Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5 - 09

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Evangelica_, siccome è ampiamente trattato nelle _Decretali_[190], dove
il Papa vuol prendere a giudicare delle differenze tra i Re di Francia
e d'Inghilterra toccante la devoluzione pretesa dal Re di Francia de'
Feudi e Signorie, che il Re d'Inghilterra teneva di quella Corona, a
cagion della costui fellonia; per la qual cosa essi si pretendevano
Giudici competenti quasi in ogni azione eziandio personale, anche tra
laici, dicendo, che rare volte ella era esente dalla _mala fede_, e per
conseguenza dal _peccato_, o dell'una, o dell'altra parte: e quando si
trattava dell'esecuzione de' contratti, essi non facevano difficoltà di
tirar alla loro conoscenza la lite, a cagion del giuramento, che per
lo stile comune de' Notai vi è inserito[191], confondendo malamente
la _censura_ de' costumi colla _giurisdizione_, e la _correzion
penitenziale_ colla _giustizia contenziosa_, senza aver riguardo
al fatto di Natan con Davide rapportato anche da Graziano nel suo
_Decreto_[192].
III. Per somigliante ragione essi sostenevano, che la conoscenza de'
testamenti loro appartenesse, come materia di coscienza, dicendo,
ch'erano li naturali esecutori di quelli; anzi ch'essendo il corpo
del defunto testatore lasciato alla Chiesa per la sepoltura, la Chiesa
ancora erasi fatta padrona de' suoi mobili per quietare la coscienza,
ed eseguire il suo testamento. E Carlo _Loyseau_[193] ci testifica,
che in Inghilterra erasi introdotto perciò costume, che quando
taluno moriva senza testamento, il Vescovo o persona da lui destinata
s'impadroniva de' mobili di quello. E che in Francia anticamente gli
Ecclesiastici non volevano seppellire i morti, se non si metteva
tra le loro mani il testamento, o in mancanza del testamento, non
s'otteneva licenza speziale del Vescovo; tanto che nell'anno 1407
bisognò che il Parlamento rimediasse a tanto abuso, con far decreto
contro il Vescovo di Amiens, e li Curati d'Abbeville, che coloro, che
morivano intestati, fossero senza contraddizione, e senza comandamento
particolare del Vescovo seppelliti. Ed erasi parimente in Francia
introdotto costume, che gli afflitti eredi per salvare l'onore del
defunto, morto senza testare, dimandavano permissione al Vescovo di
poter per lui testare _ad pias causas_; e vi erano degli Ecclesiastici,
li quali costringevano gli eredi dell'intestato di convenire a prender
Arbitri, per determinare la somma, che il defunto avesse dovuto legare
alla Chiesa.
Da queste intraprese degli Ecclesiastici nacque nel nostro Regno la
pretensione di alcuni Vescovi, d'arrogarsi la facoltà di far essi i
testamenti _ad pias causas_ per li laici, che muojono ab intestato,
siccome per antica usanza lo pretesero i Vescovi di Nocera de' Pagani,
d'Alife, d'Oppido, di S. Marco ed altri Prelati nelle loro diocesi, i
quali sovente applicavano i beni del defunto a se stessi. Ed in alcune
parti del Regno i Prelati pretesero indistintamente d'applicarsi a lor
beneficio la quarta parte de mobili del defunto morto senza testare. E
si penò molto presso di noi per estirpar questi abusi, e non se negli
ultimi tempi, alle reiterate consulte della regia Camera, e voti del
Collaterale, vi si diede rimedio, con ispedirsi più lettere ortatoriali
a' Vescovi, affinchè non presumessero d'arrogarsi tal potestà, e
sovente contro gl'inobbedienti si è proceduto al sequestro delle loro
entrate, ed a carcerazioni de' congiunti; non perdonandosi nemmeno al
Vescovo di Nocera, con tutto che per se allegasse _l'immemoriale_, come
un abuso condannabile, e più tosto corrutela, che lodevole usanza[194].
Da ciò è nato ancora, che siavi presso di noi rimaso costume, siccome
anche dura in Francia che li Curati, o i Vicari siano capaci come i
Notai di ricevere li testamenti, e quando dispongano _ad pias causas_,
ancorchè fatti senza solennità, dar loro vigore ed osservanza.
IV. Per cagion della _connessità_, se tra più compratori, coeredi, o
condebitori, uno ne fosse Cherico, essi dicevano, che il privilegiato,
come più degno, deve tirare avanti il suo Giudice tutte le altre parti.
Parimente li Canonisti dicevano, che il laico poteva prorogare la
giurisdizione ecclesiastica, e non il Cherico la secolare: e dicevano
ancora, che apparteneva al Giudice ecclesiastico supplire il difetto,
o negligenza del Giudice laico, e non al contrario; e quando se gli
dimandava la ragione, essi dicevano, che ciò era, perchè anticamente
gli Ecclesiastici erano giudici de' laici così ben che de' Cherici,
e che non v'era perciò inconveniente, che le cose tornassero nella
loro prima natura, come dice il Cardinal Ostiense[195]. E pure
da' precedenti libri di quest'Istoria si è chiaramente veduto, che
la giustizia ecclesiastica in ciò che ella è contenziosa, è stata
conceduta dalli Principi, e dismembrata dalla giustizia temporale ed
ordinaria, e fu chiamata perciò _privilegio Chericale_; e li Canonisti
la chiamano pure _privilegium Fori_, per denotare ch'è contro il
diritto comune.
V. Essi sostenevano, che tutte le cause difficili, spezialmente in
punto di ragione, loro appartenessero, e principalmente quando vi era
diversità d'opinioni tra' Giureconsulti o Giudici: allegavano perciò
quel passo del _Deuteronomio_[196]: _Si difficile, et ambiguum apud te
judicium esse prospexeris, et judicium intra Portas videris variari,
venies ad Sacerdotes Levitici generis, et ad Judicem, qui fuerit illo
tempore, qui judicabunt tibi veritatem, et facies quaecumque dixerint
qui praesunt in loco, quem elegerit Dominus_. Quando è a tutti palese
la gran differenza tra le leggi romane, e la politia del vecchio e
nuovo Testamento. E da questo principio avvenne, che si veggano in più
luoghi delle _Decretali_ cause difficili decise da' Pontefici, che non
erano in conto alcuno della giustizia ecclesiastica, come fra l'altre
la famosa decretale _Raynutius_[197].
VI. Dicevano, che apparteneva ad essi il supplire al difetto,
negligenza, o suspizione del Giudice laico[198]; e sotto questo
pretesto, se un gran processo durava lungo tempo nel Tribunale
secolare, lo tiravano a loro. Quindi s'arrogavano la facoltà di
conoscere delle suspizioni de' Giudici laici, e quest'abuso non pure in
Francia, come testifica _Loyseau_[199], ma anche ne' Regni di Spagna
erasi introdotto[200], e presso di noi nel Regno degli _Angioini_
avea preso anche piede; e fu tanta la soggezione a' Pontefici romani,
ovvero la stupidezza de' nostri Principi _Angioini_, che non senza gran
maraviglia, tra i Riti della nostra Gran Corte della Vicaria[201], si
legge una prammatica della Regina Giovanna II colla quale ordina, che
(toltane la città di Napoli, dove vuole che le suspizioni si conoscano
dal G. Protonotario) in tutte le altre città e luoghi del Regno, le
suspizioni s'abbiano ad allegare avanti il Vescovo diocesano, e suo
Vicario. E con tutto che nel regno degli _Aragonesi_ non si fosse fatta
osservare, nulladimanco non mancavano i Vescovi, quando lor veniva
fatto, di prenderne la conoscenza.
Ma succeduti gli _Spagnuoli_, usarono costoro rimedj più forti per
togliere quest'abuso, perchè avendo nel 1551 l'Arcivescovo d'Acerenza
tentato d'intromettersi a conoscere della suspizione allegata innanzi
a lui dal Capitano di Pietrapertosa contro i suoi Sindicatori, D.
Pietro di Toledo, ad istanza di quella Università, con voto del
regio Collateral Consiglio, scrisse una grave lettera ortatoriale
all'Arcivescovo, insinuandogli, che dovesse astenersi di conoscere di
quella sospizione, spettando tal conoscenza alla giurisdizione del Re,
non essendo stata la pretesa prammatica osservata, e che facendone
il contrario avrebbe proceduto contro di lui, come di chi cerca
usurparsi la giurisdizione regia[202]: la qual lettera, narra Prospero
Caravita[203], averla egli fatta imprimere fra le altre prammatiche di
questo Regno, che oggi giorno si legge in quel volume. E nel governo
di D. Parafan di Riviera, essendo stato questo Vicerè avvisato che
i Vescovi e i loro Vicarj nelle province di Principato citra e di
Basilicata, s'abusavano d'intromettersi a conoscere delle cause di
sospizione degli Ufficiali, dirizzò nel 1566 un premuroso ordine al
Governadore di quelle province, comandandogli, che in suo nome facesse
emanar bando sotto gravi pene in tutte le città, terre e luoghi di
quelle province, che nelle cause di sospizioni le parti litiganti non
debbano più aver ricorso a' diocesani, ma che lo dovessero avere nella
regia Audienza, dove loro sarà ministrato complimento di giustizia:
il quale ordine fu pure fatto imprimere tra le nostre prammatiche[204]
affinchè tra noi si togliesse affatto quest'abuso.
VII. Sotto colore, che negli antichi Canoni trovavano, che il Vescovo
era protettore delle persone miserabili, come delle vedove, pupilli,
stranieri e poveri, volevano conoscere di tutte le loro cause[205];
ancorchè vi sia gran differenza tra proteggere i miserabili, e
proccurar per essi la giustizia, che d'esser Giudice delle loro cause.
VIII. Inventarono un altro genere di giudicio, chiamato di _Foro
misto_, volendo, che contro il secolare possa procedere così il
Vescovo, come il Magistrato, dando luogo alla prevenzione, come sono
i delitti di bigamia, d'usura, di sagrilegio, d'adulterio, d'incesto,
di concubinato, di bestemmia, di sortilegio e di spergiuro, siccome
ancora le cause di decime e di legati pii. Nel che essi v'aveano questo
vantaggio, perchè colla esquisita lor sollecitudine, sempre prevenendo,
non lasciavano mai luogo al Magistrato secolare, e se l'appropriavan
tutti, come reputati anche da essi, delitti ecclesiastici. E nel
nostro Reame non si finiron d'estirpare affatto questi abusi, se non
nel Regno degli _Spagnuoli_, i quali non ammisero prevenzione alcuna,
e la cognizione de' suddetti delitti contro i laici fu attribuita
interamente a' Giudici regi[206]; non dovendosi riputar in modo alcuno
ecclesiastici perchè veramente li delitti ecclesiastici, o sono quelli
che concernono la politia ecclesiastica, come dice Giustiniano nella
_Nov._ 83 ovvero li minori delitti, di cui la Giustizia ordinaria
ne trascura la ricerca, e di cui perciò la primitiva Chiesa ne
intraprendeva la _censura_ o correzione, per conservare una particolar
purità di costumi tra' Cristiani; ma questa correzione ei faceva
sommariamente, e senza giudizio contenzioso; come si è narrato nel
primo e secondo libro di questa Istoria.
IX. Si appropriarono tutte le cause matrimoniali, dicendo, che essendo
stato il contratto di matrimonio da Cristo S. N. elevato a Sacramento,
la cognizione di tutte le cause a quello appartenenti deve essere
de' Giudici ecclesiastici. Ma s'è veduto ne' precedenti secoli, che
i Principi cattolici presero essi la cura dei matrimonj, essendo cosa
chiarissima, che le leggi de' matrimonj, i divieti e le dispense de'
gradi, tutte furono stabilite dagl'Imperadori; e fin tanto che le leggi
romane ebbero vigore, i giudicj a quelli appartenenti erano innanzi
a' Magistrati secolari agitati: il che la sola lettura de' Codici di
Teodosio e di Giustiniano e delle Novelle lo dimostra evidentemente. E
nelle formole di Cassiodoro[207], come altrove fu da noi rapportato,
restano memorie de' termini usati da' Re ostrogoti nelle dispense
de' gradi proibiti, che allora erano reputate appartenere al governo
civile, e non cosa di religione; ed a chi ha cognizione dell'istoria, è
cosa notissima, che gli Ecclesiastici sono entrati a giudicar cause di
tal natura, parte per commessione e parte per negligenza de' Principi
e de' Magistrati. Ma di ciò ora, per la determinazione del Concilio di
Trento[208], non lece più dubitarne.
Finalmente i Dottori romani[209] arrivarono insino ad insegnare, che i
delinquenti ne' territorj d'altri Principi, non si debbano rimettere,
ma mandarsi a dirittura in Roma per esser puniti, perchè il Papa
essendo il Signore della città di Roma, ch'è la comune Patria di tutti,
avendo l'Imperador Antonino per sua legge[210] statuito, che tutti
coloro, che nascono nell'Orbe romano, s'intendano fatti cittadini
romani, meritamente come suoi sudditi può prendergli a giudicare e
punirgli[211].
Nè finirono qui le loro intraprese, perchè vi sono altri innumerabili
casi, ne' quali eran costretti i laici piatire avanti Giudici
ecclesiastici, de' quali non comporta il mio istituto farne qui un
più lungo catalogo. Essi furon nientedimeno compresi da Ostiense[212]
in sette versi, che chi gli considera, non può non rimaner sorpreso
in veggendo a quale sterminata ampiezza avessero gli Ecclesiastici a
questi tempi stesa la loro conoscenza; donde conoscerà ancora, che non
vi è fine all'usurpazione, da poi che una volta li limiti della ragione
sono superati ed oltrepassati.
Tutte queste intraprese della Giustizia ecclesiastica, non meno
presso di noi, durante il Regno degli _Angioini_, che in Francia
durarono lungamente, ma da poi i Franzesi valendosi di rimedi forti
ed efficaci, ruppero le catene; e per l'Ordinanza del 1539 furono
molto ben risecate, la quale rimise la loro giustizia al giusto punto
della ragione, lasciando solamente alla Chiesa la conoscenza de'
Sacramenti tra tutte le persone, e delle sole cause personali degli
Ecclesiastici[213]; che fu in effetto ritornare all'antica distinzione
delle due potenze, lasciandosi le persone e le cose spirituali alla
Giustizia ecclesiastica, e le temporali alla temporale. Nel nostro
Reame gli _Spagnuoli_ cominciarono a risecar gli abusi, ma non
ridussero la loro Giustizia al giusto punto, come si fece in Francia;
perchè gli _Spagnuoli_, come saviamente fu osservato da Pietro di Marca
Arcivescovo di Parigi, e da noi si farà vedere, quando ci toccherà
ragionare del lor governo, vollero medicar la ferita giurisdizione
regia con impiastri ed unguenti, non già col fuoco e col ferro, come si
era fatto in Francia.

§. IV. _Tribunale dell'Inquisizione._
Per meglio stabilir la Monarchia, fu in questo secolo introdotto in
Roma il Tribunale dell'Inquisizione. Innocenzio III, come si è veduto
nel decimoquinto libro di quest'Istoria, non avea agl'Inquisitori
eretto Tribunale alcuno; ed il nostro Imperador Federico II nè
meno presso di noi l'eresse, ma a' Magistrati ordinari commise la
condannazione degli Eretici, i quali insieme co' Prelati delle Chiese
da lui destinati, ai quali s'apparteneva la conoscenza del diritto,
dovevano invigilare per estirpargli. Ma morto l'Imperador Federico,
essendo le cose di Germania in confusione, e l'Italia in un Interregno,
che durò 23 anni, Innocenzo IV rimanendo quasi arbitro in Lombardia,
ed in alcune altre parti d'Italia, e vedendo il gran progresso, che
gli Eretici aveano fatto nelle turbazioni passate, applicò l'animo
all'estirpazione di quelli; e considerate l'opere, che per l'addietro
aveano fatte in questo servigio i Frati di S. Francesco, ebbe per
unico rimedio il valersi di loro, adoperandogli, non come prima, solo a
predicare, o congregare i _Crocesignati_, ma con dare ad essi autorità
stabile, ed erger loro un fermo Tribunale, il quale d'altra cosa non
avesse cura.
Ma a ciò due cose s'opponevano: l'una, come si potesse senza confusione
smembrar le cause d'eresia dal Foro episcopale, che le avea sempre
giudicate, e costituir un Ufficio proprio per esse sole: l'altra come
si potesse escludere il Magistrato secolare, al giudicio del quale era
commesso il punir gli Eretici, per l'antiche leggi imperiali, e per
l'ultime dell'Imperador Federico II ed ancora per li propri statuti,
che ciascuna città era stata costretta ordinare, per non lasciar
precipitare il governo in que' gran tumulti. Al primo inconveniente
trovò il Pontefice temperamento, con erger un Tribunale composto
dell'Inquisitore e del Vescovo, nel quale però l'Inquisitore fosse
non solo il principale, ma il tutto, ed il Vescovo vi avesse poco più,
che il nome. Per dar anche qualche apparenza d'autorità al Magistrato
secolare, gli concesse d'assegnar li Ministri all'Inquisizione, ma
ad elezione degl'Inquisitori medesimi: di mandare coll'Inquisitore,
quando andasse per lo Contado, uno de' suoi Assessori, ma ad elezione
dell'Inquisitore stesso: di applicare un terzo delle confiscazioni al
Comune; ed altre cose tali, che in apparenza facevano il Magistrato
compagno dell'Inquisitore, ma in sostanza servo. Rimaneva di proveder
il danaro per le spese, che si sarebbero fatte nel custodire le
prigioni, ed alimentar gl'imprigionati; laonde si ordinò, che le
Comunità le pagassero, e così fu risoluto, essendo il Papa in Brescia
l'anno 1251.
Furono per tanto deputati li Frati di S. Domenico Inquisitori in
Lombardia, Romagna e Marca Trivisana, li quali adempiendo al lor
ufficio con molto rigore, cagionarono in Lombardia qualche tumulto:
perciocchè avendo nel seguente anno Innocenzio deputato Inquisitore di
Milano Fr. Pietro da Verona dell'Ordine de' Predicatori,[214] costui
per estirpar da quella città alcuni infettati d'eresia, che si facevano
chiamar _Credenti_, non trascurava diligenza per punirgli, _onde alcuni
incarcerava_ (sono parole del Pansa[215]) _ad altri dava bando, e gli
ostinati, in balia della Corte secolare faceva con l'ultimo supplicio
del fuoco punire; ed avea già fatto molte esecuzioni, ed ordinato
di farne dell'altre dopo Pasqua di Resurrezione_; di che intimoriti
alcuni principali Milanesi, dubitando della lor vita per li processi,
che avean presentito aver loro fatti fabbricare l'Inquisitore,
si congiurarono insieme, e risolvettero di prevenir l'Inquisitore
con farlo morire; onde accordati gli assassini, questi postisi in
agguato in una solitudine fra Milano e Como, dove all'Inquisitore
occorreva passare, quando lo videro, gli corsero subito colle spade
nude addosso, e l'uccisero. Di che fattosene in Milano gran rumore, e
preso de' delinquenti severo castigo, Innocenzio, per questo martirio
sofferto, volle canonizzarlo per Santo, siccome la prima domenica di
quaresima del seguente anno 1253 con molta solennità fu celebrata la
canonizzazione, ed ascritto nel Catalogo de' Santi _Pietro Martire
da Verona_. Si segnalarono anche in cotal guisa molti altri Frati di
quest'Ordine, e di quello ancora de' _Frati Minori_, i quali mandati
dal Papa nelle parti di Tolosa, molti ne furono per simili esecuzioni
ammazzati. Ma non perciò riputò Innocenzio di rallentar il rigore,
anzi sette mesi da poi che in Brescia avea date le leggi per questo
Tribunale, dirizzò una Bolla a tutti i Rettori, Consigli e Comunità
di quelle tre province, prescrivendo loro XXXI Capitoli, che dovessero
osservare per lo prospero successo del nuovo Tribunale, comandando, che
li Capitoli fossero registrati fra gli Statuti del Comune, ed osservati
inviolabilmente. Diede poi autorità agl'Inquisitori di scomunicargli,
ed interdirgli, se non gli osservassero. Non si distese il Pontefice
per allora ad introdurre l'Inquisizione negli altri luoghi d'Italia, nè
fuori di quella, dicendo, che le tre province soprannomate erano più
sotto gli occhi suoi e più amate da lui. Ma la principal cagione era,
perchè in queste egli avea grande autorità, essendo senza Principi,
e facendo ogni città governo da se sola, nel quale il Pontefice avea
anche la parte sua, poichè aveva loro aderito nell'ultime guerre. Ma
contuttociò non fu facilmente ricevuto l'editto; onde Alessandro IV
suo successore, sette anni da poi, nel 1259, fu costretto a moderarlo
e rinovarlo. Comandò tuttavia agl'Inquisitori, che con le censure
costringessero li Reggenti della città all'osservanza.
Per la stessa cagione Clemente IV, sei anni da poi, cioè nel 1265
lo rinovò nel medesimo modo, nè però fu eseguito per tutto, finchè
quattro altri Pontefici suoi successori non fossero costretti ad usar
ogni loro sforzo per superar le difficoltà, che s'attraversavano nel
far ricevere il Tribunale in qualche luogo. Nascevano le difficoltà da
due capi: l'uno per la poco discreta severità de' Frati Inquisitori,
e per l'estorsioni ed altri gravami: l'altro, perchè le Comunità
ricusavano di somministrar le spese; per la qual cosa risolsero di
deporre la pretensione, che le spese fossero fatte dal Pubblico; e per
dar temperamento al rigore eccessivo degli Inquisitori, diedero qualche
parte di più al Vescovo, il che fu cagione, che con minor difficoltà
s'introducesse l'Inquisizione in quelle tre province di Lombardia,
Marca Trivisana e Romagna e poi in Toscana ancora, e passasse in
Aragona ed in qualche città d'Alemagna e di Francia. Ma da Francia e
da Alemagna presto fu levata, essendo alcuni degl'Inquisitori stati
scacciati da que' luoghi per li molti rigori ed estorsioni, e per
mancamento ancora de' negozi. Per la qual cagione si ridussero anche
a poco numero in Aragona; poichè negli altri Regni di Spagna non erano
penetrati.
Nel nostro Reame di Puglia, mentre durò il Regno de' Svevi, non fu
variato il modo stabilito dall'Imperador Federico di procedere contro
gli Eretici. Nè, morto Federico, per la nimistà e continue guerre
tra Corrado e Manfredi suoi successori con Innocenzio e con gli altri
seguenti Pontefici, fu introdotta novità alcuna. Nelle _Corti Generali_
da Federico istituite se ne prendeva cura, dove i Prelati doveano
denunciargli, affinchè il Magistrato vi procedesse, di cui era il
conoscer del fatto e la condanna, siccome de' Prelati la conoscenza
del diritto. Erano non da Roma, ma da' nostri Principi destinati i
Prelati per quest'Ufficio, i quali insieme co' Giudici regj, quando
bisognava, scorrevano le province, e gl'imputati d'eresia, se convinti
persistevano ostinatamente nell'errore, erano fatti morire; se davano
speranza di ravvedimento, erano mandati nel Monastero di Monte Cassino,
o a quello della Cava, dove si tenevano prigionieri, insino che dopo
aver abjurato, non soddisfacessero la pena a loro imposta, siccome si
è narrato ne' precedenti libri di questa Istoria.
Ma caduto il Regno in mano degli Angioini ligi de' romani Pontefici,
ancorchè non si fosse introdotto presso di noi Tribunal fermo
d'Inquisizione dipendente da quello di Roma; nulladimanco di volta in
volta i Pontefici solevano destinar particolari Commessari Inquisitori
per lo più Frati Domenicani, i quali scorrendo per le nostre
province, col favore e braccio del Magistrato secolare, facevano delle
esecuzioni. E quantunque queste commessioni non potessero eseguirle
senza il _placito regio_; nulladimanco i nostri Principi _Angioini_
per la soggezione, che portavano a' romani Pontefici, non solo non
gl'impedivano, ma loro facevan dare da' Giudici regj ogni ajuto e
favore; anzi sovente comandavano, che dal regio Erario loro fossero
somministrate anche le spese. Così Carlo I d'Angiò nell'anno 1269
ordinò a' suoi Ministri, che pagassero a _Fr. Giacomo di Civita di
Chieti_ Domenicano Inquisitore dell'eretica pravità nella provincia
di Terra di Bari e di Capitanata costituito dalla S. romana Chiesa, un
augustale d'oro il dì per sue spese e di un suo compagno, d'un Notajo
e tre altre persone e loro cavalli[216]; e nel medesimo anno ordinò
al Governadore della provincia di Terra di Lavoro, che a richiesta
di _Fr. Trojano Inquisitore_ costituito dalla Sede Appostolica gli
prestasse ogni ajuto, consiglio e favore, quando, e dove vorrà, e che
eseguisse subito le sue sentenze, che darà contro gli Eretici, loro
beni e fautori[217]. Parimente scrisse a' regj Secreti di Puglia,
che somministrassero 30 oncie d'oro a _Fr. Simone di Benevento_
dell'Ordine de' Frati Predicatori Inquisitore dell'eretica pravità,
costituito dalla Chiesa romana nel Giustizierato di Basilicata e di
Terra d'Otranto[218]. Il medesimo Re nel 1271 ordinò a' suoi Ministri,
che pagassero a _Fr. Matteo di Castellamare_ Inquisitore nelle province
di Calabria, un augustale il dì per le sue spese e d'un altro Frate
suo compagno, un Notajo e tre altre persone[219]: e nell'anno 1278
mandò più lettere a' Giustizieri d'Abruzzo e Capitani dell'Aquila ed a
tutti i suoi Ufficiali, che a _F. Bartolommeo dell'Aquila_ dell'Ordine
de' Predicatori Inquisitor deputato dalla Sede Appostolica nel Regno
di Sicilia, somministrassero ogni ajuto e favore, con tormentare i
rei, secondo loro dirà detto Inquisitore ed eseguire quanto da colui
verrebbe imposto[220].
Carlo II suo figliuolo nell'anno 1305 ordinò a tutti i Baroni e suoi
Ufficiali, che dassero ogni ajuto a _Frate Angelo di Trani_ Inquisitore
destinato dalla Sede Appostolica, guardando e riducendo nelle carceri
le persone macchiate d'eresie, secondo vorrà detto Inquisitore: che non
molestino i suoi uomini per portar armi: eseguano le sentenze ch'egli
darà contro le persone degli Eretici e loro beni; e che agl'Inquisitori
di tali delitti, e per gli Ufficiali regj d'ordine del detto
Inquisitore carcerati, si tormentino a richiesta di detto Frate Angelo,
acciò possa cavare la verità da essi e dagli altri[221]: e nell'anno
1307 incaricò a _Frate Roberto di S. Valentino_ Inquisitore del Regno
di Sicilia, che con tutto rigore procedesse contro l'Arciprete di
Buclanico, che corretto prima dal suo predecessore Benedetto, era
ricaduto ne' primi errori, sostenendo falsa dottrina sopra alcuni
articoli della fede Cattolica[222].
L'istesso Re negli anni 1295 e 1307 scrisse a Filippo suo figliuolo
Principe d'Acaja e di Taranto, che Papa Clemente V avea scritto un
Breve a Roberto Duca di Calabria suo figliuolo e Vicario generale
del Regno avvisandogli, che il Re di Francia avea usata grandissima
diligenza in carcerare per le loro eresie in un tempo stesso tutti li
Cavalieri Templari che erano in Francia, e sequestrati i loro beni;
e per ciò lo richiedeva, che con consiglio secreto de' suoi Savii;
facesse carcerare cautamente, e secretamente in un tempo tutti i
Cavalieri Templari, ch'erano ne' dominii, e quelli carcerati, tenergli
in buona custodia ad ogni ordine della Camera appostolica, siccome
facesse sequestrare tutti i loro beni, e li tenesse in nome della
medesima: onde Re Carlo ordina al detto suo figliuolo, che esegua detto
Breve nel Principato d'Acaja, siccome il Duca di Calabria avrebbe fatto
nel Regno.
Il Re Roberto suo successore nell'anno 1334 parimente ordinò a' suoi
Ufficiali, che dessero ogni aiuto agli Inquisitori destinati da Roma;
ed il medesimo stile fu tenuto dalla Regina Giovanna I nel 1343, dal Re
Lodovico nel 1352 e dal Re Carlo III nel 1381, il quale donò a Tommaso
Marincola suo famigliare i beni confiscati del Vescovo di Trivento
eretico, come aderente all'Antipapa, e dichiarato ribelle di Santa
Chiesa e del detto Re[223].
Non a' soli _Frati Predicatori_ era commesso quest'ufficio, vi ebbero
anche parte i _Frati Minori_, i quali dichiarati dal Papa _Inquisitori_
scorrevano pure le nostre province. Era in questo secolo il numero
degli Eretici cresciuto in immenso di varie Sette e di vari istituti.
Alcuni, lasciate le loro religioni, affettando di vivere da _Solitari_
senza Regola e senza Superiori, e di menar una più austera vita, si
ritiravano nelle solitudini, e scorrevano in varie parti, contaminando
dei loro errori molta gente. Si facevano chiamare _Fraticelli,
Bizocchi, Begardi_, ovvero _Beghini_; e presso di noi erano
moltiplicati assai ne' Monti d'_Abruzzo_ e nella vicina Marca d'Ancona.
Erano usciti dall'Ordine dei Frati minori, ed avevano quasi tutti gli
stessi principii e la stessa condotta; ed i loro Gonfalonieri furono
due Frati minori, _Pietro di Macerata_ e _Pietro di Forosempronio_, i
quali prima ottennero da Papa Celestino V amatore della ritiratezza,
la permissione di vivere da Romiti e di seguire litteralmente la
Regola di S. Francesco; ma da poi Onorio IV, Niccolò IV e Bonifacio
VIII condennarono il loro istituto; e i loro successori Clemente V e
Giovanni XXII gli suppressero affatto[224]. Era commessa per lo più la
cura d'estirpargli a' _Frati Minori_; onde si legge, che Bonifacio VIII
commise a _Fr. Marco_ di Chieti dell'_Ordine de' Minori_ Inquisitore
nella provincia di S. Francesco, che si portasse ne' Monti d'_Abruzzo_
e nella Marca d'Ancona, ed implorando, se sarà di bisogno, il braccio
secolare, proceda contro di loro e loro fautori, con incarcerargli,
scovrirgli, e manifestargli dai nascondigli, ove solevan appiattarsi,
mandargli in Roma prigioni e con molto rigore farne inquisizione[225].
Eglino si ritirarono perciò in Sicilia, cominciando a declamare contro
i Prelati e contro la Chiesa romana trattandola da Babilonia.
In cotal modo fu, durante il Regno degli _Angioini_, praticata
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