Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo, v. 01 (of 16) - 14

Total number of words is 4258
Total number of unique words is 1592
38.9 of words are in the 2000 most common words
55.8 of words are in the 5000 most common words
64.4 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
Ruggiero non aveva che soldati di ventura, i quali lo seguivano
spontaneamente per essere a parte delle sue conquiste: ma questi non
essendo troppo numerosi, e restando breve tempo sotto le sue bandiere,
vedevasi obbligato a ritirarsi dopo pochi mesi dall'isola, senza avervi
fatto alcuno stabile acquisto. Per altro le sue imprese eseguite con
centocinquanta, e talvolta con trecento cavalieri ebbero un'apparenza
ancora più romanzesca, che le prime conquiste de' Normanni nella
Puglia[306].
[306] _Gaufr. Malaterra l. II. c. 1 — 15. p. 560._
I Cristiani greci che abitavano nella città di Traina posta nella valle
di Dèmone, ne aprirono le porte a Ruggiero, il quale vi si fissò colla
giovinetta sua sposa e con trecento cavalieri, infestando i Saraceni del
vicinato. Ma gli stessi Cristiani disgustati dell'arbitrario procedere
de' loro ospiti, si rivoltarono, ed introdussero in città i Saraceni che
ne occuparono una parte. Non avendo allora altro luogo fortificato che
li coprisse, trovaronsi i Normanni esposti a continue battaglie contro
forze assai superiori, e nell'impossibilità di procurarsi i viveri con
lontane scorrerie. In così trista situazione soffersero ogni maniera di
disagi, e talvolta la fame. La contessa, e due o tre donne del suo
seguito dovevano preparare il vitto per Ruggiero, e per i suoi compagni
d'armi, avendo ascritti alla milizia tutti i domestici: ed erano a tale
carestia d'abiti ridotti, che il conte e la contessa non avendo che un
solo manto, valevanse alternamente quando l'uno o l'altro doveva uscire
in pubblico. Al conte, in un combattimento rimasto solo in mezzo ai
nemici, fu ucciso il cavallo; ma egli si fece largo colla spada, e
prendendo sulle spalle la sella, perchè non rimanesse in mano de' nemici
testimonio della sua disfatta, ritornò, attraversando lentamente le file
nemiche, al proprio alloggiamento. In tali miserie seppero i Normanni
sostenersi quattro mesi, occupando la metà d'una città di cui il
restante trovavasi in potere de' loro nemici. Il rigore dell'inverno fu
la loro salvezza. La città di Traina, posta a' piedi dell'Etna in un
suolo assai elevato, fu coperta di neve; onde i Saraceni ed i Greci, non
avvezzi a così acuti freddi, rallentarono i loro attacchi, ed i Normanni
giunsero una notte a sorprenderli, ed a scacciarli dall'altra parte
della città. Padroni allora delle nuove fortificazioni, si risguardarono
come in luogo d'intera sicurezza, quantunque in mezzo ad un'isola
nemica[307].
[307] _Gaufr. Malaterra l. II. c. 29 et 30. p. 556._
Malgrado la cavalleresca bravura de' guerrieri normanni, le loro
conquiste furono assai lente, o perchè le armate erano troppo piccole, o
perchè i soldati erano poco subordinati ai loro capi. Quando i primi
avevano fatta una ragguardevole preda separavansi dai loro stendardi per
andare a godersela tranquillamente, raggiungendo poi i loro compagni
quando erano di nuovo ridotti in povertà. A Ruggiero abbisognarono
trent'anni per conquistare la Sicilia, e poco meno a Roberto Guiscardo
per occupare tutta la Puglia. Soltanto nel 1080 riuscì a quest'ultimo di
scacciare per l'ultima volta dall'Italia i Greci, e di riunire ai suoi
stati Taranto, Castaneto, Bari e Trani[308]. Ma poc'anni prima avevano i
Normanni rivolte le loro armi contro i principi lombardi, che si
dividevano il restante del gran ducato di Benevento, e gli avevano
spogliati senza incontrar resistenza. Riccardo, conte d'Aversa, e
discendente di Drengot, del 1062 impadronissi del principato di Capoa,
di cui aveva preso il titolo[309]. Il principato di Benevento si estinse
l'anno 1077 per la morte di Landolfo IV, e fu smembrato da Viscardo, il
quale, tenendo per sè il territorio, ne cedette la città alla santa
sede, la quale pretendeva di averne il supremo dominio in forza di una
concessione dell'imperatore Enrico III. Finalmente Guiscardo attaccò
Salerno, la capitale dell'altro principato lombardo, ov'erasi rinchiuso
l'ultimo de' suoi principi Gisulfo. Per obbligarla più presto ad
arrendersi, Guiscardo si alleò cogli Amalfitani, i quali si felicitarono
dell'alleanza de' Normanni, e nominarono Guiscardo loro duca,
obbligandosi ad assisterlo nell'impresa di Salerno colle loro flotte: ma
non solamente si riservarono l'antica loro costituzione e la libertà, ma
inoltre fu convenuto che le truppe di Guiscardo non entrerebbero giammai
nella loro città e territorio, riservandosi esclusivamente la custodia
di tutte le loro fortezze. Sussidiato dagli Amalfitani, Guiscardo chiuse
Salerno dalla banda del mare, mentre colle sue truppe l'andava
vigorosamente stringendo per terra; di modo che fu costretta di
capitolare l'anno 1077. Gisulfo si ritirò nello stato di Roma, e Salerno
accrebbe il territorio del duca normanno[310].
[308] _Chron. Breve Normannicum t. V. p. 278._
[309] _Leo Ostiens. l. III. c 16. p. 423._
[310] _Gaufr. Malater. l. III. c. 3. p. 576._
Così fu spenta l'ultima dinastia de' regnanti lombardi cinquecentonove
anni dopo la prima loro discesa in Italia sotto il comando di Alboino, e
trecentotre dopo la disfatta di Desiderio ultimo loro re. A tale epoca
soltanto questa nazione, altra volta così potente, perdette il diritto
d'avere i suoi proprj sovrani. Presso agli Occidentali il nome di
Lombardia rimase a quella più settentrionale parte d'Italia ch'era
immediatamente soggetta ai re di Pavia; ma i Greci, forse con più
ragione, chiamarono Lombardia il regno di Napoli, di cui i Lombardi
beneventani conservarono il pieno ed indipendente dominio più di cinque
secoli.
Cacciati i Greci dalla Puglia e dalla Calabria, ed i principi lombardi
da Salerno e da Benevento, e conquistata la Sicilia che Ruggiero
governava come un feudo del ducato di Puglia col titolo di gran conte,
Roberto Viscardo si trovò capo d'un vasto stato acquistato colle forze
d'un semplice gentiluomo, il quale aveva egli stesso formata di
avventurieri e di pellegrini l'armata che combatteva sotto i suoi
ordini. La sua ambizione non era per altro ancora soddisfatta, essendosi
proposto di conquistare l'impero d'Oriente; per colorire il quale ardito
progetto, del 1081 attraversò il mare Adriatico, s'impadronì di Corfù e
di Botronto, ed assediò Durazzo. Non terremo dietro a Roberto in questa
spedizione estranea al nostro soggetto, e ci limiteremo ad osservare che
nello spazio di tre anni questo principe ebbe la gloria di veder
fuggitivi innanzi a lui i due imperatori d'Oriente e d'Occidente. In
ottobre del 1081 disfece l'esercito dell'imperatore Alessio Comneno,
venuto in persona per fargli levar l'assedio di Durazzo[311]. Chiamato
in Italia da una ribellione scoppiata ne' suoi stati, accorse del 1084 a
liberare Gregorio VII di cui erasi dichiarato protettore, quantunque lo
avesse poco prima scomunicato. Allora fu ch'Enrico IV, levato l'assedio
da Castel sant'Angelo ove trovavasi chiuso il papa, avanti che
arrivassero i Normanni, ritirossi da Roma, di cui Guiscardo ne abbruciò
la metà, abbandonandola al saccheggio de' Saraceni che formavano parte
della sua armata. Furono queste probabilmente l'estreme imprese di
Roberto Viscardo, che morì in Cefalonia il 17 luglio del 1085 mentre
rinnovava i suoi tentativi contro il greco impero[312].
[311] _Alexias Annae Comnensis l. IV. t. XI. p. 83._
[312] _Guilel. Appulus l. V. p. 276. ad fin._
La storia degl'immediati suoi successori non merita d'essere così
attentamente considerata. Suo figlio e suo nipote conservarono a stento
una monarchia ch'egli solo aveva fondata. Le guerre civili resero
inquieto il regno di Ruggiero I duca di Puglia. Ebbe costui un fratello
maggiore, chiamato Boemondo, famoso nella storia delle Crociate, che fu
poi principe d'Antiochia. Questo principe era stato spogliato de' suoi
diritti ereditarj dal testamento paterno e da un giudizio della Chiesa.
Guiscardo, volendo passare a seconde nozze, aveva fatto divorzio colla
prima moglie, sotto pretesto di lontana parentela, e Boemondo suo
figliuolo era stato ridotto al rango di figliuolo bastardo. Egli riclamò
contro l'ingiustizia del testamento paterno, e cercò di far valere colle
armi i suoi diritti, finchè la predicazione della crociata, aprendo una
nuova carriera alla sua ambizione, lo strascinò in Asia colle armate
cristiane. Partì del 1096 con suo cugino Tancredi, ed i Normanni
spiegarono nell'Asia la stessa bravura, la stessa politica, la stessa
avidità, la stessa ambizione che gli aveva già resi potenti e temuti
nella Neustria, in Inghilterra, in Italia ed in Grecia[313].
[313] La ricordanza delle imprese di Boemondo e di Tancredi, celebri
eroi del Tasso, ci fu conservata da un loro contemporaneo Radolfo
Cadomense, che ne scrisse la storia metà in prosa e metà in versi.
_Murat. Scrip. Rer. Ital. t. V. p. 285._
La lontananza di Boemondo e de' suoi guerrieri ridonò la tranquillità a
Ruggiero, duca di Puglia, che non aveva più rivale, ma d'altra parte
indebolì i suoi stati, e s'oppose ai progetti d'ingrandimento e di
conquista[314]. Guglielmo, figliuolo di Ruggiero, succedette al padre
nel 1111, e regnò fino al 1127 in cui morì senza lasciar figliuoli, per
cui tutta l'eredità dei figli di Tancredi Hauteville venne in dominio di
Ruggiero II, gran conte di Sicilia e figliuolo di Ruggiero I. Il regno
di Guglielmo non fu, come quello del padre, fecondo d'importanti
avvenimenti, onde ci affretteremo d'arrivare a quello di Ruggiero, che
terminò di consolidare la monarchia normanna, acquistandole il titolo di
regno, ed unendo a' suoi dominj il principato di Capoa e le repubbliche
della Campania, rimaste fino a tal epoca indipendenti. Quantunque il
regno di Ruggiero sia posteriore alla pace di Worms ed al periodo di
tempo compreso in questo volume, abbiamo creduto di doverci alquanto
scostare dal metodo prescrittoci per non interrompere il racconto della
fondazione d'una monarchia nelle due Sicilie, e per terminare la storia
delle repubbliche greche della Campania, onde non essere in dovere di
parlarne in avvenire.
[314] Intorno al regno di Ruggiero, duca di Puglia, merita d'esser
letto il quarto ed ultimo libro di Gaufredo Malaterra, _p. 590._
Ruggiero II, conte, poi re di Sicilia, ai talenti ed alle virtù di
Guiscardo univa maggior vanità e minor grandezza d'animo. Trovando il
titolo di duca inferiore alla sua potenza, ambì il nome di re, ed
abbracciò opportunamente, all'occasione d'uno scisma che divideva la
Chiesa, il partito dell'antipapa Anacleto II, cui era più che mai
necessaria la sua protezione, mentre tutta la cristianità riconosceva
per legittimo papa Innocenzo II. Questi non poteva pagare a troppo caro
prezzo la protezione dell'unico principe dichiaratosi a suo favore, d'un
principe vicino a Roma, ed abbastanza potente per riporre il suo
protetto sulla sede pontificia e per mantenervelo colle sue armi. In
forza dell'alta signoria sulle due Sicilie che Leone IX aveva acquistata
alla santa sede, Anacleto decorò il suo vassallo del titolo di re,
ponendogli colle sue mani la corona in capo. In pari tempo per formare
il nuovo regno unì alla Puglia, alla Calabria, alla Sicilia il
principato di Capoa, che apparteneva ai Normanni d'Aversa, e la
repubblica di Napoli, sui quali stati egli non aveva verun diritto[315].
[315] _Petrus Diac. Contin. Chron. Cassin. lib. IV. c. 97. p.
554. — Abbas Telesinus lib. II. c. I. et sequ. p. 622. t. V. — Falco
Benev. Chr. t. V. p. 106._
Dopo l'incoronazione, Ruggiero si prese cura di ricompensare il
pontefice scismatico che lo aveva fatto re, e spinta la sua armata verso
Roma, ove Innocenzo II, ajutato dai Francipani suoi parenti, erasi posto
in possesso del supremo pontificato, sconfisse le milizie della Chiesa,
stabilì Anacleto in Roma, e costrinse Innocenzo a salvarsi a Pisa, di
dove passò in Francia per implorare soccorso contro l'usurpatore.
Ruggiero, appena fatto re, pensò a limitare i privilegi de' suoi popoli.
La libertà degli Amalfitani attrasse i primi sguardi di Ruggiero. Dopo
il 1038 in cui que' repubblicani eransi sottomessi a Guaimaro, principe
di Salerno, avevano sempre posti de' principi stranieri alla testa del
loro governo. I Normanni succedettero ai Lombardi: Roberto Guiscardo e
suo figliuolo Ruggiero avevano ottenuta quasi per forza la dignità
ducale; e comunque ogni capitolazione assicurasse agli Amalfitani la
conservazione della libertà e de' privilegi loro, andavano non pertanto
perdendo sotto un capo straniero quel sentimento di assoluta
indipendenza che prima formava la principale loro forza. Ma mentre la
repubblica d'Amalfi piegava a men libero governo in Europa, alcuni suoi
cittadini gittavano in Palestina i fondamenti d'un ordine, che doveva
ereditare il suo potere sui mari, ed essere depositario della gloria
cavalleresca d'Europa.
Alcuni mercanti d'Amalfi chiamati dagl'interessi di commercio in
Oriente, ed in seguito condotti dalla divozione a Gerusalemme; l'anno
1020 ottennero dal Califfo d'Egitto la facoltà di costruire presso al
santo Sepolcro un ospedale dedicato a s. Giovanni per alloggiarvi i
viaggiatori della propria nazione, ed i Cristiani che venivano a
visitare i luoghi santi. Nello stesso tempo fabbricarono una chiesa
dedicata a santa Maria dei Latini, ed un convento per le femmine
consacrato a santa Maria Maddalena. Questi edificj innalzati a spese
degli Amalfitani, e da loro provveduti di sufficienti entrate, rimasero
quasi un secolo esclusivamente in mano dei cittadini d'Amalfi, fino ai
tempi in cui Goffredo Buglione pose alla testa de' crociati l'assedio a
Gerusalemme. Gherardo della Scala, borgata del territorio d'Amalfi, era
a tal epoca rettore del convento degli ospitalieri di s. Giovanni, il
quale avendo armati i cenobiti in favore de' crociati, gli ajutò
potentemente a sottomettere la città. La guerra sacra cambiò la natura
di quest'ordine religioso; gli ospitalieri abbandonarono la cura degli
ammalati per difendere la nuova patria, e combattere contro gl'infedeli,
e l'ordine che il commercio aveva creato, non rimase più aperto che alla
nobiltà militare. Pure i cavalieri di Malta, successori de' borghigiani
d'Amalfi, riverberano ancora qualche gloria su la repubblica che li
produsse[316].
[316] _Brencmannus de Rep. Amal. Diss. I. p. 7._
Gli Amalfitani, come abbiamo osservato, erano, in forza de' loro
trattati, rimasti in possesso dell'interna amministrazione delle loro
magistrature repubblicane e della guardia delle fortificazioni delle
città e de' castelli del territorio. Allorchè Ruggiero fu coronato re,
li richiese di rinunciare a tutti i privilegi che erano, secondo ch'egli
diceva, contrarj alle prerogative di un monarca. Irritato dal rifiuto
degli Amalfitani, riunendo le flotte siciliane e le truppe normanne
attaccò con tutte le sue forze questa piccola repubblica, e dopo avere
con regolari assedj sottomesse l'una dopo l'altra tutte le sue fortezze,
le costrinse a conformarsi ai suoi voleri[317]. I gentiluomini che
militarono per Ruggiero contro Amalfi, caddero anch'essi vittima della
sua immoderata ambizione. Tanto è vero, che quando uomini liberi
congiurano contro l'altrui libertà, non devono lusingarsi di conservare
lungo tempo la propria.
[317] _Abbas Telesinus l. II. c. 7. p. 623._
In fatti Ruggiero intraprese di sottomettere i principali baroni del suo
regno, i quali non avendo fino allora combattuto che in qualità di
volontarj, godevano d'un'assoluta indipendenza. Roberto, principe di
Capoa, era il primo de' gentiluomini normanni. Discendente da Drengot,
fondatore della colonia normanna d'Aversa, non era unito di parentela
alla famiglia di Hauteville; era capo d'uno stato conquistato dai suoi
antenati, e rimasto quasi indipendente. Pure il principe di Capoa non si
era rifiutato di rendere omaggio al nuovo re quando fu coronato a
Palermo; e solo quando il re volle forzare i suoi baroni a far guerra al
legittimo papa, il principe di Capoa non volle marciare, e s'alleò con
Sergio, maestro dei soldati di Napoli, e con molti baroni normanni
ugualmente disposti a difendere la loro libertà civile e religiosa.
La guerra de' baroni contro il re non ebbe felice fine, perchè essendo
stati battuti l'un dopo l'altro, e presa la città di Capoa, la città di
Napoli restò sola indipendente, circondata da ogni lato dagli stati di
Ruggiero, che comprendevano tutta l'Italia meridionale. Colà riparossi
il principe Roberto di Capoa, ma vedendo che sarebbe tosto inseguito
dalle armate del re Ruggiero, convenne col maestro de' soldati della
repubblica sul modo di difendere quest'ultimo asilo della libertà.
Fu Roberto dai Napoletani mandato a Pisa, repubblica già fatta potente,
ch'era già succeduta nel commercio marittimo alle città di Napoli e
d'Amalfi. Egli invocò per sè e per la repubblica di Napoli i soccorsi
de' Pisani contro un re che tentava di distruggere nel mezzogiorno
d'Italia la libertà delle antiche loro alleate, e che inoltre teneva la
Chiesa nell'oppressione, mantenendo sulla cattedra pontificia l'antipapa
invece del legittimo pontefice[318]. I Pisani ch'eransi già caldamente
dichiarati a favore d'Innocenzo II, allestirono una flotta sulla quale
imbarcarono circa otto mila uomini per soccorrer Napoli, chiedendo per
le spese dell'armamento ai Napoletani tre mila libbre d'argento. Questi
sacrificarono di buon grado gli argenti delle loro Chiese alla difesa
della libertà[319].
[318] _Alexand. Abb. Telesin. l. III. c. 1-7. p. 634._
[319] _Falco Benevent. Chron. p. 118._
Intanto il re Ruggiero che aveva già fatto abbruciare i sobborghi di
Napoli, e fortificare Aversa, armava una flotta in Sicilia per attaccare
la città dalla banda del mare, mentre la guarnigione d'Aversa, ed i varj
posti che avea stabiliti nella Campania, toglievano ai Napoletani ogni
comunicazione colla terra. Egli aveva per questo servigio richieste le
migliori milizie degli Amalfitani costretti di favorire la causa di
Ruggiero e degli scismatici. Le galere d'Amalfi dovettero pure unirsi
alla flotta di Sicilia; ed Amalfi, avendo le sue milizie accantonate in
Aversa ed in Salerno, rimase senza difesa[320]. N'ebbero avviso i
consoli di Pisa Alzopardo e Cane, che avevano il comando della flotta
forte di quarantasei vele, e con un colpo di mano presero Amalfi, che fu
saccheggiata. In tale occasione i Pisani acquistarono il famoso
esemplare delle Pandette di Giustiniano, di cui arricchirono la loro
patria[321]. Ma il re ch'era entrato in Aversa, di cui faceva riparare
le fortificazioni, non tardò ad esserne vendicato. Fece sfilare le sue
truppe per sentieri creduti impraticabili a traverso le montagne, e
piombò addosso ai Pisani che assediavano il castello di Fratta,
uccidendo, o facendone prigionieri mille cinquecento, tra i quali uno
de' loro consoli, sforzando gli altri a rimbarcarsi a precipizio[322].
[320] _Abb. Telesin. l. III. c. 24. p. 638._
[321] _Brencmannus Dissert. II. de Amalphi Pisanis diruta, c. 24 et
sequ. ad calcem Historiæ Pandectarum._
[322] _Abbas Teles. l. III. c. 25. p. 638._ Racconta una cronaca
pisana, che una flotta di Ruggiero forte di sessanta vele soccorse
dalla banda del mare l'improvviso attacco del re. _Breviar. Hist.
Pisanæ t. VI p. 170._
Nel susseguente inverno il principe di Capoa tornò a Pisa accompagnato
da Sergio medesimo, maestro de' soldati di Napoli. Ma questo
rispettabile magistrato, che già da trentadue anni governava la sua
patria, rappresentò invano ai Pisani riuniti a Parlamento su la pubblica
piazza, che l'ultima delle repubbliche che ancora sostiene la causa
della libertà nel mezzogiorno d'Italia era vicina a succumbere; che
Ruggiero, il quale aveva preso il titolo di re, non tarderebbe di
attentare alla libertà di tutta l'Italia[323]; che l'interesse
dell'indipendenza e della comune salvezza trovavasi unito a quello della
religione e della Chiesa: ma i Pisani, spossati da una lunga guerra coi
Genovesi e dalla rotta avuta alla Fratta, ricusarono di sostenere essi
soli il peso d'una guerra cui erano stranieri. Roberto volle fare altre
pratiche; e recatosi in Germania implorò a nome d'Innocenzo II, della
repubblica di Napoli e de' baroni normanni oppressi da Ruggiero, i
soccorsi dell'imperatore; mentre Sergio tornò a Napoli ad annunciare a'
suoi concittadini, che omai non dovevano sperare d'essere liberati che
dal proprio valore.
[323] Stando ad un frammento di cronaca pisana, che termina a
quest'epoca, pare che i Pisani si determinassero alla guerra per
aver Ruggiero preso il titolo di re d'Italia. _Chron. Pis. t. VI. p.
110._
Le pratiche di Roberto presso l'imperatore Lotario furono più felici che
non credeva. Il celebre abbate di Chiaravalle s. Bernardo che aveva
abbracciato il partito d'Innocenzo II, mal soffriva di vedere Anacleto
pacificamente in Roma; e perchè Ruggiero era il solo sovrano che lo
proteggeva, scrisse a Lotario caldissime lettere per animarlo a punire
il siciliano protettore del pontefice scismatico[324]. L'imperatore
cedette alle istanze del santo, e prima che terminasse l'inverno
s'incamminò alla volta d'Italia; ma siccome doveva fermarsi in ogni
provincia per riformarne l'amministrazione e ricuperare i diritti
dell'impero, Roberto lo prevenne, e, recatosi a Pisa, equipaggiò col
soccorso de' Pisani cinque navi ch'ebbe la fortuna di condurre cariche
di viveri nel porto di Napoli, sfuggendo alla vigilanza delle galere
reali, che lo tenevano strettamente bloccato. Le provvisioni della città
erano terminate; ma quelle portate da Roberto, e l'avviso di un prossimo
soccorso rianimarono il coraggio degli abbattuti cittadini.
[324] Veggasi la lettera di s. Bernardo a Lotario _apud Baron. Ann.
Eccles. an. 1135. § 19._
Poi ch'ebbe vittovagliata la città, l'instancabile Roberto tornò presso
l'imperatore onde affrettarne la marcia. Lo trovò accampato in vicinanza
di Cremona, e scegliendo l'istante in cui questo monarca, circondato dai
suoi generali, faceva la rassegna del suo esercito, si prostrò a' suoi
piedi, e coprendosi di polvere, supplicava Lotario a rendergli la
paterna eredità, ed a soccorrere gl'infelici suoi alleati, che,
abbandonati da lui, perirebbero in breve di fame. Di fatti Napoli
trovavasi ridotta agli estremi; le donne, i fanciulli, i vecchi cadevano
sulle piazze vittima della fame; «ma Sergio (mi valgo delle espressioni
d'un autore contemporaneo[325] che partecipò di tante sofferenze); ma
Sergio il maestro de' soldati, ed i fedeli cittadini che avevan cura
della libertà della patria, e che non avevano tralignato dagli antichi
costumi de' loro padri, preferivano morir di fame alla perdita della
libertà, ed al giogo di così detestato nemico.»
[325] Falcone di Benevento allora esule dalla sua patria ribelle ad
Innocenzo II erasi rifugiato in Napoli. _Chron. p. 120. A._
Fortunatamente l'imperatore s'avanzò alla fine per far cessare i
lamenti, e prevenire lo scoraggiamento. I messaggieri di Napoli, che
avevano accompagnato Roberto, rientrarono in città, dichiarando con
giuramento innanzi al maestro de' soldati ed al popolo adunato in
assemblea, che avevano veduto l'imperatore a Spoleti colla sua armata.
Pochi giorni dopo entrarono pure in Napoli alcuni messaggieri di
Lotario, dichiarando ch'era giunto in riva al fiume di Pescara; e
finalmente l'arcivescovo di Napoli, ed alcuni principali cittadini,
mandati a Lotario, riportarono ai Napoletani la sicura notizia del suo
imminente arrivo; perchè, sostenuti da tale speranza, continuarono a
soffrir la fame, rigettando le offerte del nemico, quantunque ridotti a
soli trecento uomini in istato di portare le armi[326].
[326] _Abbas Teles. l. IV. c. 2. p. 642._
(1137) La loro costanza non rimase lungo tempo senza premio.
L'imperatore, dopo avere staccati dall'esercito tre mila uomini che
sotto il comando d'Enrico di Baviera, suo genero, dovevano accompagnare
Innocenzo II e metterlo in possesso del ducato di Roma e della
Campania[327], passò il fiume di Pescara nel giorno di Pasqua. La città
di Termoli e tutti i signori degli Abruzzi si affrettarono di
sottomettersi all'imperatore, che, entrato nella Puglia, s'impadronì di
Siponto e del monte s. Angelo, e sparse tanto terrore tra i sudditi di
Ruggiero, che tutte le città, non eccettuata Bari, prevennero le sue
armi e gli s'arresero. Il papa intanto avanzavasi per la strada di s.
Germano alla volta di Capoa, ove ristabilì il principe Roberto. I
Normanni, battuti ovunque tentarono d'opporsi alle armate imperiali, non
fecero più resistenza, di modo che in una sola campagna Ruggiero
perdette tutte le province al di qua del Faro.
[327] _Pet. Diac. Chr. Cassin. lib. IV. c. 105. p. 561._
I Pisani avevano, per la libertà di Napoli, fatto uno sforzo ancora
superiore a quello de' potenti loro alleati. Avevano armata una flotta
di cento navi con cui entrando vittoriosamente nel porto vi
ristabilirono ben tosto l'abbondanza[328]. Rivolsero in seguito le loro
armi contro di Amalfi onde rivendicare l'affronto soffertovi due anni
prima. La città s'affrettò di capitolare, ma i castelli di Scala e di
Scalella che ne dipendevano avendo voluto resistere, furono presi a viva
forza, ed abbandonati al saccheggio. Questo secondo disastro compì la
rovina della repubblica d'Amalfi, che d'allora in poi andò sempre
decadendo. A quest'epoca la sola città aveva cinquanta mila abitanti; e
Brencman assicura che quand'egli v'andò in principio del secolo
decimottavo ne contava appena mille[329]. Oggi ne ha sei in otto mila.
Questa repubblica ebbe banchi di commercio in tutti i porti della
Sicilia, dell'Egitto, della Siria, della Grecia, i quali furono tutti
abbandonati, tosto che verso il 1350 i re di Napoli abolirono le forme
repubblicane dell'interna sua amministrazione. Non pertanto due uomini
nati in Amalfi illustrarono ancora questa città dopo perduta l'antica
sua potenza; cioè Flavio Gioja che del 1320 inventò, o perfezionò la
bussola, e Masagnello celebre capo della sedizione di Napoli l'anno
1647. Questo pescivendolo, giunto senza educazione al governo di un
potente stato, si mostrò ancora superiore all'elevato rango in cui lo
aveva posto l'azzardo, e meritò d'essere risguardato come padre di un
popolo di cui aveva saputo calmare i furori.
[328] _Falconis Beneventani Chron. p. 122._
[329] _Brencmannus de Rep. Amal. Dis. I. c. 13._
La repubblica di Napoli non godette a lungo del suo trionfo sul re di
Sicilia a cagione della discordia che si manifestò tra i suoi
confederati nella presa di Salerno. Sdegnaronsi i Pisani che
l'imperatore, senza il consentimento loro, segnasse la capitolazione di
quella città, alla cui resa aveva contribuito la loro flotta quanto, o
più dell'armata imperiale. Dal canto suo Innocenzo pretendeva, non si sa
con quale fondamento, che Salerno fosse di spettanza della santa sede.
Questa doppia contesa consigliò la ritirata de' confederati: i Pisani
fecero vela per la Toscana, Corrado si mosse alla volta della Germania,
ed il papa si stabilì in Roma. Ruggiero che non aveva omai in faccia che
nemici vinti più volte, rientrò nel suo regno di qua del Faro. Salerno
gli aprì le porte, sottomise Nocera, bruciò Capoa, e colla rapidità con
cui le perdette, riebbe quasi tutte le province che gli furono tolte
nella precedente campagna[330].
[330] _Falco Benev. Chron. p. 124. — Chr. Mon. Cas. l. IV. c. 126. p.
598. — Romual. Arch. Saler. Chr. p. 189. t. VII. Rer. Ital._ Nel
racconto di questo storico debbono esservi senza dubbio delle
lacune, benchè si pubblicasse come una narrazione continuata.
Innocenzo II, disgustato dell'imperatore, tentò di metter fine alla
guerra ed allo scisma colle trattative. Tre cardinali del suo partito
furono ammessi in presenza di Ruggiero a discutere contro tre altri del
partito d'Anacleto i titoli della validità dell'elezione dei due
competitori. Questa conferenza, come d'ordinario accade, lasciò tutti
nella propria opinione; sicchè, quando fu terminata, i due papi si
scomunicarono di nuovo perchè l'avversario non aveva voluto arrendersi
all'evidenza delle proprie ragioni. Fortunatamente per la pace della
Chiesa, Anacleto morì poco dopo; e quantunque i suoi partigiani si
affrettassero di eleggere il successore, che prese il nome di Vittore
III, Innocenzo con una grossa somma di danaro ne ottenne l'abdicazione e
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo, v. 01 (of 16) - 15