Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5 - 11

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tutti i peccati ed altre prerogative.
(Non dee alcun credere, che questi vocaboli di _Coreggiati_,
_Rosariati_, _Cordonati_, ec. siansi posti per derisione; poichè così
si nominano nelle Bolle stesse Papali, da' Canonisti e da' Curiali
stessi di Roma. Il Cardinal de Luca, ch'essendo Avvocato in Roma, ebbe
sovente a difender liti istituite in quella Curia o dagli uni o dagli
altri in più suoi discorsi, non si vale di altri termini. Leggasi il
Tamburino[248], ove rapporta più Bolle di sommi Pontefici, che così
gli chiamano, con darne di più la derivazione, scrivendo, che le donne
si chiamano _Corrigiatae ec. quatenus Corrigiam S. Augustini cingunt_.
E lo stesso ripete nella disp. 7 qu. 10 n. 4. Il Cardin. de Luca[249]
fa un Catalogo di questi nomi, li quali non altronde derivano, che da
simiglianti cagioni: _Quae appellari solent_ (ei dice) _Conversae,
Tertiariae, Biguinae, Corrigariae, Mantellatae, Pinzoncheriae,
Canonissae, Jesuitissae ec._, ciochè sovente questo medesimo Scrittore
rapporta in altri suoi discorsi, particolarmente de _Jurisdictione,
part. 1 disc. 45 n. 3_ ed altrove).
E fu tanta sopra ciò la loro emulazione, che ciascuno guardava l'altro
perchè non si valesse della sua insegna per tirar a se la gente, ovvero
s'ingegnasse d'introdurne un'altra simile a quella: e sovente vennero
a contrasti, e ad istituirne liti in Roma, insino se un Francescano
tentava all'immagine di nostra Signora farvi dal dipintore aggiungerci
un Rosario denotante nuova istituzione, sicchè per quella si scemasse
il concorso a' Domenicani, e s'accrescesse agli emoli Francescani.
_Frat'Ambrogio Salvio_ da Bagnuolo dell'Ordine de' Predicatori famoso
Oratore e poi Vescovo di Nardò, cotanto per le sue prediche grato
all'Imperador Carlo V ed al Pontefice Pio V, ed a cui i Napoletani
eressero una statua di marmo nella Chiesa dello Spirito Santo, che fu
zio del Dottor _Alessandro Salvio_, celebre ancor egli per lettere
e per lo famoso trattato, che compilò del _Giuoco degli Scacchi_;
perchè il _rosariare_ fosse solo de' Domenicani, e non potessero altri
arrogarsi tal facoltà, ebbe nell'anno 1569 ricorso al Pontefice Pio
V da cui ottenne Bolla[250], per la quale fu interdetto e vietato a
tutti gli altri d'ergere Cappelle e Confraterie del Rosario; e che
tal facoltà fosse solamente del Generale dell'Ordine di S. Domenico,
o suoi Deputati, concedendola ancora per ispezial favore al medesimo
Frat'Ambrogio.
Per l'occasione di queste particolari divozioni per maggiormente
infiammar i devoti, s'inventavano molti finti miracoli, ed oltre di
predicargli a voce, se ne compilavano libri, tantochè, siccome avvertì
Bacon di Verulamio[251] per questa parte resero l'istoria ecclesiastica
così impura, che vi bisogna ora molta critica, e gran travaglio per
separare i finti miracoli dalli veri. Cotali furono i principj di
questi nuovi acquisti in questo decimoterzo secolo, i quali ricevettero
molto maggiore augumento per tutto il tempo, che fra noi regnarono gli
_Angioini_, gli avvenimenti de' quali bisognerà riportare ne' seguenti
libri di quest'Istoria.

FINE DEL LIBRO DECIMONONO.


STORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI
LIBRO VENTESIMO

I Franzesi al tempo della declinazione dell'Imperio romano abitarono
quel paese volto al Settentrione che tra la Baviera e la Sassonia, si
distende lungo le rive del Reno, e che sino al presente _Franconia_
dal nome di questa Nazione vien nominato. Indebolito l'Imperio, e
cessato lo spavento della potenza romana, invitati dall'esempio degli
altri Popoli vicini, deliberarono colla forza dell'armi procacciarsi
più comodo vivere, e più larga e fertile abitazione; ed avendo eletto
in loro Re _Faramondo_, uno de' figliuoli di _Marcomiro_, sotto la di
lui condotta, passato il Reno, si volsero alla conquista delle Gallie
intorno l'anno 419 lasciando il dominio della Franconia al vecchio
Principe Marcomiro. _Clodione_ figliuolo di Faramondo distese le
conquiste, e cominciò a signoreggiar quella parte delle Gallie, che
più propinqua alle rive del Reno, _Belgica_ vien nomata. Successe a
costui _Meroveo_, non si sa di certo, se fratello, o se figliuolo di
lui, ma prossimo al sicuro e congiunto di sangue, il quale con valorosi
progressi, dilatandosi nelle parti della Gallia _Celtica_ propagò
l'imperio de' suoi Franzesi sino alla città di Parigi, e giudicando
aver acquistato tanto, che bastasse a mantenere i suoi Popoli, ed
a formare un giusto, e moderato governo fermò il corso delle sue
conquiste, e rivoltato l'animo a' pensieri di pace, abbracciò ambedue
le Nazioni sotto al medesimo nome, e con leggi moderate e con pacifico
governo, fondò e stabilì nel possesso delle Gallie il Regno de'
Franzesi.
Continuò con ordinata successione la discendenza Reale in questa prima
stirpe de' _Merovingi_, insino all'ultimo Re _Chilperico_. Pipino la
trasferì poi nella famiglia de' _Carolini_; ma essendo questa seconda
stirpe mancata, _Ugo Capeto_ diede principio alla terza, detta perciò
de' _Capeti_: di cui nacquero i Filippi ed i Luigi per cui la Francia
fu gran tempo governata; ed essendosi continuata per molti secoli la
successione in questa stirpe, pervenne a questi tempi alla possessione
del Regno il Re _Lodovico IX_ di questo nome, quegli il quale per
l'innocenza della vita e per l'integrità de' costumi, meritò dopo la
morte d'essere ascritto tra' Santi. Fratello di questo Re fu Carlo
Conte di Provenza e d'_Angiò_, il quale per le cagioni nel precedente
libro esposte, essendo stato invitato alla conquista del Regno, con
prosperi avvenimenti ridusse l'impresa a compiuto fine, e stabilì in
Puglia ed in Sicilia il Regno degli Angioini.
Nel narrare i successi ed i cambiamenti del governo civile accaduti
nel Regno loro, serbarò, contro il costume degli altri Scrittori,
maggior brevità di quel che sinora abbiam fatto. La dovizia istessa
e copia grande delle loro memorie lasciateci, e 'l veder la maggior
parte d'esse notate in molti volumi di nostri Autori, e d'essersene
tessute più istorie, mi fa sperare, che rese ormai note e divulgate,
di non mi si dovere imputare a difetto l'averle in parte taciute. De'
fatti degli _Angioini_, e degli altri seguenti Re, molto da' nostri
si trova scritto: de' predecessori nostri Principi molto poco, e
tutto intrigato. Ciò nacque da più cagioni: principalmente per non
avere i Principi normanni e gli svevi fermata la loro Sede regia in
Napoli, o in altra città di queste nostre province, e d'esserci perciò
mancati delle loro memorie pubblici Archivii. Le tante guerre poi, e
revoluzioni accadute; gl'incendi, e' saccheggiamenti di quelle città,
che avrebbero potuto conservargli, come di Capua, Benevento, Salerno
e Melfi; e finalmente la barbarie e l'ignoranza de' Scrittori mal
disposti a tesserne istoria, ne cancellarono quasi ogni memoria. Molto
perciò dobbiamo a' monasterj della Regola di S. Benedetto, e sopra
tutto a quello di Monte Cassino, in cui serbansi le memorie più vetuste
anche de' Goti, essendo il più antico Archivio che abbiamo nel Regno;
ed a' due altri della Trinità della Cava, e di Monte Vergine, dove sta
raccolto quanto mai de' Normanni è a noi rimaso. Molto ancora dobbiamo
a' loro Monaci; poichè qualche antica Cronaca, e qualche mal composta
Istoria ad essi la dobbiamo. De' Re della illustre Casa di Svevia, per
aver avuti costoro nemici i Pontefici romani, gli Scrittori italiani,
che per lo più furono Guelfi, ne scrissero con molto strapazzo, con
gran pregiudizio della verità; e se qualche straniero, o qualche
Cronaca novellamente trovata, non vi rimediava, si sarebbe nella
medesima ignoranza e pregiudicj.
Non così avvenne ne' tempi di questi Re della Casa d'Angiò; poichè
avendo Carlo principiato adornar Napoli con magnifici tempj ed edifici,
e dopo la separazione del Reame di Sicilia, avendola renduta regia
sede, e capo e metropoli del Regno: quindi avvenne, che tennesi maggior
conto de' regali diplomi, e delle altre lor memorie, e si diede miglior
forma in Napoli a' regi Archivii. Carlo fu il primo, che ordinò in
Napoli l'_Archivio della Zecca_, che prima era in potere de' Maestri
Razionali, ed in miglior forma lo ridusse; ond'ebbe lunga durata, e
ancor dura, ed è il più antico, che oggi abbiamo in questa città. Si
conservano in quello 436 registri, cominciando dal Re Carlo I dall'anno
1267 che fu il secondo anno del suo Regno, insino alla Regina Giovanna
II ove molte scritture, anche nella lor lingua franzese, sono dettate.
Di Carlo I si trovano cinquantacinque registri, e più di Carlo II
suo figliuolo, ch'ebbe più anni di Regno, insino al numero di 153.
Di Roberto, 117. Di Carlo suo figliuolo, Vicario che fu del Regno,
62. Della Regina Giovanna I, 32. Di Carlo III della seconda razza
d'Angiò non più che tre. Di Ladislao, diece, e della Regina Giovanna
II sua sorella, quattro[252]. Per questo oggi giorno vediamo, che
le scritture, che si conservano in quello Archivio non hanno maggior
antichità, se non di quella de' tempi di Carlo I d'Angiò. Solamente
quasi per miracolo vi è rimaso un registro dell'Imperador Federico
II d'un solo anno, cioè del 1239. Ed è da credersi, che a ciò vi
cooperasse Carlo per estinguere affatto la memoria de' Re svevi, a'
quali egli era succeduto, non già per ragion ereditaria, ma per ragion
di guerra, e di papali inviti[253]. Quindi avvenne, che i nostri
Scrittori furono più copiosi ed abbondanti in registrar la memoria
degli Angioini, che degli altri Re predecessori.
S'aggiunse ancora, che costoro regnarono in tempi, ne' quali la
barbarie non era cotanta, e cominciavano pian piano in Italia, e
presso di noi a risorgere le buone lettere, e ad aversi buon gusto
dell'istoria. Aveva Fiorenza _Giovanni_, e _Matteo Villani_, che
coetanei de' due Carli e di Roberto, non mancarono di mandar alla
memoria de' posteri le loro gesta.
Successero poi uomini più illustri, come il _Petrarca_, e _Giovan
Boccaccio_, i quali nelle loro opere de' Re angioini ci lasciaron non
poche memorie, come da coloro ben careggiati, e tenuti in sommo pregio:
e tra' nostri non mancarono ancora chi i fatti di questi Re notasse,
come _Matteo di Giovenazzo_, che scrisse dalla morte di Federico II sin
a' tempi di Carlo II ne' quali visse: l'_Autore de' giornali_ chiamati
_del Duca di Montelione_, ne' quali furono annotate dì per dì le cose
fatte dal tempo della Regina Giovanna I fin alla morte di Re Alfonso I
e _Pietro degli Umili_ di Gaeta, che scrisse a pieno delle cose del Re
Ladislao, il qual visse a quel tempo, e fu Ufficiale della Tesoreria di
quel Re. Dalle memorie de' quali e da altri gravi Autori, confortato da
quei due grandi uomini Giacomo Sannazaro e Francesco Poderico, compilò
poi _Angelo di Costanzo_ quella sua grave e giudiziosa Istoria del
Regno di Napoli, che siccome oscurò tutto ciò, che insin allora erasi
scritto, così ancora per la sua gravità, prudenza civile ed eleganza,
si lasciò indietro tutte le altre che furono compilate dopo lui dalla
turba d'infiniti altri Scrittori. Per questa cagione l'Istoria di
questo insigne Scrittore sarà da noi più di qualunque altra seguitata,
nè ci terremo a vergogna se alle volte colle sue medesime parole, come
che assai gravi e proprie, saranno narrati i loro avvenimenti.
Carlo adunque, dopo essersi con que' mezzi di sopra narrati stabilito
ne' due Reami di Puglia e di Sicilia, dopo aversi reso benevoli molti
Baroni del suo partito con profuse donazioni, e dopo, per maggiore
sua sicurezza fatti fermare nel Regno molti Signori franzesi, a cui
diede molti feudi, onde nuove famiglie in esso ci vennero, erasi reso
formidabile per tutta Italia e riputato uno de' maggiori Re d'Europa;
e stendendo le sue forze oltre i confini di questi Reami, aveasi ancora
reso tributario il Regno di Tunisi, e come uomo ambiziosissimo ed avido
di Signoria, aspirava all'Imperio di Costantinopoli, e tutto il suo
studio era di cacciar da quella Sede _Paleologo_, che allora imperava
in Oriente. E forse gli sarebbe riuscito, se in _Gregorio_ successore
di Clemente avesse trovato quelle medesime inclinazioni ed affetti, che
in costui furono.
Era stata la Sede Appostolica, per le discordie dei Cardinali, vacante
poco men di tre anni dopo la morte di Clemente; nè vi bisognò meno, che
la presenza del Re Filippo di Francia, e d'Errico, e d'Odoardo l'uno
nipote e l'altro figlio del Re d'Inghilterra, per ridurre i Cardinali a
rifar il successore; poichè questi Principi, che ritornavano d'Affrica,
passati per Sicilia e Napoli, ritornando a' loro Stati, andarono a
Viterbo per sollecitare i Cardinali per l'elezione, i quali finalmente
mossi dalla presenza di que' Signori, non convenendo in niun di loro,
finalmente nel dì 1 di settembre di quest'anno 1271 elessero persona
fuor del Collegio, che fu Teobaldo di Piacenza della famiglia de'
Visconti Arcidiacono di Liegi, che a quel tempo si trovava in Asia
Legato appostolico nell'esercito cristiano contro Infedeli; che fattosi
nel seguente anno coronare a Viterbo, fu chiamato _Gregorio X_, il
quale ammaestrato da' precedenti disordini, fu il primo che fece la
legge di chiudere dopo la morte del Papa i Cardinali in _Conclave_, e
di tenervigli finchè avessero eletto il successore.
Fatta l'elezione del nuovo Pontefice, Re Filippo se n'andò in Francia,
e Re Carlo ritornò in Napoli: questi considerando, che _Filippo_
suo figliuolo secondogenito era morto, un altro chiamato _Roberto_
terzogenito era pur morto sin nel 1265 e che _Carlo_ suo primogenito
(investito da lui del Principato di Salerno colla corona o cerchio
d'oro, del Contado di Lesina con lo stendardo, e dell'Onore di Monte
S. Angelo coll'anello[254]) non avea ancor figliuoli maschi, egli
nel nuovo anno 1272 tolse la seconda moglie, figliuola (secondo il
Costanzo) di Balduino di Fiandra, ultimo Imperador di Costantinopoli,
per via della quale sperava acquistar parte dell'Imperio di Oriente:
ancorchè il Sigonio dica, che fu figliuola non già di Balduino, ma
del Duca di Borgogna. Furono perciò in Napoli fatte gran feste e
giostre, ed armati da lui molti gentiluomini con cingolo militare e
fatti Cavalieri. Fu anche quest'anno assai lieto al Re, perchè nella
fine del medesimo al Principe di Salerno successore del Regno, che non
avea altro che figliuole femmine, nacque un figliuolo chiamato _Carlo
Martello_, che fu poi Re d'Ungheria, del che si fece festa non solo in
Napoli, ma in tutte l'altre città del Regno.
Ma poi che Carlo ebbe novella, che tornava da Soria il nuovo eletto
Pontefice, e veniva a dismontare in Puglia, cavalcò, ed andò subito in
Manfredonia ad aspettarlo e lo ricevè con molta stima ed onore, e volle
accompagnarlo per Capitanata e per Abbruzzo fin a Campagna di Roma,
lusingandosi con queste carezze tirar Gregorio a dar mano all'impresa,
ch'ei meditava di Costantinopoli; ma il novello Pontefice, che stato
lungamente in Soria, teneva grande affezione a quella guerra, coronato
che fu, nel primo Concistoro fece nota a tutto il Collegio l'intenzion
sua, che era d'impiegare tutte le forze del Ponteficato all'impresa
di Soria contra Infedeli; la qual cosa, subito che fu scritta al Re
Carlo, s'accorse quanto avea perduto con la morte dell'altro Papa suo
predecessore.
Era a quel tempo venuto di Grecia Filippo figliuolo dell'ultimo
Balduino, genero e cognato di Re Carlo, per sollecitarlo che venisse
all'impresa di Costantinopoli, e 'l Re gli consigliò che andasse al
Papa: e mandò con lui per Ambasciador suo il Vescovo d'Avignone, i
quali trattando insieme col Papa, che volesse contribuire al soccorso,
come si conveniva, per far unire la Chiesa greca colla latina, lo
ritrovarono molto alieno da tal pensiero; perchè il _Paleologo_,
che avea occupato l'Imperio, in quel medesimo tempo avea mandati
Ambasciadori al Papa, offerendogli di ridurre la Chiesa greca
all'ubbidienza della romana; onde Gregorio, che stimava più il bene
universale de' Cristiani che il particolare dell'Imperador Balduino,
e che voleva più tosto l'amicizia di colui, che possedeva l'Imperio e
poteva sovvenire all'esercito cristiano nel riacquisto di Terra Santa,
che divertirsi dall'aiuto dei Cristiani per rimettere nello Stato
Balduino; si mosse da Orvieto, escludendolo da questa speranza, e se
ne andò in Francia a celebrare il Concilio in Lione, per invitare il
Re di Francia e d'Inghilterra, e gli altri Principi oltramontani alla
medesima impresa. Il _Paleologo_, ch'avea inteso, che Balduino era
andato in persona al Papa, per gelosia ch'ebbe, che non fosse di più
efficacia la presenza di lui, che l'intelligenza degli Ambasciadori
suoi, si mosse da Costantinopoli e condusse seco il Patriarca e gli
altri Prelati del suo dominio a dare ubbidienza al Papa, dal quale fu
accolto con grandissimo onore, ed ottenne quanto volle, e se ne tornò
subito in Grecia, confermato Imperadore dalla Sede Appostolica[255].
Si adoperò ancora Gregorio, che _Ridolfo Conte d'Ausburg_ fosse eletto
Imperador d'Occidente, essendo vacato l'Imperio molti anni, affine
d'unire questi Principi al riacquisto di Terra Santa.
Tutte queste cose molto dispiacquero al Re Carlo; e avendo Gregorio
nel 1274 aperto già il Concilio in Lione, ed invitato Fra Bonaventura,
soprannomato il _Dottor Serafico_, che era stato creato Cardinale, e
Fra Tommaso d'Aquino, il _Dottor Angelico_, perchè dovendosi trattare
dell'unione della Chiesa greca e latina, potessero questi due insigni
Teologi confutar gli errori de' Greci; Carlo temendo che Tommaso, il
qual partiva di Napoli, dove in quest'università leggeva teologia, ed
al quale erano note le sue crudeltà, nel Concilio non maggiormente
esacerbasse l'animo del Pontefice, passando egli per Fossanova,
luogo non molto lontano da Terracina, lo fece avvelenare, onde ivi
nel monastero de' Monaci Cisterciensi trapassò nel dì 7 marzo dello
stesso anno, in età di 50 anni. Ciò che Dante[256] noverò tra le altre
fierezze e crudeltà di questo Principe, dicendo:
_Carlo venne in Italia, e per ammenda_
_Vittima fè di Corradino; e poi_
_Ripinse al Ciel Tommaso per ammenda._
Scorgendo per tanto Re Carlo l'animo del Pontefice non esser niente
disposto a secondare i suoi desiderj, differì i suoi disegni; e mentre
Gregorio visse, non si travagliò molto per le cose d'Italia, nè fuori
di quella: ma _fermato_ in Napoli, attese a magnificarla, ed a dar
nuovo sistema alle cose di questo Regno, cominciando da lui queste
nostre province a riconoscer Napoli per loro capo e metropoli.


CAPITOLO I.
_Cagioni onde Napoli divenisse capo del Regno, e Sede regia._

I primi fondamenti della magnificenza e grandezza di questa città,
onde con prosperi avvenimenti surse poi a quello stato in cui oggi si
vede, furono gettati da Federico II Imperadore. Primieramente lo studio
generale, che questo Principe vi fondò, tirò a quella gli scolari non
pur di questo Reame, ma anche di Sicilia e d'altre più remote parti.
Il non essersi da poi Federico fermato in Palermo, come gli altri
Re normanni suoi predecessori, ma avere scorso più città di queste
nostre province, ed essersi spesso fermato in Napoli colla sua Gran
Corte e con gli altri Ufficiali del Regno, servì anche per scala a
tanta altezza; e l'aver ancora in magnifica forma ridotto il Castello
capuano, e quel dell'Uovo vi conferì molto.
L'altra cagione di tanta elevatezza furono _Innocenzio IV_ e 'l suo
successore _Alessandro_, i quali in Napoli lungamente colla loro
Corte dimorarono; ma coloro, che vi diedero l'ultima mano furono i
novelli Re angioini, Carlo I e II, e più la separazione della Sicilia
per quel famoso vespero siciliano: donde sursero due Reggie e due Re,
cioè l'antico di Sicilia, e 'l nuovo di Napoli. Palermo antica Reggia
restò per gli _Aragonesi_ in Sicilia. Napoli nuova Reggia restò per li
_Franzesi_ in Puglia e Calabria.

§. I. _Edificj._
Cominciò prima Carlo ad ampliarla con magnifici e superbi edificj: non
ben soddisfatto del Castel capuano fatto alla tedesca, appena sconfitto
Manfredi, ed entrato con trionfi e plausi in questa città, che fece
edificar il _Castel Nuovo_, dove è oggi, al modello franzese, per farlo
abile a ricever soccorso per mare, ed a difendere il porto, riputato
allora una delle opere più notabili d'Italia, ingrandito poi e reso più
forte ed inespugnabile dagli altri Re suoi successori. Narrasi ancora,
che nell'antico Molo di questa città per maggior sicurtà de' vascelli
e per maggior difesa di questo castello vi avesse fatta edificare
quella _Torre_, che ancora oggi ritiene il nome _di S. Vincenzo_, per
Chiesetta, che in questo luogo v'era dedicata a quel Santo.
L'adornò anche di magnifiche chiese e monasterj, ed una chiesa de'
Frati di S. Francesco, che era in quel luogo ove edificò il Castel
Nuovo, la trasferì, come si disse, dove è oggi _Santa Maria della
Nuova_ in forma più magnifica, e vi fece un comodo monastero capace di
molti Frati Minori, il di cui numero ne' seguenti anni fu notabilmente
accresciuto. L'antico palazzo della napoletana Repubblica, ove solevano
convenire per pubblici affari il Popolo e la Nobiltà, per tenergli
divisi, proccurò che si disfacesse, e fecevi edificare quella magnifica
chiesa che ritiene ancora il nome di _S. Lorenzo_, (che poi Carlo
II suo figliuolo ridusse in più ampia forma) a cui unì un ben grande
convento di S. Francesco.
L'antico Duomo di Napoli, che prima era la chiesa di S. Restituta, lo
cominciò in altra più grande e magnifica forma a ristorare, ciò che non
potendo perfezionare, Carlo II poi lo fece riedificare nella forma che
oggi si vede, benchè nell'anno 1456 per un gran tremuoto cadde, e fu in
quella guisa che stava prima ristorato dal Re Ferrante I d'Aragona e da
molti altri signori del Regno, che tolsero ognuno da per se una parte
a ristorare, de' quali si vedono oggi l'insegne sopra i pilastri.
L'esempio del Principe mosse anche i suoi famigliari e domestici a far
il medesimo, i quali d'altre Chiese l'adornarono; ma sopra tutti si
distinsero tre Franzesi che si crede fossero stati tre cuochi del Re
Carlo, i quali ottenuto dal medesimo nell'anno 1270 per donazione quel
luogo, v'edificarono un ben grande Ospidale e una chiesa dedicata a tre
Santi Vescovi Eligio, Martino e Dionigi: che in decorso di tempo si è
resa una delle opere più notabili della pietà cristiana.
Fece ancora delle pietre quadrate, ch'erano per le ruine della via
Appia, lastricare in bella forma le strade della città, e rifare
le mura della medesima in miglior modo di prima. E per renderla più
abbondante di viveri e di traffichi, fece quel gran mercato, che oggi
si vede, in luogo più ampio e capace, poichè allora era fuori della
città[257]; onde Napoli ebbe due mercati, questo nuovo fatto da Carlo,
ove fu decapitato l'infelice Corradino, ed il mercato vecchio che era
prima vicino alla chiesa di S. Lorenzo.

§. II. _Ristoramento degli Studj._
Imitando questo Principe le vestigia di Federico II per render
più rinomata ed illustre questa città, ampliò lo Studio generale
da Federico fondato, e l'arricchì di molte altre prerogative e
privilegi. Re Roberto suo nipote tra' suoi _Capitoli_, che aggiunse
a quelli fatti dall'avo e dal padre, rapporta un ampio privilegio a
quest'Accademia conceduto da Carlo nel primo anno del suo Regno 1266
che fu istromentato da Roberto da Bari suo Protonotario in Nocera,
nel quale mostra essergli stato sommamente a cuore la grandezza
e decoro di questa Accademia[258]. Perciocchè per maggiormente
privilegiare i Dottori e gli scolari di quello, costituisce loro un
proprio e particolare Giustiziero, avanti di cui ordina, che tutte
le loro cause civili o criminali, attori o rei che fossero, debbano
agitarsi; nè che possano esser tirati a piatire altrove avanti altro
Giudice o Tribunale, se non se volessero a loro arbitrio per via di
compromesso andare avanti l'Arcivescovo della città, ovvero ad un
Dottore dell'istessa Accademia, affinchè determinassero le loro cause.
Stabilì per ciò al Giustiziero, se sarà napoletano, 20 once d'oro
l'anno per sua provisione, e se sarà forastiero 30. Ed il Summonte
da' libri dell'Archivio dell'anno 1269 rapporta, che fu da Carlo
costituito in quell'anno per Giustiziero Landolfo Caracciolo con 20
once d'oro l'anno per suo salario. Statuì a questo Giustiziero per la
retta amministrazione della giustizia tre assessori: uno oltramontano
da eleggersi dagli scolari oltramontani, che venivano quivi a studiare;
l'altro Italiano, che doveasi eleggere per gli scolari d'Italia; ed il
terzo Regnicolo, la di cui elezione apparteneva ai scolari del Regno;
li quali dovevano da tre in tre mesi successivamente mutarsi.
Diede anche facoltà a questo Giustiziero (acciocchè gli studenti non
fossero defraudati del prezzo de' commestibili) che coi consiglj degli
Assessori e dei Dottori e maestri degli scolari mettesse egli l'assisa
alle cose venali, moderata però e giusta, affinchè non riuscisse grave
ed iniqua a venditori e compratori. Che potessero anche costituire,
col consenso degli scolari, uomini probi, i quali dovessero assignare
a' scolari gli ospizi e stabilire la giusta mercede per li medesimi
e per le case, che serviranno per l'abitazione de' medesimi. Perchè
non fossero distratti da' loro studj, proibì a tutti gli Ufficiali
della sua Corte di non gravare i medesimi d'angarìe, esazioni, servigi
personali, anche se la sua Corte medesima o la città ne avesser
bisogno. Nè che i Baglivi ed altri Ufficiali esigessero per le Merci
e robe, che saranno a' scolari mandate per loro sostentamento o
necessità, dritto alcuno di pedatico, fondaco o dogana, esimendogli
affatto dalla loro giurisdizione e potestà.
Finalmente invita tutte le Nazioni a mandar i loro giovani a studiare
in Napoli, a' quali sarà libero e sicuro l'accesso, e 'l recesso a loro
arbitrio e volontà, e saranno benignamente accolti, e liberalmente
protetti e favoriti dal presidio e regal munificenza. Della Corte
di questo Giustiziero degli Scolari istituita da Carlo l fassi anche
memoria nel Regal Archivio; e ne' Registri di Carlo II si leggono altri
Giustizieri, come Marino del Duca Giustiziero degli Scolari, e da poi
Pietro Piscicello, detto _Ortante_, e dopo costui Gualtiero Caputo
di Napoli Milite; e finalmente Matteo Dentice Milite. Ed il Summonte
rapporta, che dalle carte di que' registri si vede, che l'assisa de'
pesci e delle altre cose commestibili conceduta da Carlo I, e poi
confermata da Carlo II suo figliuolo allo Studio di Napoli, si faceva
nella Chiesa di S. Andrea a Nido, insieme col Giustiziero, Dottori
e Studenti, conforme al solito[259]; di che ora n'è pur a noi rimaso
vestigio; poichè sebbene l'Ufficio del Giustiziero degli Scolari si
vegga a' tempi nostri molto ristrettamente passato nel _Cappellan
Maggiore_, il quale come Prefetto degli studj tiene giurisdizione, ma
molto ristretta e differente da quella, che teneva il Giustiziero,
stendendosi solamente sopra gli Scolari delinquenti nello Studio: e
la potestà di metter l'assise fosse rimasa al Giustiziero, ed a' suoi
Catapani, con giurisdizione molto differente dall'antica, e ristretta
solo sopra i venditori delle cose commestibili[260] nulladimanco dura
ancor ora, che gli emolumenti della Catapania per tre mesi dell'anno si
appartengano al Lettor primario di Legge civile di quest'Università,
il quale senza nuova provvisione, gode di quegli emolumenti, come
attaccati e dependenti dalla cattedra primaria del jus civile.
Perchè ancora questo Studio fosse più florido e numeroso, invitò i
più insigni Dottori forastieri de' suoi tempi con grossi stipendi,
perchè venissero ad istruire la gioventù di buone lettere e discipline.
Fioriva a questi tempi lo Studio di Bologna, e fra gli altri Professori
era rinomato per la legge civile _Giacomo Belviso_. Fu costui invitato
da Carlo a venir in Napoli ad insegnare jus civile, con stabilirgli di
salario cinquanta once d'oro l'anno. Invitò ancora nell'anno 1269 per
la legge canonica Maestro _Girardo de Cumis_, con salario di 20 once
d'oro. Per la teologia Maestro _Tommaso d'Aquino_ Frate Domenicano,
colui che adoriamo ora per Santo, con salario di un'oncia d'oro il
mese. E per leggere medicina Maestro _Filippo de Castrocoeli_, con
salario d'once dodici d'oro l'anno[261]. Le di cui vestigia, come
diremo, furono da poi calcate da Carlo II e da Roberto suoi successori.
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