Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5 - 02

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perch'essendosi sparsa la voce che Corradino fosse morto, il Papa era
entrato in maggior speranza d'occupare il Regno. All'incontro Manfredi,
che reputava, secondo il testamento dell'Imperador Federico suo padre,
dover egli succedere ne' suoi Stati, determinò di prenderne il governo,
affinchè se il pupillo vivea, gli avrebbe per lui amministrati, e
per lui ripressi gli sforzi dell'emolo Innocenzio, se all'incontro
fosse vero il rumore della morte, con facilità se ne sarebbe potuto
incoronare[21].
Avendo adunque Manfredi assunto il Baliato del Regno, si fece giurare
fedeltà dall'istesso Marchese, dalli Conti, Baroni, e da tutti i fedeli
del Regno, in cotal maniera, che se vivea il picciolo Re, giurassero a
lui come general suo Balio; se fosse morto, avessero da ora a riputarlo
per loro Re e signore del Regno[22].


CAPITOLO III.
_Spedizione d'INNOCENZIO IV sopra il Regno._

Composte in cotal maniera queste bisogne, il Marchese andossene
in Puglia, promettendo a Manfredi di colà mandargli ogni soccorso
di denaro, e di gente; ed intanto Manfredi cominciò a preparare, e
disporre l'esercito per poter fronteggiare a quello del Pontefice, che
a grandi giornate se ne calava nel Regno. Presidiò a questo fine San
Germano con buon numero di Tedeschi, e fortificò Capua con tutte le
vicine terre, che cominciavano a fluttuare, per contenerle nella sua
ubbidienza.
Ma dall'altra parte Innocenzio avea fatti progressi grandi per
facilitar l'impresa, avea mandati suoi messi in Sicilia a Pietro
Ruffo di Calabria, che dal Marchese di Honebruch era stato lasciato
Balio della Sicilia e della Calabria, perchè disponesse que' popoli
ad alzar le bandiere della Chiesa[23]; ed in fatti Pietro da Messina
spedì al Papa Folco suo nipote, ed altri Ambasciadori sopra due galee
a significargli, che tanto la Sicilia, quanto la Calabria s'andavan
disponendo ad abbandonar Manfredi, e darsi dalla parte sua.
S'aggiungeva ancora, che Riccardo di Monte Negro per l'odio ed
inimicizia, che teneva col Marchese Bertoldo, s'era dato già nel
partito del Pontefice, col quale erasi confederato, e promise voler
dar libero passo all'esercito papale per le sue terre, che teneva ne'
confini del Regno. Molti altri Baroni ancora aveano nascostamente
mandato dal Papa a giurargli fedeltà, ed a ricevere da lui la
rinnovazione dell'investiture de' loro Feudi che possedevano[24];
ed altri ottennero con facilità dal Pontefice nuove investiture,
siccome Borrello di Anglono, che fu da Innocenzio in questi tempi
prima d'entrar nel Regno investito del Contado di Lesina, ancorchè
s'appartenesse a Manfredi, come pertinenza del Contado di Monte S.
Angelo. Anzi Innocenzio avea conceduta l'investitura del Contado
di Lecce a Marco Ziano figliuolo di Pietro Duca di Venezia, a cui
dichiarò appartenere come discendente del Conte Tancredi suo avo,
non ostante le ragioni, che vi teneva il Conte Tigrisio de Mudignana,
ovvero i di lui figliuoli, per ragione d'Alberia sua moglie, che dovea
nella successione a tutti preferirsi; e non per altra cagione, se non
perchè il Conte Tigrisio e' suoi figliuoli aderirono all'Imperadore
Federico contro la Chiesa, ed ancora non tralasciavano d'offenderla,
onde Innocenzio gli reputava affatto indegni della sua grazia; e la
carta di questa investitura spedita da lui in Perugia l'anno 1252 vien
rapportata dall'Ughello[25], che dice averla riscontrata nel registro
vaticano. Siccome nell'istesso anno 1252 a' 21 gennajo dimorando per
anche in Perugia, investì O. Frangipane del Principato di Taranto,
ancorchè fosse di Manfredi, con tutta la terra d'Otranto: sotto
pretesto, ch'era stato prima dato dall'Imperadrice Costanza I normanna
ad O. suo zio, come appare per privilegio dato in Perugia, rapportato
da Rainaldo[26]; ed in cotal maniera Innocenzio gratificandogli s'avea
resi suoi ligi, e dependenti i migliori Baroni del Regno, e ridotti
molti personaggi di conto al suo partito.
Di vantaggio erasi penetrata una congiura, che si ordiva a Capua
contro Manfredi, con deliberazione, subito che l'esercito papale si
fosse accostato al Regno, con impeto grande dar sopra quel Principe
per imprigionarlo, o ucciderlo. Erasi ancora scoverta la poca fede
del Marchese Bertoldo, il quale violando tutte le promesse fatte
a Manfredi di mandargli dalla Puglia denaro e gente, non solo non
adempieva alle promesse, ma discorrendo per Puglia badava solo al suo
utile, gravando que' sudditi d'eccessive taglie, ed i suoi Tedeschi,
per la loro rapacità gli aveano alienati dalla fede che doveano al
Re, e desideravano il dominio del Papa; ed ancorchè Manfredi avesse
mandato Gualvano Lancia suo zio, a narrargli le angustie, nelle quali
si trovava per moverlo a dargli ajuto, fu però inutile la missione,
niente curando de' suoi pericoli.
Vedutosi perciò il Principe Manfredi in così gravi angustie, nelle
quali era, più per gli occulti, che per li palesi nemici, reputando
inutile ogni suo sforzo di voler colla forza contrastare al Pontefice,
bisognò cedere al tempo, e ricorrere per vincer l'inimico alle
simulazioni ed agl'inganni. Erasi il Pontefice Innocenzio, per
accalorare l'impresa, disposto di venir egli di persona a conquistare
il Regno: e fermato in Anagni era tutto inteso al grande apparecchio,
e perchè non si tralasciasse strada per agevolarne l'impresa, avea
mandati più Messi a tentare l'istesso Manfredi, affinchè lasciasse il
governo del Regno, e quello ponesse in mano della Chiesa. Manfredi
con somma accortezza andava differendo la risposta; ma ora vedutosi
in queste angustie, deliberò fargli tornare al Pontefice con risposte
tutte umili e riverenti, dicendogli, che rapportassero al Papa,
ch'egli fidando al suo gran zelo e pietà, che aveva verso il Re
pupillo suo nipote, e reputando esser proprio della Sede Appostolica
di proteggerlo, e riceverlo nel suo seno con paternal amore e grazia,
non ripugnava abbandonar il governo del Regno, e ponerlo in mano della
Chiesa madre pietosa di tutti, e più de' pupilli; e che sperava che
con ciò si fossero adempiuti i voti di Corrado padre del fanciullo
Re, che nel suo testamento avea ardentemente desiderato, che la Santa
Sede ricevesse sotto la sua protezione e grazia l'innocente fanciullo:
che egli non solo non contrasterebbe, ma darebbe ogni ajuto alla sua
entrata, e possessione del Regno, senza però, che dovesse recarsi con
tal atto alcun pregiudicio alle ragioni sue, e del Re pupillo[27].
Il Pontefice ricevuta questa risposta con indicibile allegrezza,
si lodò tanto di Manfredi, che quando prima tenne quel Principe per
iscomunicato, e niente cattolico, ora lo ricevè in sua grazia ed in
quella della Sede Appostolica, dimenticando ogni offesa; ed avendogli
fatto animo, che fidasse in lui che con porsi il Regno in mano
della Chiesa, non si sarebber punto pregiudicate le ragioni del Re
pupillo, e sue; e che quando sarebbe quegli venuto alla età maggiore,
la Sede Appostolica gli avrebbe renduta sua ragione, si dispose
ad entrare nel Regno col suo esercito. Inviò intanto Manfredi, per
maggiormente assicurarlo della sua fedeltà, Gualvano Lancia suo zio ad
Anagni ad umiliarsi col Pontefice; e, se deve riputarsi vera quella
Bolla rapportata dal Tutini, si vede che Innocenzio per mostrargli
all'incontro ugual corrispondenza, a' 27 settembre di quest'anno
1254 in Anagni gli confermò l'investitura, colla quale per mezzo
dell'istesso Gualvano investì, e confermò a Manfredi il Principato di
Taranto (del quale prima avea investito O. Frangipane), il Contado di
Gravina, e di Tricarico, con l'onore del Monte S. Angelo, con tutte
le supreme regalie ed onori e preminenze, colle quali l'Imperador
Federico suo padre gliel'avea conceduto, e che Corrado gli avea tolte.
E per mostrargli maggior benevolenza, possedendosi allora il Contado di
Montescaglioso dal Marchese Bertoldo, in iscambio di quello gli diede
il Contado d'Andria, investendone in pubblico Concistoro in suo nome
il sopraddetto Gualvano Lancia, dandogli in segno dell'Investitura
un anello, come si legge nella Bolla dell'investitura, rapportata dal
Tutini nel libro de' Contestabili del Regno[28].
Il Principe Manfredi, ancorchè dal tenore di questa investitura,
e da altri fatti comprendesse, che l'animo d'Innocenzio era non di
governare come Balio il Regno insino all'età maggiore di Corradino,
ma supponendolo devoluto alla Sede Appostolica, dominarlo con
assoluto, ed indipendente imperio, nulladimanco con mirabile astuzia
dissimulava il tutto; e per maggiormente farlo cadere nelle sue reti,
vie più mostravasi di lui tutto umile ed ubbidiente; anzi per segno
di maggior venerazione, essendosi Innocenzio già incamminato, volle
andare ad incontrarlo, insino a Cepperano, e quivi incontratolo, volle
inginocchione adorarlo, e prendendo da poi il freno del suo cavallo,
lo servì in cotal maniera per un pezzo di strada insino che passasse il
ponte di Garigliano[29].
Innocenzio gradì tanto queste umili dimostrazioni, che ancorchè
vecchio, e per esperienza prudentissimo, si lasciò ingannare, in
guisa, che oltre aver conferito con lui quasi tutti i suoi più riposti
pensieri, credendo, che conserverebbe la più sopraffina divozione
alla Sede Appostolica, volle cumularlo di maggiori onori; poichè
oltre avergli dato il primo luogo fra tutti i Baroni, lo creò Vicario
del Regno, dal Faro insino al fiume Sele, e per tutto il Contado di
Molise, e terra Beneventana, eccettuatone il Giustizierato d'Abruzzo,
costituendogli ottomila oncie d'oro l'anno di mercede; e la carta di
questa concessione la rapporta ancora il Tutini[30]; ed essendosi già
sparsa fama per tutto il Regno, che il Papa con accordo e permissione
di Manfredi era entrato nel Regno per amministrarlo, i popoli, che
stavano infastiditi de' trattamenti, che ricevevan da' Tedeschi, erano
già tutti disposti per riceverlo, riputando in cotal guisa poter uscire
dalla loro servitù, ed esser fuori di periglio d'esser più interdetti
dagli Ufficiali sacri[31]. E questo fu cagione, che Manfredi con
grandissime astuzie consigliò il Papa, che compartisse il suo esercito
per le più ricche province del Regno: dal quale consiglio ne avvenne,
che i Capitani tedeschi, parte per timore dell'esercito del Papa, parte
per la mala volontà, che conosceano ne' popoli, i quali ricusavano di
pagare a' Tedeschi cos'alcuna, si partirono dal Regno, e tornarono in
Germania delusi da Manfredi, con lasciarne solo in Puglia, ed in terra
d'Otranto alcuni, i quali appena potendo vivere, non avendo paghe,
andavano sempre più mancando di numero. Così Manfredi toltisi dattorno
i Tedeschi, i quali gli davano maggior sospetto, che i nemici palesi,
e tratto tratto acquistando forza in quelle province, ove era egli
stato creato Vicario dal Papa, cercava ora opportunità, come potesse
discacciarne i costui soldati, che compartiti in più luoghi, infra di
loro divisi, credeva con più facilità debellare.
Intanto il Pontefice entrato nel Regno, prima fermossi a Teano per
picciola indisposizione, e poi giunse in Capua, ove fu ricevuto con
molta pompa e celebrità[32]; e quivi fermatosi, era tutto inteso ad
unire sotto il dominio della Sede Appostolica tutte le altre province
del Regno di Puglia e di Sicilia, come avea fatto dell'Abruzzo, di
Terra di Lavoro, parte della Puglia, e d'alcune altre. Avea egli
fatto Legato della Sede Appostolica sopra il Regno il Cardinal di
S. Eustachio, suo nipote, al quale avea data tutta la sua autorità
e potere per amministrarlo. Questi essendo giovane, e congiunto
ad Innocenzio[33], cominciò con alterigia a governarlo, non come
Governadore, ma come assoluto padrone, ed obbligava i Conti, i Baroni
e tutti gli altri a dargli il giuramento di fedeltà, _nullo jure Regis,
et Principis salvo_ (come dice l'Anonimo) ma assolutamente a lui, come
Legato della Sede Appostolica, a cui era il Regno devoluto. Per questa
cagione pretendeva ancora, che il Principe Manfredi, siccome avean
fatto gli altri Baroni, dovesse prestar a lui consimil giuramento di
fedeltà.
Allora fu, che Manfredi opportunamente cominciò pian piano a togliersi
il velo della simulazione, ed a resistere apertamente al Legato con
dirgli, che le convenzioni avute col Pontefice erano state, che si
lasciasse in mano della Chiesa il governo del Regno, salve però le
sue ragioni e quelle del nipote, ed infino a tanto che il pupillo
non sarà fatto pubere, non dovesse mutarsi cos'alcuna dello stato,
nel quale era il Regno: per la qual cosa non volle dar il ricercato
giuramento, non ostante le moleste dimande del Legato. Non fu però,
come dice l'Anonimo, che per tali contese Manfredi non venisse a
perdere molto della sua stima presso gli altri Baroni del Regno:
poichè questi vedendo, che il Legato niente riguardando alla sua regale
stirpe, voleva trattarlo di pari, e nell'istessa guisa che gli altri,
cominciarono a perdere quella riverenza ed ossequio, che prima gli
portavano.
Per questa cagione avvenne, che avendo Borrello di Anglono ottenuto dal
Pontefice Innocenzio, prima che entrasse nel Regno, l'investitura del
Contado di Lesina, perchè abbandonasse le parti Regie, e seguitasse
quelle della Chiesa, siccome avea fatto con molti altri Baroni, per
tirargli al suo partito, pretendeva egli in vigor di tal investitura,
che quel Contado a lui appartenesse; ma Manfredi pretendendo
giustamente, che essendo quello tra le pertinenze del suo dominio,
non dovesse in quello esserne turbato, gli fece prima amichevolmente
intendere, che se ne astenesse; anzi di certa altra terra, che teneva,
appartenente al Contado di Monte S. Angelo, gli fece sentire, che la
godesse pure, ma che almeno ne ricevesse da lui l'investitura, con la
ricognizione, e con dargli il solito giuramento della assicurazione,
altrimenti, che la lasciasse[34]. Borrello insuperbito per lo favore
del Papa, disprezzando l'ambasciata di Manfredi, con molta arroganza
gli rispose, ch'egli non era nè per lasciar il Contado, nè per
riconoscer lui per quella terra, nè per dargli giuramento alcuno.
Manfredi ancorchè acerbamente ricevesse tal risposta, non volendo
contendere col disuguale, dissimulò l'ingiuria: ed avendo inteso, che
Borrello avea mandata molta gente ad invadere il Contado di Lesina, con
aver già occupate due terre di quel Contado, non volle usar la forza,
ma ebbe ricorso al Pontefice Innocenzio, ch'era allora a Teano, al
quale espose il torto fattogli dal Borrello, che sotto pretesto d'aver
avuta da lui la concessione di quel Contado, voleva appropriarselo,
quando, come appartenente a quello del Monte S. Angelo, era di
suo dominio: pregava perciò il Papa, che vi riparasse, perchè non
sortissero inconvenienti maggiori.
Il Pontefice, secondo le solite ambiguità di quella Corte, gli rispose
a guisa d'oracolo in tal maniera: _Se praefato Burrello nihil de
Juribus Principis concessisse_[35]. Manfredi ben intese da questa
risposta, che l'animo del Pontefice era per favorire Borrello, con
tutto ciò premendo sempre, che gli fosse renduta sua ragione, gli fu
risposto che, giunto a Capua avrebbe fatto esaminare per termini di
giustizia quest'affare.
Intanto s'ebbe notizia, che il Marchese Bertoldo da Puglia erasi
incamminato per Capua per inchinarsi al Pontefice, onde Manfredi, per
non incontrarsi col medesimo, prese commiato dal Papa per tornarsene;
e mentr'era in cammino, ecco che da lungi videsi Borrello, che con
molta gente armata era in agguato per assalire ad un luogo angusto
il Principe. Dicchè avvedutisi que' della comitiva di Manfredi, gli
diedero sopra, e postolo in fuga, rimase in quel rumore ucciso Borrello
dalle genti del Principe, niente sapendo Manfredi intanto della sua
morte.
Essendo arrivato il Papa a Capua, tosto i suoi emuli variando il fatto,
facevano reo di questo delitto Manfredi; ed ancorchè per mezzo del
Marchese Bertoldo proccurasse purgarsi col Papa, con dire, che attorto
ciò se gl'imputava, nulladimanco, avendo scoverto che il Marchese in
vece di difenderlo proccurava la sua prigionia, mandò nella Corte del
Papa, ch'era allora in Capua, Gualvano Lancia suo zio per difendersi;
ed egli intanto nell'Acerra in casa di quel Conte suo cognato
ricovrossi.
Il Papa pretendeva che Manfredi si presentasse avanti di lui per
conoscere della di lui inquisizione; Manfredi non ripugnava venire,
purchè se gli fosse promessa sicurtà della sua persona; ma Gualvano
Lancia, avendo penetrato, che il Papa voleva imprigionarlo, nè voleva
dargli sicurtà, ma che si fosse presentato avanti il suo Legato; avvisò
a Manfredi, che tosto partisse dall'Acerra, non stando ivi sicuro,
e che proccurasse andarsene in Puglia, ove coll'intelligenza dei
Saraceni, ch'ivi erano suoi partigiani, proccurasse entrar in Lucera,
e quivi afforzarsi[36]. Manfredi avuto quest'avviso partì di notte, e
seco portossi due fidati giovani Nobili napoletani, che con se avea,
i quali furono Marino Capece, e Corrado suo fratello. Questi furono i
suoi fidi compagni, che non l'abbandonaron mai in tutto quel pericoloso
e disagevol viaggio.
Passati molti pericoli e disagi, finalmente Manfredi giunse in Lucera,
ove coll'ajuto de' suoi Saraceni, che erano dentro, infrante le porte,
entrò ivi pien di gloria, e da tutta la città fu acclamato, e gridato
per lor Principe e Signore, a' quali esponendo le cagioni per le quali
erasi allontanato dalle parti del Pontefice, che non come Governadore,
ma come Signore voleva usurpare il Regno al Re pupillo suo nipote,
dichiarò, la volontà sua non essere altra, che _jura Regis nepotis
sui, et sua, et libertatem, bonumque statum Regni, et Civitatis ipsius
viriliter manutenere, atque defendere_, come scrive l'Anonimo. Per la
qual cosa tutti gli prestarono giuramento di fedeltà, e d'omaggio, _pro
parie Regis, et sua_.
Il Marchese Bertoldo, Odone suo fratello ed il Legato del Pontefice,
udita la sorpresa di Lucera, tosto uniti insieme s'afforzarono colle
loro truppe in Troja per resistergli; ma Manfredi, essendosi indi a
poco impadronito di Foggia, avanzava alla giornata di forze, e reso
formidabile il suo esercito, dopo varie vicende, ruppe finalmente il
Legato e l'esercito Papale, prese Troja, disperse le genti d'Odone e
del Marchese Bertoldo; e sopra di esse ottenne rimarchevol vittoria.
Allora fu, che Manfredi scrisse a' Baroni del Regno suoi partigiani
quella lettera, che si legge presso il Summonte[37], avutala da
Pier Vincenti di Brindisi, nella quale minutamente descrivesi questa
vittoria, che bisogna averla per vera, siccome per tale l'ebbe Rainaldo
ne' suoi Annali: giacchè è conforme a quel, che di tal vittoria
diffusamente ne scrisse l'Anonimo.

§. I. _INNOCENZIO abbandona il Re d'Inghilterra, ed invita il fratello
del Re di Francia alla conquista del Regno: se ne muore in Napoli, e
svaniscono i suoi disegni._
Innocenzio sin dal mese di giugno dell'anno 1253 erasi colla sua
Corte portato in Napoli, dove sentendo i progressi di Manfredi fatti
in Puglia, temè non finalmente dovesse discacciarlo da tutte l'altre
province del Regno, ch'erano nell'ubbidienza della Chiesa: e vedendo
essere inutile ricorrere in Inghilterra, avendo avuta contezza in
quel tempo che fu in Francia del valore e prudenza di Carlo d'Angiò
Conte della Provenza, fratello del S. Re Lodovico di Francia, spedì
a quello Maestro Alberto da Parma suo Cappellano e Segretario, per
trattare la sua venuta in Regno, offerendogliene l'investitura. Ma
per trovarsi il Re Luigi in Oriente implicato nella guerra Sagra, non
potendo dargli ajuto, non potè niente conchiudersi: rimase non perciò
Alberto in Francia, e trattò quest'affare sotto i Pontefici successori
d'Innocenzio per quattordici anni a fin di ridurre il trattato ad
effetto, siccome sotto il Pontificato d'Urbano IV fu ridotto[38].
Vi è anche chi scrisse che, infermatosi Innocenzio in Napoli, avendo
intesa la novella della vittoria ottenuta da Manfredi, se ne morisse di
cordoglio a' 7 o, come altri rapportano, a' 13 dicembre di quest'anno
1254[39]. Giace sepolto questo Pontefice nel Duomo di Napoli, ove
ancor oggi s'addita il suo tumulo. Pontefice, che potè darsi questo
vanto, d'essere stato il primo, che unisse alle pretensioni, che han
tenuto sempre i Pontefici romani sopra questo Reame, l'attual possesso
di quello. Tutte le spedizioni degli altri Pontefici per conquistarlo
furono, o infelicemente terminate o appena mosse dissipate e spente;
d'Innocenzio IV può solamente dirsi che per più mesi ne avesse avuto
il corporal possesso, e che per altri tanti lo tramandasse al suo
successore Alessandro IV. Perciò si leggono di lui tante investiture
concedute a molti nostri Baroni, delle quali si è fatta memoria.
Pontefice ancor egli intendentissimo di ragion civile, e che ornò la
nostra giurisprudenza di molti trattati e volumi.
Fioriva in Italia in questi anni l'Accademia di Bologna sopra tutte
le altre; dove Innocenzio essendo giovane apprese la disciplina
legale, e nelle leggi civili ebbe per Maestri Azone, Accursio e
Jacopo Balduino; siccome nel jus canonico Lorenzo Spagnuolo, Giovanni
Teutonico, Jacopo d'Albasio ed Uguccione, principali Dottori di quella
età; onde ne divenne un dei più perfetti legisti del suo tempo[40].
E volendo emulare Innocenzio III pur famoso Giureconsulto de' suoi
tempi, in mezzo alle cure di quel turbolento ed inquieto Pontificato,
non tralasciò questi studj, perchè stando in Lione, scrisse sopra i
cinque libri de' Decretali gli _Apparati_, di che tanto i Canonisti si
servono: fondando il principio sopra l'autorità d'Ezechiel profeta:
della qual Opera scrivendo S. Antonino dice, ch'ella è di maggior
autorità, che la lezione di ciascun libro degli altri Dottori, onde ne
venne chiamato padre e monarca delle divine ed umane leggi.
Scrisse le Costituzioni, che fece nel Concilio di Lione, parte delle
quali s'hanno nel _Sesto_ libro dei Decretali. Compose un libro, che
Ostiense nella sua Somma chiama _Autentiche_. Ed un altro intitolato
_Apologetico_, contro a Pietro delle Vigne, intorno alla giurisdizione
dell'Imperio ed autorità del Papa; e compose anco i _Commentarj_ del
vecchio e del nuovo Testamento.
Ebbe in molto pregio gli uomini virtuosi, e letterati, fra' quali
Alessandro d'Ales di nazione inglese, ch'essendo già vecchio prese
l'abito de' Frati Minori; dal quale fece comporre la _Somma_ della
Teologia, ed altre grandi opere, onde ebbe il cognome di Dottore
_Irrefragabile_. Spinse _Bernardo_ da Parma, ed il _Compostellano_,
ch'erano suoi Cappellani, perchè scrivessero sopra il _Decretale_, e
componessero altre opere.
Amava molto le religioni, e fra le altre quella di _S. Benedetto_, e le
due di _S. Domenico_, e di _S. Francesco_, le quali a guisa di novelle
piante allora fiorivano. Riformò la Regola a' Frati _Carmelitani_,
dandone la cura al Cardinal Ugo. Ordinò, che tutti i Romiti viventi
senza Regola, e particolarmente quelli ch'erano per la Toscana, ed
anche molti Religiosi di S. Agostino, uniti sotto un Generale, si
chiamassero _Eremitani_. Rinovò in Francia, ed anche in Italia la
Religione de' _Cruciferi_, ch'era quasi spenta; tal che in Italia
si rifecero alcuni Monasteri di nuovo, ed in Napoli particolarmente
ebbero poi quello di S. Maria delle Vergini fuori della Porta di S.
Gennaro, dato loro dalla famiglia Carmignana, e da' Vespoli. Concesse
a' Cavalieri de' SS. Maurizio e Lazaro autorità d'eleggere il Gran
Maestro nella religion loro; e concesse a' Canonici dell'Arcivescovado
di Napoli l'uso della Mitra bianca, quando l'Arcivescovo celebra; ed al
Clero le franchigie, che insino ad oggi gode per tutto il Regno.


CAPITOLO IV.
_Spedizione d'ALESSANDRO IV sopra il regno, e nuovi inviti fatti da lui
al Conte di Provenza, ed al Re d'Inghilterra._

Il Legato appostolico intimorito per la vittoria ottenuta da Manfredi,
abbandonando la Puglia, fece ritorno coll'esercito papale in Terra
di Lavoro, incamminandosi verso Napoli, e per istrada incontrossi col
Marchese Bertoldo, e continuarono uniti il cammino insino a Napoli, ove
giunti trovarono, che pochi giorni prima Innocenzio era già morto[41].
Quando i Cardinali, e tutti que' della Corte videro il Legato, ed il
Marchese Bertoldo, ed intesero la ruina de' loro eserciti, furono presi
di tanto timore, che volevan tosto partire da Napoli, e ritirarsi in
Campagna di Roma; ma confortati dal Marchese, che non partissero, si
stettero; ed all'elezione del nuovo Pontefice furono tutti rivolti.
Non mancano Scrittori[42], che dicono esservi stato gran contrasto
fra' Cardinali per questi elezione, e che perciò la Sede fosse vacata
un anno. Ma l'Anonimo, il Collenuccio, Pansa ed altri[43], rapportano,
che i Cardinali temendo non il differire l'elezione fosse cagione di
maggior lor danno, tosto in Napoli uniti, di concorde volere eressero
Rainaldo d'Anagni della famiglia Conti nipote di Gregorio IX che fu
chiamato _Alessandro IV_, il quale nel Duomo di Napoli fu consecrato,
ed incoronato, ed in questa città siccome pruova il Chioccarelli[44],
vi si trattenne per un'anno.
Intanto il Principe Manfredi, reso più animoso per la morte
d'Innocenzio, ridusse sotto la sua ubbidienza quasi tutte le altre
città della Puglia, che aveano alzate le bandiere della Chiesa. Si
sottopose a lui Barletta, da poi Venosa e finalmente Acerenza, dove
Giovanni Moro fu da' Saraceni crudelmente fatto morire. Prende Rapolla;
indi si resero Trani, Bari, ed in breve tutta la Puglia, toltone alcune
città di Terra d'Otranto, che ancora si mantenevano sotto l'ubbidienza
della Chiesa.
Il Pontefice Alessandro IV atterrito nel principio del suo Pontificato
di questi progressi del Principe, spinse Tommaso Conte dell'Acerra
cognato del Principe, e Riccardo Filangerio, che andassero a trovar
Manfredi; i quali vennero in Puglia, spinti anche, come si diceva,
da alcuni Cardinali, per insinuargli, che non mancasse mandare
i suoi Ambasciadori a rallegrarsi col nuovo Pontefice della sua
esaltazione a quella Cattedra, portando ammirazione, che ciò, che
tutti gli altri Principi del Mondo facevano, non volesse far egli[45].
Manfredi dubitando, siccome altra volta era accaduto, che questa sua
Legazione al nuovo Pontefice non fosse interpretata per sua debolezza,
e pusillanimità, loro rispose, ch'egli non avrebbe mandati altri
Ambasciadori al nuovo Pontefice, se non per trattar la pace con tali
condizioni: _Ut Regnum in dominio, et possessione Regis Conradi II
nepotis sui, sub baliatu Principis remaneret. Compositio autem super eo
tantum esset, ut census pro ipso Regno Romanae Ecclesiae augeretur_.
(Questo trattato fu conchiuso da Alessandro, il quale nell'anno 1255,
dimorando ancora in Napoli, quivi spedì la Bolla dell'investitura ad
Edmondo, che vien rapportata da Lunig[46]).
Quando il Pontefice intese nel ritorno del Conte e di Riccardo, che
Manfredi non era niente disposto a mandargli i Legati, nè a lasciare
il Regno nelle mani della Chiesa, cominciò, seguitando le pedate del
suo predecessore, a mostrarsegli più inimico degli altri. Fece in prima
ripigliar il trattato da Maestro Alberto da Parma con _Carlo Conte di
Provenza_, dal quale avuti riscontri, che Carlo non si trovava disposto
per l'impresa del Regno, si voltò ad _Errico Re d'Inghilterra_,
rinovando il trattato, che il suo predecessore Innocenzio avea
cominciato col medesimo, offerendogli di nuovo l'investitura del
Regno per _Edmondo_ suo figliuolo, purchè venisse tosto a discacciarne
Manfredi; e notasi negli Atti di quel Regno, che Papa Alessandro si
riscaldò tanto per quest'impresa, che commutò il voto, che avean fatto
il Re d'Inghilterra, i Re di Norvegia, ed altri, d'andare in Terra
Santa, nell'andare a conquistar la Sicilia, e il Regno di Puglia in
favor della Chiesa.
Mandò ancora un Vescovo in Puglia a citar Manfredi da sua parte:
_Ut in festo Purificationis Beatae Mariae proxime futuro ad Curiam
Romanam accederet, responsurus de interfectione Burrelli de Anglono,
et de injuria, quam Apostolicae Sedi intulerat, expellendo Legatum,
et exercitum Ecclesiae de Apulia_[47]. A questa citazione rispose
Manfredi per sua lettera diretta al Pontefice, purgandosi di ciò, che
se gl'imputava della morte di Borrello, e che per quello, che toccava
d'aver discacciato il Legato, e l'esercito della Chiesa da Puglia, non
avea fatta niuna ingiuria alla Chiesa romana, defendendo con ciò la
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