Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5 - 04

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Parlamento a Barletta, ove onorò molti dell'ordine di cavalleria,
e molt'altri investì di vari Contadi, dando loro per lo stendardo
l'investitura. Dopo questo intimò un'altra general Corte in Foggia,
ove avendo convocati i Baroni, e' gentiluomini, ornò molti altri del
cingolo della milizia, e profusamente concedè ad altri onori, ufficj
e preminenze; e con magnifici giuochi, feste ed illuminazioni tenne i
popoli tutti allegri e festanti, e pieni di gioja.
Il Pontefice Alessandro di mal animo vedendo i progressi di Manfredi,
ed il poco conto che s'avea di lui, pensando che per reprimere le
costui forze non erano sufficienti quelle della Chiesa, avea già sin
dal passat'anno 1257 ripreso il trattato con Errico Re di Inghilterra,
invitando _Edmondo_ suo figliuolo alla conquista del Regno: ed in
effetto, come si disse, avea mandati suoi Legati in Inghilterra a
portargli l'investitura, per la quale investiva del Regno il Re Errico
in nome d'_Edmondo_ suo figliuolo, che allora era di minor età. E
già Errico in nome di suo figliuolo diede il giuramento di fedeltà al
Legato; e si erano stabiliti i patti ed il censo, che dovea pagarsi
alla Sede Appostolica, ed avea promesso di presto venire con potente
armata in Regno per discacciarne Manfredi. Ma o che questo Principe,
meglio pensando, non volesse intrigarsi in questa nuova guerra, o che
il censo stabilito ne' patti dell'investitura fosse veramente grave
ed esorbitante, differiva l'espedizione, e sollecitato da Alessandro,
rispondeva, che bisognava moderar il censo, ch'era esorbitante, prima
d'ogni altra cosa[66]. Il Papa impaziente designò tosto di mandare
in Inghilterra Arlotto Sottodiacono della Sede Appostolica, ed il
suo Cappellano per trattar di questa moderazione; ma non fu ciò di
mestieri, perchè nell'istesso tempo dal Re Errico furono spediti
suoi Ambasciadori al Papa l'Arcivescovo di Tarantasia, i Vescovi di
Bottun, e Roffense, e Maestro Nicolò di Francia suo Cappellano Regio
per trattare di quest'istesso affare; ma essendosi costoro affaticati
in vano, per li nuovi torbidi insorti in Inghilterra, finalmente nel
seguente anno 1259 svanì ogni trattato; nè da poi si pensò più in
Inghilterra, ma in Francia furono rivolti i pensieri d'Alessandro non
meno, che del suo successore Urbano.
Mentre per queste cagioni si differiva tal espedizione, Manfredi
intanto avea già discacciate le genti del Papa da Puglia, da Terra
di Lavoro e da Sicilia: avea presi e puniti i ribelli, ed erasi già,
come si è detto, fatto incoronare Re in Palermo. Per la qual cosa
Papa Alessandro adirato più che mai, non volendo trascurare via di
vendicarsi, e vedendo che le armi temporali niente giovavano, fu tutto
rivolto alle spirituali, onde alle scomuniche, ed interdetti fece
ricorso.
Prefigge in prima certo termine al Re Manfredi, perchè comparisse
avanti di lui e dassegli soddisfazione, ed ammenda di tutto ciò,
che contro la Sede Appostolica avea attentato, altramente l'avrebbe
deposto, scomunicato e privato di tutti gli onori; ma non comparendo
Manfredi, poco curante di queste minaccie, egli lo scomunica, lo
dichiara ribelle, inimico della romana Chiesa, e sacrilego occupatore
e predone delle sue ragioni, e che avea stretta confederazione co'
Saraceni, de quali s'era fatto Capo. Lo priva del Principato di
Taranto e di tutti i feudi, ragioni, onori e preminenze. Lo dichiara
reo di esecrandi delitti, di aver preso, ed in oscuro carcere posto
Fra Ruffino suo Cappellano, e suo Legato in Sicilia e Calabria;
d'aver stese le sacrileghe mani sopra i beni delle Chiese del Regno
di Sicilia; d'aver preso, e con dure catene tenuto in istrette
prigioni l'Arcivescovo di Brindisi, con ispogliarlo di tutte le
sue robe; e d'avere con esecrando ed orribile attentato aspirato al
soglio regale di Sicilia, con aver occupato quel Regno devoluto alla
Sede Appostolica, e sacrilegamente fattosene incoronare Re, senza
sua permissione e consenso. Dichiarava perciò col voto, e consiglio
de' suoi Cardinali Manfredi scomunicato, nulla ed irrìta la sua
incoronazione, e tutti gli atti di unzione, ed ogni altro attinente a
quella.
Interdisse tutte le città, luoghi e castelli, che ricevessero Manfredi,
e lo avessero per Re. Proibì a tutti gli Arcivescovi, Vescovi,
Abati e qualunque altra persona ecclesiastica di celebrare i divini
uffici presente Manfredi, e che non ricevessero da lui beneficii
ecclesiastici, e niuna amministrazione di Chiesa o monasteri; e che
coloro, che si trovassero avergli ricevuti, fra due mesi dovessero
onninamente resignargli.
Oltre ciò, asserendo egli, che mentr'era in Napoli rigorosamente avea
ordinato a tutti i Prelati, ed a qualsivoglia persona ecclesiastica,
che non s'accostassero a Manfredi, nè gli mandassero ambasciadori,
nè ricevessero messi da lui inviati, nè gli prestassero ajuto, o
consiglio; che ciò non ostante, contro questo suo divieto, quasi
tutti gli Arcivescovi, Vescovi, Abati ed altri Prelati del Regno di
Sicilia s'erano portati a Palermo, ed erano intervenuti alla di lui
incoronazione: perciò avea fatti citar generalmente tutti coloro, che
v'erano intervenuti, e nominatamente alcuni, che dovessero comparire
personalmente fra certo termine avanti di lui; ma perchè niuno era
comparso, niente curando della intimazione fattagli; perciò scomunicava
Rinaldo Vescovo d'Agrigento, e lo deponeva dalla vescovil dignità,
per aver colle sacrileghe sue mani unto in Re quel Principe, ed
avea nel giorno dell'incoronazione solennemente celebrata la messa.
Scomunicava ancora l'Arcivescovo di Sorrento, e lo deponeva della sua
Chiesa come anche l'Abate Cassinense, privandolo del governo di quel
monasterio per aver assistito a detta unzione e coronazione; comandando
a' Capitoli delle Chiese d'Agrigento e di Sorrento, al Convento del
monasterio di Cassino, ed a tutti i vassalli delle Chiese e monasterio
suddetti che non li ubbidissero nè li riconoscessero per tali; nè
più gli contribuissero l'entrate e loro ragioni. Agli Arcivescovi di
Salerno, di Taranto e di Monreale, ch'erano parimente intervenuti alla
coronazione, li quali all'indegno capo di Manfredi avean posta la real
corona, e l'aveano posto nel regal Trono di Palermo, citò con termine
perentorio e prefisso, che dovessero personalmente presentarsi avanti
di lui nella prossima festività dell'ottava de' SS. Pietro e Paolo.
La carta di queste terribili censure che Alessandro scagliò contro
Manfredi e suoi partigiani, ove con formole orrende si lanciano tanti
fulmini ed interdetti, vien rapportata dal Tutino e si legge nel suo
trattato de' Contestabili del Regno[67].
Ma di questi fulmini non si facea alcun conto, erano riputati vani
e senza ragionevol cagione scagliati; onde non si mossero punto
nè Manfredi nè le città del Regno nè i Prelati, nè que' Popoli ad
obbedirgli; anzi Manfredi godendo il frutto delle tante sue vigilie e
sudori, sovente divertivasi in giuochi e nelle caccie rigorosamente
comandando che si proseguissero per tutte le Chiese del Regno, come
prima i divini uffici, nel che non incontrò veruna repugnanza ne'
Prelati, ed in tutte l'altre persone ecclesiastiche. E resosi da per
tutto potente e glorioso, già stendeva le sue forze fuori dei confini
del Regno, e nell'altre parti d'Italia avea reso celebre e famoso il
suo nome, tanto che per lui la fazione Ghibellina cominciò a sollevarsi
sopra la Guelfa; ed in Lombardia ed in Fiorenza avea fatti mirabili
progressi.
E perchè vedeva, che l'opulenza dell'uno e l'altro Regno, ancorchè
fosse grande, non avrebbe bastato a mantenere grandi eserciti come
bisognava, che e' tenesse per l'inimicizia de' Pontefici romani, prese
partito di mandare parte dell'esercito in Toscana e parte in Lombardia
in sussidio de' Ghibellini; onde venia insieme ad evitar la spesa,
ed a divertire il pensiero del Papa dal molestarlo, al quale era più
necessario attendere alla conservazione de' Guelfi, del patrimonio di
S. Pietro, di Romagna e della Marca[68]. Ed egli rimase nel Regno,
dove trattanto viveva quel tempo con molta felicità e splendidezza:
dimorando nelle città marittime di Puglia e più d'ogni altra in
Barletta.
Or mentr'egli dimorava in questa città giunsero quivi gli Ambasciadori
della Regina _Elisabetta_, secondo l'Anonimo, ovvero di _Margherita_
(secondo per una carta che rapporta, crede il Summonte) madre del Re
_Corradino_ e del Duca di Baviera, i quali esposero a Manfredi la loro
ambasciata dicendogli, che Corradino era vivo, e che si doveano punire
quelli che falsamente aveano pubblicata la sua morte; onde in nome
della Regina e del Duca lo pregavano che volesse lasciare il Regno, che
legittimamente era di Corradino. Manfredi ricevè gli Ambasciadori con
grand'onore e stima; e come molto accorto e prudente avendo prevista
l'ambasciata, prontamente loro rispose: ch'era già notorio e palese a
tutti, che il Regno era perduto per Corradino, e che egli con tanti
sudori e vigilie per viva forza avealo ricuperato dalle mani di due
Pontefici: ch'essendo Corradino di poca età tornerebbe facilmente a
perderlo; ed i Pontefici romani fieri inimici della casa Sveva con
facilità glielo ritoglierebbero; oltre che le genti del Regno non
avrebbero comportato, dovendosi egli valere de' Tedeschi, dei quali
aveano orrore, che dominasse più in quello la nazion tedesca; che non
bisognava ora che i popoli erano assuefatti al suo dominio, ed alle
sue maniere placide ed all'Italiana, con dar loro nuovo Principe,
mettersi in pericolo di nuove rivoluzioni; e perchè si scorgesse,
che non per ambizion di regnare, ma per maggior utile del piccolo
Re, egli non lasciava il Regno, prometteva di conservarlo per lui e
governarlo per lui, e mentr'egli vivea, e da poi lasciarlo a Corradino:
che perciò avrebbe la Reina fatto assai prudentemente di mandarlo a
lui ad allevare, acciocchè apprendesse i costumi italiani perch'egli
l'avrebbe tenuto, non come nipote, ma come proprio suo figliuolo[69].
Gli Ambasciadori ricevuta tal risposta, chiesta licenza, si partirono
riccamente presentati; e mandò al Duca di Baviera dieci corsieri
bellissimi, ed al picciolo Corradino molte gioie.
Rimandati con queste risposte i Legati del Duca e della Regina,
riputando questa infelice Principessa esser molto dura e difficil
impresa poter colle sue forze ritoglier ora dalle mani di Manfredi il
Regno, le fu forza dissimular il tutto, riserbando a tempo migliore
di poter vedere il piccolo Re suo figliuolo restituito al Trono di
Sicilia.
Intanto Manfredi stabilito ora più che mai nel Regno, avendo abbassate
le forze del Pontefice, e dei Guelfi in Italia, s'era reso formidabile
a tutta Italia, avea esteso oltre quella la sua fama e grido per
tutte le altre Nazioni d'Europa per lo suo coraggio, munificenza
e splendidezza, e per tutte le altre virtù, che adornavano la sua
persona, veramente regie. Si vide perciò favorito e stimato da quasi
tutti i Principi di Europa, co' quali egli trattava con estraordinaria
magnificenza e splendore; ed accadde in questi tempi, ch'essendo
venuto a Bari Baldovino Imperador di Costantinopoli, trovandosi egli
in Barletta, andò subito cortesemente a riceverlo, e lo trattenne
in splendidissime feste e diversi giuochi d'armi; e non perdonando
a spese, fece far superbi apparati e giostre continue, ove furono
invitati i Signori più riguardevoli così dell'uno, come dell'altro
reame.
Per la celebrità della fama, che aveasi con sì generosi modi
acquistata, fu mosso il Re Giacomo d'Aragona a volersi imparentar con
lui, sposando il suo primogenito Pietro d'Aragona alla sua figliuola
_Costanza_, ch'egli avea generata di Beatrice figliuola di Amadeo
Conte di Savoja sua prima moglie, presa in tempo, che ancor vivea
l'Imperadore suo padre[70]; ed il Marchese di Monferrato si sposò
un'altra sua figliuola.
Dispiacquero al Pontefice Alessandro queste parentele, e per impedire
quella col Re d'Aragona ingiunse a Raimondo di Pennaforte Frate
Domenicano, e celebre per la sua Compilazione _delle Decretali_,
che s'adoperasse con ardore, ed efficacia appresso quel Re, di cui
egli era Confessore, per frastornarla; ma tutti gl'impegni del Papa,
e le insinuazioni di Fra Raimondo a nulla valsero; laonde vedutosi
Alessandro fuor di speranza, non ebbe ardire per quel tempo, che
sopravvisse, di mai più molestarlo; per la qual cosa Manfredi insino
alla morte d'Alessandro, regnò con molta quiete e felicità, riordinando
le cose del Regno; e nato per opre magnifiche, volle anco presso di noi
lasciar di se perenne ed immortal memoria, con fondare alla falda del
Gargano ne' lidi del mare Lina magnifica città, che estinse affatto
l'antica Siponto, e che dal suo insino ad ora ritiene il nome di
_Manfredonia_, ancorchè Carlo d'Angiò occupato il Regno, ed i romani
Pontefici per l'implacabil odio al nome di Manfredi, avessero fatto
ogni studio, perchè non _Manfredonia_, ma _Nuovo Siponto_ s'appellasse.
Il Pontefice Alessandro non potendo sostener di vantaggio i continui
dispiaceri, che per le prosperità di Manfredi, e de' Ghibellini
riceveva nell'animo, vinto finalmente da grave cordoglio, mentr'era
colla sua Corte a Viterbo, gravemente infermossi, ed indi a poco
uscì di vita in quest'anno 1260 secondo l'Anonimo, perchè il Sigonio,
Inveges ed altri comunemente riportano la sua morte nell'anno seguente
1261.
I Cardinali nell'elezione del successore furono in grandissimi
contrasti; e finalmente non potendo infra di loro convenire, dopo
tre mesi elessero persona fuori del lor Collegio. Questi fu Giacomo
Patriarca di Gerusalemme, che si trovava allora in Viterbo per
promovere col Papa alcuni interessi della sua Chiesa. Egli era di
nazione franzese, uomo di grande spirito, zelantissimo di promovere
le pretensioni della romana Corte, ed in conseguenza fiero inimico
di Manfredi, e de' suoi Ghibellini. Urbano IV nomossi; nome assai
luttuoso, e memorando all'infelice Casa di Svevia.


CAPITOLO I.
_Spedizione d'URBANO IV contro Manfredi; ed inviti fatti in Francia per
la conquista del Regno._

Il Re Manfredi intesa l'elezione d'Urbano oltremodo turbossene, e
cominciò a temere non volesse ricorrere alle forze di Francia per
turbar quella pace, ch'ora godeva il Regno. Nè furon vani i suoi
sospetti, poichè il nuovo Pontefice, appena assunto al Ponteficato,
adoperò nuovi mezzi perchè il Re Giacomo d'Aragona disfacesse il
matrimonio già conchiuso da Pietro suo figliuolo con Costanza figliuola
di Manfredi[71]; e per mostrare maggior coraggio del suo predecessore,
volle sul bel principio ritrattar la causa di Manfredi; onde nel dì
della Cena del Signore in presenza d'innumerabil concorso di popolo
solennemente gli spedì una terribile citazione[72], e per renderla
più strepitosa, la fece affiggere nelle porte delle Chiese, per la
quale citava Manfredi di dover comparire avanti di lui per purgarsi
e difendersi sopra molti altri gravi ed enormi delitti, e ricever da
lui que' castighi e quelle pene, che la giustizia gli avrebbe persuaso
d'imporgli.
I delitti ch'erano espressi in quella citazione rapportata dal
Tutini[73], e sopra de' quali voleva prender ammenda, erano, che
Manfredi per mano de' Saraceni avea fatto abbattere e ruinare sin
da' fondamenti la città d'Ariano; che avea fatto vergognosamente
uccidere Tommaso d'Oria e Tommaso Salice; avea data crudel morte, e
con tradimento a Pietro Ruffo di Calabria Conte di Catanzaro, e fatta
crudel strage di molti fedeli della romana Chiesa.
Che in disprezzo dell'autorità Appostolica, e delle censure
ecclesiastiche, ed in destruzione di quelle, faceva celebrare avanti
di lui ne' luoghi interdetti i divini Ufficj, ciò che non era senza
sospetto d'eretica pravità: e che citato perciò dal suo predecessore
Alessandro, nè comparendo, era stato da colui scomunicato.
Che egli in obbrobrio della fede cattolica, preferiva a' Cristiani
i Saraceni, valendosi de' loro riti, e conversando con essi assai
famigliarmente; che avea ridotto il Regno di Sicilia ad uno stato
ignominioso ed in dura servitù, per l'acerbe taglie ed imposizioni,
colle quali gravava gli abitatori; che s'era anche imbrattato del
sangue de' suoi congiunti; ed avea fatto proditoriamente trucidare
Corrado Busario Nunzio e vassallo di Corradino; oltre di molti
esecrandi eccessi, per li quali era dannato di notoria infamia.
Manfredi, ancorchè non personalmente citato, ma in quella maniera, per
editto, udita la citazione, non volle mancare di mandar tosto suoi
nunzj al Papa per difendersi di quanto se gl'imputava; ma ne furono
tosto rimandati indietro senza conchiuder niente; ed approssimandosi
il tempo prefisso alla citazione di dover comparire, tornò Manfredi
a mandare altri suoi Messi; vi spedì il Giudice Attardo da Venosa,
e Giovanni da Brindisi Notai suoi famigliari, i quali con premurose
istanze dimandarono, ch'essendo stato Manfredi citato per cause ardue e
gravi, non poteva commettere a niuno de' suoi Nunzj la sua difesa, ma
che sarebbe egli personalmente venuto a presentarsi avanti il Papa ed
il Collegio de' Cardinali, purchè però se gli spedissero dal Pontefice
lettere di assicuramento, affinchè dovendo passare per luoghi della
Chiesa non ricevesse molestia ed ostilità. Il Papa gli concedè sì
bene licenza di poter venire, ma ristrinse il numero di coloro, che
doveano per sua custodia accompagnarlo, e che entrasse senz'armata;
onde Manfredi temendo di qualche insidia incamminossi alla volta del
Pontefice, ma per sua sicurezza portò seco competente numero di soldati
e molti Cavalieri per sua compagnia. Urbano ciò reputando una gran
temerità di Manfredi, sordo ed implacabile a quel, che per sua discolpa
allegavano i suoi Ambasciadori, rotto ogni indugio, rinovò le censure
contro Manfredi, e con celebrità grande non altrimente di quel che fece
il suo predecessore di nuovo lo scomunica, lo dichiara tiranno, eretico
ed inimico della Chiesa[74].
Allora Manfredi toltasi ogni lusinga di poter entrare in grazia
d'Urbano, vedendolo risoluto ai suoi danni, e che non vi era altro
rimedio, che reprimere la sua alterigia colla forza, mandò subito ad
assoldare nuove compagnie di Saraceni, spedendole a' confini del Regno,
perchè infestassero lo Stato della Chiesa in Campagna di Roma; ed
altre truppe mandò nella Marca d'Ancona, ritirandosi egli in Puglia a
provvedere a' bisogni d'una buona guerra, che già prevedea doversi fare
con Urbano.
Queste mosse accrebbero in guisa lo sdegno e l'ira nell'animo del
Papa, che non contento d'aver umiliati i Svevi in Germania, cercò
anche abbattergli in Italia; ed avendo scorto, che i ricorsi fatti
da' suoi Predecessori in Inghilterra erano riusciti tutti vani, volle
tentare se in Francia potessero avere miglior successo. Spedì pertanto
ivi M. Alberto Notajo Appostolico, a trattare col Re Lodovico perchè
accettasse l'investitura per alcuno de' tre minori suoi figliuoli,
che erano Giovanni Conte di Nevers, Pietro Conte d'Alenzon, e Roberto
Conte di Chiaramonte. Ma il Santo Re non accettò l'offerta, temendo
(come rapporta Rainaldo[75] per una lettera di questo Pontefice scritta
al soprannominato Alberto) di non scandalizzar il Mondo, assaltando
un Regno, che a Corradino Svevo era dovuto per eredità, e ad Edmondo
d'Inghilterra donato per investitura d'Alessandro IV.
Escluso per tanto Urbano dal Re Lodovico si rivolse a pubblicar
la Crociata in Francia: laonde mandò ivi un Legato Appostolico ad
assoldare buon numero di gente, ed a predicare l'indulgenza plenaria
e remissione de' peccati a chi pigliava l'arme contra Manfredi,
dichiarandolo per tiranno, eretico ed inimico della Chiesa.
Il Legato giunto in Francia pubblicò la Crociata, ed assoldò gran
numero di soldati sotto Roberto Conte di Fiandra genero di Carlo Conte
di Provenza e di Angiò, il quale venuto in Italia con buon numero di
Cavalieri franzesi, in tal modo rilevò le cose de' Guelfi, e sbigottì
i Ghibellini, che il Re Manfredi rivocò gran parte delle genti, che
teneva sparse in Italia in favore de' Ghibellini; per la qual cosa
i Guelfi di Toscana e di Romagna andarono ad incontrar Roberto, ed
insieme con lui debellarono il Marchese Uberto Pallavicino. Il Re
Manfredi per accorrere a' mali più gravi, si risolvè di passare egli
in Campagna di Roma, e ponersi in luogo opportuno, ove potesse esser
presto a vietare a' nemici l'entrata nel Regno, o venissero per la via
d'Abruzzo, o di Terra di Lavoro; e subito andossene ad accampare con
tutto l'esercito tra Frosinone ed Anagni[76].
Era allora il Papa in Viterbo, e volle che Roberto Conte di Fiandra con
tutto l'esercito passasse di là, dove benignamente l'accolse, lodandolo
ed accarezzando lui e gli altri Capi dell'esercito; e benedisse
le bandiere e le genti, con esortarlo, che seguisse il viaggio
felicemente, mandandolo carico di lodi e di promesse: delle quali
gonfiato Roberto, si mosse con tanto impeto contra il Re Manfredi, che
senza fermarsi in Roma un momento, andò ad accamparsi vicino a lui.
Ma il Re conoscendo, che non era per lui di fronteggiare nella
campagna, ma più di munir le terre, e guardar i passi, per
temporeggiare quella Nazione, che di natura è impaziente delle fatiche,
quando vanno a lungo, si ritirò di quà dal Garigliano, da quella parte,
che divide lo Stato della Chiesa dal Regno di Napoli; e già Roberto
cercava di passar ancora quel fiume. Ma perchè la mano del Signore
avea riserbato ad altri il ministerio della ruina di Manfredi, ecco
che i Romani si ribellarono, e tolsero in tutto l'ubbidienza al Papa,
e crearono un nuovo Magistrato detto de' Banderesi; per la qual cosa
Urbano fu stretto a chiamare l'esercito franzese, per mantenere almeno
con la persona sua il resto dello Stato ecclesiastico, che non seguisse
l'esempio di Roma.
Non lasciò Manfredi di pigliare sì opportuna occasione, e di
travagliarlo; poichè partito che fu dall'altra riva del fiume
l'esercito nimico, passò solo coi Saraceni, ricusando i suoi Baroni
regnicoli d'andare con lui ad offesa delle terre della Chiesa, col
pretesto che l'obbligo loro era solo di militare per la difensione
del Regno[77]; come se non fosse difender il Regno, con tal diversione
abbattere le forze del nemico. Ma Manfredi cedendo al tempo, dissimulò
l'abbandonamento, e con placidezza diede a tutti licenza, perchè
partissero ed andassero quietamente alle lor case: gli richiese
solamente a titolo d'imprestito, che lo sovvenissero di que' danari
che aveano portato seco per le spese: ciò che fu trattato dal Conte di
Caserta, e così fu fatto.
L'intrepido Re solamente co' suoi Saraceni andò verso Roma, e
porgendo aiuto agli altri ribelli del Papa, perturbò tanto lo Stato
ecclesiastico, che quelli Franzesi ch'erano venuti al soldo, non
potendo aver le paghe, se ne ritornarono di là dall'Alpi, e gli altri
che rimasero, appena bastarono a difenderlo.

§. I. _Invito d'URBANO fatto a CARLO d'Angiò per la conquista del
Regno._
Questo accidente accaduto al Papa co' Romani, e 'l veder co' suoi
ribelli unito Manfredi, accrebbe di tanto sdegno ed ira l'animo
d'Urbano, che lo fece pensare a più potenti ed efficaci modi di
ruinarlo; e perchè vedeva con isperienza, che le forze del Ponteficato
non erano bastanti ad assoldare esercito tanto possente, che
potesse condurre a fine sì grande impresa, chiamò il Collegio de'
Cardinali[78], e con una gravissima ed accurata orazione commemorando
le ingiurie e gl'incomodi, che per lo spazio di cinquanta anni la
Chiesa romana avea ricevuti da Federico, da Corrado e da Manfredi senza
niuno rispetto, nè di religione nè d'umanità, propose, ch'era molto
necessario non solo alla reputazione della Sede Appostolica, ma ancora
alla salute delle persone loro, di estirpare quella empia e nefanda
progenie; e seguendo la sentenza della privazione di Federico data
nel Concilio di Lione da Papa Innocenzio IV concedere l'uno e l'altro
Regno, giustamente devoluto alla Chiesa, ad alcun Principe valoroso e
potente, che a sue spese togliesse l'impresa di liberare non solo la
Chiesa, ma tanti Popoli oppressi ed aggravati da quel perfido e crudel
tiranno, dal quale parevagli ad ora ad ora di vedersi legare con tutto
il sacro Collegio, e mandarsi a vogare i remi nelle galee. Queste e
simili parole dette dal Papa con gran veemenza commossero l'animo di
tutto il Collegio, e con gran plauso fu da tutti lodato il parer di Sua
Santità, e la cura che mostrava avere della Sede Appostolica e della
salute comune.
Si venne perciò alla discussione intorno all'elezione del Principe:
e poichè dal Re Errico d'Inghilterra non era da sperarsi cos'alcuna
per esser lontano, per essersi veduto fin ora inutilmente averlo
aspettato tanto, bisognava metter l'occhio ad altro Principe. Dal
Re di Francia esserne già stato escluso. Nè era da sperar soccorso
da Alemagna, implicata allora tra fiere guerre per l'elezione di due
Re de' Romani, cioè d'Alfonso X Re di Spagna e di Rainulfo fratello
del Re d'Inghilterra. Gli altri Principi di Spagna, essere parte a
Manfredi congiunti di sangue, e parte lontani ed impotenti; onde non
restava, che dalla Francia, come non molto lontana e sempre propensa a
soccorrere la Chiesa romana, di ricercar ajuto.
Era allora Carlo Conte di Provenza assai famoso in arte militare ed
illustre per le gran cose fatte da lui contra gl'Infedeli in Asia sotto
le bandiere di Re Luigi di Francia suo fratello[79], colui che per
l'innocenza di sua vita adoriamo ora per Santo; e perchè era ancora ben
ricco e possedeva per l'eredità della moglie tutta Provenza, Linguadoca
e gran parte del Piemonte; parve al Papa ed a tutto il Collegio subito
che fu nominato che fosse più di tutti gli altri attissimo a questa
impresa; onde senz'altro indugio elessero Bartolommeo Pignatello
già Arcivescovo d'Amalfi, ed ora di Cosenza e poi di Messina[80],
per andare con titolo di Legato Appostolico a trovarlo in Provenza
e riferirgli la buona volontà del Papa e del Collegio di farlo Re di
due Regni, ed a trattare la venuta sua e sollecitarla quanto prima si
potesse.
Fu anche in quest'anno 1263 da Urbano inviato in Inghilterra altro
Legato al Re Errico e ad Edmondo suo figliuolo, affinchè non volendo
accettar i patti contenuti nell'investitura concessa, nè essendo
in istato di adempir le condizioni, colle quali era stato il Regno
conceduto, rinunziassero in mano del detto Legato le ragioni che mai
potessero avere in questi Reami per l'investitura fattagli da Papa
Alessandro IV.
(Lunig[81] rapporta il breve d'Urbano IV drizzato in quest'anno 1263
al Re d'Inghilterra, riprendendolo della sua negligenza, e che perciò
rinuncii all'investitura del Regno, minacciandolo di volerne investir
altri. E ripigliando il trattato con Lodovico IX Re di Francia,
offerendo l'investitura a Carlo suo fratello, gli scrisse per ciò due
Brevi, che pur si leggono presso Lunig[82]).
E que' Principi prontamente, nauseati da tanti patti e condizioni dal
Papa ricercate, rinunciarono l'investitura[83], nè vollero di ciò più
sentir parola; ond'è che gl'Inglesi dicono che i Papi dopo aver tirate
dall'Inghilterra grandissime somme di denaro per questo negozio, la
fecero restar delusa d'ogni speranza, incolpando il Re Errico, il
quale essi dicono, avrebbe dovuto alla prima rifiutar questa corona,
o almeno rinunziarla tosto, da poi che vide le tante condizioni e
difficoltà; e pensare che donare un Regno, sopra del quale non vi si
abbia in sostanza alcun diritto, a condizione che s'abbia da andare
a conquistare a proprie spese e rischio, è lo stesso, che fare un
presente egualmente ingiusto e nocevole, e che fa tanto male a colui
che l'accetta, quanto disonore a chi lo dona.
Intanto l'Arcivescovo di Cosenza giunto in Provenza, espose con molto
vigore ed efficacia l'ambasciata; e come era uomo del Regno di Napoli
e fiero inimico di Manfredi, cui avendo egli in tanti modi offeso,
e dubitando non ne prendesse vendetta, premeva molto di ridurre ad
effetto quest'impresa; esagerò a quel Principe con molto spirito
e vivacità la bellezza e l'opulenza dell'uno e l'altro reame, e
l'agevolezza d'acquistargli, per l'odio che portavano universalmente i
popoli alla casa di Svevia.
Carlo, ancorchè Principe ambizioso, intesa l'ambasciata, restò alquanto
sospeso, pensando all'arduità dell'impresa ed all'avversione, che
v'ebbe sempre il Re Luigi suo fratello, onde fu per rifiutar l'offerta;
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