con un'andatura riflessiva, a gran colpi irregolari
di groppa, puntando le zampe posteriori sulle grosse pietre. E pure su
questi sentieri è salita l'artiglieria.
Ma dove mai non è salita la nostra artiglieria? Ci inerpichiamo
talvolta fino ad alti passi, sulle corone dei monti, e quando siamo lì
ci accorgiamo che il cannone è andato più in su, ad accovacciarsi in
qualche spaccatura, o in una cavità della roccia, o sopra a sporgenze
che lo contengono appena, ad occupare il nido di un'aquila.
Il sentiero ascende ripido lungo l'oscura valle che il nome descrive:
Valfredda. I villaggi, tutti di legno, che portano incise sulle porte
date secolari, sono rimasti indietro, giù agli sbocchi più tiepidi.
Ogni casa ha sulla vecchia facciata qualche immagine sacra in un
tabernacolo, ogni crocicchio ha la sua croce, antiche e rozze figure
del Redentore aprono le braccia avanti al viandante nelle solitudini
della montagna. Si sente negli abitanti taciturni una fede triste e
rassegnata, quell'istinto della preghiera di chi vive nel pericolo.
Il monte è un eterno nemico, che lancia valanghe e frane, che scatena
bufere e tormente, nelle quali l'uomo si sperde e rimane preso per
sempre. La montagna, come il mare, rende gravi e devoti.
Oggi essa è sinistra sotto al cielo coperto. Le vette rocciose non sono
che masse immani di tenebrore, volumi informi d'ombra violastra sui
quali corre il velo delle nebbie, sfondi oscuri e indefiniti che si
perdono nelle nubi. Di tanto in tanto, una macchia di sole accende un
prato alto, dà vita ad un bosco, passa, scivola, si estingue in frange
di vapori cinerei. Il cannone tuona lontano.

Andiamo verso delle posizioni gremite di soldati, ma si direbbe di
salire in regioni deserte. Non si vede nessuno. Le carovane e le
salmerie salgono ad ore fissate. Il movimento delle retrovie non si
sgrana in una continuità di animazione. Qualche piccolo posto, di tanto
in tanto, qualche guardia ai ponti rustici che scavalcano il torrente,
il fumo di un rancio che cuoce fra due pietre alla fiamma di legni
resinosi, un battere di scure vicino ad una _tabià_ abbandonata, il
biancheggiare di una tenda fra gli abeti; poi, per ore, più niente.
Abbiamo lasciato molto lontano, laggiù nelle grandi vallate percorse
dalle arterie migliori della viabilità, la interessante e fervente
operosità che segue e serve la guerra. Carri di tutte le forme, di
tutte le regioni, in lunghe file lente, scroscianti sulla ghiaia delle
strade maestre con un fragore che ricorda la fucileria lontana; mandrie
di buoi, docili e tardi, che bloccano il traffico impaziente delle
automobili, e che si fermano placidi a guardare, con una curiosità
umana nei grandi occhi umidi, la macchina palpitante che vuol passare,
verso la quale allungano il largo muso annusando perplessi; squadre
di grigi carri a motore che oscillano e rombano fuggendo fra nubi
di polvere; reparti di cavalleria in servizio di perlustrazione,
che rallegrano come l'evocazione più pittoresca delle vecchie guerre
nelle quali una valanga di cavalli e di uomini, luccicante di sciabole
roteate, decideva le sorti della battaglia; convogli di furgoni e di
cassoni, attaccati alla postigliona, che spandono un fragore metallico
e profondo, carichi di cartucce e di granate....
Tutto questo movimento, che incipria di polvere le siepi, sosta, si
addensa e dilaga rumorosamente in strane città di baraccamenti, di
tettoie, di _hangars_, sorte come per incantesimo, città di tappa e di
deposito biancheggianti di legname nuovo, punteggiate da uno sfarfallìo
di bandiere, gremite di soldati, piene di attività disciplinata.
Parchi di automobili, parchi di cavalli, parchi di muli, formano
da lontano delle grandi striscie grige o nere che si prenderebbero
per ammassamenti regolari di truppe in rango. I rifornimenti si
accumulano a montagne in magazzini che sembrano quelli di un porto. I
vecchi paeselli vicini, i veri, non sembrano più che dei sobborghi in
muratura delle città di legno, sobborghi pieni anche loro di un grigio
affollamento di soldati e trasformati in sedi di uffici, di comandi, di
ospedaletti.

Queste zone sono il dominio della Territoriale. La milizia territoriale
è per tutto, fa di tutto, s'incontra nelle retrovie e qualche volta
anche sulle posizioni, ed ha preso alla guerra un'aria marziale di
Vecchia Guardia, rigida alla consegna. Ai ponti, a certi passi, c'è
sempre una fiera sentinella dai grandi baffi, con qualche capello
grigio sulle tempie, vestita spesso di quell'uniforme pelosa color
tabacco che la guerra ha fatto scaturire non si sa da dove, armata
di un fucilone che aumentato da una baionetta di quattro palmi
pare una lancia, una sentinella inappuntabile e grave, che ferma
inflessibilmente anche il generale e domanda il salvacondotto. Sono
dei territoriali che, a passo lento, muniti di pungolo, conducono le
mandrie dei buoi; e sono territoriali i carrettieri che vanno al sole
e all'acqua su tutte le strade maestre, seduti in cima ad un carico di
munizioni o di galletta, coperti talvolta del vecchio cappotto azzurro,
caro al nostro ricordo.
È forse per colpire qualche nostra stazione di rifornimento, qualche
centro di tappa, qualche grande convoglio in marcia, che gli austriaci
allungano i tiri indiretti dei loro medî calibri in cerca delle nostre
strade in fondo alle valli? Essi hanno il colpo facile. Tirano appena
vedono la più piccola cosa, e anche se non la vedono: basta che
la immaginino. Certo non mancano, all'apparenza, di munizioni. Non
proporzionano mai il costo della cannonata al valore del bersaglio.
Quando possono, tirano con l'artiglieria anche sopra un uomo solo e
sulle case abbandonate.
Dalla vetta del Col di Lana essi piombano lo sguardo nella valle
italiana del Cordevole, e ogni tanto, come anche il comunicato
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 10
  • Parts
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 01
    Total number of words is 4201
    Total number of unique words is 1662
    30.9 of words are in the 2000 most common words
    44.9 of words are in the 5000 most common words
    52.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 02
    Total number of words is 4289
    Total number of unique words is 1772
    29.4 of words are in the 2000 most common words
    43.9 of words are in the 5000 most common words
    50.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 03
    Total number of words is 4329
    Total number of unique words is 1834
    29.0 of words are in the 2000 most common words
    43.2 of words are in the 5000 most common words
    51.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 04
    Total number of words is 4286
    Total number of unique words is 1733
    29.8 of words are in the 2000 most common words
    43.0 of words are in the 5000 most common words
    49.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 05
    Total number of words is 4432
    Total number of unique words is 1824
    30.8 of words are in the 2000 most common words
    45.7 of words are in the 5000 most common words
    53.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 06
    Total number of words is 4401
    Total number of unique words is 1626
    26.7 of words are in the 2000 most common words
    40.4 of words are in the 5000 most common words
    48.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 07
    Total number of words is 4329
    Total number of unique words is 1759
    30.4 of words are in the 2000 most common words
    44.6 of words are in the 5000 most common words
    52.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 08
    Total number of words is 4393
    Total number of unique words is 1711
    26.7 of words are in the 2000 most common words
    39.6 of words are in the 5000 most common words
    47.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 09
    Total number of words is 4433
    Total number of unique words is 1728
    27.3 of words are in the 2000 most common words
    40.6 of words are in the 5000 most common words
    47.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 10
    Total number of words is 4381
    Total number of unique words is 1741
    28.4 of words are in the 2000 most common words
    43.3 of words are in the 5000 most common words
    50.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 11
    Total number of words is 4439
    Total number of unique words is 1650
    28.1 of words are in the 2000 most common words
    41.1 of words are in the 5000 most common words
    49.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 12
    Total number of words is 4346
    Total number of unique words is 1744
    26.9 of words are in the 2000 most common words
    40.1 of words are in the 5000 most common words
    47.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 13
    Total number of words is 4354
    Total number of unique words is 1737
    28.2 of words are in the 2000 most common words
    42.3 of words are in the 5000 most common words
    49.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 14
    Total number of words is 4406
    Total number of unique words is 1752
    27.0 of words are in the 2000 most common words
    40.5 of words are in the 5000 most common words
    47.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 15
    Total number of words is 4314
    Total number of unique words is 1708
    27.6 of words are in the 2000 most common words
    41.6 of words are in the 5000 most common words
    49.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 16
    Total number of words is 4328
    Total number of unique words is 1628
    28.1 of words are in the 2000 most common words
    40.9 of words are in the 5000 most common words
    48.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 17
    Total number of words is 4400
    Total number of unique words is 1674
    29.1 of words are in the 2000 most common words
    43.6 of words are in the 5000 most common words
    51.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 18
    Total number of words is 4401
    Total number of unique words is 1657
    31.3 of words are in the 2000 most common words
    45.7 of words are in the 5000 most common words
    55.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 19
    Total number of words is 4384
    Total number of unique words is 1729
    28.5 of words are in the 2000 most common words
    41.9 of words are in the 5000 most common words
    50.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 20
    Total number of words is 4341
    Total number of unique words is 1660
    27.7 of words are in the 2000 most common words
    42.5 of words are in the 5000 most common words
    50.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 21
    Total number of words is 3983
    Total number of unique words is 1568
    30.4 of words are in the 2000 most common words
    44.5 of words are in the 5000 most common words
    51.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.