Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5 - 03

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giustizia del suo nipote, e sua.
Durando Manfredi in tal proponimento di non mandar suoi Ambasciadori
al Papa, venne da lui Maestro Giordano da Terracina Notajo della Sede
Appostolica già benevolo di Manfredi, il quale mostrando dispiacere di
queste contese, consigliò il Principe, che in tutte le maniere mandasse
al Papa i suoi Legati, perchè da questa missione non altro, che sommo
onore e comodo n'avrebbe ritratto: finalmente Manfredi mosso dal
consiglio di costui, destinò due Legati al Pontefice, dandogli potere
per trattar la pace, i quali furono Gervasio di Martina, e Goffredo di
Cosenza suoi Secretarj[48].
Giunti costoro in Napoli, ove risedeva allora la Corte del Papa,
cominciarono a trattar con alcuni Cardinali deputati per questo effetto
la pace; ed incontrandosi delle difficoltà e de' dubbj, i quali non
potevano superarsi, se non si trattasse a dirittura col Principe, i
Legati persuadevano il Papa, che mandasse un Cardinale in Puglia a
trattar con Manfredi, perchè in cotal maniera era molto facile, che
la concordia seguisse. Ma i Cardinali gonfi per la loro dignità,
e grandezza, la quale di fresco era stata da Innocenzio cotanto
innalzata, dicevano _id non convenire Sedis honori, ut Cardinales hoc
modo mittantur_[49]. Per la qual cosa lungamente essendosi contrastato
su questo punto, non poterono gli Ambasciadori del Principe in conto
veruno indurre quelli della Corte a mandar un Cardinale a Manfredi.
Il Principe intanto, vedendo che si portava in lungo il trattato, non
volle perder tempo di reintegrare al suo Contado d'Andria, ciò che
con ragione speziale se gli apparteneva; e perciò restituì a quello la
Guardia Lombarda, ch'era delle pertinenze di quel Contado, e che ancora
era rimasa in potere delle genti Papali. Si mostrarono i Cardinali,
avuta tal notizia, offesi per tal novità, e ch'era volergli deludere
e rompere con ciò ogni trattato. I Legati del Principe rispondevano,
che ciò non era violar i trattati, perchè Manfredi, ciò che avea fatto,
avealo fatto come Conte di Andria, non già come Balio; non avendo fatto
altro, che reintegrare al suo Stato quella Terra, la quale, come narra
l'Anonimo, _erat de speciali jure ipsius Principis_, e che ciò non
dovea dispiacere al Pontefice.
Ma ancorchè i Cardinali sotto questo pretesto mostrassero le loro
doglianze, non era però per altro la loro dispiacenza, se non perchè
vedendo approssimarsi tanto Manfredi col suo esercito, temevano che
finalmente non s'incamminasse verso Napoli: ed in fatti erano entrati
perciò in tanta costernazione, che il Pontefice con tutta la sua Corte
pensavano imbarcarsi, ed uscire da quella città; per la qual cosa
avvertirono gli Ambasciadori del Principe, a dovergli fare intendere,
che se veramente egli voleva la pace colla Chiesa, partisse col suo
esercito dalla Guardia Lombarda, e ritornasse in Puglia.
Gli Ambasciadori, accortisi del lor timore, gli promisero di
voler scrivere a Manfredi, che ritornasse in Puglia, come fecero;
ma nell'istesso tempo in secreto gli significarono, che se egli
s'incamminava verso Napoli, per la paura entrata nelle genti del
Papa, con facilità l'avrebbe disfatte, e si sarebbe impadronito di
Terra di Lavoro. Manfredi avuta tal notizia, era disposto, ancorchè
impedito dalle tante nevi cadute di passare in Terra di Lavoro: ma
lo ritenne l'avviso importuno in quell'istante sopraggiuntogli d'una
sollevazione scoverta in Terra d'Otranto di coloro di Brindisi, i quali
essendosi sollevati, aveano sorpresa Nardò, e fatta molta strage di
que' Cittadini e di soldati, ch'erano comandati da Manfredi Lancia, che
il Principe suo consanguineo avea creato Capitano in Terra d'Otranto;
laonde convenne a Manfredi rivocar il suo proponimento, e volle
incamminarsi verso Brindisi, come fece, lasciando la Guardia, e venne
con ciò a soddisfare alla volontà del Pontefice.
I Cardinali, veduto lui allontanato, ed implicato a questa nuova
impresa in Terra d'Otranto, si raffreddarono per la pace, nè per ciò i
Legati di Manfredi poterono conchiuder niente; anzi il Papa creò allora
un'altro Legato della Sede Appostolica per lo Regno, che fu Ottaviano
di Santa Maria in Via Lata, Diacono Cardinale, il quale appena fu
fatto, che subito cominciò ad unire gente, per formar un competente
esercito da opporsi a Manfredi: di che avvedutisi i suoi Legati, tosto
partirono da Napoli, e andarono a ritrovar il Principe, il quale già
era per incamminarsi verso Brindisi, e gli esposero ciò che il Papa
per mezzo del nuovo Legato intendeva di fare, e di essersi rotto ogni
trattato.
Manfredi, perciò non intimorito, volle proseguire l'impresa; e cinse
d'assedio Brindisi capo della ribellione, alla qual città eransi unite
molte altre di Terra d'Otranto come Oria, Otranto, Lecce e Mesagna,
e devastando il terreno d'intorno, abbattè e demolì Mesagna, fece
ritornar Lecce sotto la sua ubbidienza, ed all'assedio d'Oria tutto si
rivolse.
Or mentre questo Principe era tutto inteso a sedare queste rivolte,
altre nuove revoluzioni lo chiamarono in altre più rimote parti, in
Sicilia ed in Calabria.
Era a questi tempi il governo di queste Regioni commesso ad un solo
Moderatore, il qual era, come si disse, Pietro Ruffo di Calabria Conte
di Catanzaro. Questi essendo di fortuna assai povera, fu a' tempi
dell'Imperador Federico ammesso nella sua Corte[50]; indi tratto tratto
crescendo nella grazia di Federico, fu fatto suo intimo Consigliero,
e finalmente Maresciallo del Regno di Sicilia. Morto Federico, fu da
Manfredi dato per Balio ad Errico, perchè governasse la Calabria e la
Sicilia in suo nome. Fu da poi da Corrado fatto Conte di Catanzaro,
e confermato nel governo di quelle province; ma morto Corrado, mal
sofferendo il Baliato di Manfredi, diede di se gravi sospetti d'essersi
confederato col Pontefice Innocenzio IV a' danni del Re Corradino;
e mostrò sempre avversione con Manfredi, ed ora più che mai, che lo
vedeva potente in Puglia, gli avea sconvolta la Sicilia non meno che
la Calabria per mezzo di Giordano Ruffo suo nipote. Questi essendosi
con molta gente afforzato in Cosenza, teneva sotto la sua divozione
tutta la provincia di Val di Crati, e Terra Jordana, in guisa che
il nome del Principe Manfredi, non solo non era temuto, ma avuto in
niun conto; anzi erasi scoverto un trattato, che passava con molta
secretezza tra lui ed il Pontefice Alessandro, di darsi la Calabria in
mano della Chiesa, e già andavano, e ritornavano messi per compire il
trattato[51].
Manfredi avvisato di queste insidie da alcuni Cosentini, e da Gervasio
di Martina, tosto mandò sue truppe in Calabria, e ne fece Capitano
Corrado Truich, al quale insieme col suddetto Gervasio impose, che
guardasse quella provincia. Furono da questi valorosi guerrieri dopo
varj successi, descritti diffusamente dall'Anonimo, finalmente poste
quelle province sotto l'ubbidienza del Re Corrado; ed avendo l'esercito
di Manfredi soggiogata quasi tutta la Calabria, fu anche espugnata
Messina; e Reggio tosto si pose sotto l'ubbidienza del Principe, il
quale intanto mentre per suoi Ministri guerreggiava in Calabria e in
Sicilia, non tralasciò l'assedio d'Oria, e di ridurre le città di Terra
d'Otranto ribellanti alla sua divozione.
Ma mentre Manfredi era intento all'assedio d'Oria, e teneva le sue
forze divise in varie parti di Calabria e di Sicilia, Ottaviano Legato
della Sede Appostolica avea già ragunato un grand'esercito per invadere
la Puglia; ed era il numero delle truppe, che lo componevano, sì
grande, che obbligarono Manfredi abbandonare quell'assedio, e portarsi
in Melfi, per resistere a quel torrente, che veniva ad inondarlo. Unì
per tanto il Principe, come potè meglio, i suoi Tedeschi e Saraceni:
ed ancorchè il suo esercito di numero cedesse a quello del Legato;
nulladimeno per lo valore de' suoi soldati, con intrepidezza mirabile
se gli fece incontro, invitandolo a battaglia. Ma l'esercito papale,
alla cui testa era il Legato, non volle mai accettar l'invito, e sol
fronteggiava quello del Principe, non venendosi per più tempo a niun
fatto d'arme.
Intanto sotto la condotta dell'Arciprete di Padova, che il Legato avea
fatto suo Vicario, erasi ragunato un altro esercito per l'impresa di
Calabria; poichè Pietro Ruffo scacciato da Messina, e fuggitivo da
Calabria era ricorso al Pontefice Alessandro, animandolo all'impresa
di Calabria. S'aggiunsero ancora gli acuti stimoli di Bartolommeo
Pignatelli, creato allora dal Papa Arcivescovo di Cosenza, il quale
per l'odio implacabile, che teneva con Manfredi, fu dal Pontefice
Alessandro riputato istromento abilissimo per poterlo impiegare
insieme con Pietro Ruffo a quella impresa. Accoppiossi ancora a costoro
Bertoldo Marchese di Honebruch, al quale Alessandro, per maggiormente
adescarlo, avea conceduta l'investitura del Contado di Catanzaro, tolto
da Manfredi a Pietro Ruffo[52].
Or mentre questi erano per incamminarsi in Calabria, fu dal Legato
richiamato indietro l'Arciprete, per dover colle sue truppe accrescere
l'esercito, che fronteggiava con quello di Manfredi; e s'avviarono
l'Arcivescovo di Cosenza, e Pietro Ruffo in Cosenza, ove giunti,
avendo prima sparse molte finte novelle, per atterrire que' Popoli,
finalmente gli richiesero, che si rendessero al Papa. Ma stando
alla difesa di que' confini Gervasio di Martina, fece loro valida
resistenza; e poichè, per la mancanza delle genti dell'Arciprete,
l'esercito dell'Arcivescovo era molto estenuato, questo Prelato
per accrescere il numero, tenendone facoltà dal Papa, cominciò
a _crocesignare_ quanti Calabresi potè avere per que' contorni,
togliendogli dalla zappa, dall'aratro e dal remo, i quali correvano
in folla a farsi crocesignare; poichè l'Arcivescovo avea pubblicata
la _Crociata_ contro Manfredi, con remissione di tutti i loro
peccati, e indulgenze così plenarie, come se pigliassero la Croce
contro Infedeli per discacciargli da Terra Santa, e dal Sepolcro di
Cristo[53]. Si crocesignarono perciò da duemila Calabresi, che uniti
colle genti dell'Arcivescovo, ancorchè mal in arnese d'armi e cavalli,
nulladimanco come se andassero a prender il martirio per la Fede,
mostrarono intrepidezza tale che stimolavano l'Arcivescovo a dover in
tutti i modi uscire e combattere l'esercito contrario. Ma Gervasio
di Martina disprezzando le loro forze, dopo varie vicende descritte
minutamente dall'Anonimo, alla perfine gli pose in fuga, gli dissipò
tutti, e costrinse l'Arcivescovo e Pietro Ruffo a scappar via, il
quale ricovratosi in Lipari, tornò poi in Terra di Lavoro nella Corte
del Papa. Questi avvenimenti stabilirono le Calabrie saldamente nella
fede del Principe Manfredi, e tutte pacate sotto la sua ubbidienza
tornarono.
Intanto questo Principe campeggiava col suo esercito in Puglia presso
Guardia Lombarda a fronte dell'esercito del Legato, il quale non
volendo venir mai a battaglia, stavasi a vista di quello di Manfredi
osservando l'uno gli andamenti, ed i moti dell'altro.
Ma mentre questi eserciti erano in cotal stato, ecco che giunse in
Puglia a Manfredi un Maresciallo del Duca di Baviera zio del fanciullo
Re Corrado mandato dalla Regina Elisabetta madre del Re, e dal Duca
istesso, per trattare con Manfredi, e colla Corte romana di questi
interessi, ch'erano proprii di quel Principe[54].
Subito che il Legato ed il Marchese Bertoldo seppero l'arrivo del
Maresciallo, e la cagione per la quale era stato inviato, mandarono al
Principe Manfredi a cercargli una tregua e sospension d'arme, affine
di potersi trattar la pace tra il Papa Alessandro ed il Re Corrado
per mezzo del Maresciallo; Manfredi glie la accordò; ed essendosi per
molti Nobili e Baroni dell'una parte e l'altra giurata la tregua per
insino che durasse il trattato, e per cinque dì da poi, nel caso niente
si conchiudesse: il Legato, niente rispondendo circa la dilazione di
cinque giorni, diede di se sospetto, non volesse ingannarlo, siccome
l'evento dimostrò; poichè essendosi Manfredi (fermata che fu la
tregua) allontanato col suo esercito da quel luogo, e scorrendo per
le marine di Bari, il Legato, contro i patti della tregua, entrò col
suo esercito in Capitanata, e sorprese Foggia; pose in costernazione
tutte le altre città di questa provincia; e la città di S. Angelo posta
nel sopracciglio del Monte Gargano, all'arrivo dell'esercito papale in
Foggia, si ribellò contro il Principe. Manfredi, ch'era a Trani, pien
di stupore per la violata fede del Legato[55], non credè in prima la
sorpresa di Foggia; ma accertato da poi di sì grave attentato, tutto
pien d'ira velocemente passò col suo esercito a Barletta, ed avendola
mantenuta in fede, ritornò in Lucera; indi passò al Gargano, ove presa
per assalto quella città ribellante, la ridusse alla sua ubbidienza; e
ristorato il suo esercito, si appressa a Foggia, ove assedia l'esercito
papale, ch'erasi ritirato in quella città. Intanto il Marchese Bertoldo
era accorso colle sue truppe in ajuto del Legato: Manfredi lo prevenne,
e datagli una fiera rotta, lo pone in fuga, e prende tutto il suo
bagaglio.
Il Legato si chiude in Foggia col suo esercito; e Manfredi cinge la
città di stretto assedio, e vi cagiona una penuria grandissima di
viveri, tanto che si dava un cavallo per una gallina, e sopra questi
mali vi s'aggiunse altro peggiore d'una infermità così grave, che ne
perivano molti del suo esercito, e l'istesso Legato cadde anch'egli
infermo[56].
Vedutosi perciò in quest'angustie, conoscendo, che non poteva più
resistere alla fortuna e valore del Principe, per non veder perire
tutte le sue genti angustiate con quel stretto assedio, mandò suoi
Messi a Manfredi pregandolo della pace. Non fu il Principe renitente ad
abbracciarla; onde dopo varj trattati infra di loro avuti, fu la pace
conchiusa con queste condizioni[57].
Che il Principe tenesse il Regno per se e per parte del Re Corrado suo
nipote, eccetto Terra di Lavoro: che questa provincia dovesse tenersi
dalla Chiesa: che se Papa Alessandro non volesse forse accettar questa
concordia e transazione, fosse lecito al Principe ricuperare tutta
quella Terra, ch'appartiene al suo dominio.
Fermata che fu dal Principe e dal Legato questa pace, fu da costui
Manfredi instantemente pregato, che volesse ad imitazione del nostro
buon Redentore perdonare a que' gentiluomini del Regno, che nel tempo
dell'Imperador Federico suo padre erano stati esiliati dal Regno, e che
allora erano col Legato. Manfredi, ancorchè questo non fosse compreso
ne' capitoli della pace, nulladimanco usando della sua clemenza
concedè a tutti il perdono, e non solamente lor diede la sua grazia,
ma restituì loro tutte le Terre, che in pena della fellonia loro erano
state giustamente tolte, con che però nell'avvenire colla loro fedeltà
ed onore cancellassero le passate offese.
Nè volle, che da questa grazia fosse eccettuato il Marchese Bertoldo,
co' suoi fratelli, ma con ampio perdono gli ammise nuovamente nella
sua familiarità, permettendo, che potessero ritenere i loro Stati, dei
quali per le loro colpe avrebbono meritato esserne perpetuamente privi.
Conchiusa in cotal maniera questa pace, l'esercito papale col Legato
partì da Foggia, ed andò in Terra di Lavoro; e Manfredi avendo perciò
tolto l'assedio da quella città, andò a divertirsi alla caccia in
quelle vicine pianure; ma nell'istesso tempo del riposo, non trascurò
mandare suoi Ambasciadori al Papa a chiedergli l'accettazione di quanto
erasi col Legato concordato[58]; altrimente rifiutando l'accordo, in
esecuzion di quello avrebbe proccurato ridurre sotto la sua ubbidienza
Terra di Lavoro.
Ma ecco come tosto svanirono questi concordati; poichè giunti gli
Ambasciadori del Principe in Napoli, trovarono nella Corte del
Papa il Conte Guaserbuch, il quale scoprì loro una congiura, che
coll'intelligenza di quella Corte, il Marchese Bertoldo, e suoi
fratelli con alcuni Nobili del Regno tramavano contro la persona di
Manfredi, al quale bisognava tosto avvisarla, perchè se ne guardasse.
S'avvidero ancora, che il Papa Alessandro a tutto altro era inchinato,
che a confermar l'accordo avuto col suo Legato; onde tosto dell'uno e
dell'altro ne avvertirono Manfredi.
Il Principe sorpreso da tal notizia, ricercati altri indizj di
tal congiura, s'avvide, che era vero ciò che gli aveano avvisato i
suoi Ambasciadori; onde fece tosto imprigionare il Marchese e' suoi
fratelli. Ed essendo ritornati dalla Corte del Papa gli Ambasciadori
senza conchiuder niente, stante la ripugnanza d'Alessandro ad accettare
la preceduta concordia: per riparare a' mali gravissimi, che se gli
minacciavano, intimò una general Corte a tutti i Conti e Baroni del
Regno da tenersi in Barletta in febbrajo nel dì della Purificazione
del seguente anno 1256. Ed intanto perchè dal suo canto niente da far
rimanesse, per togliere ogni scusa, tornò a mandare nuovi Ambasciadori
al Pontefice a ricercarlo di nuovo, se volesse confermar la concordia,
ma Alessandro espressamente negando di fermarla, ne rimandò i Legati.
Allora fu, che Manfredi nel stabilito tempo convocò in Barletta il
general Parlamento, nel quale in presenza di tutti i Conti e Baroni del
Regno furono varj, e gravi affari risoluti.
Fu privato per sentenza de' medesimi Pietro di Calabria, tanto
dell'onore del Contado di Catanzaro, quanto dell'Ufficio della
Marescialleria regia del Regno di Sicilia, per la sua fellonìa.
Fu creato Conte del Principato di Salerno Gualvano Lancia zio del
Principe, al quale fu anche conceduto l'Ufficio di Gran Maresciallo del
Regno di Sicilia, di cui era stato Pietro spogliato.
Nell'istesso Parlamento, il fratello di Gualvano zio parimente di
Manfredi fu fatto Conte di Squillaci; ed ad Errico da Spernaria fu
conceduto il Contado di Marsico[59].
Fu parimente in questa general Corte agitata e discussa la causa del
Marchese Bertoldo e de' suoi fratelli, i quali convinti della congiura
macchinata contro il Principe, con concorde voto de' Conti e de' Baroni
del Regno, furono con lor sentenza condennati a morte. Ma Manfredi
volendo usar loro clemenza, commutò la pena in carcere perpetua, ove
miseramente finirono la loro vita.
Disbrigato che fu il Principe Manfredi da questa Corte, ove diede
molti provedimenti politici per la quiete del Regno, fu poi tutto
rivolto all'impresa di Terra di Lavoro, ed a spegnere affatto dalla
Calabria, e più dalla Sicilia la fazione del Papa, il quale in
quell'isola ancor vi teneva _Frate Rufino_ dell'Ordine de' Minori
per Legato della Sede Appostolica, il quale poneva in isconvolgimenti
continui quell'isola avendosi resi molti Siciliani benevoli, i quali
scossa la fede regia, ubbidivano a lui, come a Signore dell'isola in
nome della Chiesa romana. A riparar questi mali creò Manfredi per suo
general Vicario di Calabria e di Sicilia Federico Lanzia suo zio, il
quale con mirabile destrezza e gran valore ripose le città di Calabria
fluttuanti interamente in pace e quiete, e sotto l'ubbidienza del Re,
e dando animo all'esercito regio, ch'era in Palermo, fece sì, che il
Legato Rufino, e' suoi seguaci fossero fatti tutti prigioni, e fosse
restituita Palermo, e tutti que' luoghi all'ubbidienza del Re; e
passato poi in Messina ridusse parimente quella città alla fede regia.
Intanto il Principe Manfredi avendo intimata la guerra al Papa,
che allontanatosi dal Regno, avea prima in Anagni, e poi in Viterbo
trasferita la sua Corte, s'accinse all'impresa di Terra di Lavoro,
per restituirla sotto il suo dominio. Spiegò li suoi stendardi, e
con potente esercito entrò ne' confini di Terra di Lavoro, e verso
Napoli incamminossi. Fu veramente cosa maravigliosa, come notò il
Costanzo[60], che la città di Napoli, la quale pochi anni prima
avea tanto ostinatamente chiuse le porte e negata l'ubbidienza a
Corrado, ora, mandasse fuori messi a Manfredi, mentre era ancor
lontano, a spontaneamente offerirsegli[61]. Nè si crede che ne fosse
stata altra cosa cagione, che le poche forze e vigore del Papa, e la
fresca memoria, che sotto la speranza di Papa Innocenzio IV erano
stati saccheggiati, e miseramente disfatti. Nè vi è dubbio, che vi
cooperarono molto le promesse di Manfredi, il quale mandò a dire a
molti gentiluomini suoi conoscenti, quanto gli uomini valorosi poteano
sperare maggior esaltazione da lui, che dal governo de' Preti; il che
si potea vedere per esempio di molti di Puglia e di Calabria e d'altre
province, ch'egli con somma liberalità e munificenza avea esaltati
con ordine di cavalleria, e con altre dignità e preminenze. In fatti
i Napoletani riceverono con gran festa e giubilo Manfredi nella lor
città; il quale, perchè l'effetto fosse conforme alle promesse, entrato
che vi fu, fece tutto il contrario di quel, che avea fatto Corrado,
rinovando a sue spese gli edificj pubblici, assecurando tutti coloro,
che a tempo di Corrado ed a tempo suo s'erano mostrati inimici della
Casa di Svevia, ed onorando molti Nobili, con pigliargli, secondo
l'età e la virtù, o per Consiglieri, o per Cortegiani appresso la sua
persona[62].
L'esempio di Napoli mosse anche i Capuani di rendergli parimente la
loro città, ed il simile fecero tutte l'altre città convicine. Solo
Aversa per la fazione, che v'aveano le genti del Papa, fece alquanto
resistenza; ma finalmente bisognò, che cedesse alla forza di Manfredi,
ed in breve tutta la provincia di Terra di Lavoro si sottopose alla sua
ubbidienza. Ridotta questa provincia, passò in Capitanata, ed indi in
Brindisi per reprimere la sedizione, che l'Arcivescovo di quella città
aveagli fomentata: la ridusse in sua fede, ed imprigionò l'Arcivescovo.
Ariano e l'Aquila, che furono l'ultime e le più ostinate a mantenersi
in ribellione, furono da lui arse e distrutte.
Così avendo questo Principe restituito con tanto valore al suo
dominio tutto il Regno di Puglia, si dispose di passare in Sicilia
per maggiormente stabilirla nella fede regia, e purgare quell'isola
d'ogni vestigio, che mai vi rimanesse della fazion contraria. Navigò lo
stretto, ed in Messina giunto, fecevi dimora per pochi giorni, ed indi
passò a Palermo regia Sede degli antichi Re di Sicilia.
Intanto il Pontefice Alessandro, non potendo per se solo rintuzzare
le forze di Manfredi, rinovò in quest'anno 1257 le pratiche in
Inghilterra, per ridurre quel Re ad accettar l'investitura del Regno
offertagli per _Edmondo_ suo figliuolo; e narra Matteo Paris, che
Errico vi condescese; ma perchè le forze non erano pari all'impresa,
il Re desiderava, che gl'Inglesi gli dessero validi ajuti: per la
qual cosa fece egli unire un Parlamento, e fecevi in quello comparire
Edmondo _vestito alla Pugliese_, per maggiormente spingergli a
soccorrerlo, acciocchè il Regno offertogli, per cagion loro non
si perdesse[63]; ma gl'Inglesi niente conchiusero, e come diremo,
nell'anno 1259 il trattato rimase affatto estinto; e Manfredi per
vano rumore, essere Corradino morto, fattosi incoronare a Palermo, si
stabilì nel Trono di Sicilia: ciò che bisogna rapportare nel seguente
libro di quest'istoria.
(Si leggono presso _Lunig_[64] due Brevi d'Alessandro IV uno scritto
ad Errico Re d'Inghilterra padre d'Edmondo, ed un altro al Vescovo di
Erford, perchè in vigor dell'investitura si sollecitassero per questa
spedizione, e mandassero gente e 'l denaro promesso per discacciar
Manfredi del Regno).

FINE DEL LIBRO DECIMOTTAVO.


STORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI
LIBRO DECIMONONO

Mentre Manfredi era in Palermo, giunse quivi novella, che il Re
_Corradino_ fosse morto in Alemagna; ma in questo passo d'istoria gli
Scrittori, secondo le fazioni contrarie, non convengono. I Guelfi,
come Giovanni Villani Fiorentino, e gli altri Italiani di quel partito
narrano, che Manfredi per eseguire il suo scellerato pensiero, che
lungo tempo sotto contrario manto nascondeva d'usurpar il Regno al
Re suo nipote, avendo tentato invano di farlo avvelenare, avesse
ordinato alcuni falsi messi, che gli portassero nuova di Germania,
prima dell'infermità, e poi della morte di Corradino, e che questo
rumore sparso in Palermo, ed in tutte le città del Regno, fosse stato
tutto per sua astuzia ed inganno; e che perciò, per maggiormente farlo
credere, con dissimulazione grandissima di dolore inviò a' Baroni e
Sindici delle terre dell'uno e l'altro Regno cotal avviso, pubblicando
per vera la morte di Corradino, e che avendo in Palermo fatto celebrare
con pompa reale, e con dimostrazione di grandissimo lutto i funerali
per la finta morte di quel Principe, avesse egli in presenza di tutti
i Conti, Baroni e Prelati ivi concorsi, fatta una gravissima orazione,
colla quale connumerando i beneficj de' Principi Normanni, e degli
Imperadori Svevi suoi progenitori verso l'uno e l'altro Regno, e
l'opere fatte da lui a tempo di Corradino, e nell'infanzia di Corradino
suo figliuolo, pregò tutti, che poichè la fortuna in sì poco spazio,
mostrandosi nemica al sangue loro, avea mandato sotterra sì grande
Imperadore, com'era stato Federico suo padre, con tanta numerosa
progenie, non volessero fraudar lui di quella successione, che la
volontà di Dio, e quella di suo padre dichiarata nel di lui testamento,
l'avea destinata, avendolo lasciato vivo per sua misericordia, dopo
la morte di tanti altri Regali. Ed aggiungendo poi la poca speranza, o
il poco timore, che s'avea da tenere de' Pontefici romani, per essere
il di lor governo breve e mutabile, nel quale la morte d'uno guasta
quanto è fatto in molti anni di vita, e lascia al successore necessità
di cominciare ogni cosa da capo: vogliono, che queste cose dette da lui
con somma grazia e con mirabil arte, fossero state di tanta efficacia
e vigore, che fu immantenente da tutti salutato per loro Re e Signore.
Dall'altra parte l'Anonimo, ancorchè Scrittor contemporaneo, ma
tutto Ghibellino, e coloro che lo seguirono, narrano, che niente
Manfredi usasse di simil inganni ed astuzie; ma che sparsosi nel Regno
cotal rumore della morte di Corradino, quasi tutti i Conti, e gli
altri Magnati del Regno, i Prelati ancora delle Chiese s'avviarono
immantenente in Sicilia a trovar Manfredi, siccome fecero tutte le
altre città dell'uno e l'altro Regno, con mandar i loro Sindici,
e messi in Palermo: dove insieme uniti, di concorde volere tutti
lo richiesero, che avendo egli sinora con tanta prudenza governato
il Regno per parte sua, e di Corradino suo nipote, essendo questi
mancato, dovesse egli come vero erede di quello, prenderne il governo,
e coronarsi Re di Sicilia; che alle grida e a' desiderii di tutti,
essendo concorso i Conti, i Baroni e tutti i Prelati del Regno
l'avessero gridato Re, e colle solite cerimonie l'incoronassero nel
Duomo di Palermo agli 11 del mese di agosto di quest'anno 1258[65].
Che che ne sia, se Manfredi colle sue arti s'avesse ciò proccurato,
come è più verisimile a chiunque riguarda l'ambizione ch'ebbe di
dominare, o fosse caso o volontà de' sudditi, fu egli con solenne
cerimonia, secondo il costume de' maggiori concorrendovi tutti i Conti,
Baroni, e gli altri Magnati del Regno, con molti Prelati, gridato e
coronato Re, assistendo a questa sua incoronazione infiniti Vescovi e
Prelati; e Rinaldo Vescovo d'Agrigento, che celebrò la messa, l'unse
del sacro olio, assistendovi l'Arcivescovo di Sorrento, e l'Abate
Cassinense, e poscia dagli Arcivescovi di Salerno, di Taranto e di
Monreale gli fu posta, nel Trono assiso, la corona Reale. Alcuni
sognarono, che Manfredi si fosse fatto anche incoronare Re di Puglia
in Bari colla corona di ferro, siccome dissero di Errico e di Costanza;
ma ancorchè il Beatillo nella vita di S. Niccolò di Bari, con autorità
d'alquanti moderni Scrittori s'ingegni provarlo, è ciò tutta favola,
non essendovi niuno Scrittore antico o contemporaneo, che lo rapporti.
Tosto che il Re Manfredi fu assunto al solio del Regno, per obbligarsi
maggiormente i popoli, ed acquistarsi nome di benefico, e di liberale,
nella festa della sua coronazione, a tutti i Sindici delle città e
terre, che ivi si trovarono, fece splendidissimi doni, diede uffici
e molti promosse a gradi ed onori di cavalleria. Indi di Palermo
ritornò tosto in Puglia con alcuni Saraceni, per tener in freno i
Tedeschi; ma scorgendo esser tutte le province pacate, e liete del
nuovo suo dominio, e che erano in placidissima pace, celebrò un general
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