Il Diavolo - 01

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ARTURO GRAF

IL
DIAVOLO

QUARTA EDIZIONE.

MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1890


PROPRIETÀ LETTERARIA.
_Tutti i diritti riservati._
Milano. Tip. Fratelli Treves.


A EDMONDO DE AMICIS.

Caro Edmondo,
_Questo libro lo dedico a te, che fosti soldato e non hai paura dei
brutti musi._
_Non è, a dir proprio, una storia ordinata e compiuta del diavolo,
perchè non credo si possa fare di tale storia un libro popolare; e
un libro popolare appunto intesi far io, un libro cioè che si potesse
leggere senza fatica, ma forse non senza qualche gusto, da chiunque non
faccia profession di erudito._
_Perciò mi sono studiato di ritrarre il diavolo nelle sue svariate
sembianze, e nei casi e nelle operazioni più notabili di quella
lunga, affaccendata e rimescolata sua vita; e poichè gli anni migliori
della vita di lui, gli anni, direi, della virilità rigogliosa e della
maggiore operosità e potenza, sono i secoli di quello che noi chiamiamo
il medio evo, così entro i termini del medio evo, assai larghi del
resto, costringo la più gran parte del mio racconto._
_Narro e descrivo assai più che non ragioni, e credo d'aver fatto
bene, e che di ciò tu m'abbia a dare piuttosto lode che biasimo.
Assai volte, importando quelle innumerevoli tresche, mariolerie e
meraviglie diaboliche, e le credenze e le superstizioni, e i sogni di
cui si pascevano quelle anime dei padri nostri, intenebrate di paura
e d'ignoranza, avrei potuto indicare i fatti fisiologici e psicologici
d'onde il tutto deriva, e dissertar serrato, e farmi onore; ma coloro
pe' quali io voleva scrivere, o non m'avrebbero inteso, presto si
sarebbero stancati d'intendermi. Mi venne in mente ciò che fanno i
marinai soprappresi dalla burrasca, quando, per salvare una parte del
carico, buttano in mare l'altra; e, un po' a malincuore, imitai il loro
esempio._
_Qualcuno potrebbe dirmi: perchè hai tu scritto di un vano fantasma?
perchè non piuttosto di cose vive e reali? e confesso che questa
medesima domanda fec'io più d'una volta a me stesso. Ricordo giorni
in cui rimasi come sgomento in pensare che il diavolo, il formidabile
re dell'abisso, la cagione di tante cadute, di tanti dolori, di tanti
terrori, l'oggetto di tanti ragionamenti, di tante dispute, di tante
dottrine, colui per cui furono versati fiumi di sangue e d'inchiostro,
non esiste, non è esistito mai, più inconsistente della nebbia, più
vano dell'ombra. E mi parve doloroso e stolto far di quel nulla un
libro._
_Ma poco duravo in quei pensieri, e di non esserci durato mi applaudo.
Chi segna il limite che separa la vita dalla morte, il reale dal non
reale? Terribile, incoercibile è la forza delle cose che non sono, e
molti fra i più poderosi fattori della storia della umanità non sono
tra le cose reali, non furono, non saranno mai. Satana fu un sogno; ma
un sogno che rapì nei caliginosi avvolgimenti suoi le generazioni ed i
secoli._
_Non lo dimentichino coloro che rimpiangono (nè io so loro dar torto)
le fedi e le speranze di un'altra età, e i conforti ineffabili che ne
venivano alle anime travagliate. Il sangue di Cristo fu veramente come
un balsamo prezioso versato sulle ferite sanguinanti dei figli del
peccato; ma dietro a Cristo c'era Satana, e nelle ferite sanguinanti
Satana stillava la velenosa sua bava. Il trepido credente era come
sospeso fra il cielo e l'inferno, e dal cielo si sentiva scendere in
cuore una soave letizia e dall'inferno si sentiva salire al cuore un
orror disperato. L'anima di lui era come questo povero nostro pianeta,
che sempre ha l'una parte rivolta al sole e l'altra immersa nel bujo;
essa, come quello, rotava, ed ogni suo punto passava per una perpetua
vicenda di luce e di tenebra, di speranza e di terrore. Le storie dei
santi e delle sante, cui arrise da ultimo il sole della vittoria, sono
là a farne fede._
_I santi e le sante, i campioni della fede e i martiri della carità,
i meravigliosi asceti, i quali non d'altro cibo si pascono che di
speranza, anime di foco appese ad un tenue raggio che scaturisce dalle
profondità immensurabili dell'infinito! Dovunque io spinsi il piede
sulle buje tracce di Satana, io li scontrai, e fui lunghi giorni in
lor compagnia. I casi meravigliosi, e le formidabili istorie, che tu,
Edmondo, potrai leggere in queste pagine, io raccolsi, per molta parte,
nelle antiche memorie della vita e degli atti loro, isole sopravanzate
di un mondo sommerso, tutte dipinte dei fiori vivaci della leggenda.
Altri s'inerpica su pei dirupi, e sfida le insidie e le asprezze dei
ghiacci perpetui, pur di cogliere un gracile fiorellino spuntato dal
greppo vivo a uno sguardo di sole; a me giova spesso arrancarmi pei
ghiareti del latino barbaro, e avvilupparmi tra' pruni del solecismo,
pur di cogliere alcuno di quei fiori di leggenda, così caldi di colore,
così pregni di strano ed acuto olezzo._
_Accetta, amico mio, questo libro, non pel valore suo proprio, ch'è
ben poco, ma per l'antico affetto di cui vuol essere un segno, e
ch'è molto. E se in leggerlo ti parrà di sentirti dentro quella mite
angoscia che prepara ed annunzia lo sbadiglio, tienti il libro a ogni
modo, e manda pur me a colui che mi diede materia a scriverlo. Vedendo
l'opera mia, e più che l'opera le buone intenzioni; e conoscendo lo
zelo, la sincerità e la liberalità con cui io scrissi dei fatti suoi,
vorrà usarmi qualche riguardo, e trattarmi men male di quello faranno
forse i critici._
_Torino, marzo 1889._
Tuo
A. GRAF.


CAPITOLO PRIMO.
ORIGINE E FORMAZIONE DEL DIAVOLO.

Tutti conoscono il poetico mito della ribellione e della caduta degli
angeli. Questo mito, che inspirò a Dante alcuni tra i più bei versi
dell'_Inferno_, e al Milton un indimenticabile episodio del _Paradiso
perduto_, fu da varii Padri e Dottori della Chiesa variamente foggiato
e colorito; ma non ha altro fondamento che la interpretazione di un
versetto d'Isaia e di alcuni luoghi, abbastanza oscuri, del Nuovo
Testamento. Un altro mito, di carattere molto diverso, ma non meno
poetico, accolto da scrittori così ebraici come cristiani, narra di
angeli di Dio, che invaghitisi delle figliuole degli uomini, peccarono
con esse, e furono in punizione del loro peccato esclusi dal regno dei
cieli, e convertiti di angeli in demonii. Questo secondo mito ebbe nei
versi del Moore e del Byron consacrazione perpetua. Così l'un mito come
l'altro fa dei demonii angeli caduti, e la caduta rannoda a un peccato:
superbia o invidia nel primo caso; amor colpevole nel secondo.
Ma questa è la leggenda, non già la storia di Satana e dei compagni
suoi. Le origini di Satana, considerato quale personificazione universa
del principio del male, sono meno epiche assai e in pari tempo assai
più remote e profonde. Satana è anteriore, non solo al Dio d'Israello,
ma a quanti altri dei, possenti e temuti, lasciarono ricordo di sè
nella storia degli uomini; egli non precipitò giù dal cielo, ma balzò
fuori dagli abissi dell'anima umana, coevo a quegli oscuri iddii delle
antichissime età di cui nemmeno una pietra ricorda i nomi, e a cui gli
uomini sopravvissero, dimenticandoli. Coevo ad essi e spesso confuso
con essi, Satana comincia embrione, come le cose tutte che vivono, e
solo a poco a poco cresce e si fa persona. La legge di evoluzione, che
governa gli esseri tutti, governa lui pure.
Nessuno, che abbia qualche educazione scientifica, crede oramai che
le religioni più rozze sieno nate dalla corruzione e dal disfacimento
di una religion più perfetta; ma sa benissimo che le più perfette
si sono svolte dalle più rozze, e che in quelle per conseguenza si
debbono cercare le origini del tenebroso personaggio che sotto varii
nomi rappresenta il male e se ne fa principio. Se quello che si chiama
periodo terziario nella storia del nostro pianeta vide già l'uomo,
forse il vide tanto simile al bruto da non potersi scernere in lui
sentimento religioso propriamente detto. L'uomo quaternario più antico
conosce già il fuoco, e sa far uso di armi di pietra; ma abbandona
i suoi morti, segno certo che le sue idee religiose, se pur ne ha,
sono quanto mai si possa dire scarse e rudimentali. Bisogna giungere
a quello che si chiama dai geologi il periodo neolitico per ritrovare
le prime tracce sicure di religiosità. Quale si fosse la religione dei
nostri antenati in quella età noi non possiamo sapere direttamente, ma
possiamo arguirlo, guardando a quella di molte popolazioni selvagge che
vivono ancora sopra la terra, e riproducono fedelmente le condizioni
della umanità preistorica. Sia che il feticismo preceda l'animismo, sia
che questo preceda quello nella evoluzione storica delle religioni, le
credenze religiose di quei nostri antenati dovettero essere simili in
tutto a quelle che ancora professano i Negri d'Africa, o le Pelli Rosse
d'America. La terra, che insieme con le vestigia delle loro abitazioni,
con l'armi e gli utensili, ha serbato i loro amuleti, ce ne porge
testimonio. Essi immaginarono un mondo ingombro di spiriti, anime delle
cose, e anime di morti, e da quelli riconobbero quanto incontrava loro
di bene o di male. Il pensiero che alcuni di questi spiriti fossero
benefici, altri malefici, alcuni amici, altri nemici, era suggerito
dalla esperienza stessa della vita, nella quale profitti e danni
si avvicendano costantemente, e si avvicendano in modo che, se non
sempre, assai spesso, si riconoscono diverse le cause degli uni e degli
altri. Il sole che illumina, il sole che in primavera fa rinverdire e
rifiorire la terra, e matura i frutti, doveva essere considerato come
una potenza essenzialmente benefica; il turbine, che riempie di tenebre
il cielo, schianta le piante, svelle e spazza i mal connessi tugurii,
come una potenza essenzialmente malefica. Gli spiriti si raccoglievano
in due grandi schiere, secondochè agli uomini pareva di riceverne
beneficio o nocumento.
Ma non per questo si costituiva un vero e risoluto dualismo. Gli
spiriti benefici non erano ancora nemici dichiarati e irreconciliabili
dei malefici, e quelli non erano benefici sempre, nè sempre malefici
questi. Il credente non era mai sicuro della disposizione degli
spiriti che lo avevano in loro balìa; temeva di offendere non meno gli
amici che i nemici, e con eguali pratiche si studiava di renderseli
favorevoli tutti, non troppo fidandosi di nessuno. Tra buoni e cattivi
non era contraddizione morale propriamente detta, ma solo contrasto di
opere. Essi non potevano avere un carattere morale che mancava ancora
ai loro adoratori, usciti appena dalla condizione dell'animalità, e
solo in tanto si possono chiamare buoni e cattivi in quanto par bene
all'uomo primitivo tutto ciò che gli giova, male tutto ciò che gli
nuoce. I selvaggi adoratori li immaginavano in tutto simili a sè,
mutabili, vinti dalla passione, quando benevoli, quando crudeli, e non
istimavano i buoni più alti e più degni dei tristi.
Certo, nei tristi appare già un'ombra di Satana, si delinea lo spirito
del male, ma del male puramente fisico. Male è ciò che nuoce, e spirito
malvagio è quello che vibra la folgore, accende i vulcani, sommerge
le terre, semina la fame e la malattia. Esso non giunge ancora a
rappresentare il male morale, perchè il discernimento del bene e
del male morale non s'è ancor fatto nella mente degli uomini: delle
due facce di Satana, il distruggitore e il pervertitore, una sola è
ritratta da lui. Esso non ha una propria indegnità, non ha chi gli stia
sopra e lo domini.
Ma a poco a poco la coscienza morale si qualifica e si determina, e la
religione acquista un carattere etico che prima nè aveva, nè poteva
avere. Lo spettacolo stesso della natura, dove forze contrastano a
forze, e dove l'una distrugge ciò che l'altra produce, suggerisce
l'idea di due opposti principii che reciprocamente si neghino e si
combattano; poi l'uomo non tarda ad accorgersi che oltre al bene ed
al male fisico c'è un bene ed un male morale, e crede riconoscere in
sè quello stesso contrasto che vede e sperimenta in natura. Egli si
sente buono o cattivo, si concepisce migliore o peggiore; ma la bontà o
reità propria non conosce come sua, come l'espressione della sua natura
medesima. Uso ad attribuire a potenze divine e demoniche il bene ed il
male fisico, egli attribuirà similmente a potenze divine e demoniche
il bene e il male morale. Dallo spirito buono verranno allora, non
solamente la luce, la sanità, tutto quanto sostenta ed accresce la
vita, ma la santità ancora, intesa quale complesso di tutte le virtù:
dallo spirito malvagio verranno, non solamente le tenebre, i morbi, la
morte, ma ancora il peccato. Così gli uomini, spartendo con giudizio
meramente soggettivo la natura in buona e cattiva, e impastando con
quel buono e con quel cattivo fisico il buono e il cattivo morale che
loro appartiene, foggiano gli dei e i demonii. La coscienza morale già
desta, che naturalmente afferma la superiorità del bene sul male, e
vagheggia il trionfo di quello su questo, fa sì che il demonio appaja
subordinato al dio, e colpito di una indegnità tanto maggiore quanto
più quella coscienza è viva e imperiosa. Il demonio, che in origine si
confondeva col dio in un ordine di spiriti neutri, capaci così di bene
come di male, se ne distingue a poco a poco e se ne stacca in ultimo
del tutto. Egli sarà lo spirito delle tenebre e il suo avversario lo
spirito della luce; egli lo spirito dell'odio e il suo avversario lo
spirito dell'amore; egli lo spirito della morte e il suo avversario
lo spirito della vita. Satana abiterà negli abissi, Dio nel regno dei
cieli.
Così si stabilisce e si determina il dualismo; così il concetto di
esso si disviluppa per lento lavorio di secoli dal concetto che gli
uomini hanno e della natura e di sè stessi. Se non che quella che ho
indicata è la storia per così dire schematica ed ideale del dualismo,
non la concreta e reale. Il dualismo si trova, o svolto, od in germe,
o espresso o sottinteso, in tutte, o quasi tutte le religioni; ma esso
corre per diversi gradi, assume varie forme e variamente si specifica a
seconda della diversità delle genti e delle civiltà.

Abbiam veduto che spiriti malefici compajono già nelle religioni più
rozze e manco differenziate; ma definiti malamente e come diffusi
nelle cose. Nelle religioni più elevate, mano mano che l'organismo
di esse si circoscrive e si compie, gli spiriti malefici si mostrano
meglio definiti, vanno acquistando attributi e persona. Tra le
grandi religioni storiche la religione dell'antico Egitto è quella
di cui abbiamo più remota e più sicura notizia. In essa a Ptah,
a Ra, ad Ammone, a Osiride, a Iside, ecc., divinità benefiche,
largitrici di vita e di prosperità, si contrappongono il serpente
Apep, che personifica l'impurità e le tenebre, il formidabile Set,
il devastatore, il perturbatore, padre d'inganno e di menzogna. I
fenici opposero a Baal e ad Aschera, Moloc e Astarte; in India, il
generatore Indra, il conservatore Varuna, ebbero contrari Vritra e gli
Asuri, e il dualismo penetrò nella stessa Trimurti; in Persia Ormuz
ebbe a contendere con Arimane per la signoria del mondo; in Grecia
e in Roma tutto un popolo di genii e di mostri malefici sorse di
fronte alle divinità dell'Olimpo, esse stesse non sempre benefiche, e
furono Tifone, Medusa, Gerione, Pitone, demonii malvagi d'ogni fatta,
lemuri e larve. Il dualismo appare similmente per entro alla mitologia
germanica, alla slava, e, in generale, a tutte le mitologie.
In nessun'altra delle antiche e delle nuove religioni il dualismo
raggiunse la forma piena e spiccata che raggiunse nel mazdeismo, o
religion dei persiani antichi, quale ce la fa conoscere lo Zend-Avesta;
ma in tutte esso si lascia scorgere, e in tutte, per qualche parte
almeno, si può rannodare ai grandi fenomeni naturali, alla vicenda
del giorno e della notte, all'alternare delle stagioni. I concetti
varii, le figurazioni, gli avvenimenti in cui esso prende forma e si
esplica, ritraggono, non solo dell'indole e della civiltà del popolo
che gli dà luogo nel sistema delle proprie credenze, ma ancora del
clima, delle condizioni naturali del suolo, delle vicende storiche.
L'abitatore di tale regione calda riconosce l'opera dello spirito
maligno nel vento del deserto che affoca l'aria e uccide le biade;
l'abitatore delle plaghe settentrionali la riconosce nel freddo che
assidera la vita intorno a lui e lui stesso minaccia di morte. Dove la
terra è scossa da terremoti frequenti, dove vulcani vomitano cenere
e lave devastatrici, l'uomo immagina facilmente demonii sotterranei,
giganti malvagi sepolti sotto ai monti, spiracoli dell'inferno: dove
frequenti procelle turbano il cielo, immagina demonii trasvolanti e
urlanti per l'aria. Se un nemico invade, vince e soggioga, il popolo
soggiogato non mancherà di trasferire nello spirito malvagio, o negli
spiriti malvagi cui crede, i caratteri più odiosi dell'oppressore.
Così la religione è il risultamento composto di una moltiplicità di
cause, le quali non sempre, certo, si possono rintracciare e additare.
I greci non ebbero propriamente un Satana, come non l'ebbero i romani,
e può sembrare strano che questi, i quali divinizzarono una quantità
di concetti astratti, come la gioventù, la concordia, la pudicizia,
non abbiano immaginata una vera divinità e potestà del male, sebbene
abbiano immaginato una dea Robigo, una dea Febris ed altre così fatte.
Non mancano tuttavia nelle religioni dei greci e dei romani potestà
antagonistiche e figure che presentano come un duplice aspetto, e se
per poco si approfondisce l'indole dei due popoli, e le condizioni
di vita e la storia, si vede che il dualismo presso di loro non
avrebbe potuto prendere forma gran che diversa da quella che prese. Si
consideri tra l'altro che in Grecia e in Roma non vi fu un libro sacro
di morale, un codice teocratico propriamente detto.

Il dualismo assume forma e caratteri speciali nel giudaismo prima, nel
cristianesimo poi, e se in altre religioni, se nelle stesse religioni
primitive, si può scorgere come una larva di Satana, o come una forma
che, rubando il vocabolo alla chimica, potrebbe dirsi allotropa,
diversamente qualificata, e alcuna volta ingrandita, il Satana vero,
con le qualità e gli attributi che gli son proprii, e ne formano
la persona, non appartiene che a quelle due religioni, e, anzi, più
particolarmente alla seconda.
Satana tiene ancora assai poco posto nel mosaismo; direi che esso vi
tocca soltanto l'adolescenza o la giovinezza, senza poter raggiungere
la maturità. Nel Genesi il serpe non è se non il più accorto ed astuto
degli animali, e solo in virtù di una tarda interpretazione si tramuta
in demonio. L'Antico Testamento tutto intero non conosce Beelzebub
se non come divinità degli idolatri; al quale proposito è da notare
che gli ebrei, prima di negar l'esistenza degli dei delle genti, il
che s'indussero a fare solamente assai tardi, credettero che quegli
fossero dei davvero, ma meno possenti e meno santi di Jeova, loro dio
nazionale. In fatti, il primo comandamento del Decalogo non dice già:
_io sono il Dio tuo, e tu non devi credere vi sieno altri dei fuori di
me_; ma bensì: _Io sono il Dio tuo, e tu non adorerai altri dei fuori
di me_. Ora è noto che molte volte gli ebrei si lasciarono trascinare
ad adorare altri dei che non era il loro. Azazel, lo spirito immondo
a cui abbandonavasi nel deserto il capro emissario, carico dei peccati
d'Israele, appartiene assai probabilmente a credenze anteriori a Mosè;
ma la figura sua manca di perspicuità e di rilievo, e forse altro non
è che un pallido riflesso dell'egizio Set, e un ricordo dei tempi della
schiavitù sofferta nella terra dei Faraoni.
È opinione comunemente accettata che solo dopo la cattività di
Babilonia gli ebrei abbiano avuto circa i demonii concetti chiari e
precisi. Trovandosi durante quel tempo, in contatto, se non intimo,
almeno continuo, col mazdeismo, gli ebrei ebbero opportunità di
conoscerne alcune dottrine e di appropriarsele in parte, e tra queste
la dottrina concernente l'origine del male dovette trovar facile
accesso negli spiriti loro, preparati e predisposti a riceverla dalle
recenti calamità e dalle preoccupazioni di un fosco avvenire. Tale
opinione dà luogo a qualche dubbio, e più di una obbiezione le si può
fare; ma non è però meno certo che se la nozione di spiriti malefici,
e la credenza nelle opere loro, non mancavano agli ebrei prima
dell'esilio, Satana non comincia a rivestir la figura e i caratteri
che gli son proprii se non in iscritti posteriori all'esilio stesso.
Nel libro di Giobbe, Satana appare tuttavia fra gli angeli in cielo, e
non è propriamente un contraddittore di Dio e un perturbatore delle sue
opere. Egli dubita della santità e della costanza di Giobbe, e provoca
l'esperimento che deve precipitar costui dal sommo della felicità nel
più basso fondo della miseria. Non è per anche un fomentator di peccato
e un operator di sciagure; ma già egli dubita della santità, e alcuno
dei mali che colpiscono il patriarca innocente viene da lui.
A poco a poco Satana cresce e si compie. Zaccaria lo rappresenta quale
un nemico e un accusatore del popolo eletto, desideroso di frustrar
questo della grazia divina. Nel Libro della Sapienza, Satana è un
perturbatore e un corruttore dell'opera divina, colui che instigò per
invidia i primi parenti al peccato, e per invidia introdusse la morte
nel mondo. Egli è il veleno che guasta e contamina la creazione. Ma nel
Libro di Enoc, e propriamente nella parte più antica di esso, i demonii
altro non sono che angeli innamoratisi delle figlie degli uomini, e
impigliatisi per tal modo nei lacci della materia e del senso, quasi
che si voglia con sì fatta finzione evitar di ammettere un ordine di
enti originariamente diabolici; mentre in altra parte, più recente,
dello stesso libro, i demonii sono i giganti nati da quegli amori.
Nelle dottrine dei rabbini Satana acquista sembianze e caratteri nuovi,
ma nell'Antico Testamento la sua figura spicca ancora assai poco, e
può dirsi evanescente confrontata con quella che egli ebbe di poi. Le
ragioni di ciò possono essere parecchie: tuttavia la principale è da
rintracciare senza dubbio nell'indole stessa del monoteismo giudaico,
il quale è così fatto che assai difficilmente può dar luogo a una
concezione dualistica un po' risoluta. Jeova è un dio assoluto, un
signore despotico, estremamente geloso della potenza e dell'autorità
propria. Egli non può soffrire che gli si levino a fronte esseri,
sia pure di lui meno possenti, ma che si arroghino di contrastargli,
si atteggino ad avversarii suoi, osino attraversare l'opera sua. Il
voler suo è unica legge, la quale governa il mondo, e ha obbedienti
sotto di sè le potestà tutte, meno forse quelle divinità delle genti
di cui non si nega l'esistenza, ma che non entrano come elementi
vivi nell'organismo della religione di Jeova. Perciò nel Libro di
Giobbe Satana apparisce più che altro come un ministro di Dio, un
provocatore di giudizii e di esperimenti divini. Ma c'è di più. Basta
por mente alquanto all'indole di Jeova per avvedersi subito che dove
è un tal dio, un demonio non ha più troppa ragion di essere. In Jeova
le contrarie potenze, gli opposti elementi morali che, distinti e
separati, dànno luogo al dualismo, sono ancora come confusi insieme,
il che certamente non dà un alto concetto della morale degli ebrei
primitivi. Jeova è geloso, feroce, inesorabile; le pene che egli
infligge son fuori d'ogni proporzione con le colpe commesse, le sue
vendette sono spaventose e bestiali, colpiscono senza discernimento
rei ed innocenti, uomini e bruti. Egli tormenta i suoi devoti con
prescrizioni assurde che li fan vivere in un perpetuo terror di
peccato, e impone loro di passare a fil di spada le popolazioni delle
città espugnate. Egli dice per bocca di Isaia: “Io formo la luce,
e creo le tenebre, faccio la pace, e produco il male: io sono il
Signore che faccio tutte queste cose.„ In lui dio e Satana sono ancora
congiunti: la separazione che lentamente si va facendo di essi, e
l'antagonismo risoluto cui mette capo, sono sintomi di un più squisito
senso morale, e segni dell'approssimarsi del cristianesimo.

Satana è già in parte formato, ma non raggiunge la pienezza dell'esser
suo se non nel cristianesimo, nella religione che dice di voler
compiere il giudaismo, ond'è uscito, e che per tanta parte lo nega. Qui
noi ci troviamo dinanzi un intreccio e un viluppo di cause morali e di
cause storiche, le quali han tutte per effetto di rilevar sempre più,
colorire, ingrandire la sinistra figura di Satana. Anzi tutto Jeova
si trasforma in un dio incomparabilmente più sereno e più benigno, in
un dio d'amore, che necessariamente respinge da sè, come elemento non
assimilabile, ogni elemento satanico; e quando Cristo sarà ancor egli
assunto alla divinità, la mite e radiosa figura del nume che per amor
degli uomini si fece uomo, che per essi versò il suo sangue e patì la
morte ignominiosa, farà per ragion di contrasto spiccare in modo al
tutto nuovo la truce e tenebrosa figura dell'avversario. La tragedia
umana, fusa con la tragedia divina, rivelerà le intime ragioni del suo
meraviglioso processo, suscitando negli animi nuovi concetti morali,
nuove immagini delle cose, nuova pittura del cielo e della terra. Gli
è dunque vero che Satana indusse i primi parenti a peccare, e che in
virtù della colpa provocata da lui, tolse a Dio l'umana famiglia, ed il
mondo in cui questa vive. Quale non deve essere la potenza di lui, la
saldezza dell'usurpato dominio, se a riscattare i perduti è forza che
lo stesso figliuol di Dio si sacrifichi, si dia in preda a quella morte
che per fatto appunto del nemico penetrò nel mondo! Prima che Dio dèsse
mano all'opera della redenzione Satana poteva posare nella sicurezza
del possesso; ma ora che la redenzione si compie, anzi è già compiuta,
non dovrà egli far l'estremo d'ogni sua possa per contendere al
vincitore il frutto della vittoria, e racquistare, almeno in parte, il
perduto? Ecco; egli osa di tentare il redentore medesimo, e l'apostolo
lo dipinge quale un leone ruggente, in traccia di preda da divorare.
Ma se le condizioni del riscatto, se la qualità di colui che l'aveva
a compiere, davano a Satana una grandezza e un valore che non avrebbe
avuto altrimenti, la redenzione stessa non toglieva a costui tanta
preda quant'egli ne aveva fatta e quanta ancora era per farne, e
la vittoria di Cristo non prostrava così la potenza di lui come il
desiderio dei riscattati poteva sperare. San Giovanni dice che il mondo
aveva ad essere giudicato e discacciato il suo principe; San Paolo
afferma che la vittoria di Cristo era stata piena ed intera, e con la
sua morte aveva distrutto il re della morte: ma il principe di questo
mondo veramente non fu spodestato; ma il re della morte non fu ucciso,
anzi seguitò come prima a spargere intorno la morte, non meno l'eterna
che la temporale. Cristo frange le porte dell'inferno, irrompe nel
regno delle tenebre, spopola l'abisso; ma dietro di lui le porte si
risaldano, le tenebre si ricongiungono, l'abisso si ripopola. Strano
a dire! mai fra gli uomini fu tanto parlato di Satana, mai Satana fu
tanto temuto quanto dopo la vittoria di Cristo, dopo la redenzione
compiuta.
Nè ciò avveniva per un semplice error di giudizio, per una
contraddizione logica. Il male è con sì fatti caratteri impresso nel
libro di nostra vita che non basta una dottrina religiosa, non basta un
sogno di fede e di amore a cancellarnelo. Lo spettacolo desolante di un
mondo in dissoluzione si offriva da ogni banda agli sguardi dei nuovi
credenti: il fior delicato e odoroso della dottrina di Cristo spuntava
di mezzo al fimo di Satana. Non era opera dell'eterno prevaricatore
quel politeismo variopinto che aveva affascinati e sedotti gli
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