Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 07

Total number of words is 4329
Total number of unique words is 1759
30.4 of words are in the 2000 most common words
44.6 of words are in the 5000 most common words
52.0 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
bersaglieri scoprì un posto d'osservazione austriaco: una _baita_ che
si affacciava alla boscaglia sopra un costone. Si mise alla posta, per
vari giorni di seguito, e vide che la pattuglia austriaca nascosta lì
dentro arrivava alla prima alba, lasciando una sentinella celata fra
le piante, e ripartiva al tramonto. Una notte il nostro tenente prese
dieci uomini con sè (fu una gara per seguirlo) e partì.
Prima del giorno i nostri circondavano la _baita_. Ecco l'alba, ed ecco
la pattuglia austriaca che sbuca, guardinga, e rassicurata penetra
tranquillamente nella capanna. Rimane all'esterno il capo, un grosso
sergente tirolese, che si mette a passeggiare. Passeggiando non si
accorge che qualcuno lo segue, ritmando l'andatura perchè il rumore dei
due passi si confonda. È il tenente dei bersaglieri.
Era rischioso quel modo di sorprendere il nemico, ma era elegante. Era
italiano. Noi facciamo anche la guerra da artisti. Sarebbe stato facile
piombare sulla _baita_ ad armi spianate, ma il tenente voleva vedere la
faccia sbalordita e comica del grosso tirolese. Una soddisfazione che
poteva costargli la vita, ma che importava?
Dunque l'ufficiale segue il sergente austriaco. Allunga il passo, lo
raggiunge e lo tocca leggermente sulla spalla. Il tirolese si volta di
scatto e fa un balzo indietro. Stupefatto, allibito, rimane immobile,
pietrificato in un gesto di sperdimento, con gli occhi sbarrati, la
bocca aperta. Il tenente sorride.
— Ma — balbetta l'austriaco con voce strozzata — ma.... voi siete un
ufficiale italiano!
— Perfettamente! — fu la risposta — e questi sono soldati italiani.
Dai cespugli tutto intorno emergevano teste di bersaglieri e baionette.
Un minuto dopo la pattuglia austriaca marciava via prigioniera.
Una spedizione assai più drammatica fu quella compita sul Ponale
per interrompere l'impianto elettrico che fornisce energia a Riva,
spedizione che fu annunziata con sei parole dal bollettino del 27
giugno.
Non fu per lasciare Riva al buio che venne compita quell'audacissima
impresa, ma per estinguere i proiettori austriaci, che la forza
elettrica del Ponale accendeva sul fronte fino a Rovereto, e per
disarmare i reticolati fulminanti della loro micidiale possanza.
L'impianto elettrico aveva le sue prese idrauliche ad una chiusa del
lago di Ledro, vicino a Molina, in fondo alla valle che le nostre
posizioni avanzate ora sovrastano. L'acqua in pressione imboccava due
enormi tubi accoppiati. Fra i nostri alpini si trovava un operaio che
aveva lavorato all'impianto, e che si offrì per guidare la spedizione.
Partirono in cinque. I loro nomi erano stati tirati a sorte. Alla
compagnia schierata il capitano aveva domandato cinque volontari,
dopo avere spiegato i rischi dell'impresa; ma all'ordine di «chi vuole
andare faccia un passo avanti» tutta la compagnia fece un passo avanti,
con tanta regolarità di manovra che l'ufficiale credette di essere
stato frainteso. «No, no — gridò — capitemi bene, quelli che si offrono
escano dalle righe!» E la compagnia intera, per essere ben capita anche
lei, fece due passi avanti. Così si ricorse alla sorte.
Si trattava di attraversare gli avamposti del nemico e di andare a
lavorare fra i suoi accantonamenti. Per lunghi giorni i sentieri erano
stati ricercati e studiati. Il piano dell'impresa era completo. Ognuno
dei cinque aveva un còmpito preciso, stabilito prima. Alla partenza,
l'ordine fu di non parlare fino al ritorno, di non aprire bocca
qualunque cosa avvenisse.
I cinque muti lasciarono il campo in una notte di bufera, oscurissima.
Discendevano per le forre del Martinel da sterpo in sterpo, quando
si trovarono a qualche metro da una pattuglia austriaca. Aspettarono
lungamente, immobili, coricati fra i rovi. La pattuglia austriaca
passò.
Poco lontano dalle chiuse, i tubi dell'acqua facevano un gomito. Ogni
soldato aveva sulle spalle dei sacchi di sabbia e un carico di gelatina
esplosiva. Arrivati a quel punto, senza una parola, deposero tutto in
terra. Quattro di loro si allontanarono in direzioni prestabilite e si
sdraiarono vigilando. Rimase uno solo ad eseguire il lavoro di mina:
l'operaio. La pioggia s'era calmata, e s'intravvedevano le nubi basse
che fuggivano tumultuosamente verso il Garda. Una finestra illuminata,
vicina, alle prime case di Molina, pareva spiare nella notte.
Sotto al gomito delle tubature, l'artiere alpino, attentamente, con una
lentezza eroica, disponeva gli esplosivi, e con i sacchi di sabbia,
messi tutto intorno, formava la camera di scoppio. Il tempo pareva
eterno. Dal villaggio, occupato dagli austriaci, sono salite delle
voci. Un cane ululava a cinquanta passi dai nostri, in una fattoria
tutta buia. L'alpino minatore si muoveva senza rumore, studiosamente.
Cinquanta minuti è durato il lavoro.
Riunitisi a qualche centinaio di metri dalla mina, i cinque soldati
hanno aspettato immobili lo scoppio. L'esplosione è avvenuta senza
fragore. È stato un tonfo sordo e profondo, seguìto da uno scroscio
violento di cateratta. La massa d'acqua irrompeva precipitosamente
dalle tubature spezzate. Poco dopo essa arrivava con impeto al
villaggio, inondandolo. Gli austriaci sono stati svegliati dalla piena
negli accantonamenti e nelle tende, e un urlo immenso di terrore è
salito dalla valle.
Senza una parola, sempre muti, gli alpini hanno ripreso la via del
ritorno; hanno ripassato la linea degli avamposti austriaci in allarme;
sono arrivati alla punta dell'alba all'accampamento, affranti di
stanchezza e d'emozione.
L'ordine del silenzio era finito, ma uno di loro non parlava più.
L'operaio, che aveva compiuto lo sforzo più grande di tensione e
di volontà, aveva perduto la favella. Ed egli tace ancora, atono,
stupefatto, quieto, avendo dato in un'ora tutte le energie di una
vita, avendo speso in sè stesso, in un sublime dialogo fra la volontà
e l'istinto, tutte le eloquenze della sua anima. La fatalità ha voluto
suggellare sulle sue labbra il mistero del suo magnifico dramma.
La spedizione è stata ripetuta, ma con altri mezzi. Il danno fatto
non era irreparabile, se gli austriaci possedevano tubi di ricambio. E
dovevano certamente possederne a Riva. Infatti le nostre ricognizioni
hanno potuto vedere un affaccendamento di lavoro intorno alle chiuse
del Ledro. Si è pensato quindi a troncare l'impianto idraulico in modo
definitivo. Non più pochi uomini, ma un battaglione. Se non si passava
di sorpresa si sarebbe passati per forza. Gli zaini dei soldati erano
pieni di gelatina esplosiva.
Fuori di ogni sentiero, per i boschi del Carone, la truppa, dopo aver
sorpreso di notte i posti avanzati austriaci, ha raggiunto il ponte
sul Ponale a Biacesa, un gran ponte in ferro che sosteneva con le sue
travate le tubature dell'impianto elettrico. Tre piloni, tre mine. Uno
scoppio immane, un lampo accecante, una eruzione di rottami, e il ponte
era scomparso.
È una guerra di colpi di mano, nella quale il nemico, più tardo,
dimostra una pesantezza e spesso una inumanità teutoniche. In un
recente combattimento, piccolo ma accanito, che ha completato il
nostro fronte sul Garda, gli austriaci, che tentavano di resistere
all'attacco, mentre si combatteva a brevissima distanza, facevano fuoco
sui feriti.
Di tanto in tanto, una volta o due al giorno, la bella quiete della
valle Giudicaria è interrotta da un rimbombo di cannonate. Tre o
quattro granate austriache arrivano intorno a Condino. Un po' di fumo,
un boato, ed è finito. È il forte di Por che abbaia, accucciato sopra
un costone di fronte allo sbocco della valle Daona.
Vi è tutto un gruppetto di forti lì, a quel bivio di valli, ma soltanto
quello di Por prende la parola, forse perchè è il più vicino, o forse
perchè è il più moderno. Può anche darsi che gli altri forti siano
stati disarmati per coronare con le loro artiglierie le posizioni lungo
la Daona.
Il forte di Por si vede nettamente. L'erba non è ancora nata sui suoi
spalti, che macchiano di una nudità rossastra il fianco del monte,
come una frana. Però un muraglione di appoggio laterale delle opere,
rimasto scoperto, è sagacemente tinto di verde, ma di un verde tenero
inverosimile che non appartiene a nessuna vegetazione di questo mondo.
Sulla spianata le cupole di acciaio si profilano basse, cinque calotte
che sfiorano appena la superficie. Intorno, il prato e il bosco fanno
largo, come arretrando davanti a questa fragorosa intrusione sulla
selvaggia bellezza del monte.
Condino riceve le sue granate quotidiane con quell'aria desolata,
esterrefatta e lugubre che hanno i paesi abbandonati nelle zone del
fuoco dove fra le case e per le piccole vie pittoresche la solitudine e
il silenzio acquistano una pesantezza tragica. Da ogni porta esala come
un alito di angoscia, e pare di sentire nelle abitazioni vuote il senso
di un'atroce attesa. Da lontano sembrano vivi questi villaggi. Condino,
con le sue case bianche, appare pieno di una campestre gaiezza.
Quando vi si entra, l'immobilità di ogni cosa produce una non so quale
impressione di gelo, come se l'ombra dei muri raccogliesse un'atmosfera
di morte.
Poco più oltre, Cimego; più lontano Castello. Abbandonati anche
loro vedono strisciare lungo le case le pattuglie austriache. Questo
silenzio, così sinistro nei paeselli, dove inconsciamente noi tendiamo
l'orecchio alle voci, è dolce all'aperto. Nella mattinata limpida,
sotto al gran sole, la valle è festosa.

Nelle acque del Chiese è un brulicare rosato di soldati che si bagnano
e si levano dai loro gruppi canzoni e risate. Altrove si lavora. Si
lavora con una letizia che mette in noi una serenità indicibile. Si
fanno baraccamenti per l'inverno, si fanno strade, si fabbricano
arnesi, si costruiscono persino slitte, che porteranno viveri e
munizioni quando tutto questo verde sarà morto e i nevai saranno
discesi fino alla valle. Falegnami, muratori, carpentieri, zappatori,
lavorano al sole, cantando. Gli accampamenti che s'inerpicano con
un disordine da armenti al pascolo sui prati e sulle boscaglie dei
declivi, sono pieni di vita e di allegria. Direi quasi che scendono da
essi delle buffate di giovinezza e di vigore.
Se il nemico contasse sulla nostra stanchezza, s'ingannerebbe molto. La
guerra ci tempra. Pare che i nostri soldati ritrovino al campo una vita
che conoscevano, che amavano e che avevano dimenticata.
Compiono opere meravigliose che la sola forza non può fare senza
l'entusiasmo. Il dorso delle più aspre montagne è solcato dalle volute
di strade che scalano l'inaccessibile e per le quali l'automobile
ascende. Sono centinaia di chilometri. I più grossi cannoni italiani
tuonano da vette sulle quali finora non s'era posata che l'aquila.
Declivi e rocce, ad altezze vertiginose, sono tagliati dal varco aperto
dalla sapienza, dalla volontà, dalla gagliardia dell'esercito, e le
strade nuove, simili a venature sui monti, portano come vene un fiotto
di vita nostra alle più eccelse altitudini.
Per interrompere la strada di Ampola, quella che va a Riva, gli
austriaci hanno fatto crollare in un punto la montagna con tre
tonnellate di dinamite. La strada che era incavata nella roccia è
scomparsa, e con lei tutta una falda della roccia. Ebbene, si è fatto
un ponte che raccorda i due mozziconi della strada interrotta, un ponte
sull'abisso, un ponte di legno, che si aggrampa alla parete, che si
appoggia alle sporgenze, che sale lungo la roccia, così grandioso, così
solido, che pare un lavoro permanente, e che probabilmente per molti
anni reggerà il grave traffico di questo nuovo e antico lembo d'Italia.
Nelle opere delle nostre truppe si rivela una visione monumentale
delle cose. Pare che si faccia tutto col pensiero dei secoli. E per
lunghi secoli infatti rimarranno su queste montagne le tracce profonde
e gigantesche della nostra civiltà in lotta, che affacciandosi sulle
sommità delle Alpi vi lascia come degli indelebili solchi di artiglio.


TRA LE BALZE DELL'ADIGE.
_26 agosto._

L'occupazione di Ala, e la prima irruzione delle nostre truppe
verso Rovereto nella valle dell'Adige, dopo la conquista fulminea
dell'Altissimo e di tutto il massiccio fra il Garda e l'Adige, sono
legate alla memoria del generale Cantore. La storia della nostra azione
in quel settore è come dominata dalla figura di questo singolare
condottiero di avanguardie, che aveva della guerra una concezione
antica, magnifica e temeraria, per la quale è morto. Il suo ardimento
da guerriero leggendario, che si accoppiava ad una visione chiara
del terreno, ad una percezione esatta e rapida delle possibilità, fu
preziosa nel primo slancio dell'avanzata, quando le nostre colonne
penetravano nel territorio nemico senza potersi prefiggere un
obbiettivo preciso e definitivo, prive di informazioni esatte, affidate
alla intuizione e alla sagacia dei capi per strappare alle circostanze
il maggiore frutto.
L'Altissimo fu preso con un colpo di mano. Reparti alpini marciarono
nella notte del 23 maggio per dirupati sentieri della montagna, e
sorpresero all'alba il nemico sulla vetta. Senza sosta l'occupazione si
estese ad oriente. Dalla cima scese per i valloni ad affacciarsi sulla
Val d'Adige. Le pattuglie calavano per i costoni e per le balze. Delle
compagnie di rincalzo s'inoltravano dal sud. Il 2 maggio, l'avanzata
risaliva il fondo della valle fino ad Ala.

Poche truppe: due battaglioni. Uno marciava alla destra dell'Adige,
l'altro alla sinistra. Una batteria seguiva il battaglione di
destra. Gli abitanti, quando vi narrano della comparsa delle truppe
liberatrici, non vi dicono «gl'italiani arrivarono» ma «Cantore
arrivò». Perchè videro lui prima di ogni altra cosa. Il generale era
l'esploratore delle sue colonne. Improvvisamente, in un villaggio
che gli austriaci avevano abbandonato poco prima, entrava un generale
italiano, solo col suo capo di Stato Maggiore.
Giungeva per la strada maestra, tranquillamente. E questo ardire, pieno
di un senso di eroico disdegno verso il nemico, colpiva profondamente
l'immaginazione degli abitanti che aspettavano palpitando, la mente
piena delle menzogne austriache, secondo le quali gl'italiani avrebbero
messo tutto a ferro e a fuoco.
Cantore voleva vedere ogni cosa con i suoi occhi. Dove poteva celarsi
un agguato, verso i possibili sbarramenti, dove il terreno si prestava
ad una difesa avversaria, andava lui a guardare. Freddo, calmo,
avanzava allo scoperto, e, scelto un buon punto d'osservazione, si
assestava lentamente gli occhiali sul naso e ammiccava con i suoi occhi
da studioso miope, impassibile al fuoco, immobile, attento, come un
matematico avanti ad un problema. Poi, quietamente, dettava gli ordini
al suo capo di Stato Maggiore, che lo seguiva per disciplina, per
dovere e per amor proprio.
Quando voleva recarsi in esplorazione, il generale non mancava di
chiedere il parere dell'ufficiale. Ascoltate le eccellenti ragioni
che sconsigliavano il progetto, egli concludeva «Allora, andiamo!» —
e partiva in avanscoperta. Aveva un'inflessibilità verso di sè e verso
gli altri, che era tutta scritta nell'energia del suo volto. Ignorava
il pericolo; lo aveva affrontato tante volte impunemente che si era
fatta la persuasione di una invulnerabilità. «La morte non mi vuole»,
diceva. E ci credeva. La morte lo ha afferrato così repentinamente
nella sua ultima temeraria esplorazione fra le orrende rocce delle
Tofane che egli non l'ha sentita venire e non ha avuto il tempo di
ricredersi.
A Borghetto entrò a piedi. Dal campanile del villaggio una pattuglia
austriaca aveva tirato dei colpi verso la strada. Poi questo fuoco
era cessato. Cantore volle andare a vedere se il paese era sgombrato
dal nemico. Due guardie di finanza del posto di frontiera gli fecero
da fiancheggiatori. La pattuglia austriaca era fuggita. L'avanzata
incominciò. Cantore partì avanti, in automobile, come per una
passeggiata.
Nella valle pittoresca i cui nomi evocano come una fantastica galoppata
di epopea, fra quei dirupi che hanno visto passare in uno scintillìo di
uniformi e in un ondeggiamento di piume la prima gloria napoleonica, la
quale doveva allargare i suoi clamori trionfali su tutta l'Europa, in
quel grandioso scenario da battaglie, la conquista italiana è entrata
veloce, annunziata dal rombo di un motore, che echeggiava improvviso
fra i muri dei villaggi attoniti, rozzi e grigi, raccolti intorno al
bianco stelo dei campanili, e immersi nei vigneti contro ad uno sfondo
oscuro di immani rocce precipitose.

Dopo le chiuse prodigiose che Rivoli sovrasta dal suo verde pianoro,
profonde come cañons, dopo quell'angusto e solenne corridoio di dirupi
che stringe fra pareti a picco la serenità dell'Adige, dopo la zona
delle vecchie fortezze, massicce e bianche, che dominano la gola dalla
sommità di vette nude, la vallata si allarga maestosa, vigilata da
ruderi di torri annidati fra dirupi giganteschi e da qualche scheletro
superbo di castello, che come quello di San Valentino addossa alle
rocce le sue muraglie merlate con un'aria grandiosa, severa, lugubre
da castello delle leggende. Il passato ha lasciato per tutto un segno
di guerra. Ad uno svolto della valle, una cittadina chiara, graziosa,
arrampicata in parte tra il verde delle alture, avanza le sue case più
nuove verso l'Adige: è la prima città austriaca, Ala.
Ha un'aria raccolta e antica, con un'impronta così profondamente
nostrana che pare di averla conosciuta già, di ritrovarla vagamente
nella memoria insieme al ricordo di qualche vallata del Friuli.
Nulla di più italiano di quei vecchi palazzi d'Ala, di una nobiltà
provinciale, di un'arte modesta e pura, nel cui interno verdi
specchiere di Venezia riflettono nel loro pallore di sogno delle
grazie settecentesche. La parte alta, inerpicandosi sul monte, diviene
rustica, e le stradine che salgono tortuose sono fiancheggiate da
casupole montanare, tutte a balconate di legno annerite dal tempo.
Attaccate ai muri, presso alle porte, le rozze slitte aspettano
l'inverno; sulle logge è tutto un festoso verdeggiare di fascine
fresche che seccano al sole; da soglia a soglia passa un dialogo veneto
di comari.
Ad Ala avvenne l'unica opposizione austriaca alla nostra avanzata. Fu
piccola, breve, ma arrivò di sorpresa. La città pareva completamente
abbandonata dal nemico.
Prima di ritirarsi i gendarmi austriaci avevano affisso manifesti che
minacciavano severe e imprecise punizioni a chiunque avesse osato di
fare buona accoglienza agli italiani, e avevano ripetuto a tutti che
gl'italiani si sarebbero abbandonati ad ogni eccesso. Da giorni i
negozî erano chiusi, e la città silenziosa aspettava nella speranza e
nell'ansia. Gli abitanti ignoravano tutto della guerra. Non sapevano
della presa dell'Altissimo e delle altre operazioni che si stavano
svolgendo nella regione. Nessuna notizia arrivava. Ma fra le case
chiuse, per le finestre dei cortili circolavano bisbigliate delle voci.
Il 24 maggio si diceva già: «Saranno qui stasera; un boscaiuolo ha
visto i bersaglieri ad Avio; scorgeva le penne....» Fra i patrioti
vivevano degli austriacanti; la comparsa di qualche vicino sospetto
interrompeva i dialoghi e faceva richiudere le finestre. Non erano
tutti partiti gli anti-italiani, e qualcuno ne resta ancora adesso.
Andando via, gli austriaci avevano requisito il bestiame, obbligando
dei contadini a condurlo a Rovereto. Pochi di questi disgraziati sono
tornati indietro. Per farli rimanere, temendo forse lo spionaggio, gli
austriaci avevano annunziato loro, semplicemente, che Ala non esisteva
più, essendo stata distrutta insieme agli abitanti dalla barbarie
italiana. La mancanza del bestiame e di provviste rendeva la vita
dei cittadini difficile. L'arrivo degli italiani era invocato come un
salvataggio.

Quando l'automobile del generale Cantore entrò nella città, Ala
pareva deserta. Cantore si fermò nella piazza, una piazzetta angusta,
irregolare, a declivio, che pare si tenga a stento dallo scivolare con
tutti i suoi ciottoli. Erano circa le dieci e mezzo del mattino. Il
generale aspettava le sue truppe. Intanto alcuni individui sbucavano
fuori e si avvicinavano a lui ossequiosi, assicurandolo della loro
lealtà e del loro patriottismo. Gli austriaci? — dicevano costoro. —
Neppure l'ombra. Erano fuggiti tutti.
Mentivano. Nessuno disse al generale che la gendarmeria austriaca,
rinforzata da un reparto di fanteria territoriale, era all'uscita del
paese dove da tre notti lavorava a trincerarsi. Questa menzogna noi
abbiamo generosamente dimenticato.
Tre quarti d'ora dopo si udì il passo dei soldati per le vie. Delle
porte si schiusero, delle voci di saluto risuonarono. Le case dei
patrioti furono in rumore, e il grido di «Viva l'Italia!» scendeva
da alcune finestre. All'avanguardia che, fra uno scintillìo di
baionette in canna, sboccava sulla piazzetta, il generale diede
l'ordine di proseguire ed occupare gli approcci settentrionali del
paese. Repentinamente, appena i soldati, voltato l'angolo, sbucarono
fuori dall'abitato, scoppiò la fucilata, violenta, intensa, vicina,
imprevedibile.
Da quel lato la città si affaccia sul letto ampio e sassoso del
torrente Ala, e la strada lo segue per un tratto prima di attraversarlo
sopra un ponte. All'altra riva del torrente, si distendono delle vigne
sorrette da lunghi muri che si sovrappongono a ranghi, dando l'idea
della gradinata di un'arena con una verde moltitudine di viti al posto
degli spettatori. In mezzo alle vigne, in alto, una villa isolata. Gli
austriaci avevano fatto della villa, che fronteggia e domina il paese,
il loro fortilizio, e dei muricciuoli i parapetti delle loro trincee.
Inattaccabili alla fucileria, essi bloccavano solidamente il passaggio
del ponte e rendevano intenibile il bordo dell'abitato.
Alla resistenza improvvisa, l'avanguardia refluì sulla piazza. I colpi
che venivano dalla villa infilavano la via e tempestavano i muri. La
piccola vetrina di una modesta pasticceria, avanti alla quale stava
Cantore, è tutta foracchiata dalle palle.
Nella città sconosciuta non era facile orizzontarsi subito e trovare
le posizioni dalle quali riconoscere e battere il nemico. Quali forze
aveva? Il suo fuoco era serrato. Vi fu una ricerca concitata di sbocchi
accessibili e di posti di osservazione, mentre sopraggiungeva il resto
del nostro battaglione. In quel momento delle fucilate cominciarono a
partire da varie finestre.
Allora si svolse uno dei più belli episodi.

Una compagnia cercava di salire alla parte alta della città e avanzava
esplorando per una strada angusta e deserta, tagliata dal sibilare
alto delle pallottole. Un portone era schiuso, come per un invito ad
entrare. I soldati vi si affacciarono guardinghi, le baionette basse.
Nella corte, inaspettato, risuonò un grido di entusiasmo, un grido
di donna: «Avanti, avanti, viva l'Italia!» E una ragazza, giovane,
sorridente, dall'aspetto fiorente e modesto, comparve fra i nostri:
«Avanti, vengano, vengano sicuri!»
L'ufficiale che comandava, rimise la pistola nella fondina e salutò
cavallerescamente chiedendo: «Signorina, si vedono gli austriaci dalla
sua casa?» — «Sì, sì, si vedono, salga con me!» — e svelta essa lo
precedette per le ampie scale d'una vecchia casa.
Da dietro alle persiane chiuse si scorgeva quasi sotto ai muri il
torrente Ala; al di là, i vigneti e la villa, crepitanti di colpi.
Delle palle si schiacciavano sulle pareti della casa.
Figlia di patrioti, educata alla religione segreta dell'Italia, la
fanciulla non sentiva e non comprendeva il pericolo, tutta commossa
dall'avverarsi del gran sogno. Rideva, e i suoi occhi azzurri
sfavillavano di contentezza: «Signor ufficiale — esclamava — chiami
i suoi soldati, vede, da qui può far battaglia!» — «No, signorina —
rispose il capitano dopo aver bene osservato, — tirerebbero sulla casa
e spezzerebbero tutto qui dentro; vorrei trovare una posizione più
alta.» — «Sì, so io dove, mi segua, la conduco io!»
Dietro alla casa, degli orti minuscoli, aggrappati allo sperone
roccioso del monte, si sovrastano l'un l'altro come pianerottoli verdi.
E si vide una lunga fila grigia di soldati, preceduta da una bianca
figurina di donna, salire curva da un pianerottolo all'altro per ripide
scalette di pietra. Con un breve schianto le pallottole entravano
nel tronco degli alberi. Gli austriaci conoscevano quell'accesso e
lo vigilavano. Si accorsero subito della scalata. Dai vari ripiani i
nostri cominciavano il fuoco, nascosti fra le piante.
Poco dopo anche il generale, cercando un sentiero che aggirasse la
posizione nemica, saliva da altra via la costa, esplorando lui stesso,
come sempre, seguìto da un plotone. Arrivò in un punto scoperto, preso
d'infilata. L'avevano visto; il piombo austriaco grandinava sulla
roccia. I soldati esitarono un istante e si gettarono istintivamente a
terra, ai lati del sentiero. Cantore rimase in piedi, la faccia verso
il nemico, immobile sopra una sporgenza della roccia, impassibile come
una statua. Poi chiese un fucile, e lentamente, con un'attenzione da
tiratore al bersaglio in un giorno di gara, cominciò a far fuoco. Non
gridò ordini, non disse nulla, ma un minuto dopo tutto il plotone,
calmo, aveva preso posizione intorno al generale e nulla più lo mosse.
Due settimane fa, nella mattinata della domenica, in mezzo ad un
quadrato di truppe che presentavano le armi, la signorina Maria
Abriani, l'eroica guida, ha ricevuto la medaglia al valor militare,
come un soldato. Essa ne è fiera, ma a chi si congratula con lei,
modestamente osserva: «Tante altre donne avrebbero fatto lo stesso
nelle mie circostanze».
«Non ha avuto neppure un momento di paura?» — le ho chiesto conversando
con lei proprio sull'alto della posizione alla quale essa aveva guidato
le truppe, dopo essermi fatto narrare la scena. «Non ci pensavo — mi
ha risposto, — ero così contenta. E poi i soldati erano tanto calmi,
allegri, che pareva che non ci fosse nessun pericolo».
Dopo un istante, sorridendo ha soggiunto: «Quando ridiscesi, passando
dietro alle file che facevano fuoco, i soldati si voltavano a salutarmi
e a dirmi dei complimenti....» In pieno combattimento, fra una fucilata
e l'altra, mentre qualche cadavere insanguinava già le rocce, i
combattenti lanciavano l'omaggio di una frase ammirativa alla gioventù
e alla freschezza femminili che passavano. C'è tutta l'anima italiana
in questo particolare pieno di eroismo e di galanteria.
Il piccolo combattimento di Ala fu definito dall'artiglieria. La
batteria che accompagnava la colonna alla destra dell'Adige fu portata
avanti e dall'altra parte della valle scacciò gli austriaci a colpi di
_shrapnells_.

Da Ala la nostra avanzata ha raggiunto senza contrasti le posizioni
solide che teniamo, di fronte alla montagna di Biaena, della quale gli
austriaci hanno fatto tutta una immane fortezza.
Come nella valle Giudicaria, anche in quella dell'Adige i due fronti si
consolidano lontani fra loro, separati da una zona aspra nella quale
serpeggia la guerrilla delle avanscoperte. In tutte queste vallate
vi è stata un'analogia di azione e di intenti, che ha condotto ad una
analogia di situazioni.
Qualche colpo di cannone da una parte, qualche colpo di cannone
dall'altra, urti di pattuglie, ma nel complesso la guerra qui marca il
passo in un'attesa guardinga. Vi sono delle posizioni d'avamposti alle
quali non si arriva che per osservare. Sono cucuzzoli di alture che
l'artiglieria ha sterilito e denudato, perchè quando vi arrivano gli
austriaci li bombardiamo noi, e quando vi arriviamo noi li bombardano
gli austriaci. Si sente, s'intuisce che ogni movimento di masse qui
dipenderà da movimenti che si svolgono altrove. Per ora i due fronti
avversarî si limitano ad accumulare ostacoli.
Sul Biaena le fortificazioni austriache si vanno delineando come delle
ferite sulla immane faccia del monte. Sono scorticature di rocce,
tratteggi di terra smossa. Il materiale scavato, trasportato dalle
piogge, ha formato delle colate chiare e rosate nei canaloni e sulle
pareti a picco delle creste. Si scava e si scava lassù.
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 08
  • Parts
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 01
    Total number of words is 4201
    Total number of unique words is 1662
    30.9 of words are in the 2000 most common words
    44.9 of words are in the 5000 most common words
    52.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 02
    Total number of words is 4289
    Total number of unique words is 1772
    29.4 of words are in the 2000 most common words
    43.9 of words are in the 5000 most common words
    50.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 03
    Total number of words is 4329
    Total number of unique words is 1834
    29.0 of words are in the 2000 most common words
    43.2 of words are in the 5000 most common words
    51.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 04
    Total number of words is 4286
    Total number of unique words is 1733
    29.8 of words are in the 2000 most common words
    43.0 of words are in the 5000 most common words
    49.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 05
    Total number of words is 4432
    Total number of unique words is 1824
    30.8 of words are in the 2000 most common words
    45.7 of words are in the 5000 most common words
    53.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 06
    Total number of words is 4401
    Total number of unique words is 1626
    26.7 of words are in the 2000 most common words
    40.4 of words are in the 5000 most common words
    48.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 07
    Total number of words is 4329
    Total number of unique words is 1759
    30.4 of words are in the 2000 most common words
    44.6 of words are in the 5000 most common words
    52.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 08
    Total number of words is 4393
    Total number of unique words is 1711
    26.7 of words are in the 2000 most common words
    39.6 of words are in the 5000 most common words
    47.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 09
    Total number of words is 4433
    Total number of unique words is 1728
    27.3 of words are in the 2000 most common words
    40.6 of words are in the 5000 most common words
    47.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 10
    Total number of words is 4381
    Total number of unique words is 1741
    28.4 of words are in the 2000 most common words
    43.3 of words are in the 5000 most common words
    50.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 11
    Total number of words is 4439
    Total number of unique words is 1650
    28.1 of words are in the 2000 most common words
    41.1 of words are in the 5000 most common words
    49.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 12
    Total number of words is 4346
    Total number of unique words is 1744
    26.9 of words are in the 2000 most common words
    40.1 of words are in the 5000 most common words
    47.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 13
    Total number of words is 4354
    Total number of unique words is 1737
    28.2 of words are in the 2000 most common words
    42.3 of words are in the 5000 most common words
    49.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 14
    Total number of words is 4406
    Total number of unique words is 1752
    27.0 of words are in the 2000 most common words
    40.5 of words are in the 5000 most common words
    47.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 15
    Total number of words is 4314
    Total number of unique words is 1708
    27.6 of words are in the 2000 most common words
    41.6 of words are in the 5000 most common words
    49.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 16
    Total number of words is 4328
    Total number of unique words is 1628
    28.1 of words are in the 2000 most common words
    40.9 of words are in the 5000 most common words
    48.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 17
    Total number of words is 4400
    Total number of unique words is 1674
    29.1 of words are in the 2000 most common words
    43.6 of words are in the 5000 most common words
    51.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 18
    Total number of words is 4401
    Total number of unique words is 1657
    31.3 of words are in the 2000 most common words
    45.7 of words are in the 5000 most common words
    55.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 19
    Total number of words is 4384
    Total number of unique words is 1729
    28.5 of words are in the 2000 most common words
    41.9 of words are in the 5000 most common words
    50.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 20
    Total number of words is 4341
    Total number of unique words is 1660
    27.7 of words are in the 2000 most common words
    42.5 of words are in the 5000 most common words
    50.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 21
    Total number of words is 3983
    Total number of unique words is 1568
    30.4 of words are in the 2000 most common words
    44.5 of words are in the 5000 most common words
    51.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.