Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo, v. 01 (of 16) - 11

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quelli de' compagni della sua disgrazia, Pasquale, cui veniva fatto
credere che l'imperatore procederebbe tosto alle ultime estremità, e lo
farebbe morire con tutti i suoi cardinali, se non s'arrendeva alle sue
domande, acconsentì finalmente di fare all'imperatore espressa e formale
cessione, con atto firmato da lui e da sedici fra cardinali e vescovi,
dell'investitura dei vescovadi e delle abbazie del suo regno, purchè
l'accordasse gratuitamente e senza simonia[230]; promettendo inoltre di
non prender veruna parte in quest'oggetto. Assolse poi tutti i
partigiani d'Enrico dalle scomuniche che potessero aver incorse; promise
di non scomunicare in avvenire Enrico, ed accordò che le ossa d'Enrico
IV fossero finalmente collocate in luogo sacro. Questo trattato solenne,
munito di tutte le formalità, fu riconfermato con giuramento sull'ostia
sacra divisa tra le parti che ricevevano l'eucaristia. Dopo di ciò il
pontefice pose di propria mano la corona imperiale sul capo d'Enrico, ed
ebbe da Enrico la libertà. Durante questa cerimonia rimasero chiuse le
porte di Roma, onde impedire che i cittadini irritati non la turbassero
con improvviso assalto[231].
[230] Veggasi quest'atto presso _Sigeb. Gembl. Chron. p. 863._
[231] _Chron. Monast. Cassin. l. IV. c. 40, p. 518._
Se il trionfo d'Enrico fu intero, non fu però di lunga durata. Il
collegio dei cardinali, tosto che vide liberato Pasquale, manifestò il
suo malcontento perchè il capo della Chiesa avesse ceduti i suoi più
cari privilegi, per i quali Gregorio VII, ed i suoi successori eransi
esposti a tanti pericoli, avevano fatto versare tanto sangue, e dannate
al fuoco eterno le anime di tanti fedeli fulminati dalle scomuniche
generali, o morti durante l'interdetto. Questi clamori andarono
crescendo allorchè, ritiratosi Enrico colla sua armata in Allemagna, il
clero si vide liberato da ogni timore. I cardinali prigionieri con
Pasquale, che avevano ricevuta la libertà quando il papa col loro
assenso aveva firmato l'atto delle investiture, invece d'appoggiare il
di lui operato, credettero giustificarsi da ogni rimprovero con
un'equivoca dichiarazione. «Noi approviamo quanto abbiamo
precedentemente approvato, e condanniamo ciò che sempre abbiamo
condannato[232].»
[232] _Baron. Annal. Eccl. ad ann. 1111. § 25._
Volevano i più zelanti cattolici, che il papa annullasse il giuramento
da lui emesso ed il trattato, e scomunicasse l'imperatore; ed intanto i
legati della santa sede, prevenendo il giudizio della Chiesa, avevano
promulgata tale sentenza ne' concilj provinciali; onde in principio del
susseguente anno, Pasquale fu costretto di convocare un concilio
generale nel palazzo di Laterano per decidere tale quistione. (1112)
Questo concilio abolì il privilegio estorto al papa, e fulminò la
scomunica contro Enrico. Pasquale nè s'oppose, nè ratificò tale
sentenza. Quantunque spiegasse nella persecuzione d'Enrico IV un
eccessivo fanatismo, non lasciava di essere religioso e di buona fede;
avendone già dato prova quando propose ad Enrico V di cedergli le
regalie, come ne diede un'altra col resistere alle importune istanze del
suo clero per annullare un giuramento estorto colla violenza. (1116)
Tornò Enrico in Italia del 1116, per prendere possesso dell'immensa
eredità della contessa Matilde, morta il 24 luglio del precedente anno.
Vero è che questa principessa aveva con testamento del 1102 lasciati
tutti i suoi beni presenti e futuri alla Chiesa romana per la salvezza
della propria e delle anime de' suoi parenti; ma questo testamento in
cui non trattasi che delle proprietà, e non dei feudi, o de' beni
signorili, non si ebbe per valido[233]. Si pretese che una donna non
potesse disporre delle proprie terre, e l'eredità di Matilde fu in tutto
il secolo dodicesimo un soggetto di contestazione tra gl'imperatori ed i
papi.
[233] Siccome i pretesi diritti de' papi alla sovranità di una parte
dell'Italia non avevano altro fondamento che la donazione della
contessa Matilde, è cosa veramente notabile, che in quell'atto di
donazione non s'incontri un solo vocabolo indicante sovranità,
diritti signorili, dominj di paesi e città, giustizie, omaggio di
vassalli; nulla in somma fuorchè la semplice trasmissione dei dominj
rurali. _Pro remedio animae meae et parentum meorum, dedi et obtuli
Ecclesiae sancti Petri, per interventum Domini Gregorii Papae VII,
omnia bona mea jure proprietario, tam quae tum habueram, quam ea
quae in antea aequisitura eram, sive jure successionis, sive alio
quocumque jure, ad me pertinent, et tam ea quae ex hac parte montium
habebam, quam illa quae in ultramontanis partibus ad me pertinere
videbantur_. La contessa aveva già fatta tale donazione sotto il
papato di Gregorio VII, ma perdutasi la carta, la rinnovò in favore
di Pasquale II. Questa carta è stampata in calce al poema di
Donizzone. _Script. Rer. Ital. t. V. p. 384._
Poichè fu riconosciuto possessore dell'eredità della contessa, Enrico
s'avanzò verso Roma, chiamatovi dai principali nobili contro papa
Pasquale, che loro aveva dato varj motivi di malcontento. Enrico veniva
ricevuto in Roma quasi in trionfo, mentre il papa fuggiva a monte
Cassino, indi a Benevento[234].
[234] _Chron. Monas. Cassin. l IV. c. 60. e 61. p. 528._
Morì Pasquale nel susseguente anno in età assai avanzata senza che
potesse tornare a Roma. Mentre la maggior parte de' cardinali, uniti ai
vescovi ed ai senatori di Roma, elessero a succedergli Gelasio II, la
fazione imperiale gli sostituì Bordino arcivescovo di Braganza, che la
Chiesa risguarda come antipapa. Gelasio che trovavasi sciolto da
qualunque giuramento, nell'atto di ricevere la tiara, scomunicò
l'imperatore, indi riparossi in Francia per non rimanere esposto alle
vendette d'Enrico. A Gelasio, morto dopo due anni, successe Calisto II,
con cui l'imperatore, stanco di trovarsi in una guerra di così incerto
fine, trattò di componimento. Il suo antipapa era caduto in potere de'
cattolici, e tutti i grandi di Germania lo scongiuravano a dar pace alla
Chiesa ed all'impero.
(1122) L'accomodamento si fece a Worms l'anno 1122, ove Enrico aveva
aperta la dieta. L'imperatore concedette alla Chiesa il diritto di dare
le investiture coll'anello e col pastorale, promettendo in pari tempo di
restituirle tutte le possessioni ed i beni signorili di s. Pietro,
appresi da lui o da suo padre. Dall'altra parte il papa accordava ad
Enrico il privilegio, che tutte l'elezioni de' vescovi e degli abbati si
dovessero ne' suoi stati d'Allemagna eseguire alla sua presenza, ma
senza simonia o violenza. Il candidato era obbligato a ricevere
dall'imperatore l'investitura de' beni signorili spettanti alla sua
chiesa per mezzo della consegna dello scettro. Furono quindi levate
tutte le scomuniche, e la contesa che aveva divisa tutta la cristianità,
fu terminata con un così semplice espediente, che reca a prima vista
sorpresa come non siasi avvertito assai prima, poichè almeno in
apparenza contentava le due parti. I diritti feudali venivano in tal
modo separati da quelli della Chiesa, e le due potenze conservavano le
prerogative più convenienti alla propria natura[235]. Fatto è però che
le due parti avevano avvertitamente fino a tal epoca allontanato simile
accordo. L'imperatore non meno che il papa cercavano di confondere i
diritti spirituali e temporali; e non si deve che alla spossatezza d'una
lunga guerra, ed al raffreddamento del fanatismo de' loro partigiani,
l'essersi convenuti a condizioni di giustizia e di equità.
[235] _Card. Arag. in vita Calix. II. p. 420. — Baronius Annal. Eccl.
an. 1122. § 11. ec. p. 149. t. XII._


CAPITOLO IV.
_I Greci, i Lombardi, i Normanni dal VII secolo fino al XII
nell'Italia meridionale. — Repubbliche di Napoli, di Gaeta e
d'Amalfi._

Le repubbliche che formeranno l'argomento del rimanente di quest'opera,
appartengono tutte alla parte settentrionale, o all'interno dell'Italia;
le quali tutte s'andarono lentamente e sordamente staccando dall'impero
d'occidente, sotto il di cui favore erano nate; e tutte riconobbero i
principj della loro libertà dagl'imperatori Tedeschi, che in appresso
cercarono di annientare l'opera delle loro mani. Ma durante la prima
metà de' mezzi tempi, benchè più ignorati, ebbero pur luogo gli stessi
avvenimenti in quella parte dell'Italia meridionale che forma al
presente il regno di Napoli. Le città di questa contrada, in allora
soggette ai sovrani di Bisanzio, avevano senza rivoluzione e senza
violenza scosso il giogo di quegl'imperatori, ed avevano ugualmente
trovato nella libertà un nuovo principio di forza, e mezzi per resistere
alle straniere invasioni; siccome nel reggime repubblicano quello
spirito intraprendente e commerciale che le rese tanto ricche e potenti.
Le scarse memorie che ci rimangono di quelle repubbliche, non permettono
di darne perfetta conoscenza. Appena si vedono qua e là sorgere
debolmente indicate in alcune cronache greche e latine, e le dense
tenebre che le circondano, non ci permettono d'avvicinarle, di ben
distinguerne le forme, d'illustrarne le azioni. Non pertanto importa
assaissimo di conoscere il meglio che si possa le loro istituzioni, i
loro prosperi ed infelici avvenimenti; da che l'esempio da queste
repubbliche dato all'Italia, non andò perduto per le città
settentrionali; da che i mercadanti di Pisa e di Genova, che vedremo ne'
susseguenti capitoli istituire i primi governi liberi nella Toscana e
nella Liguria, attinsero probabilmente a Napoli o in Amalfi quegli
elevati sentimenti, quella repubblicana fierezza che comunicarono poi ai
Milanesi, ai Fiorentini ed alle altre città del centro dell'Italia.
Lo stabilimento, la possanza, la divisione e la rovina del gran ducato
lombardo di Benevento meritano altresì d'essere attentamente
considerati. Questo ducato si conservò glorioso anche dopo la disfatta e
la prigionia di Desiderio, re di Pavia: mantenendo ai Lombardi dopo
spenta la loro monarchia pel corso di tre secoli i diritti di nazione
sovrana; contribuendo colle relazioni che teneva coi Greci e cogli
Arabi, ad introdurre in Occidente il commercio, le arti, le scienze: e
per ultimo i suoi stretti rapporti con Napoli, Gaeta, ed Amalfi legano
strettamente la sua alla storia di queste repubbliche.
Le romanzesche avventure, e le quasi incredibili conquiste dei Normanni
nelle stesse province formano pure una parte assai interessante della
storia de' mezzi tempi: tali avvenimenti appartengono per più ragioni al
soggetto che noi trattiamo, e perchè operarono la distruzione delle
repubbliche della Magna Grecia, e perchè fondarono la monarchia delle
due Sicilie, la di cui sorte fu sempre legata a quella delle repubbliche
lombarde e toscane. Procurerò adunque di far alla meglio conoscere in
questo capitolo la storia dell'Italia meridionale nel corso di que'
cinque secoli in cui le repubbliche Greche, i Greci di Bizanzo, i
Saraceni, i Lombardi, i Normanni se ne disputavano il possedimento.
Quando del 568 i Lombardi conquistarono l'Italia sopra Giustino II, le
province rimaste in potere de' Greci, a stento difese dagl'imperatori,
separate le une dalle altre, deboli, scoraggiate, trovaronsi abbandonate
a sè medesime. Autari terzo re de' Lombardi, dopo Arduino, conquistò
Benevento, ed attraversando tutta l'Italia meridionale fino a Reggio,
spinse entro l'onde il suo cavallo, e percotendo colla lancia una
colonna innalzata in mare, gridò, essere quello il solo confine ch'egli
dava alla monarchia lombarda[236]. Lasciò poi a Benevento Zottone uno
dei suoi generali per governare la recente conquista. Questa spedizione
eseguitasi del 589 è l'epoca probabile della fondazione del ducato di
Benevento[237]; il quale trovandosi posto nel centro dell'attuale regno
di Napoli, interrompeva la comunicazione tra le province possedute
ancora dagl'imperatori. Un ufficial greco, nominato da questi, risiedeva
in Ravenna col titolo di esarca, e faceva centro a tutti i governatori
delle altre città d'Italia. Le città della Pentapoli e della Marca
d'Ancona gli erano immediatamente subordinate; egli nominava i duchi di
Roma, i maestri de' soldati di Napoli, ed i governatori della Calabria e
della Lucania. Ma il ducato di Spoleti che pei Lombardi serviva alla
comunicazione, talvolta interrotta, tra l'Italia settentrionale ed il
ducato di Benevento, teneva separata Roma da Ravenna. Nello stesso modo
il ducato di Benevento separava Roma e Ravenna dalla Campania, dalla
Puglia, dalla Calabria e da tutti i possedimenti marittimi dei Greci.
Questi ultimi erano sparsi sulle coste, affatto divisi gli uni dagli
altri.
[236] _Pauli Diac. de Gest. Longob. l. III. c. 31. p. 451._
[237] Questo punto di Cronologia viene assai contrastato. Alcuni
scrittori riferiscono la nomina di Zottone sotto l'anno 568, ed
ancora ad un'epoca anteriore alla invasione d'Alboino, mentre altri
Lombardi erano ausiliarj di Narsete. Veggasi _Camilli Pellegrini
Dissertatio I de ducatu Beneventano. Murat. Scrip. Rer. Ital. t. V.
p. 165_.
Il mare era signoreggiato dai Greci, ed i Lombardi non avevano marina;
ma i Greci erano timidi e deboli; bellicosi ed intraprendenti i
Lombardi. Stavano i primi sulle difese, e cercavano di fortificare le
loro terre. Rispetto all'Esarcato, credevanlo difeso dalle maremme di
Ravenna, come affidavano la salvezza di Roma al credito dei papi ed
all'antica gloria del nome romano: finalmente speravano che le mura e
l'amore di libertà dei popoli chiamati a difenderle, salverebbero le
città della Calabria[238]; imperocchè i sovrani di Costantinopoli, senza
conoscere la libertà, la protessero presso i loro sudditi occidentali
per risparmiarsi la pena di regnare sopra di loro.
[238] Quando Belisario assediò Napoli, non solo questa città era già
fortificata, ma inoltre governata e difesa dai suoi cittadini, che
temevano sopra tutto di avere guarnigione nella loro città. _Procop.
de Bello Gothico l. I. c. 8. 9. et 10. p. 14._
Belisario aveva con debolissime armate conquistata l'Italia e l'Affrica.
I tralignati figliuoli de' Romani e de' Greci fuggivano atterriti dalla
milizia, e gl'imperatori non potendo assoldare le loro legioni,
perdettero ben tosto le conquiste di Giustiniano perchè non avevano
soldati che le difendessero. Fino all'istante in cui perdettero i loro
possedimenti d'Italia, i Greci non mandaronvi mai sufficienti forze. Le
poche truppe disponibili formavano la guarnigione di Ravenna, e si
accantonavano dietro le paludi che la circondavano. Felicemente scelta
era la loro posizione; perchè i re Lombardi non potevano senza pericolo
avanzarsi verso il mezzogiorno d'Italia, lasciandosela alle spalle,
tanto più che una nuova armata poteva dalle coste dell'Illirico sbarcare
nel porto di Ravenna, e tagliare ogni comunicazione tra l'armata e gli
stati lombardi. Le città della Campania e della Calabria non rimanevano
dunque esposte che agli attacchi meno vigorosi dei duchi di Benevento.
O sia che il dolce clima e le delizie della Magna Grecia snervassero il
vigore de' Lombardi Beneventani; o pure che i Campani, i Pugliesi, i
Calabresi avessero con una vita laboriosa, e forzati a mettersi in salvo
dalle frequenti aggressioni, ricuperato in parte il valore de' loro
antenati; dopo due o tre generazioni non v'ebbe più una sensibile
diversità tra il valor militare delle due nazioni. Per assicurare ai
Greci le città marittime bastava interessare gli abitanti a difenderle,
rendendo loro una patria: ciò avrebbe dovuto farsi dalla politica, e non
fu che la conseguenza della debolezza dell'impero greco, e dell'azzardo.
L'imperatore rinunciò a parte de' suoi diritti, e tanto bastò perchè le
istituzioni municipali che non eransi mai abolite, e che tutte erano
repubblicane, riprendessero l'antica loro forza.
La repubblica romana aveva formato i governi municipali e quelli delle
colonie sul suo proprio modello, e soltanto in alcune città aveva
conservate alcune istituzioni ancora più antiche, ma ugualmente
repubblicane; nè gl'imperatori eransi adombrati di questo spirito e di
queste impotenti forme che oscuramente sussistevano nelle piccole città.
Due secoli dopo l'intera schiavitù della Grecia, sussistevano ancora
nell'isola d'Eubea le assemblee del popolo, che giudicavano ed emanavano
leggi, i demagoghi, gli agitatori, e tutte le apparenze d'un'assoluta
democrazia[239]. Le costituzioni municipali, modellate su quella di
Roma, conservaronsi ancora lungo tempo, perchè più consentanee alle
leggi generali. Anzi è probabile che sopravvivessero all'impero
d'occidente, poichè l'imperatore Majoriano, negli ultimi periodi di
quest'impero, aveva ristabilita e rassodata l'amministrazione
repubblicana delle città e dei municipj[240].
[239] Dall'anno 30 fino al 60 dell'era volgare. _Dion. Grisos.
Discorso intorno alla vita campestre presso Cousin Despreaux, Storia
della Grecia l. 66. t. XV._
[240] Dall'an. 457 al 461. Novella di Majoriano _Cod. Teod._ verso
il fine _t. V. p. 34_. — _Gibbon c. 36. t. VI._
In sul finire del sesto secolo i Greci possedevano tuttavia alcune città
nella Lucania, o Basilicata, l'antica Calabria, o terra d'Otranto, e il
Bruzio, o la nuova Calabria ulteriore[241]. Riconquistarono più tardi
sui Lombardi le terre di Bari, e la Capitanata, di cui le più forti
città erano Otranto, Gallipoli, Rossano[242], Reggio, Girace,
Santaseverina e Crotone[243]. Avevano inoltre conservate nella Campania,
o Terra di Lavoro, due piccole province marittime, chiuse tra una catena
di montagne ed il mare, e fortificate dalla natura, le quali formavano i
ducati di Gaeta e di Napoli. Il primo ducato, posto tra il Cecubo ed il
Massico, montagne rese famose da Orazio, stendevasi lungo una spiaggia
privilegiata, ove il viaggiatore partendo da Roma vede i primi aranci,
gli aloè, i cacti pendenti dalle rupi, e tutti i prodotti del
mezzodì[244]. La città di Gaeta fabbricata sopra sterile e scoscesa
montagna che sorge di mezzo alle acque, ed è unita al continente da una
striscia di terra assai bassa, era stata facilmente fortificata in modo
da renderla presso che inespugnabile. A questa fortezza appoggiati i
Greci, difendevano le gole d'Itri e di Fondi, e la fertile pianura del
Garigliano. Il ducato di Napoli propriamente detto, lontano un giorno da
Gaeta, non comprendeva che la spiaggia infestata dai fuochi sotterranei
da Cuma fino a Pompea, e separata dal rimanente della Terra di Lavoro
dallo spento vulcano della Solfatara e dal nuovo del Vesuvio. Ma pel
corso d'alcuni secoli si riguardò come parte del ducato di Napoli tutto
il promontorio di Sorrento, il quale è una penisola che divide i golfi
di Salerno e di Napoli, o piuttosto un mucchio di montagne affatto
impraticabili. Veggonsi come sospesi sopra il mare sul pendio di queste
montagne molti ricchi villaggi, e le città di Sorrento e di Amalfi
occupano una a ponente e l'altra a levante, il fondo de' due angusti
seni, talmente chiusi da scoscese montagne, che non vi si può quasi
giugnere che dalla banda del mare[245]. Questi due ducati, siccome i più
separati dall'impero e dai suoi ufficiali, han più agevolmente potuto
darsi un governo repubblicano. Ogni città aveva un municipio, o formato
in sull'esempio della costituzione romana, o conservato fino dai tempi
delle repubbliche della Magna Grecia. I magistrati venivano eletti dai
cittadini in un'assemblea annuale, ed il popolo suppliva colle tasse,
ch'egli medesimo s'imponeva, alle spese che non avevano altro scopo che
il proprio vantaggio; mentre quasi tutto il prodotto delle pubbliche
imposte veniva trasportato a Costantinopoli.
[241] _Camil. Pelleg. de ducatu Beneven. Disser. V. VI. et VII. Rer.
Ital. t. V. p. 173.-187._
[242] _Const. Porphirog. de Admin. Imp. p. II. c. 27. p.
68. — Byzant. Ed. Venet. t. XXII._
[243] _Id. de Thematibus l. II t. X. p. 22._
[244] Terracina ov'incontrasi questa ricca vegetazione, era la città
più occidentale del ducato di Gaeta. _Camillo Pellegrini Diss. V. p.
173._
[245] Io non trovai in paese persona che volesse guidarmi a traverso
quelle montagne; per altro vedremo in questa storia, che alcune
armate le attraversarono; tra le altre una di Ruggero I re di
Sicilia l'anno 1135.
Le città erano state assai ben fortificate dagl'imperatori; ma perchè i
cittadini le difendessero, rendevasi necessario di ordinare la milizia.
Eransi già riuniti per gli uffici civili, si assoggettarono ancora alle
leggi della milizia, eleggendo i loro capitani, sotto i quali difendere
le loro persone e proprietà: ed in tal modo si fecero veramente
cittadini.
Nel settimo secolo, ed in principio dell'ottavo, l'esarca di Ravenna
nominava il primo magistrato o duca delle principali città
marittime[246]. Ma poichè Ravenna cadde in potere de' Lombardi, il
governo delle città greche fu diviso fra il duca, o maestro de' soldati
di Napoli, ed il patrizio di Sicilia, i quali fino al decimo secolo
vennero eletti dall'imperatore[247]. Dopo tal epoca, il maestro dei
soldati di Napoli veniva nominato dai suffragi de' suoi concittadini.
[246] _Costan. Porphyr. de Adminis. Imperii, p. II. cap. 27. p. 68._
[247] Camillo Pellegrini _de ducatu Benev. Diss. V. p. 175._
Nel periodo dei cinque secoli che racchiude la durata delle repubbliche
della Campania, furono queste frequentemente chiamate a guerreggiare
contro i Lombardi padroni del ducato di Benevento. Ma, per il corso di
tre secoli, tali guerre ci vengono appena indicate da pochi monumenti
storici, ed assai confusamente, non avendo verun istorico antico delle
città greche, e non incominciando le cronache degli scrittori lombardi
beneventani che col regno di Carlo Magno. Per altro, poco dobbiamo
dolerci di non avere di quelle guerre più circostanziati racconti;
perciò che la debolezza dei due popoli nemici, e la natura del paese, li
forzavano a limitare le loro imprese all'attacco di qualche castello o
villaggio posto su le montagne; e quando non accadeva loro
d'impadronirsene nel primo impeto, non avendo modo di formarne regolare
assedio, i principali guerrieri, approfittavano di qualche opportunità
per dar prove del loro valore battendosi in singolar duello, o tentando
qualche ardita scorreria nel cuore del paese nemico; poi si ritiravano.
I Lombardi s'avanzarono più volte fin sotto le mura di Napoli, di Gaeta,
d'Amalfi, ed allora i Greci, in cambio d'impedire al nemico lo stendersi
nelle loro campagne, riparavansi, fossero cittadini o villani, entro le
mura dei loro castelli. E perchè avanti che s'inventassero le
artiglierie, i mezzi d'attaccar le piazze erano affatto sproporzionati
ai mezzi di difesa, non potendosi ridurre che per fame o per viltà,
tutti gli attacchi de' Lombardi tornarono vani.
Erano omai cento cinquant'anni passati da che i ducati di Napoli e di
Gaeta. mantenevansi indipendenti in mezzo ai Lombardi Beneventani,
allorchè Leone l'Isaurico, coll'abolire ne' suoi stati il culto delle
imagini, disgustò i suoi sudditi d'Italia, e perdette parte delle
province che possedeva in questa contrada. Esilarato, duca di Napoli,
volendo obbligare quegli abitanti, fortemente attaccati al culto delle
imagini, all'osservanza delle ordinanze imperiali, li rese ribelli. In
pari tempo papa Gregorio II, avendo accusato il loro duca d'aver preso
parte in una trama per assassinarlo, essi massacrarono il duca e suo
figlio; rimandarono il duca Pietro destinato suo successore a
Costantinopoli; forzarono il patrizio Eutichio a giurare di nulla
intraprendere contro il papa, e convennero coi Romani e col re Lombardo
di difendere contro chiunque si fosse il successore di s. Pietro[248].
Non perciò lasciarono di riconoscere la supremazia degl'imperatori
orientali; e perchè questi, per lo stesso motivo delle imagini, avevano
già perduto l'Esarcato di Ravenna, trovarono conveniente di non
s'opporre apertamente al culto delle imagini: onde i Napoletani
accolsero il nuovo duca loro mandato da Costantinopoli. Intanto questo
scisma indebolì sempre più i legami che univano le città Campane
all'impero, e lo spirito d'indipendenza vi fece rapidissimi progressi.
[248] _Anastas. Bibl. de vit. Greg. II p. 156. t. III. p. I._
Quando del 774 fu da Carlo Magno distrutta la monarchia lombarda, era
duca di Benevento Arichis, genero dell'ultimo re Desiderio; il quale non
volendo riconoscere il nuovo sovrano d'Italia, fu il primo de' principi
beneventani a dichiararsi indipendente, facendosi coronare ed ungere dai
vescovi del suo principato. In pari tempo si pacificava coi Napoletani,
ond'essere in istato di difendersi contro Pipino, figliuolo di Carlo
Magno, allora re d'Italia, il quale si disponeva ad inseguire i Lombardi
nel ducato di Benevento. Ad ogni modo, dopo una guerra disgraziata,
vedevasi costretto di cedere, riconoscendosi tributario dell'impero
d'Occidente, e dando il figliuolo Grimoaldo in ostaggio a Carlo
Magno[249]. Da che i Lombardi furono oppressi, l'imperatore d'Oriente
prese a proteggerli, ed accolse in corte Adelgiso figliuolo dell'ultimo
re. Onde il duca di Benevento per facilitarsi i soccorsi di
Costantinopoli fortificò Salerno, il solo porto di mare ch'egli avesse
ne' suoi stati, e vi fissò stabilmente la sua residenza[250].
[249] _Erchempertus Monacus Cassin. Hist. Longob. Beneventi c. 2. et
3. p. 237. t. II. Rer. Ital._
[250] _Erchemp. c. 4. p. 238. — Anon. Saler. ap. Camil. Pell. p. 287.
t. II. p. I._ — Il porto di Salerno trovasi propriamente a Vietri,
due miglia a ponente dalla città, poichè la medesima rada di Salerno
è assai cattiva.
(787) Al duca di Benevento, suo padre, succedeva Grimoaldo, cui Carlo
Magno permetteva di regnare in Benevento a condizione però che i
Lombardi suoi sudditi si raderebbero la barba, che in testa agli atti, e
sulle monete del ducato s'iscriverebbe il nome di Carlo Magno, e
finalmente che sarebbero distrutte le fortificazioni di Salerno,
d'Acerenza e di Consa[251]. Ma questo trattato ebbe breve durata.
Grimoaldo e Pipino, figlio di Carlo Magno, erano pari d'età, egualmente
avidi di gloria, e perciò rivali. Grimoaldo seppe affezionarsi il suo
popolo, e, quantunque privo d'ogni forza straniera, seppe con tanta
destrezza approfittare dell'asprezza del paese che doveva difendere,
delle fortificazioni delle città, del clima meridionale nocivo alle
armate francesi, che respinse sempre le armate dell'imperatore
d'Occidente, e non fu sottomesso[252].
[251] _Erchemp. Monac. c. 4. p. 238._
[252] _Id. c. 5. p. 238_. — Grimoaldo mandò in risposta a Pipino che
gl'intimava d'arrendersi il seguente distico latino:
_Liber et ingenuus sum natus utroque parente,_
_Semper ero liber, credo, tuente Deo._
Un secondo Grimoaldo mantenne l'indipendenza di Benevento fino alla
morte di Carlo Magno[253]. Ma allorchè, mancato questo principe, i duchi
di Benevento avrebber potuto approfittare della debolezza de' suoi
successori per dilatare lo stato con nuove conquiste, comportandosi
tirannicamente, perdettero l'affetto del popolo, e con questo le loro
forze. Grimoaldo II fu ucciso da' suoi sudditi ammutinati, che dell'817
gli sostituirono un rifugiato di Spoleti, chiamato Sicone, il quale a'
tempi della conquista di Carlo Magno aveva chiesto asilo al duca di
Benevento, e da Grimoaldo II fatto poi conte d'Acerenza[254].
[253] Questo secondo Grimoaldo aveva un soprannome tedesco, o
piuttosto danese. _Store Seitz_, la grande costa; e questo nome
popolare è una testimonianza che tra i Lombardi Beneventani del nono
secolo parlavasi ancora l'idioma tedesco. _Anon. Salern. Paralipom.
c. 29. t. II. p. II p. 195._
[254] _Ib. c. 33. p. 198._
Questo nuovo principe, alleato di Teodoro, in allora duca di Napoli,
erasi giovato de' suoi ajuti per conseguire il principato. Ma il popolo
di Napoli, scontento del suo primo magistrato, lo scacciò dalla città,
sostituendogli uno de' suoi compatriotti chiamato Stefano[255]. Teodoro
rifuggiatosi presso Sicone, lo persuase ad assediare Napoli, con tutte
le sue forze. I Napoletani, non avendo che le milizie del ducato contro
nemici infinitamente più numerosi, non potevano sperar salvezza che dal
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