Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo, v. 01 (of 16) - 17

Total number of words is 4236
Total number of unique words is 1629
36.8 of words are in the 2000 most common words
53.9 of words are in the 5000 most common words
62.3 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
della corrispondenza colle potenze straniere, del comando delle forze di
terra o di mare, ed ancora delle lontane spedizioni. Questi consoli,
sortendo di carica, rendevano conto al popolo in una generale assemblea
dell'impiego del danaro dello stato[372].
[372] _Caffaro An. Gen. Scrip., Rer. It. t. VI. p. 284._
Altri magistrati talvolta di ugual numero, talvolta in numero assai
maggiore, si crearono lo stesso anno col titolo di _consoli alle liti_
per essere i supremi giudici della repubblica. La divisione del popolo
in sette compagnie, e della città in sette quartieri, serviva in pari
tempo a classificare gli elettori, ed a limitare la giurisdizione dei
giudici, perciocchè ogni giudice eleggevasi dalla compagnia ch'egli
doveva giudicare. In appresso furono formati due tribunali, uno per la
città, l'altro per il sobborgo; e l'anno 1179 venne stabilito che il
difensore potrebbe richiamare l'instante a quello dei due tribunali
ch'egli sceglieva[373]. Tanto i primi che i secondi consoli rimanevano
in carica un anno.
[373] _Ottobonus Scriba Annal. Genuensium lib. III. p. 355._
In certe occasioni, e dietro domanda del popolo, la repubblica nominava
i correttori delle leggi. Questi commissarj in numero non maggiore di
dodici o quindici erano depositarj del potere legislativo[374].
Gl'Italiani lungi dal formare di questo potere una proprietà del popolo,
lo risguardavano quale attributo della giurisprudenza, e ne
abbandonarono l'esercizio ai giurisperiti, i quali eransi ciecamente
sottomessi alle decisioni fondate nelle massime della scuola e
nell'autorità di Giustiniano. In generale lo studio del diritto era
separato dalle incumbenze amministrative, di modo che i legisti non
avevano un interesse di corporazione per abusare della confidenza del
popolo, o per renderlo schiavo; ma la legislazione romana ed imperiale
aveva loro comunicato un cotal carattere servile, per cui in tutto il
corso delle dispute tra le repubbliche e l'impero, favoreggiarono il
dispotismo contro la libertà.
[374] _Id. ib._
Eravi in Genova un consiglio o senato che doveva assistere i consoli; ma
i poteri di tal corpo dovevano essere assai ristretti, poichè due o tre
sole volte viene rammentato nella storia[375]. Il popolo riunito _in
parlamento_ sulla pubblica piazza prendeva parte all'amministrazione
dello stato, ricevendo i conti de' magistrati, e deliberando intorno ai
comuni interessi nelle più importanti occasioni[376].
[375] _Caffar. ad init. hist. Obertus Cancell. lib. II. Annal.
Gennen. p. 342._
[376] _Caffar. lib. I. p. 284. — Ottob. Scriba lib. III. p. 304._
Questa costituzione era semplice, ma sufficiente per tutelare la libertà
del popolo, per interessarlo vivamente ne' pubblici affari, e per
affezionarlo alla patria in ragione della parte che gli dava nel
governo. L'elezione de' magistrati, il conto che rendevano
dell'amministrazione, le deliberazioni della piazza pubblica, facevano
ogni giorno sentire ai cittadini che gli affari dello stato erano i loro
affari, che il privato loro interesse era quello della comunità. La
salvaguardia dell'ordine pubblico contro l'anarchia e la turbolenza
democratica, affidavasi ai costumi ed all'abitudine di rispettare il
rango de' magistrati, piuttosto che alle leggi. I consoli erano tutti o
quasi tutti gentiluomini. E perchè quest'ordine erasi mostrato il
protettore del popolo contro gl'imperatori ed i grandi, il popolo
riconoscente gli aveva affidati tutti i suoi diritti; onde le liste del
consolato presentano i nomi illustri degli Spinola, dei Doria, dei
Ruffo, dei Fornaro, dei Negri, dei Serra, dei Picamiglio, ec. Felice la
repubblica in cui il popolo ha un illimitato diritto d'elezione, e dove
ciò null'ostante i nobili sono degni de' suoi suffragi!
La storia di Genova non deve separarsi da quella di Pisa: queste due
repubbliche, di costumi, di potenza, di governo quasi uguali,
cominciarono assai presto a mostrarsi rivali, seguitando a combattersi
finchè Pisa succumbette dopo una lotta di molti secoli. Ma agli occhi
della posterità, Pisa rimasta nelle tenebre della storia, non sostiene
il confronto di Genova con quella gloria con cui seppero sostenerla i
suoi guerrieri colle armi. Del periodo di cui parliamo, i soli documenti
che siano rimasti di questa città, sono una declamazione sui trionfi, un
poema mezzo barbaro intorno alla guerra di Majorica, e due sterili e
spezzate cronache[377]: di modo che conviene prendere dai documenti de'
suoi nemici il racconto delle vittorie e delle disfatte. Gli storici
veneziani sono ancora più poveri, non avendone di più antichi del doge
Andrea Dandolo, che fioriva verso la metà del quattordicesimo secolo, e
che non può essere creduto a chiusi occhi rispetto ai fatti anteriori
assai all'epoca in cui visse[378].
[377] _Chronica Varia Pisana t. VI. Rer. It._
[378] _Chronica Danduli t. XII. Rer. Ital._ — Sandi autore della
Storia civile di Venezia ebbe sott'occhio più manoscritti, cui per
altro accordò poca confidenza. Gli archivj della cancelleria, ove
consultò moltissimi antichi documenti meritano intera fede.
Le tre repubbliche presero ugualmente parte alle imprese de' Cristiani
in Terra Santa. Mentre per gli altri popoli la guerra sacra non è che un
episodio della storia, è forse il più importante avvenimento di que'
tempi per le repubbliche marittime. La posizione di Venezia era la più
opportuna per quel passaggio, e vi si prestò con molto zelo. I Turchi
avevano nell'Asia invase le province e le città ove la repubblica faceva
il più lucroso commercio, e minacciavano di spingere ancor più lontano
le loro conquiste, soggiogando i Greci ed i Saraceni; ed in allora non
sarebbe rimasto ai Veneziani alcun mercato libero in tutto il Levante.
Nè ciò solo dovevano temere; ma di veder in breve attaccati i loro
dominj divenuti frontiera degli stati ottomani. Trasportarono perciò
con estrema prontezza, non iscompagnata per altro da conveniente
profitto, i crociati sulle coste dell'Asia, ove incaricandosi
dell'approvvisionamento delle armate, ed esercitando simultaneamente la
milizia ed il commercio, riportarono a Venezia i più ricchi carichi con
quelle flotte medesime con cui avevano fatto tremare gl'infedeli.
Assicurano gli storici della repubblica, che la flotta che accompagnò la
prima crociata era composta di duecento vascelli, e comandata dal figlio
del nuovo doge Vital Michieli, il quale, prima di giungere al suo
destino, diede sulle coste di Rodi una sanguinosa battaglia alla flotta
pisana. Questi due popoli acciecati dalla gelosia dimenticarono d'essere
Cristiani, Italiani e crociati, per non ascoltare che le private loro
animosità. I Veneziani occuparono in seguito Smirne, che abbandonarono
al saccheggio, e facilitarono all'armata terrestre l'acquisto di Jaffa o
Joppe[379].
[379] _Andreæ Danduli Chronicon lib. IX. c. 10. p. 256._
In agosto del susseguente anno i Genovesi mandarono in Oriente ventotto
galere e sei vascelli con truppe da sbarco sotto il comando d'un console
della repubblica. Lo storico Caffaro era del numero de' guerrieri
imbarcati. Nel tempo stesso anche i Pisani fecero partire una, flotta di
cento vascelli capitanati dal loro arcivescovo Daimberto, che fu poi
patriarca di Gerusalemme. Queste due flotte svernarono a Laodicea, e
mantennero le province marittime ubbidienti ai Latini nell'istante in
cui la morte del buon re Goffredo di _Bouillon_ metteva in pericolo il
nuovo suo regno.
(1101) La vegnente primavera i Genovesi coi Pisani ed altri crociati
intrapresero l'assedio di Cesarea. I repubblicani, portando al campo i
liberi usi della loro patria, prima di dar l'assalto alle mura di
Cesarea, unirono i cittadini in parlamento per consultare di ciò che far
dovevano quando dopo pochi istanti tornerebbero al rango di soldati.
Daimberto fu il primo a parlare e come profeta e come soldato; esortò i
suoi cittadini a ricevere la mattina susseguente la santa comunione, e
poichè fossero muniti di questo pegno della celeste protezione, ad
avanzarsi fin presso alle mura, attaccandole colle sole scale delle
galere, senza perder tempo a preparare altre macchine d'assedio,
promettendo loro in nome del cielo, che Dio li farebbe quello stesso
giorno padroni della città. Il console genovese Malio prese in seguito
la parola, ed appoggiò colla sua eloquenza guerriera le profetiche
esortazioni del prelato pisano. Le più calde acclamazioni manifestarono
l'entusiasmo del popolo, che il susseguente giorno andò coraggiosamente
all'assalto appoggiando alle mura le scale navali. Il console genovese
colla spada in mano fu il primo che salisse sulla sommità delle mura,
ove si sostenne alcun tempo solo contro gli sforzi de' nemici, finchè
raggiunto da' suoi soldati potè rovesciare i Musulmani, e prendere la
città che fu abbandonata al saccheggio. La preda, secondo l'antica
usanza delle armate romane, fu divisa dai consoli; un quindicesimo fu
posto in serbo per i marinai rimasti alla custodia delle galere, una
porzione fu levata per i magistrati e per gli uffiziali, ed ogni
semplice soldato ricevette quarantotto soldi d'argento, circa cento
settanta franchi, e due libbre di pepe. Dopo così segnalata vittoria
spiegarono le vele per ritornare ne' porti della loro patria[380].
[380] _Caffaro Ann. Genuens. p. 248. 253. — Gesta triumphalia per
Pisanos facta p, 100. — Chron, Pis. p. 168. t. VI. Rer. It._
Se le città italiane resero importantissimi servigi ai crociati, seppero
altresì chiedere in compenso utili privilegi ne' paesi di nuova
conquista. Con un diploma accordato ai Veneziani l'anno 1130, Baldovino
II, re di Gerusalemme, promette loro in tutte le città del regno latino
un quartiere indipendente, nel quale vi sarebbe una chiesa, una piazza,
un bagno, un forno ed un molino. I gabellieri non potevano entrarvi, nè
porre ostacoli alla libertà del loro commercio[381]. I Veneziani nel
proprio quartiere erano sottomessi soltanto alle leggi patrie, ed ai
magistrati eletti da loro medesimi, in guisa che in mezzo al regno di
Gerusalemme formavano delle piccole colonie repubblicane alleate per sua
difesa, ma indipendenti dalle sue leggi.
[381] _Diploma apud Murat. Antiq. It. t. II. p. 919._ Questo diploma
conferma i precedenti privilegi accordati ai Veneziani da Baldovino
I, e dalla reggenza del regno in tempo della prigionia di Baldovino
II.
Perchè i soccorsi de' Pisani furono più utili, e fors'anco più
disinteressati che quelli de' Veneziani, eran loro stati accordati assai
prima gli stessi privilegi da tutti i principi latini. Il generoso
Tancredi, l'eroe del Tasso, che nel 1108 succedette a Raimondo nel
principato d'Antiochia, accordò ai Pisani un quartiere in Antiochia ed
in Laodicea, inoltre il libero uso de' suoi porti, come lo avevano i
suoi sudditi. Questi privilegi vennero poi confermati ed ampliati da
Amauri l'anno 1169, e da Baldovino IV l'anno 1182, amendue re di
Gerusalemme, da Boemondo III, principe d'Antiochia, l'anno 1170, da
Raimondo, conte di Tripoli l'anno 1187[382].
[382] Questi diplomi sono tutti prodotti dal Muratori _t. II. p. 905
e seguenti. Antiq. Italic. Med. Aevi_.
Intanto le moltiplicate relazioni dei Veneziani coi crociati del regno
di Gerusalemme diedero luogo ben tosto a disgusti tra essi ed i Greci. I
crociati avevano portato in Oriente quel disprezzo che i popoli barbari
hanno quasi sempre per i più inciviliti: non rispettavano le pubbliche
costumanze, violavano le leggi, offendevano la religione dei Greci colle
superstizioni e col fanatismo, e quando la pubblica autorità voleva
reprimere i loro eccessi, se ne appellavano alla propria spada, e
versavano il sangue di que' Cristiani che dicevano di soccorrere. I
Comneni che avevano invocato prima di tutti l'appoggio degli
Occidentali, e che si vollero tenere risponsabili di tutte l'esazioni
degli ufficiali subalterni, delle frodi de' mercadanti loro sudditi, e
per fino della inclemenza delle stagioni, furono ben tosto costretti di
porsi in guardia contro i Latini, e talvolta di prendere l'armi contro
di loro. I Veneziani che fino a tal epoca colla rispettosa loro condotta
avevano dato luogo di dubitare, se fossero sudditi o alleati dell'impero
di Bizanzio, resi orgogliosi dai prosperi avvenimenti, e volendo imitare
i crociati loro nuovi alleati, rinunciarono bruscamente all'antico
sistema di rispettosa deferenza. Giovanni Comneno, detto Calojano, uno
de' più valorosi guerrieri, e de' più virtuosi imperatori che
occupassero il trono di Bizanzio (1124), ordinò che fossero poste in
sequestro tutte le navi veneziane che trovavansi ne' suoi porti, finchè
la repubblica soddisfacesse alle lagnanze provocate dalla condotta de'
suoi cittadini. Il doge Domenico Michieli che comandava allora una
flotta che aveva di fresco conquistato Tiro con molta gloria, la
condusse innanzi a Rodi, e dopo aver presa questa città d'assalto,
l'abbandonò al saccheggio. Passò inseguito a Scio (1125), di cui si rese
padrone, e vi svernò la flotta. Nella susseguente primavera saccheggiò
le isole di Samo, di Mitilene, di Andres. Facili erano tali successi e
poco gloriosi, perchè i Greci, dopo l'indebolimento de' Saraceni, non
avendo che temere dalla banda del mare, avevano trascurate le
fortificazioni delle loro isole, e, ritirate le guarnigioni e gli uomini
atti alle armi per opporli al Turco sul Continente. Vero è che la
repubblica di Venezia raccolse molti allori sul territorio dell'impero
greco, ma ella deve, assai più che gli altri popoli crociati,
rimproverarsi d'averne occasionata la caduta. La nazione greca era bensì
corrotta dal lungo dispotismo che l'opprimeva, ed aveva da gran tempo
perduta quell'energia, quello spirito vitale che conserva gli stati, e
lega gli uomini al destino della loro patria; ma una felice combinazione
aveva portata sul trono di Costantinopoli una valorosa famiglia; l'amor
delle lettere veniva incoraggiato dai Comneni, come quello della
milizia, perchè i principj cavallereschi de' crociati eransi sparsi
nella nazione. Sembrava inoltre che i Greci incominciassero ad attingere
dallo studio degli antichi l'amore della patria e della libertà; che se
può accadere, che una nazione sia rigenerata da' suoi padroni, la
nazione greca era assai prossima a questa felice rivoluzione; di modo
che, abbandonata affatto a sè medesima, o bastantemente soccorsa,
avrebbe in breve trionfato dei Turchi, il di cui guerriero fanatismo non
poteva essere di lunga durata. Ma i Latini, pericolosi ugualmente ed
amici e nemici, ruinarono i Greci nel loro passaggio; saccheggiarono le
città, massacrarono gli abitanti, ne distrussero le mura e le
fortificazioni, e s'impadronirono della loro capitale. Per ultimo quando
abbandonarono l'Oriente come nemici, lasciarono l'impero talmente
spossato, che fu agevol preda de' Musulmani.
Breve fu questa prima guerra de' Veneziani contro i Greci. Il doge
Michieli, rientrando nell'Adriatico, prese agli Ungaresi Spalatro e
Trau, che questi avevano conquistato nella Dalmazia; ma morì non molto
dopo nella sua capitale[383]. La guerra ch'egli aveva fatta ai Greci fu
dimenticata, cosicchè quando Manuele Comneno fu vent'anni dopo assalito
da Ruggiero, re di Sicilia, domandò ajuto ai Veneziani, i quali fecero
una vigorosa diversione sulle terre del suo nemico.
[383] _Dand. Chron. l. IX. c. 12. p. 272._
Mentre i Veneziani accrescevano le loro relazioni coi crociati di
Gerusalemme, cui erano sempre necessarj i sussidj degli Occidentali, i
Pisani risolvettero di liberare il mar Tirreno dalle piraterie dei
Musulmani. Nazaredech, re di Majorica, corseggiava continuamente le
coste della Francia e dell'Italia, ed era comune opinione (1113) che
languissero nelle sue carceri ventimila Cristiani. Pietro, arcivescovo
di Pisa, approfittando della circostanza della festa di Pasqua, in cui
gli abitanti delle vicine campagne accorrevano a Pisa per ricevervi la
benedizione vescovile, presentò loro alla porta del tempio la croce, gli
esortò con impetuosa eloquenza in nome del Dio dei Cristiani a liberare
i loro fratelli che gemevano nelle prigioni degl'infedeli, ed erano
continuamente esposti a rinegare la fede. Alcuni vecchi, che, essendo
giovani, avevano militato nell'impresa della Sardegna, ed avevano
trionfato sui Saraceni di Bona e d'Almeria, applaudirono alla voce del
loro prelato, e ripetendo il racconto mille volte udito delle loro
imprese, esortarono la nascente generazione a conservare la gloria di
Pisa, ed a fare in modo che nuovi trionfi facessero dimenticare i
passati. Il loro entusiasmo si comunica alla gioventù che prende la
croce; ed il popolo sceglie dodici capitani, cui viene affidata la cura
dell'impresa, dei preparativi di guerra e delle alleanze[384].
[384] _Laur. Vernensis rerum a Pis. in Major. gestor. Poema t. VI.
Rer. Ital p. 111. — Ber. Marang. Cron. di Pisa p. 340._
Parte della state fu consacrata ad allestire la flotta e le macchine
guerresche; nel qual tempo giunsero a Pisa i soccorsi de' Lucchesi e di
Roma: e Pasquale, nunzio del papa, venne espressamente a Pisa per
benedire la flotta che fece vela in sul cominciar d'agosto, il giorno di
s. Sisto, in cui i Pisani festeggiavano una vittoria ottenuta sui
Saraceni affricani nel precedente secolo. I crociati passarono prima in
Sardegna tanto per avere più accertate notizie, come per ricevere i
soccorsi de' feudatarj che i Pisani avevano in quell'isola. Di là, dopo
quindici giorni di riposo, si diressero verso le isole Baleari; breve
tragitto, ma non iscompagnato da' pericoli e da difficoltà in tempo che
non si conosceva la bussola, e si avevano carte assai imperfette.
I crociati, dopo aver sofferta una burrasca, scoprirono una terra, che
subito attaccarono, persuasi che fosse l'isola di Majorica. Essi
gettaronsi sugli abitanti delle coste, che misero in fuga, o fecero
prigionieri. Non tardarono per altro a rilevare da questi ultimi che
avevano sbarcato sulle rive di Catalogna, e che devastavano le campagne
de' Cristiani. Allora, deposte le armi, si sdrajarono lungo la spiaggia
del mare affatto scoraggiati, e perduta ogni speranza di approdare alle
isole Baleari[385]. La lunga dimora che dovettero fare in Catalogna,
ritenutivi dai venti contrarj, non tornò inutile, perchè si associarono
in questa guerra sacra Raimondo, conte di Barcellona, Guglielmo, conte
di Mompellieri, Emerì, conte di Narbona, ed altri signori di Francia e
di Spagna. Costretti in appresso dalla cattiva stagione a differire la
spedizione al susseguente anno, si ritirarono paghi d'avere agguerriti i
soldati, ed accresciuti i confederati[386].
[385] _Laurent. Vernens. Poema l. I. p. 115._
[386] _Id. lib. II. p. 118._
(1114) In aprile del 1114 la flotta crociata approdò finalmente ad
Ivica, rendendosi dopo un sanguinoso incontro padrona dell'isola. Passò
in seguito a Majorica ove intraprese l'assedio della città che dà il
nome all'isola, la quale, dopo un anno di ostinata difesa, cadde in
potere de' Pisani (1115) nelle feste di Pasqua del 1115 malgrado la
coraggiosa resistenza del re saraceno e dei molti alleati chiamati a
difenderla. Il re morì combattendo, ed il suo successore fatto
prigioniero fu condotto a Pisa trionfalmente colle immense ricchezze
della sottomessa isola[387].
[387] _Laur. Ver. Poema l. VI. et seq. p. 129._
Tornavano i Pisani dalle isole Baleari, quando papa Gelasio II,
perseguitato da Enrico V, avendo abbandonato Roma per ripararsi in
Francia, si fermò alcun tempo in Pisa da cui sperava di essere
potentemente soccorso. Questo papa discendeva dall'illustre famiglia
pisana de' Gaetani, onde per riconoscere i ricevuti beneficj, o per amor
di patria, dichiarò i vescovi corsi suffraganei della Chiesa
metropolitana di Pisa. Vero è che fino del 1092 il prelato di Pisa aveva
il titolo di arcivescovo, ma pare che non avesse verun vescovo
suffraganeo. Il popolo festeggiò la recente dignità conferita al
metropolitano; ed i consoli ed i senatori condussero pomposamente il
loro pastore nell'isola di Corsica per ricevere il giuramento
d'ubbidienza e di fedeltà dai vescovi, e per consacrarne le chiese. I
rivali della repubblica, e più di tutti i Genovesi, concepirono per tale
avvenimento una gelosia proporzionata all'alta importanza che vollero
darvi i Pisani[388].
[388] _Gest. triumph. Pisan. t. VI. p. 105. Bernard. Marangoni Cron.
di Pisa p. 362._
(1119) La guerra che si dichiarò del 1119 tra le due repubbliche fu
provocata da questa gelosia. Se prestiam fede a Caffaro, i Genovesi
attaccarono porto pisano con ottanta galere e quattro grandi navi
cariche di macchine militari. Portava la flotta ventidue mila uomini da
sbarco, cinque mila de' quali armati di corazza e di caschetti di
ferro[389]. I Pisani non ricordano questo armamento veramente
prodigioso, essendo l'opera di una sola città. Ambedue le nazioni si
chiamarono vittoriose nella prima campagna, e nello spazio di
quattordici anni che durò la guerra, si bilanciarono i vantaggi in modo
da accrescerne l'emulazione, senza soddisfarne le speranze. Furono prese
a vicenda molte navi, bruciate o colate a fondo; saccheggiati varj
castelli e villaggi posti lungo le coste, altri incendiati e distrutti;
periti in tante battaglie i più valorosi cittadini; non pertanto il
commercio delle due repubbliche non prosperò mai tanto, nè la marina fu
in altri tempi più attiva.
[389] _Caffar. Ann. Genuens. l. I. p. 254._
(1133) Finalmente l'anno 1133, Innocenzo II, ch'erasi rifugiato a Pisa,
s'intromise per trattar di pace tra le nemiche nazioni, che lo avevano
ugualmente soccorso contro l'antipapa Anacleto. E perchè l'innalzamento
dell'arcivescovo di Pisa aveva destata la gelosia de' Genovesi, il papa
accordò la stessa dignità al loro vescovo, sottraendo la loro Chiesa al
metropolita di Milano, ed elevandola al rango di arcivescovile. Volle
pure che non fosse priva di vescovi suffaganei, ed eresse due vescovadi
nelle due riviere soggette; rimanendo quelli di Sardegna subordinati
alla chiesa pisana, e quelli di Corsica alla genovese ed alla
pisana[390].
[390] _Baron. An. Eccl. ad an. 1132. § 6. — Ubertus Folieta Hist.
Gen. lib. I. p. 249._
Nel tempo di questa lunga guerra, e forse prima, i feudatarj della
repubblica pisana in Sardegna si erano affatto sottratti alla suprema
sua signoria, e dichiarati sovrani. Quelli di Cagliari, Sassari,
Logodoro ed Arborea usurparonsi perfino poco dopo il titolo di re;
altri, come i Visconti di Gallura ed i Sismondi d'Oleastro, rinunciando
alla vanità dei titoli, non si erano resi meno indipendenti[391]. In
questi tempi all'incirca i Visconti ed i Sismondi si allearono colla
repubblica di Genova, e n'ebbero la cittadinanza. Un ramo della famiglia
Sismondi, dimenticando i doveri di cittadino, ed i sacri legami che
l'univano a Pisa, si stabilì in Genova, e da questo ramo discendono i
Sismondi Mascula, console l'anno 1146, e Corso, console ed ambasciatore
di Genova presso Federico II l'anno 1164[392]. Un altro ramo della
stessa famiglia era però rimasto fedele alla repubblica pisana, la quale
con un importante acquisto contribuì a chiudere agli stranieri il
territorio della repubblica, ed a liberare i suoi porti da una dannosa
rivalità. I Corsi erano governati in nome dell'impero dal marchese
Alberto, che si era dichiarato indipendente; e questi possedeva pure un
terzo del castello di Livorno, il di cui porto, quantunque non ancora
ingrandito e fortificato dall'arte, era non pertanto di grandissima
importanza, sia per la sua vicinanza al porto pisano, quanto per essere
posto in mezzo al territorio della repubblica tra la capitale e le
inferiori valli della Maremma. Del 1146 questo paese fu dato a titolo di
feudo a due fratelli Sismondi, come apparisce dall'atto che ancora
conservasi nell'archivio di Pisa, e che Muratori pubblicò[393].
[391] Fu allora senza dubbio ch'essi presero per stemma quello de'
loro feudi, lasciando quello di famiglia.
[392] _Caffaro Ann. Genuens. l. I. p. 161. — Ubertus Cancell. Ann.
Gen. lib. II. p. 292._
[393] _Antiqu It. Mœd. Aevi t. III. Diss. LXIV. p. 1161._
Il territorio pisano stendevasi lungo il mare da Lerici fino a Piombino;
ma non tutta questa contrada era immediatamente soggetta a Pisa; perchè
i villaggi e castelli posti sulle due rive di Lerici, Viareggio, Massa,
Piombino e Grosseto, eransi soltanto posti sotto la sua protezione, ed
acconsentito che le loro milizie guerreggiassero sotto gli stendardi di
assai più potente repubblica ch'esse non erano; sottomettendosi alle
decisioni de' consoli pisani nelle loro quistioni, invece di deciderle
colle armi. Nello stesso modo avevano i Genovesi ridotto nella loro
dipendenza non solo la vallata della Polsevera, e le altre che
circondano la città, ma inoltre tutte le piccole città delle due
Riviere, Lavagna, Ventimiglia, Savona, Albenga[394]. E le due
repubbliche tenevano queste terre press'a poco in quella dipendenza in
cui Roma teneva gli alleati del Lazio.
[394] _Caffaro An. Gen. l. I. p. 259._
Le tre repubbliche marittime trovavansi quindi avanti la metà del
dodicesimo secolo alla testa di tre piccole confederazioni formate dai
Veneziani delle libere città dell'Illirico, dai Pisani di quelle delle
Maremme, e dai Genovesi di quelle delle Riviere. Tutte tre eransi
assicurate un tale predominio sopra alleati acquistati quasi colla
forza, che già li risguardavano come soggetti. È per altro notabile, che
qualche residuo di libera costituzione presso le piccole città secondò
l'energia delle grandi, e contribuì a dilatarne la potenza ed a renderla
più stabile.
Di queste tre confederazioni la meno prospera era la pisana, non avendo
quella repubblica potuto stendere la sua protezione che verso le
Maremme, provincia assai fertile, ma malsana[395], che per l'influenza
della libertà era stata guadagnata alla coltura, ma che non poteva però
mai acquistare una troppo numerosa popolazione, o dare alla repubblica
robusti soldati ed esperimentati marinai. Dagli altri due lati, e
nell'interno delle terre lo stato pisano veniva rinserrato da quelli di
Lucca e di Fiorenza, città abbastanza forti per opporsi ad ogni suo
progetto d'ingrandimento. Lucca fu la prima a dar consistenza al suo
governo riducendo sotto di sè le vallate vicine; per cui fino nel secolo
undecimo trovavasi in guerra con Pisa. Fiorenza per l'opposto era in
allora alleata dei Pisani, e Giovanni Villani, storico fiorentino,
pretende che i suoi concittadini venissero a custodir Pisa mentre quegli
abitanti trovavansi occupati in una spedizione marittima. Aggiunse che i
Fiorentini s'accamparono due miglia fuori di Pisa per difenderli dai
Lucchesi, avendo proibito sotto pena di morte ai soldati l'ingresso in
città per timore che i vecchi e le femmine, rimasti soli in guardia
delle mura, non dubitassero della loro fede[396].
[395] Il vocabolo di maremma abbreviato dal latino _maritima_ viene
dato a tutte le parti della Toscana poste lungo il mare dalle alpi
liguri fino al Serchio, e da Cecina fino allo stato della Chiesa.
Tutto questo paese è malsano assai, ma non tutto paludoso,
comprendendo al contrario diverse colline spesso prive di acqua.
[396] _Gio. Vill. St. Fior. l. IV. c. 30. t. XIII. p. 123._
L'anno 1133 in cui i Pisani pacificaronsi coi Genovesi, volendo far cosa
grata a papa Innocenzo, ed all'imperator Lotario, spedirono la loro
flotta nel regno di Napoli contro il re Ruggiero e l'antipapa Anacleto.
Noi abbiamo già parlato nel precedente capitolo di questa gloriosa
spedizione illustrata dalla scoperta delle Pandette e dalla ruina
d'Amalfi.


CAPITOLO VI.
_Tutte le città italiane incominciano a reggersi a comune avanti
il dodicesimo secolo._

Abbiamo condotta la storia dell'Impero e della Chiesa fino al principio
del dodicesimo secolo; e ripigliando in seguito separatamente quella
delle repubbliche nate avanti quest'epoca, si descrissero, come lo
permettevano l'oscurità di que' primi secoli, le rivoluzioni di Roma, di
Napoli, d'Amalfi, di Venezia, di Pisa e di Genova. Ma nel secolo
dodicesimo tutte le città incominciarono a reggersi a comune, e perciò
nel susseguente capitolo le vedremo tutte vestir forme e carattere
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo, v. 01 (of 16) - 18