Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5 - 01

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ISTORIA CIVILE
DEL
REGNO DI NAPOLI

DI
PIETRO GIANNONE

VOLUME QUINTO

MILANO
PER NICOLÒ BETTONI
M.DCCC.XXI


STORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI
LIBRO DECIMOTTAVO

Morto Federico, prese immantenente il governo di questi Regni
_Manfredi_ suo figliuolo, lasciato dal padre per l'assenza di Corrado,
ch'era in Alemagna, Balio e Governadore de' medesimi con assoluto
potere ed autorità. Manfredi fu un Principe, in cui s'univano tutte
le doti e virtù paterne, e lo Scrittor _Anonimo_ delle sue gesta, dice
essere stato chiamato Manfredi, perch'egli era la _mano e la mente di
Federico_. Egli nudrito nella Camera imperiale, e careggiato, e tenuto
in pregio dal padre più degli altri figliuoli, crebbe colle medesime
idee; ed avrebbe certamente emulato la gloria e la grandezza paterna,
se la sorte l'avesse fatto nascere suo figliuol primogenito, e di
legittimo matrimonio; ma preferendo l'ordine della successione Corrado
primo nato, al quale fu conforme il paterno testamento, Federico non
potè far altro, che ammetterlo alla successione in mancanza di Corrado,
e d'Errico senza figliuoli, e durante l'assenza del primo, lo creò
Balio in Italia e nel Regno di Sicilia.
Nel raccontar le vicende di questo Principe, e' suoi generosi fatti,
mi valerò dell'_Anonimo_ Scrittor contemporaneo, la di cui Cronaca
si legge ora impressa ne' volumi dell'Ughello[1], e la autorità sua
è riputata grandissima, non pure da Agostino Inveges, dal Tutini,
e da altri più moderni Scrittori, ma anche da Oderico Rainaldo ne'
suoi Ecclesiastici Annali. Narra adunque questo Scrittore, che gli
andamenti, e le virtù di Manfredi furono cotanto conformi a quelle del
padre, che ancorchè la morte de' Principi soglia negli Stati sovente
esser cagione di gravissimi turbamenti, nulladimanco per la prudenza
di Manfredi non fu veduto interrompimento alcuno, come se un medesimo
spirito governasse: non si vide nè alla Corte, nè tra gli Ufficiali
mutazione; ed avendo fatto gridare il nome del Re _Corrado_ nel regno
di Puglia, mandò _Errico_ suo fratel minore a governar in sua vece
la Sicilia e la Calabria[2], perchè i Siciliani e' Calabresi, veduta
la regal persona di Errico, si contenessero nell'ubbidienza, e lo
riputassero come l'istessa persona di Federico.
Ma breve tempo durò questa tranquillità, e ben si prevedevano i turbini
e le tempeste, che da Innocenzo IV romano Pontefice erano per moversi.
Questi persuaso, che per la sentenza della deposizione interposta nel
Concilio di Lione, fosse Federico con tutta la sua posterità decaduto
da' Reami di Sicilia e di Puglia, pretese che come Feudi della Chiesa
romana fossero a quella ricaduti per la contumacia del medesimo; onde
intesa la sua morte, si risolvè partir da Lione, e ripassare in Italia;
ed intanto scrisse a tutte le città principali, ed a' Baroni dell'uno
e l'altro Regno, ch'alzassero le bandiere della Chiesa; e giunto
a Genova sua patria, proccurò movere i Genovesi a danno di questi
Reami. Manfredi avuta di ciò novella non tardò, cavalcando per tutto
il Regno con una buona banda di soldati Saraceni, dissipare queste
Papali insidie, e facendo gridare il nome del _Re Corrado_, racchetò le
turbolenze, e confermò gli animi nell'ubbidienza del proprio Principe;
ma non fu però, che questi moti non dassero fomento ad una occulta
congiura, che poi si scoperse nelle province di Puglia e di Terra di
Lavoro. In Puglia si ribellarono Foggia, Andria e Barletta. In Terra
di Lavoro, Napoli e Capua. Accorse tosto Manfredi in Puglia, e col
suo estremo valore e coraggio ripresse la fellonia di quelle città,
ed usando moderazione e clemenza concedè perdono a que' cittadini,
riducendogli nell'ubbidienza di Corrado[3].
Avendo in cotal guisa renduta la pace e tranquillità a quella
provincia, tosto passò in Terra di Lavoro: ridusse sotto le sue insegne
Aversa, che posta in mezzo tra Capua e Napoli, dava indizio di sospetta
fede: cinse di stretto assedio Capua, devastando insino alle mura
il suo territorio; e Nola ch'era già passata nel partito delle due
ribellanti città, non avendo voluto rendersi, fu espugnata, e presa.
Ma niun'altra città mostrò in tal congiuntura più ostinazione, quanto
Napoli. Dimenticatisi così subito i Napoletani d'aver Federico resa
la lor città celebre per la nuova Accademia ivi stabilita, e per li
magnifici edificj che v'eresse, i quali furono i primi fondamenti
onde poi si rendesse capo e metropoli sopra tutte le altre, con somma
ingratitudine, morto lui, si ribellarono dal suo figliuolo, e resero la
lor città al Pontefice Innocenzio, alzando le bandiere della Chiesa:
il di cui esempio seguì Capua, ed i Conti di casa d'Aquino, che a
quel tempo possedevano quasi tutto quello, ch'è tra il Volturno e 'l
Garigliano.
Manfredi, scoverta la poca fede de' Napoletani, avea mandati prima a
loro più messi, esortandogli a non dover macchiare con tanta indegnità
la loro fama; ma essi mostrando di non poter negare d'ubbidire al
Pontefice, il quale gli minacciava terribili anatemi ed interdetti,
apertamente gli fecero intendere, che amavano meglio di sottoporsi
al dominio della Chiesa, che star interdetti e scomunicati, aderendo
al partito di Corrado, cui senza l'investitura del Papa, non potevan
riconoscere per loro legittimo Re. Per la qual cosa Manfredi, vedendo
indarno essersi da lui adoperati questi mezzi, deliberò di ridurgli
per forza; ed avendo assediata la città dalla parte del Monte Vesuvio,
cominciò a devastare tutto il territorio di quel contorno, depredando
infino alle mura, per obbligare i Napoletani ad uscire dalla città, per
attaccargli in campo aperto, non avendo forze bastanti per assalire la
città cinta di ben forti e ben difese mura. Ma i Napoletani deludendo
l'arte coll'arte, non vollero in conto alcuno partirsi dalla città,
niente curandosi del devastamento, che faceva Manfredi de' loro campi:
il quale ciò vedendo, pensò per altra parte cingerla di assedio,
e collocato il suo esercito nella Solfatara vicino Agnano[4] quivi
cominciò a devastare, e depredare tutto quel territorio, per allettare
i Napoletani ad uscire dalla città, già che vedevano l'esercito nemico
tra que' monti e quelle balze in luogo, donde con difficoltà poteva
scampare, se fosse stato inseguito. Ma i Napoletani, fermi nel loro
proponimento, non vollero abbandonare la città, ed esporsi a battaglia;
ed ancorchè Manfredi gli avesse più volte sfidati alla pugna, non
vollero in conto alcuno uscire; onde avendogli dopo l'invito aspettati
tre giorni, levò l'assedio, ed avendo devastati tutti que' luoghi,
partissi da quivi, e s'incamminò in altre parti di Terra di Lavoro per
mantenere in fede que' Popoli, acciocchè non seguitasser l'esempio di
Napoli, e di Capua,


CAPITOLO I.
_CORRADO di Alemagna cala in Italia: giunge per l'Adriatico in Puglia,
ed abbatte i Conti d'Aquino: Capua se gli rende, e Napoli vien presa
per assalto e saccheggiata._

Ma ecco, che mentre Manfredi con tanta vigilanza ed accortezza era
tutto inteso a rompere i disegni del Pontefice, vennegli avviso, che
Corrado Re di Germania, pochi mesi dopo la morte del padre, essendosi
disbrigato dalle guerre d'Alemagna, se ne calava con potente esercito
di Tedeschi in Italia in quest'anno 1251[5]; ed in fatti essendo giunto
in Lombardia trovò le forze de' Ghibellini tanto abbassate, che fu
astretto d'indugiare alquanto, per poter poi entrare con più sicurtà
nel Regno; onde chiamati a se tutti i Capi di quel partito, ordinò, che
tra loro facessero un giusto esercito, del quale avesse ad esser Capo
Ezzelino Tiranno di Padova, e che avesse da abbatter tanto la parte
Guelfa, che Papa Innocenzio non potesse valersene, e contender con lui
della possessione del Regno. Ed avendo in cotal modo stabilite le cose
di Lombardia, con provvido consiglio determinò di passare al Regno per
mare; perocchè vedendo tutte le città di Romagna e di Toscana tenersi
dalla parte Guelfa, non confidava di passare senza impedimento, e
dubitava che il suo esercito tenuto a bada, non venisse a disfarsi per
mancamento di danari e di vittovaglie[6]. Mandò adunque a' Veneziani
per navi e galee per potere passare in Puglia, i quali per lo desiderio
di vederlo presto partito di là, gli mandarono tutte le navi ch'e'
volle nelle marine del Friuli, dove imbarcato comodamente con tutto
l'esercito, giunse in pochi dì con vento prospero alle radici del
monte Gargano, e diede in terra all'antica città di Siponto, non molto
discosto dal luogo, dove è oggi la città di Manfredonia[7].
Quivi comparvero Manfredi, che l'attendeva, e tutti i Baroni di quella
provincia ad incontrarlo. Ed essendosi Corrado da lui informato dello
stato delle cose del Regno, e della contumacia di Napoli, di Capua, e
de' Conti d'Aquino, avendo commendata molto l'industria, e vigilanza
di Manfredi, deliberarono insieme di dover prima d'ogni altra impresa,
debellare i Conti d'Aquino, i quali posti fra Garigliano e Vulturno
potevano somministrare al Papa pronto ajuto; ed all'incontro occupati
que' luoghi, co' quali serravasi ogni strada di poter venire soccorso
a Capua ed a Napoli si sarebbe facilitata l'espugnazione di quelle due
città cotanto importanti. Si mosse perciò il Re Corrado seguitato dal
Principe Manfredi con tutto il suo esercito per la via di Capitanata,
e del Contado di Molise contra que' ribelli[8].
Il Papa, che da Genova era passato a Milano, indi a Ferrara e Bologna,
ed erasi finalmente fermato in Perugia, schivando d'andare in Roma,
perchè i Romani erano pieni di fazioni; e molti aderivano a Corrado,
fatto consapevole dell'angustie, nelle quali si trovavano i Conti
d'Aquino, premendogli molto la lor salute, mandò subito in lor soccorso
alcuni soldati da Perugia, promettendo ancora di mandar loro maggiori
ajuti; ma fu tanta la forza, ed il valore dell'esercito di Corrado,
accresciuto poi da Manfredi con gran numero di Saraceni venuti da
Lucera e da Sicilia, che que' ribelli in pochi dì furono debellati;
e le principali città a loro soggette saccheggiate ed arse, tra le
quali fu Arpino, Sessa, Aquino, S. Germano, ed altri castelli di quel
contorno[9].
Da poi che Corrado ebbe espugnato que' ribelli, e ridotte alla sua
ubbidienza quelle città, andò sopra Capua, ove non ritrovò resistenza
alcuna, per la paura, e per l'esempio fresco delle terre arse e
saccheggiate: onde tosto a lui si rese[10]. Così tutta l'ira di Corrado
e tutta la sua forza si raggirò contro la città di Napoli, la quale
arditamente determinò di contrastare al Re sdegnato, e seguire le
parti della Chiesa, per la speranza, che lor porgeva il Papa di presti
soccorsi, e per la gran paura d'essere data in preda a' Tedeschi e
a' Saraceni. Accampato dunque Corrado vicino alla città, la cinse di
stretto assedio, perchè non potesse andare vettovaglia agli assediali;
e vedendo, che alcuni Ministri del Papa mandavan qualche volta navilj
con cose da vivere, ordinò a Manfredi, che facesse vestire le galee,
ch'erano in Sicilia.
I Napoletani, fra questo tempo, non mancarono di mandar più volte
Ambasciadori al Papa per soccorso, i quali ritornaron sempre carichi
di benedizioni, e di promesse, ma vuoti d'ogni ajuto, perchè Ezzelino
avea sollevata la parte Ghibellina in Lombardia; ed i Guelfi, tra'
quali il Papa avea molti parenti e seguaci, non potevano partirsi dalla
difesa delle cose loro; ed i Guelfi di Toscana e di Romagna, ancorchè
fossero liberi, avendo estinta in tutto la parte Ghibellina, come suol
accadere nelle felicità, erano venuti in discordia fra loro. Nè dalla
città di Genova patria del Pontefice, della quale ei confidava molto,
poteva sperarsi ajuto; poichè si trovava a quel tempo aver mandata la
sua armata contra gl'Infedeli; onde veniva a togliersi ogni comodità di
poter soccorrere gli assediati d'altro, che di parole.
In fine essendo giunte alla marina di Napoli le galee di Sicilia,
si tolse ogni speranza di soccorso: nè questo bastò a far piegare
l'ostinazione degli assediati, perchè si tennero tanto, che ormai
non potevano più sostenere in mano l'armi; in tal modo erano per la
grandissima fame estenuati, onde i vecchi della città cominciaron a
persuadere, che si mandasse per trattare di rendersi a patti, e così
si eseguì. Ma Corrado, il qual sapeva l'estrema necessità loro, rigettò
gli Ambasciadori; ed avendo con macchine diposte intorno alla città, e
con cave sotterranee scosse le mura della medesima: in quest'anno 1253
la costrinse a rendersi, solo col patto della salute delle persone[11].
La città fu messa a sacco, nè si tralasciò atto alcuno di crudeltà, e
di rigore dall'irato Re; scaccionne l'Arcivescovo, ed entrato dentro
volle, che per mano de' proprj cittadini fossero buttate a terra dai
fondamenti le forti mura di quella città, per le quali, dice Livio, che
si sgomentò Annibale cartaginese. E dopo esser quivi dimorato due mesi,
che consumò in punire severamente l'infedeltà de' Napoletani, fece
ritorno in Puglia, seco menando Manfredi, al quale volle, che si dasse
il secondo grado dopo lui.

§. I. _Primo invito d'INNOCENZIO fatto al fratello del Re d'Inghilterra
alla conquista del Regno._
Innocenzio avendo scorto che Corrado avea depresse le città sue amiche,
e sotto la sua ubbidienza era tornato il Regno di Puglia, riputando
che tutti i suoi sforzi sarebbero vani per opporsi agli eserciti
formidabili di Corrado, pensò (giacchè svanito era il disegno di
poterlo per se conquistare, siccome erano riuscite sempre infelici le
spedizioni fatte da' romani Pontefici sopra di quello) d'invitare alla
conquista del Reame _Riccardo_, o come altri lo chiamarono, _Ciarlotto_
fratello d'Errico III Re d'Inghilterra e Conte di Conturbia, prode
e valoroso Capitano. Inviò per tanto in Inghilterra Alberto Notajo
appostolico per trattare sopra le condizioni dell'investitura
offertagli da Innocenzio. Ma narra Matteo Paris in quest'anno 1253
che più cose fecero svanire questi trattati. Primieramente perchè
_Ricciardo_ temè della potenza di Corrado, nè si credette d'uguali
forze per poterlo da quivi discacciare. II. La parentela, che vi era
tra loro, essendo Corrado, com'egli dice, nato da Elisabetta inglese,
sorella del Re Errico e moglie di Federico II, nel che va di gran lunga
errato; perchè Corrado fu figliuolo di Jole, non già d'Elisabetta;
onde l'istesso Paris altrove, cioè nel 1258 rapporta un'altra cagione,
perchè fu rifiutata l'investitura, dicendo che Ricciardo non volle
accettarla se non sotto queste due condizioni. I. Che per la sua
conquista gli fosse data la metà delle Decime solite raccogliersi per
li Crocesignati nella guerra Santa. II. Che il Papa gli consignasse
alcuni castelli del Reame da lui fortificati per la ritirata de' suoi
soldati. Al che non volendo il Pontefice Innocenzio acconsentire,
svanì questa prima investitura, e si trattò poi dell'altra in persona
d'_Edmondo_ suo nipote, come diremo più innanzi. Ciò che convince
l'errore del Collenucio e di Paolo Pansa nella vita di Innocenzio IV
che volle seguirlo, ove disse, che il Papa investì Ciarlotto fratello
del Re d'Inghilterra, il qual accettò, e che perciò nelle lettere si
scrivea Re di Sicilia.
(_Lunig_ nel suo Codice Diplomatico[12], rapporta un Breve d'Innocenzio
drizzato a Lodovico IX Re di Francia, che porta la data di Perugia
dell'anno 1252 resogli da Alberto Notajo, offerendogli il Regno per
Carlo suo fratello. Ma questo Breve o è apocrifo, o fu posteriore;
poichè in quest'anno Alberto fu mandato in Inghilterra a quel Re, e non
in Francia al Re Lodovico).


CAPITOLO II.
_CORRADO insospettito di MANFREDI lo spoglia d'ogni autorità e de' suoi
Stati; avvelena il suo minor fratello ERRICO; ed egli poco da poi se ne
muore da consimil morte; onde MANFREDI assume di nuovo il Baliato del
Regno._

Intanto Corrado per le crudeltà usate alle città debellate ed a Napoli,
e per lo genio suo aspro e severo, era entrato in grandissimo odio e
malevolenza presso ogni grado ed ordine di persone; ed affatto ignudo
di quelle virtù civili e militari, che ornavano l'animo di Federico suo
padre, riusciva a' suoi sudditi molto pesante e duro il suo imperio.
All'incontro Manfredi uomo d'ingegno e di valore, con destrezza
mirabile andava mitigando l'azioni crudeli del Re, per acquistarsi
benevolenza da' Popoli e da' Baroni; talchè in breve nacque opinione
per tutto il Regno, che tutto quel male, che lasciava di fare il Re,
e l'esercito de' Tedeschi, fosse per intercessione, e benignità di
Manfredi.
Occultava ancora questo Principe con mirabile dissimulazione il
dispiacere, che Corrado insospettito di lui gli avea dato per molti
torti fattigli; poichè scorgendolo d'elevati pensieri e d'animo regio,
ed atto più a dominare, che a governare come Balio il Regno, venne
in sospetto non la sua potenza e l'amore che s'avea acquistato de'
Popoli, lo facessero aspirare al Regno. Deliberò per tanto trovar modi
d'abbassarlo, ciò che non volendo far apertamente un dì gli disse,
ch'avea in pensiero di rivocare tutte le donazioni, che l'Imperador suo
padre avea fatte nel suo testamento, come quelle, ch'erano dannosissime
allo Stato, e portavan detrimento grandissimo alla sua Corona; e perchè
gli altri Baroni con animo pacato il sopportassero voleva incominciar
da lui, acciocchè dal suo esempio s'inducessero gli altri. Con non
dissimil arte simulò Manfredi di crederlo, e mostrandosi con prontezza
di secondarlo, volle esser il primo spontaneamente a rinunciar in sue
mani il Contado di Monte S. Angelo, e la città di Brindisi, che per
ragion del Principato di Taranto possedeva[13].
Tolsegli ancora di tempo in tempo, secondo se gli presentavano le
congiunture, li Contadi di Gravina, di Tricarico e di Montescaglioso,
che possedeva per concessione di Federico suo padre; e sol gli rimase
il Principato di Taranto assai diminuto; ed affinchè nemmeno da quel
Principato rimastogli potesse riceverne profitto, e gli riuscisse
inutile, impose agli uomini di quello una pesante, e gravissima general
colletta, la quale faceva egli esigere, ed applicare al suo regio
Erario. Rimosse dal Principato suddetto il Giustiziero, che soleva
recarsi da Manfredi, e vi pose il suo, siccome a tutte l'altre province
del Regno praticavasi. Tolsegli ancora il mero imperio e potestà che
Federico gli avea conceduto sopra quel Principato, e ordinò che il
Principe sopra di quello non avesse altra giurisdizione, che nelle
cause civili solamente[14]; poichè in questi tempi non soleva a' Baroni
concedersi il mero imperio sopra i Feudi, ma solamente ad alcuni Grandi
e della Casa regale, o suoi congiunti per ispezial favore e grazia del
Re rare volte si concedeva: ciò che poi a' tempi d'Alfonso I d'Aragona
cominciossi a dare a quasi tutti i Baroni; onde nacque, che ora non vi
è Barone, ancorchè picciolo, che non l'abbia.
Nè fermossi qui l'astio di Corrado contro quel Principe; ma volendolo
ridurre all'estrema bassezza per liberarsi da ogni sospetto, sotto
mendicate occasioni e pretesti, comandò che dal Regno uscissero
tutti i suoi congiunti ed affini, ch'e' teneva del lato materno. Ne
mandò via Gualdano Lancia, che avea così bene e con tanta fedeltà e
prudenza servito l'Imperador Federico, onde n'era stato da quello
creato suo Vicario in Toscana, ove per molti anni avea con molta
fede esercitato quel supremo comando. Il medesimo fece con Federico
Lancia suo fratello, con Bonifacio di Anglono zio materno di Manfredi,
con tutti gli altri suoi consanguinei ed affini, e con esso loro le
mogli, madri, sorelle, figliuoli e figliuole grandi e piccoli, che si
fossero. I quali tutti usciti dal Regno, essendosi ricovrati in Romania
presso Costanza Imperatrice di Costantinopoli sorella di Manfredi,
mandò Corrado Bertoldo Marchese di Honebruch in Romania far intendere
all'Imperadore, che gli avrebbe fatto un dispiacer grandissimo, se
ritenesse presso di se quegli esuli; onde fu duopo a quell'Imperadore
che gli facesse partire anche da' suoi Stati[15].
Tutte queste offese sofferiva il Principe Manfredi con una prudenza
e dissimulazion d'animo maravigliosa; poichè non perciò tralasciava
con ilarità di ajutarlo, e di seguirlo in tutte l'imprese, come fece
in Terra di Lavoro, quando debellò i Conti d'Acquino, in Capua ed
in Napoli, ed ora in Puglia, simulando il suo acerbo dispetto; e
nell'istesso tempo con astuzia grandissima cattivandosi i Baroni ed i
Popoli, era nell'amore e benevolenza di quelli.
Accadde a questo tempo, che mentre era Corrado in Melfi, Errico
suo fratello, che non avea più che dodici anni, venne in Sicilia a
visitarlo; ed ancorchè l'Anonimo non faccia autor Corrado di tanta
scelleratezza, non mancano però gravi Autori, che rapportano, che per
mezzo di Gio. Moro Capitano saraceno, ch'Errico avea seco portato da
Sicilia, lo facesse crudelmente avvelenare. Coloro che narrano avere
Corrado fatto morire Errico per torgli il Regno di Sicilia, dicendo che
Federico non poteva, nè dovea separarlo dal Regno di Puglia, errano
all'ingrosso; poichè Federico non il Regno di Sicilia, ma quello di
Gerusalemme, ovvero Alcarense ad elezion di Corrado gli avea lasciato
nel suo testamento: e Manfredi mandò Errico in Sicilia per contenere
i Siciliani nell'ubbidienza di Corrado, come si è di sopra narrato.
Altri credono che l'avesse fatto morire, per avere la maggior parte
del tesoro dell'Imperador Federico, che era in suo potere. Che ne sia,
narra Matteo Paris[16], che Corrado diede non leggieri sospetti d'esser
egli stato autore della morte di quell'innocente fanciullo; poichè da
allora in poi non mostrò Corrado il suo volto così sereno e giocondo
come prima. E negli Atti d'Inghilterra, ultimamente fatti imprimere
dalla Regina Anna, si legge una lettera di Corrado scritta nell'anno
1254 al Re d'Inghilterra zio d'Errico, nella quale, per togliere questo
romore che s'era sparso d'averlo fatto avvelenare, diedegli l'avviso
della morte di suo nipote, con sentimenti molto appassionati, fingendo
molta afflizione e dolore, per la morte di quel Principe; ma Papa
Innocenzio, fomentando l'inimicizia nata perciò tra Corrado ed Errico,
offerì il Regno di Sicilia ad _Edmondo_ figliuolo d'Errico, ch'era
ancor fanciullo.
(Presso _Lunig_[17], si leggono alcune lettere d'Alberto Legato
d'Innocenzio in Inghilterra, per le quali dassi l'Investitura del Regno
ad Edmondo, e la conferma del Papa nel 1254 coll'avviso, che dà ad
Alberto di tal conferma. Ma questo trattato per la morte d'Innocenzio
rimase interrotto).
E notasi in questi Atti, che Innocenzio non tralasciò cos'alcuna, per
impegnar il padre a mettersene in possesso, fino a dar ordine al Clero
d'Inghilterra di prestar denari a questo Principe, e d'impegnar perciò
i beni delle loro Chiese. Ma da poi tutto questo denaro fu dissipato,
ed impiegato ad altri usi dal medesimo Papa; onde questo secondo
trattato anche rimase in tutto svanito.
Avendo intanto Corrado in cotal guisa ridotte le città del Regno
fluttuanti sotto la sua obbidienza, si disponeva di passare altrove
verso le parti dell'Imperio; ma ecco, che mentre nella Primavera di
quest'anno 1254 s'accingeva a tal viaggio, ne' campi vicino Lavello
fu assalito da mortal febbre, che in pochi giorni nel più bel fiore
della sua età, non avendo più che 26 anni, a' 21 maggio lo tolse a'
mortali[18], avendo durato il suo regno poco più che tre anni: onde
di questo Principe nè leggi, nè altro attinente alla politia di queste
province, abbiamo.
Pure gli Scrittori dalla parte Guelfa, infesti non meno a Federico,
che alla sua progenie, narrano, che Manfredi per mezzo d'un medico lo
facesse avvelenare, con isperanza, morto Errico e lui, non essendovi
della linea di Federico altri, che Corradino, che era nato l'anno
avanti, figliuolo d'esso Corrado, potesse agevolmente occupare l'uno
e l'altro Regno: e che Corrado, non sapendo, che moriva di veleno,
fattogli dare da Manfredi, lasciasse nel suo testamento erede Corradino
e Balio l'istesso Manfredi.
Ma se dobbiamo prestar fede all'Anonimo Scrittor contemporaneo, nè
avremo Manfredi per Autore di tale scelleratezza, nè per Balio lasciato
da Corrado.
Narra questo Scrittore, che mentre Corrado era infermo, Bertoldo
Marchese di Honebruch, allora potentissimo per lo favore de' Tedeschi,
vedendo l'inclinazion di Corrado, ch'era di lasciar Manfredi per Balio
del Regno, con sottil arte dimandò a Manfredi se volesse assumere
quel peso, per iscorgere l'animo suo. Manfredi conoscendo l'arte del
Marchese, gli rispose, ch'egli non avrebbe accettato il Baliato, ma
che ben se lo meritava la prudenza del Marchese, al quale in ciò per
ogni rispetto dovea cedere: ciò che fece con somma astuzia, così per
non esporsi all'odio de' Tedeschi, come anche perchè conoscendo, che
Bertoldo, come insufficiente, tosto avrebbe con sua vergogna avuto
a soccombere al grave peso, i Magnati del Regno avrebbero chiamato
lui per Balio, come seguì. Bertoldo, ricevuta questa risposta, avendo
al moribondo Corrado riferito che Manfredi non avrebbe accettato il
Baliato, fece che il Re nominasse lui per Balio del Regno.
Fece Corrado prima di morire il suo testamento, nel quale avendo
lasciato erede il _piccolo Corrado_ suo figliuolo, e Balio il Marchese
di Honebruch, fra l'altre cose, prevedendo gli sconvolgimenti, che
avrebbe potuto cagionargli Innocenzio IV, raccomandò al Balio, che
proccurasse usar ogni studio d'ottener per _Corradino_ la grazia e la
pace della Sede Appostolica, per non vedere implicato quel fanciullo in
nuove guerre col Pontefice.
Il Marchese avendo assunto il Baliato, e postosi in mano tutto il
tesoro della Camera regia, volle ubbidire al testamento del Re, e mandò
Legati al Pontefice Innocenzio, chiedendogli in nome di Corradino la
pace e la sua buona grazia, siccome Corrado aveagli raccomandato nel
suo testamento. Innocenzio che, morto Corrado, credeva aver per le mani
la più opportuna congiuntura d'impossessarsi del Regno, reputò questa
Legazione più tosto un'argomento della debolezza della parte Regia,
che atto di devozione; onde rendutosi più animoso che mai, rispose a'
Legati, che in tutte le maniere egli voleva prender la possessione
del Regno devoluto già alla Chiesa romana: che venuto alla pubertà
Corradino, quando fosse maggiore, allora si sarebbero esaminate le sue
pretensioni, e che forse, se la Sede Appostolica ne l'avesse reputato
degno, gli avrebbe conceduta la sua grazia[19].
Questa risposta fece avvertito il Marchese ed i Baroni del Regno, che
l'animo del Papa era già tutto rivolto ad occupare il Regno, e ben
tosto se ne videro gli effetti; poichè cominciava già a ragunare un
conveniente esercito per invaderlo; ed oltre di ciò si erano scoverti
alcuni trattati, che teneva con molti Baroni affezionati della Chiesa,
perchè l'ajutassero alla conquista; i quali mal soddisfatti del governo
del Marchese, e dell'insolenza de' Tedeschi, amavano meglio sottoporsi
al dominio della Chiesa, che vivere oppressi sotto la loro servitù.
Il Marchese volle riparare all'imminente invasione; ma scoverto, che
molti Baroni, da' quali egli sperava ajuto, s'erano dati dalla parte
del Pontefice, e che l'esercito Papale era già per invadere i confini
del Regno, atterrito dall'impresa, avvilissi in maniera, che pentitosi
d'aver assunto il Baliato, quello, non senza suo rossore, rifiutò, e
vergognosamente depose[20].
I Conti e' Baroni e gli altri Magnati del Regno, che erano rimasi fermi
nella fede del Re, vedendo il Marchese aver abbandonato il governo,
tosto ricorsero al Principe Manfredi, pregandolo e scongiurandolo, che
per non veder ruinato il Regno, ed esposto a perdersi, riprendesse
egli il Baliato, a cui di ragion s'apparteneva. Manfredi ripugnava,
dicendo che ora che le cose erano in istato pur troppo calamitoso, non
voleva perdere il suo onore; ma i Baroni incessantemente rampognandolo,
e protestandosi che sarebbe il Regno perduto, finalmente l'indussero
a pigliarne il governo. Movea ancora un'altra ragione fortissima,
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