Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5 - 12

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Questo ristabilimento dell'Accademia napoletana (la quale dopo la morte
di Federico per le continue guerre, che durarono per più di venti
anni, era alquanto decaduta da quello splendore, nel quale Federico
lasciolla) fu pure una delle cagioni fortissime perchè Napoli si
rendesse più numerosa di gente concorsavi da paesi vicini e lontani, e
perchè s'inalzasse sopra tutte l'altre città del Regno.
L'aver ancora Carlo deliberato di non trasferire la sua sede regia in
Palermo, siccome i predecessori Re normanni e svevi fecero, fu poi la
principal cagione dell'ingrandimento di Napoli. Riputò questo Principe
Palermo, come città lontana, esser men adatta per poter accorrere a'
bisogni del Pontefice e de' Guelfi in Italia, e per non allontanarsi
tanto dagli altri suoi Stati di Provenza e di Francia, colla quale
tenne continuo e stretto commercio; di che a torto si lagnavano i
Siciliani, non altrimenti che a torto si dolevano i Romani d'Onorio,
il quale per reprimere l'inondazioni de' Barbari, che per quella
parte venivano ad infestar l'Italia, traslatò la sua sede da Roma, e
la collocò prima in Milano e poi a Ravenna. Fermossi per ciò Carlo in
Napoli; e se bene non sempre quivi dimorasse, avendo sovente dovuto
ricorrere per li bisogni del Reame, e per renderlo più quieto e pacato
sotto la sua ubbidienza, ora in una città, ora in un'altra, siccome
si vede dalle date de' suoi _Diplomi_, ed anche de' suoi _Capitoli_,
li quali si leggono istromentati ora in Nocera, ora in Trani, Foggia,
Aversa, Venosa, Brindisi ed altrove; non è però, che in Napoli col
Principe di Salerno suo figliuolo primogenito e successore del Regno,
non facesse la sua maggior dimora con gli Ufficiali della Corona e
della sua Corte, ed attendesse ad ingrandirla e ad adornarla di tanti
seggi che non fece a niun'altra città del Regno.
Questa sua dimora in Napoli, e l'aver insieme adornata la sua
regal persona di molte altre illustri prerogative, come d'aversi
reso tributario il Regno di Tunisi, e fregiato del titolo di Re di
Gerusalemme, quanto più estolsero la sua regal persona, altrettanto
ingrandirono Napoli sua Sede regia.


CAPITOLO II.
_CARLO si rende tributario il Regno di Tunisi; e per la cessione di
MARIA figliuola del Principe d'Antiochia diviene Re di Gerusalemme._

Luigi Re di Francia, fratello di Carlo, essendo passato nella fine
dell'anno 1270 in Affrica contra Infedeli, e tenendo assediato Tunisi,
oppresso il suo esercito da peste, stava in pericolo d'esser rotto
da' Mori e d'esser fatto prigioniero co' suoi figliuoli, ch'erano con
lui[262]. Carlo, avuta tal nuova, fu costretto dal debito del sangue e
dall'obbligo, che avea a quel buon Re, che l'avea aiutato ad acquistare
due Regni, di ponersi sopra l'armata, che avea apparecchiata per
passare in Grecia, ed andar subito a Tunisi[263]; dove trovò l'esercito
franzese cotanto estenuato, che parve miracolo di Dio, che i Mori non
l'avessero assaltato e dissipato; e trovò il Re che all'estremo di sua
vita, stava nel punto di render l'anima a Dio, come la rese. Quanto
fosse il suo arrivo caro a' figliuoli del Re ed a tutto l'esercito, non
è da dimandare, perchè a quel tempo medesimo venne un numero infinito
d'Arabi, con disegno non tanto di soccorrere il Re di Tunisi, quanto
di saccheggiare le ricchezze del Re di Francia, e del Re di Navarra
e di tanti altri Principi, ch'erano seco venuti a quella impresa, ma
poichè videro l'esercito Cristiano accresciuto d'un tal soccorso, se ne
tornarono a' loro paesi; ed il Re di Tunisi, ch'aspettava d'ora in ora,
che gli Arabi in quel modo lo liberassero dall'assedio, uscito da tal
speranza, mandò Ambasciadori al Re Carlo per la pace: Carlo temendo,
che la peste non s'incrudelisse ancora co' suoi, come avea consumato
l'esercito di Re Luigi; e vedendo ancora Filippo suo nipote, nuovo Re
di Francia, desideroso d'andare a coronarsi, entrò con gli Ambasciadori
del Re di Tunisi nella pratica della pace, la quale fra brevi dì si
conchiuse con questi patti: _che si pagasse al nuovo Re di Francia
una gran quantità d'oro per la spesa, ch'avea fatta nel passaggio:
che si liberassero tutti i prigioni Cristiani, ch'erano nel Regno di
Tunisi: che potessero i Cristiani liberamente praticare con mercatanzie
in Affrica: che si potessero ivi edificare Chiese e Monasterj e
predicarsi il sacro Evangelio di Cristo senza impedimento: e che 'l
Re di Tunisi e suoi successori restassero tributari al Re Carlo ed a'
discendenti di lui, di ventimila doble d'oro_. Tributo che da' Re di
Tunisi altrevolte s'era pagato a' Re di Sicilia, come al Re Ruggiero
e Guglielmo normanni. Tutini da' regj archivi trascrive una carta,
ove sta notato quanto importasse l'anno questo tributo, il di cui
tenore è tale: _Tributum Tunesi debitum Regi Siciliae, anno quolibet
est Bisantinorum triginta quatuor millia, tercentum triginta tribus,
quorum Bisantinorum quodlibet valet tarenos auri duos, et dimidium; et
sic reductis ipsis Bisantiis ad tarenum aureum, sunt tarenum, triginta
tria millia, triginta tribus, quibus tarenis reductis in uncias auri,
sunt unciae duo millia, octuaginta, triginta tribus. Collecta igitur
Bisantinorum dictorum summa per tribus annis, pro quibus tributum
ipsum debetur dicto Regi, ascendit ad Bisantinorum centum millia.
Summa dictorum tarenorum, pro eisdem tribus annis, unciarum octo millia
trecenta tribus unum[264]._

§. I. _CARLO per la cessione di MARIA figliuola del Principe
d'Antiochia diviene Re di Gerusalemme._
Venuto l'anno 1275 Papa Gregorio senza aver fatto nulla di quanto
avea designato, venne a morte, ed in suo luogo fu eletto Pietro di
Tarantasia Borgognone _Frate Predicatore_, che fu chiamato _Innocenzio
V_. Carlo udita l'elezione d'un Papa franzese riassunse con molta
alterigia la dignità sua Senatoria, ed avendo in suo luogo sustituito
Giacomo Cantelmo, che altre volte ivi era stato suo Vicario, governava
Roma a sua voglia, ottenendo per se e per gli amici quello che volea;
ma tosto le sue speranze si dispersero, poichè avendo Innocenzio
appena pochi mesi retto il Pontificato, finì i giorni suoi. Ed i
Cardinali ingelositi della potenza di Carlo, tosto elessero un Papa
Italiano, che fu Ottobono del Fiesco genovese nipote d'Innocenzio
IV, che _Adriano V_ nomossi. Costui, in quel poco tempo che visse
da poi, mostrò gran volontà d'abbassare la potenza di Carlo, che
teneva oppressa Italia e Roma, ed avea perciò chiamato l'Imperador
Rodolfo. Ma l'esser tosto Adriano mancato, e rifatto Pietro Cardinal
Spagnuolo per suo successore, che _Giovanni XXII_, secondo il Platina,
e secondo altri XXI fu nomato, la potenza di Carlo non mancò punto;
poichè Giovanni ancor che di santi costumi, ora affatto inabile al
governo di tanta macchina; e Carlo, come Senator di Roma governava
ed amministrava ogni cosa appartenente al Papato. Per la qual cosa
durante il suo Pontificato, e sei mesi dopo la morte di Giovanni che
vacò la Sede Appostolica, insino all'elezione di Papa _Niccolò III_
era riputato maggiore, ed il più temuto Re di que' tempi: poichè oltre
i due Regni, e le Signorie di Provenza e d'Angiò che possedeva in
Francia, avea tributario il Regno di Tunisi; e Tutini aggiunge, che
s'era impadronito anche dell'isola di Corfù[265]; e come tributari avea
ancora i Fiorentini, ed a divozione tutte le città Guelfe d'Italia.
Disponeva ancora del giovane Re di Francia suo nipote; ma quello, che
più lo rendea formidabile, era la quantità di gente di guerra ch'egli
nudriva in varie, e diverse parti sotto la disciplina d'espertissimi
Capitani. Era ancor potente per forze marittime, le quali erano poco
meno di quelle di terra, tenendo nei nostri porti varie armate di mare,
numerose di vascelli, sotto il comando d'Errico di Mari genovese suo
Grand'Ammiraglio; ed al di lui imperio ubbidiva l'uno e l'altro mare
superiore ed inferiore; onde a questi tempi non potevano certamente i
Vinegiani vantarsi del dominio del Mare Adriatico, poichè Carlo era
più potente in mare ch'essi non erano; alle di cui forze marittime
fidandosi, avea egli intrapreso di scacciar l'Imperador _Paleologo_
dalla Sede di Costantinopoli, e fare altre imprese in Oriente.
Per quello Maria figliuola del Principe d'Antiochia, cui Ugo suo
zio Re di Cipri le contrastava il titolo e le ragioni del Regno di
Gerusalemme, venne in Roma e ricorse al Papa ed al Re Carlo, perchè
volessero aiutarla; ma poichè vide il Papa poco disposto, fu indotta
finalmente da Carlo a ceder a lui queste sue ragioni: onde innanzi al
Collegio de' Cardinali assegnò e rinunziò al medesimo tutte le ragioni,
che avea nel Regno di Gerusalemme, ed il Principato d'Antiochia[266],
con tutte le solennità, che si richiedevano a cosa di tanta
importanza[267]: onde Papa Giovanni che favoriva il Re, avendo per vere
le ragioni di Maria, in quest'anno 1277 coronò Carlo Re di Gerusalemme,
e da questo tempo cominciarono gli anni del suo Regno di Gerusalemme.
Carlo avuta tal cessione mandò subito Ruggiero Sanseverino a pigliare
il possesso di tutte le terre che Maria possedeva, e ad apparecchiare
di ricovrar l'altre: ed in un medesimo tempo ordinò un apparato
grandissimo di guerra di infinite galee ed altri legni, con numerose
genti, per l'impresa non meno di Costantinopoli che di Gerusalemme.
Le ragioni di Maria sopra il Reame di Gerusalemme venivano a lei per
la sua madre _Melisina_ quarto genita, che fu di Isabella sorella di
Balduino IV Re di Gerusalemme. Lasciò Isabella, dal suo primo marito
Corrado di Monferrato, come nel XVI libro fu narrato, quattro femmine:
la primogenita _Maria_ fu madre di Jole seconda moglie dell'Imperador
Federico, al quale il titolo e le ragioni di Gerusalemme furono date
in dote: perciò Federico, Corrado suo figliuolo e Corradino si valsero
del titolo di Re di Gerusalemme. Per la morte di Corradino ultimo
del sangue Svevo senza successori, essendo estinte queste ragioni
in quella linea, pretendeva Maria come figliuola di _Melisina_ che
s'appartenessero a lei.
La secondogenita d'Isabella fu _Alisia_. Costei si casò con Ugo Re di
Cipro. Pretese questi per le ragioni di sua moglie, estinta la linea
della primogenita nella persona di Corradino, di poter egli intitolarsi
Re di Gerusalemme, siccome fece; ma per parte di Maria d'Antiochia,
si diceva che anche queste ragioni d'Alisia fossero estinte, poichè
il Re Almerico di Cipro, altro marito della Regina Isabella, al qual
successe il Re Ugo suo figliuolo, procreato con la sua prima moglie e
marito dell'Alisia, le avea cedute a Giovanni di Brenna marito di Maria
primogenita, siccome scrive il P. Lusignano nella Cronaca de' Re di
Cipri.
La terzogenita d'Isabella fu _Sibilla_. Costei maritata con Livone
Re d'Armenia morì senz'eredi; onde restavano solamente le ragioni di
_Melisina_ quartogenita madre di _Maria_, che fece la cessione a Carlo.
Ma questa cessione avea delle gravi difficoltà; poichè veramente
non potea dirsi, che le ragioni della secondogenita _Alisia_ fossero
estinte per la cessione fatta da Almerico a Giovanni di Brenna; poichè
quella cessione non potea pregiudicare a' suoi successori, i quali
vengono a succedere in quelle per altra cagione, cioè per le ragioni
d'Alisia, alla quale, come figliuola di Isabella, non già d'Almerico
s'appartenevano, nè questi cedè altro, che quelle ragioni, che allora
le appartenevano, come marito d'Isabella, non già le future, che per
altra cagione poteano spettare ad Alisia e suoi descendenti; per la
qual cosa saviamente avvertì il P. Lusignano, che questa cessione di
Maria fatta a Carlo fu di quelle ragioni, ch'ella non avea, ma che
spettavano ad _Alisia_ sua zia moglie del Re Ugo. Ed in effetto, quando
Federico II Imperadore fu scomunicato e tornò in Puglia, lasciando
la Soria, la vedova Regina di Cipri andò in Soria, ricorrendo agli
Ospitalieri e Templari, perchè la mettessero nel possesso del Regno di
Gerusalemme, stante che Federico era tornato in Puglia, ed era stato
scomunicato: di che gli Ospitalieri e Templari non vollero far nulla,
rispondendoli, che volevano aspettar un anno a vedere, se anderebbe in
Soria Corrado figliuolo di Federico e di Violante sua moglie, figliuola
della sorella maggiore da parte di madre di questa Regina di Cipri: il
qual Corrado era più propinquo alla Corona e successione del Regno,
siccome narra il Bossio[268]. Quindi avvenne, che Carlo avvertito da
poi della poca sussistenza di queste ragioni di Maria, si convenne
con Errico II di tal nome Re di Cipri, che, come scrive P. Lusignano,
gliele contrastava. E sebbene Errico rinovasse da poi la contenzione
col Re Carlo II d'Angiò per le ragioni dell'ava; nulladimanco così
il suddetto Carlo, come tutti gli altri Re Angioini suoi successori,
continuarono ad intitolarsi sempre _Re di Gerusalemme_, come si vede
da' loro diplomi e privilegi. Ed il Re Roberto colla Regina Sancia sua
moglie, essendo ne' loro tempi dal Soldano angustiati più che mai i
Cristiani, che ministravano al Santo Sepolcro, convenne col Soldano,
che non si dasse impedimento alcuno a' Cristiani, che ivi erano, con
promettergli perciò grosso tributo, somministrando ancora a quelli
tutto il bisognevole, perchè non mancassero d'assistere a quel santo
luogo[269]. Parimente la Regina Sancia a sue spese fece edificare nel
Monte Sion un convento a' Frati Minori di S. Francesco, e n'ottenne
anche Bolla da Papa Clemente VI rapportata dal Wadingo; il qual Autore
narra ancora, che la Regina Giovanna I ottenne anche dal Soldano
permissione di poter costruire un altro convento a' Frati suddetti di
S. Francesco nella Valle di Giosafat somministrando ella le spese, e
quanto bisognava per mantenimento di detti Frati[270]. Donde alcuni
fondano il patronato, che tengono i Re di Napoli nel S. Sepolcro, ed
in detti luoghi serviti da' Frati Minori di S. Francesco, soccorsi e
fondati con tante spese da' loro predecessori, avvalorato anche dalla
Bolla di Papa Clemente.
Ma altri ponderando, che il fonte, onde deriva il titolo di Re di
Gerusalemme a' Re di Napoli, sia alquanto torbido, volendosi tirare da
questa cessione di Maria, per ischermirsi ancora più validamente dalle
pretensioni de' Re d'Inghilterra, de' Marchesi di Monferrato (donde
tirano le loro ragioni i presenti Duchi di Savoja) e della Signoria di
Vinegia, i quali per la successione de' Re di Cipro tutti pretendono
questo titolo; scrissero, che a' Re austriaci giustamente s'appartenga
per le ragioni di _Maria_ primogenita di Isabella sorella di Balduino
IV Re di Gerusalemme, le quali non s'estinsero nella persona di
Corradino; poichè gli Scrittori oltramontani ed Italiani tutti
concordano, che quando fu mozzo il capo a quell'infelice Principe,
investì egli col guanto, e coll'anello di tutti i suoi Regni e ragioni
il Re Pietro d'Aragona, al quale s'apparteneva la successione di tutti
i Regni e Stati di Corradino, com'erede della famiglia di Svevia a
cagione di Costanza figliuola del Re Manfredi; ed al Re Pietro essendo
per legittima successione succeduto il Re Federico d'Aragona, ed a
costui, i Re austriaci di Spagna suoi successori, meritamente questi
se ne sono intitolati Re con maggior giustizia e ragione, che tutti gli
altri Competitori.


CAPITOLO III.
_Nuova Nobiltà franzese introdotta da CARLO I in Napoli; e nuovi Ordini
di Cavalieri._

Nel Regno de' _Normanni_, siccome si vide ne' precedenti libri di
quest'Istoria, molti Signori franzesi capitarono in queste nostre
parti adorni di militari posti, de' quali, come Capitani in guerra
espertissimi, si valsero que' Principi, che dalla Normannia, paese
della Francia, ci vennero: furono in premio delle loro lunghe e
gloriose fatiche lor conceduti molti Feudi, ed aggranditi co' maggiori
Ufficj della Corona: essi per ciò introdussero appo noi un nuovo modo
di succedere ne' Feudi, detto _jus Francorum_; e molte altre usanze e
riti vi portarono. Ma questi Baroni non in Napoli si fermarono: molti
in Sicilia, e particolarmente in Palermo, allora Sede regia, fecero
permanenza. Altri ne' loro Stati, de' quali erano investiti, altri
seguendo la persona de' loro Principi, decorati di varii Ufficj ivi
residevano, dove era la persona regale, ovvero dove ricercava il lor
posto, facevano residenza. Ma que' Capitani, e que' guerrieri franzesi
e provenzali, che seguirono Re Carlo nell'impresa di questi Regni,
residendo, dopo avergli conquistati, per lo più egli in Napoli, in
questa città si fermarono, ove dalla munificenza del Re riceverono i
premj delle loro sofferte fatiche; poichè Carlo, dopo essere entrato
in Napoli, con magnifico apparato, e con allegrezza ricevuto, avendo
passati molti dì in festa con la Regina Beatrice sua moglie, e con
gli altri Signori franzesi, volle premiar tutti coloro, che l'aveano
servito; e fatto scrutinio de' Baroni, che aveano seguitato la parte di
Manfredi, confiscati i loro beni, cominciò a compartirgli a costoro,
principiando da Guido Monforte, ch'era stato Capitan generale di
tutto il suo esercito, e da Guglielmo Belmonte, che oltre averlo
fatto Grand'Ammiraglio, l'investì del Contado di Caserta, e donò
molte città e castelli a moltissimi altri. Furono premiati Guglielmo
Stendardo, Gugliemo di Clinetto, Ridolfo di Colant, Martino di Dordano,
Bonifacio di Galiberto, Simone di Belvedere, Pietro di Ugoth, Giovanni
Galardo de Pics, Giordano dell'Isola, Pietro di Belmonte, Roberto
Infante, Beltrano del Balzo, Giacomo Cantelmo, Guglielmo di Tornay,
Rinaldo d'Aquino, ed altri moltissimi rapportati dal Costanzo, e dal
Summonte[271], e più diffusamente da Pier Vincenti nel Teatro dei
Protonotari del Regno, dove favella di Roberto di Bari, per le cui
mani, come Protonotario del Regno passavano allora queste donazioni.
Ed oltre aver premiato anche i Romani e gli altri Italiani, che lo
seguirono, ebbe particolar cura di que' Cavalieri franzesi, che di
Provenza e di Francia condusse seco, a' quali donò città, terre,
castelli, dignità ed ufficii eminenti nel Regno; tra' quali furono
più chiari quelli di casa Gianvilla, d'Artois, d'Appia, Stendardi,
Cantelmi, Merloti della Magna; que' di casa di Burson, di Marsiaco,
di Ponsico detti Acclocciamuri, di Chiaramonte, di Cabani, ed altri.
Potè Napoli pertanto, oltre l'antica, per la nuova e numerosa Nobiltà
franzese quivi stabilita con tanti Feudi, preminenze ed ufficii,
rendersi sopra ogni altra città del Regno più illustre e chiara;
ond'è, che poi meritamente acquistonne il titolo di _nobile_, ovvero di
_gentile_.

§. I. _Cavalieri armati da CARLO in Napoli._
Ma quello che sopra ogni altro rese illustre questa città, fu averla
questo Principe arricchita d'infinito numero di Cavalieri, con avere
ornati d'Ordine di cavalleria moltissimi cittadini, oltre molti altri
del Regno, nel quale per ciò introdusse in tanta frequenza l'esercizio
militare, che quelli, che sotto la disciplina sua e de' suoi Capitani
erano esercitati nelle guerre, non cedeano punto a' veterani, ch'egli
avea condotti di Provenza e di Francia.
L'ordine de' Cavalieri fu presso i Romani in tanta stima e riputazione
ch'era uno de' tre Ordini, dei quali si componeva quella Repubblica:
_Martia Roma triplex, Equitatu, Plebe, Senatu_, dice Ausonio. Cioè
di Senato, Cavalieri, e minor Popolo. Il Senato per lo consiglio: li
Cavalieri per la forza: il minor Popolo, per somministrare e fornire,
ovvero ridurre a perfezione le cariche della Repubblica.
Prima l'Ordine de' Cavalieri era come un Seminario di Senatori:
poichè, come dice Livio, da quest'Ordine si pigliavano, e si facevano
i Senatori; ma da poi che i grandi Ufficii furono comunicati al minor
Popolo, li Senatori erano scelti da que' ch'erano stati Magistrati.
Prima i Romani davano il cingolo militare a coloro ch'erano abbondanti
di beni di fortuna; onde nacque, che chi avea molti _sestertii_ poteva
aspirare ad entrar in quest'Ordine, siccome a quello di Senatori
ancora. In tempo poi degli Imperadori era dato con solennità alle
persone di merito, e più frequentemente a quelle, che non aveano
ufficio o carica pubblica, ma dimoravano per lo più, come semplici
gentiluomini nella Corte dell'Imperadore; e perchè erano di più sorte,
perciò l'Imperadore in una sua Costituzione, che ancor leggiamo nel
Codice di Giustiniano[272], volle stabilire le loro precedenze, e dopo
quelli che tengono esercizio per qualche ufficio o carica, mette in
secondo luogo que' Cavalieri, a' quali essendo in Corte avea egli dato
il cingolo militare: nel terzo luogo, quelli a' quali non essendo in
Corte, ma assenti, avea l'Imperadore mandato il cingolo: nel quarto,
quelli a' quali questo cingolo non era stato dato in tutto, ma a'
quali essendo in Corte, l'Imperadore avea semplicemente concedute
le lettere di dignità: e nel quinto ed ultimo luogo, quelli a' quali
avea semplicemente mandate queste lettere in loro assenza. Precedevano
perciò secondo quest'ordine; da che ne seguiva, che questo cingolo dato
a coloro che non aveano ufficio o carica pubblica, attribuiva loro il
dritto di portar continuamente la spada, e conseguentemente di godere
de' privilegi delle genti d'arme; e ch'era più onore averlo dalle mani
dell'Imperadore, che mandato in assenza: e più avere il cingolo, che le
lettere di dignità.
Ruinato l'Imperio romano, e dalle sue ruine surti in Europa nuovi
Reami e dominii, i Re di Francia, per quanto si sa, furono i primi,
che vollero rinovare sì bello istituto[273]; i quali al medesimo modo,
coloro, che conoscevano di grande merito, o almeno ch'essi volevano
elevare a dignità, allora che non aveano ufficio o carica pubblica da
conferir loro, gli facevano _Cavalieri_, cioè a dire, gli dichiaravano
gente d'arme onorarie per godere de' privilegi militari, ancorchè
non fossero arrolati tra le genti di guerra. Ed in fatti la maggior
parte degli antichi Scrittori franzesi chiamano in Latino il Cavaliere
_Militem_ e non _Equitem_. Ond'è, che quando volevano armarlo Cavaliere
di _cavallo_, spezialmente essi lo dichiaravano per gente d'arme di
cavallo, perchè in Francia costoro sono molto più stimati, che quelli
a piedi. Ed in segno di ciò, che gli facevano gente d'arme, essi davan
loro il cingolo militare ne' dì più segnalati e rimarchevoli, e sotto
cerimonie le più illustri e magnifiche che si potessero. Ciò che fu
da poi imitato da' nostri Re _Normanni_, da Ruggiero I e dagli altri
seguenti Re, anche _Svevi_, ma sopra tutti da Carlo d'Angiò e dagli
altri Re _Franzesi_ suoi successori.
I giorni destinati per tal cerimonia erano per lo più quelli della
loro incoronazione: ne' primi ingressi che facevano nelle città: ne'
dì d'alcune festività grandi, ed in particolare della Vergine Maria;
ovvero in occasione di qualche pubblica allegrezza[274]. Era ancora
antica usanza di fargli Cavalieri, o avanti una battaglia, o quando
doveano dar qualche assalto ad una Piazza, affin d'incoraggire i bravi
gentiluomini a portarsi valorosamente; ovvero dopo la battaglia, o
presa della Piazza, per ricompensar quelli, che s'erano portati con
valore, ed ardire[275]. Si facevano ancora in tempo de' maritaggi de'
Re, o loro figliuoli, o per la natività del Principe, per onorare i
Tornei, che vi si facevano.
I nostri Re prima d'ogni altra cosa, per mezzo di un general editto
solevano pubblicar per tutto il Regno il giorno destinato, nel quale
doveasi far tal cerimonia, affinchè, chi voleva prendere il cingolo,
s'accingesse a portar i requisiti, che secondo le nostre Costituzioni
erano ricercati; poichè il nostro Ruggiero I Re di Sicilia avea fatta
una costituzione[276], colla quale ordinava, che senza licenza del
Re, e senza che discendessero da Cavalieri, niuno potesse aspirare
al cingolo militare: ciò che fu confermato da Federico II nella
Costituzione[277] che siegue, la quale non a Ruggiero, come con errore
leggesi nelle vulgate, ma a Federico deve attribuirsi, così perchè in
quella, intendendo di Ruggiero, lo dice _Avi nostri_; come anche perchè
della medesima fece menzione nella sua Cronaca Riccardo da S. Germano,
che dice essersi pubblicata da Federico in un Parlamento generale, che
tenne in S. Germano nel mese di Febbraio dell'anno 1232.
I Re angioini vi aggiunsero altri requisiti, ricercando non solo: _Quod
nullus possit accipere militare cingulum, nisi ex parte patris saltem
sit miles_, come si legge nel Registro di Carlo II dell'anno 1294
rapportato dal Tutini[278]: ma che esso, ed i suoi maggiori avessero
contribuite le collette, e sovvenzioni coi Nobili e Cavalieri. Ma da
una postilla di _Bartolommeo di Capua_ nella riferita Costituzione di
Ruggiero, par, che a' tempi del Re Roberto, ne' quali egli scrisse, non
si ricercasse più la pruova della discendenza da Cavaliere, e che solo
in Francia era ciò richiesto, come sono le sue parole: _Non potest quis
militare qui non est de genere militum ex parte patris. Hoc in Regno
Siciliae non servatur, sed bene audivi servari in Regno Franciae._ Ed
in effetto leggiamo essersi dato il cingolo a molti del minor Popolo,
che non potevano mostrare essere stati i loro maggiori Cavalieri, e
molti del Popolo, così di Napoli come del Regno, armò Carlo II suo
figliuolo, e Roberto, che possono vedersi presso Tutini[279], ch'e'
chiama per ciò _Cavalieri di grazia_, perchè ebbero tal onoranza senza
le suddette condizioni.
Ricercavasi ancora, che il candidato fosse di età adulta. I Romani
secondo riferisce Dione[280], armavano Cavalieri da' diciotto anni in
su, e l'Abate Telesimo[281] ne' fatti del Re Ruggiero, descrivendoci
l'avvenenza, e l'età de' figliuoli di quel Re, dice, che ambedue erano
capaci di prendere il cingolo, essendo già adulti: _Habebat autem Rex
Rogerius et alios duos liberos adolescentiores, forma speciosissimos,
morumque honestate praeclarissimos; nec non ad suscipiendum militiae
cingulum jam utrosque adultos_.
A questo fine coloro, che volevano armarsi Cavalieri, dimandavano, che
si prendesse informazione dei loro requisiti, ed il Re commetteva,
o al Capitano di Napoli, se eran Napoletani, ovvero a' Giustizieri
delle province, se Regnicoli, che ne formassero il processo: e presa
l'informazione, costando de' requisiti, erano nel giorno destinato
ammessi ad armarsi: e costoro prima di ricevere il cingolo erano
chiamati in linguaggio franzese _Valletti_, che nel nostro suona
_Paggi_. Comparivano essi nel giorno della celebrità tutti adorni di
vaghi e ricchi abiti e nella maggior chiesa della città, ove dovea
farsi la cerimonia, s'alzava un gran palco ben adorno, dove s'ergeva un
altare, ne' cui lati si ponevano la sedia del Re e 'l faldistorio del
Vescovo, e quivi vicino un'altra sedia inargentata coverta di drappo
di seta. Sopra l'altare, come narra Giovanni Sarisberiense[282], si
ponevano le spade, che doveano cingersi a' fianchi de' nuovi Cavalieri.
Venuto il Re e la Regina con tutta la lor Corte, Cavalieri, ed altri
Nobili in chiesa, s'introducevano coloro, che doveano armarsi, e si
facevan sedere nella sedia d'argento. Da poi, da alcuni Cavalieri
vecchi erano esaminati se fossero sani, e ben disposti di corpo a poter
adoperarsi nelle battaglie, e ricevuto il loro esame, erano poscia
condotti in presenza del Vescovo, il quale sedendo nel suo faldistorio
vestito da Diacono, teneva il libro de' Vangeli aperto, ed avanti
di esso inginocchioni, chiamandogli per nome diceva loro[283]: _Già
che volete ricevere il cingolo militare, e farvi Cavalieri, avete da
giurare sopra questi Santi Vangeli, che in verun conto non verrete mai
contra la Maestà del vostro Re qui presente, e de' suoi successori,
e volendo voi partirvi dalla fedeltà del vostro Re (che Iddio non
permetta) il quale vi dovrà crear Cavalieri, dovrete prima restituirgli
il cingolo, del quale or ora sarete ornati, e da poi potrete far guerra
contro di esso, e niuno vi potrà riprendere di fellonia; altramente
sarete riputati infami, e degni di morte. Avrete ancora da esser
fedeli della Chiesa cattolica, riverenti a' Sacerdoti, difensori della
Patria, dell'Onor delle donzelle, vedove, orfani, ed altre miserabili
persone[284]._
Rispondevan quelli, che confidati nella divina grazia sarebbero stati
fedeli e leali al loro Re, e avrebbero osservato quanto promettevano,
e toccando con le mani il libro de' Santi Evangeli, così giuravano.
Poscia da due Cavalieri veterani venivan condotti alla presenza
del Re, ed ivi inginocchiati, il Re prendeva la sua spada, e con
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