Il Diavolo - 15

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possono dare ad intendere le più gran panzane di questo mondo, che
si lascia abbindolare da false promesse, non vede i tranelli che gli
si tendono, e dà spesse volte prova della più strana e più supina
ignoranza. D'ingannatore, egli si tramuta in ingannato, e dove soleva
guadagnare, perde. Il primo e maggiore inganno gli è fatto da Dio.
Secondo alcuni Padri, l'opera della redenzione non fu se non una divina
e solenne frode ordita ai danni del nemico, il quale fu preso come un
pesce all'amo, con l'esca della croce. Il diavolo s'immaginò di potere
aver l'anima di Cristo in cambio delle anime degli uomini, e perdette
queste, senza potere guadagnar quella. In più di una novellina popolare
si vede Dio ingannare il demonio con promesse e concessioni di cui
questi non può in nessun modo giovarsi.
Così ancora lo ingannano i santi e gli uomini comuni. Un giorno, in
una caverna, Virgilio mago trova un demonio, il quale per arte di
negromanzia era stato chiuso in un foro suggellato. Il demonio prega
il poeta di liberarlo da quell'angustia, e il poeta acconsente, a
patto ch'ei gli insegni la magia. Tolto il suggello, il demonio esce
fuori, e mantien la promessa; ma allora Virgilio mostra di dubitare
ch'ei potesse capir veramente in così angusta prigione. Il demonio,
per farnelo certo, ci si raccoglie novamente dentro, e Virgilio, chiuso
il foro come prima, se ne va pei fatti suoi. Press'a poco allo stesso
modo, Paracelso trasse fuor da un abete un diavolo, e poi ve lo fece
rientrare, dopo avere ottenuto da lui una medicina che sanava tutti i
mali, e una tintura che mutava ogni cosa in oro.
Altri inganni si hanno in numerosi racconti popolari. Un contadino si
obbliga di dar l'anima al diavolo, a patto che questi gli costruisca
una casa, o gli ari un campo, o gli renda altro servigio, prima che il
gallo canti. Il diavolo si pone all'opera tranquillamente; ma quando
egli sta per finire, il contadino con qualche sua astuzia induce il
gallo a cantare, e quegli è forzato di partirsi, senza aver premio
alcuno della sua fatica. Il diavolo, in beneficio di tale o tale città,
costruisce un ponte, con la condizione che l'anima del primo che vi
passerà sopra gli abbia ad appartenere. Costruito il ponte, ci si fa
passar sopra un cane, o altro quadrupede, e il diavolo deve contentarsi
di quella preda. Di più d'uno si racconta che, invece dell'anima e del
corpo, lasciò al diavolo l'ombra. Il diavolo insegnava una volta magia
nella città di Salamanca. Egli aveva dichiarato ai suoi uditori che,
a corso finito, avrebbe tolto in pagamento, anima e corpo, colui che
rimarrebbe ultimo nell'aula. Venuto il giorno stabilito, gli uditori
traggono a sorte chi debba soddisfare il debito. Rimane ultimo uno
studente, il quale al diavolo, che sta per ghermirlo, addita l'ombra
propria sul muro. Il diavolo, stimandola persona, s'avventa per
acciuffarla, e intanto lo studente se la svigna. Questa novelletta
diede argomento a una poesia di Teodoro Körner. Nel noto romanzetto del
Chamisso il diavolo si toglie l'ombra di Pietro Schlemihl, ma sapendo
ciò ch'ei si fa.
La dabbenaggine e la credulità di certi diavoli minori passano ogni
limite. Il trovero francese Rutebeuf, già ricordato, narra di uno, che
pensandosi di raccogliere in un sacco l'anima di un villano moribondo,
raccolse.... un'altra esalazione. È celebre il diavolo di Papefiguière,
di cui racconta le miserevoli avventure il Rabelais. Di grandissima
dabbenaggine danno pure esempio i diavoli che vengono sulla terra a tor
moglie, come quel Belfagor, di cui narrano la storia il Machiavelli e
lo Straparola, e quell'altro di una novella popolare spagnuola, chiuso
dalla suocera in un fiasco, e abbandonato sulla cima di una montagna.

I diavoli che Dante trova nella quinta bolgia del cerchio ottavo,
se hanno del terribile, hanno anche del comico, sia nell'aspetto e
negli atti, sia nei nomi. Essi sono Malacoda, Scarmiglione, Alichino,
Calcabrina, Cagnazzo, Barbariccia, Libicocco, Draghignazzo, Ciriatto,
Graffiacane, Farfarello, Rubicante, e hanno per giunta il nome
collettivo di Malebranche. Essi stringono la lingua coi denti per
far cenno al loro duce, come è usanza dei monelli, e il loro duce fa
trombetta di ciò che non occorre rammentare. Si lasciano ingannare
da Ciampolo, o chi altri si sia il _famiglio del buon re Tebaldo_, e
due di loro, Alichino e Calcabrina, si azzuffano per ciò, e cadono
nel bel mezzo del bollente stagno, d'onde i compagni li traggono
coi raffii. Somigliantissimi a questi di Dante sono i diavoli che si
vedono trescare per entro ai Misteri e alle Moralità del medio evo e
della Rinascenza, e l'officio principale loro è quello di far ridere
gli spettatori, con l'aspetto buffonescamente mostruoso, coi lazzi
e con le smorfie, rincorrendosi e picchiandosi sulla scena. Essi
appajono frequentissimi in drammi di sacro argomento francesi, inglesi,
tedeschi; molto meno nelle Sacre Rappresentazioni italiane.
In un Mistero francese composto nella seconda metà del secolo XV da
Arnoul Greban, e intitolato _La nativitè, la passion et la résurrection
de N. S. Jésus-Christ_, Mistero che conta 34574 versi e non meno di
393 personaggi, sono parecchie scene in cui i demonii hanno parte
assai ridicola. Saputo che il mondo sta per essere redento, Lucifero
fa convocare a suon di tromba tutti i demonii: chi non risponde alla
chiamata, chi manca al consesso, è frustato senza pietà, trascinato
sulle natiche attraverso l'inferno, immerso sette volte nel più
profondo del pozzo infernale. Satana, di ritorno dalla terra, ove
non ha potuto in modo alcuno nuocere a Cristo, è scamatato a dovere,
sebbene si appelli all'inferno tutto. In un'altra scena, Satana,
Astarot e Berich sono presenti all'ascensione di Cristo; ma Satana
solo può dire d'averla veduta. Astarot, quando vuole alzar gli occhi
al cielo, cade riverso con le gambe all'aria, e Berich riceve un gran
picchio sul capo. Si risolvono di tornare in inferno, sebbene sappiano
qual festa li aspetti:
_Astarot_: Ce ne sera pas sans sentir
des miches de nostre couvent.
_Berich_: Bé! nous en sentons bien souvent,
par quoy ne m'en fait point si mal.
Un'altra volta Satana è legato con catene arroventate e trascinato per
l'inferno: Lucifero gli domanda se suda. Nel Mistero di San Desiderio,
composto circa quello stesso tempo da Guglielmo Flamang, i diavoli
escono in vantamenti ridicoli, adoperando un linguaggio ridicolo e
sconcio. In un altro, intitolato _Pierre le changeur marchand_, i
diavoli, vedendosi tolta per intercession della Vergine un'anima,
inveiscono arrabbiati e confusi contro Dio, che pronunziò sentenza a
loro sfavorevole:
Autrement ne l'oseroit faire,
Et s'il le faisoit, abatuz
Seroit de sa mère et batuz
Dessus ses fesses.
In un Mistero tedesco della Passione Lucifero parla ai demonii della
caduta sua e loro e della superbia che ne fu la cagione; ma quelli
lo ingiuriano e lo picchiano, perchè non vogliono udir prediche. In
un altro Mistero tedesco, intitolato la _Resurrezione di Cristo_, e
composto nel 1464, Lucifero, dopo aver veduto spogliato il suo regno
dal Redentore, è messo in una botte e legato con catene. Satana e gli
altri demonii si partono in busca di anime da predare; ma, partiti
appena, Lucifero li richiama, e tanto si sgola per farsi udire da loro
che gliene viene mal di capo. Ritornati quelli. Lucifero non sa più
perchè li abbia chiamati, ed essi lo rimproverano e si dolgono delle
anime perdute. Satana si mette di nuovo in viaggio, e prolungandosi
l'assenza di lui, Lucifero comincia a essere in angustie, e a
temere di qualche disgrazia. Sarebbe egli ammalato? l'avrebbero per
caso accoppato? Finalmente Satana ritorna, portando l'anima di un
ecclesiastico, e Lucifero a ridere, meravigliandosi che capitino in
inferno coloro che dovrebbero guidar gli altri in paradiso; ma l'astuto
ecclesiastico gli risponde per le rime, e lo assorda con le parole per
modo, che quegli ordina di lasciarnelo andare al più presto.
Ricorderò ancora una commedia spagnuola, dove il diavolo fa assai
trista figura, _El diablo predicador_, d'ignoto autore. La commedia
è del secolo XVII, ma assai più antica di certo è la novella che le
dà il soggetto. Il diavolo ha con sue arti messo in mala vista della
popolazione un convento di francescani nella città di Lucca. I poveri
frati sono a mal partito, quando l'arcangelo Michele scende di cielo
col bambino Gesù in braccio, e ordina al calunniatore di riparare al
mal fatto, e di riporre i calunniati nella riputazione di prima. Si può
immaginare con che gusto il diavolo eseguisca il comando.
Il diavolo Scarapino, che il Bojardo descrive in un luogo dell'_Orlando
Innamorato_, appartiene alla famiglia dei diavoli ridicoli:
Era un demonio questo Scarapino,
Che de l'inferno è proprio la tristizia,
Minuto è il giottarello e piccolino.
Ma bene è grosso e grande di malizia;
A la taverna, dove è miglior vino,
O del gioco e bagascie la divizia.
Nel fumo de l'arrosto fa dimora,
E qua, tentando ciaschedun, lavora.
Alla stessa famiglia appartengono i diavoli che Lorenzo Lippi
introdusse nel suo _Malmantile_.

La derisione che colpiva il diavolo doveva, o prima o poi,
naturalmente, colpire anche certe cose che si supponeva avessero
stretta attinenza con lui, fossero da lui favorite e promosse: la
magia e le strane sue pratiche. E questa derisione comincia appunto
a farsi sentire quando cominciano a imperversare i processi contro le
streghe. Nessuno la fece sonar più alto di Teofilo Folengo, l'arguto,
immaginoso e festevole autore del _Baldo_, il principe dei maccheronici
(1496-1544). Nella maccheronea VII di questo poema egli si burla
dei domenicani, cui era affidata la inquisizione, e dice essere loro
officio porre le streghe a cavallo degli asini,
Officiumque gerunt asinis imponere stryas.
Nella maccheronea XXI descrive in modo oltre ogni dire ridicolo
l'officina, la scuola, il lupanare delle streghe, nel regno di
Culfora, e si scusa di non dire tutto ciò che sa, trattenuto dalla
paura degl'inquisitori, i quali potrebbero giudicarlo degno della
mitera e del rogo. In una scena della sua _Cortegiana_, Pietro Aretino
introduce l'Alvigia a piangere la morte della maestra sua, una vecchia
strega che l'Inquisizione fa abbruciare; che era tenuta “una Salamona,
una Sibilla, una Cronica da sbirri, da osti, da facchini, da cuochi,
da frati e da tutto il mondo;„ che osservava tutte le vigilie, e
che a lei, sua scolara, lascia tutte le sue masserizie e le cose
del mestiere: un'ampolla piena di lagrime d'amanti, carta non nata,
orazioni da far dormire, ricette da far ringiovanire, un diavolo chiuso
in un orinale, ecc. ecc. In una scena della _Spiritata_ del Lasca dice
il Trafela: “Come altri s'intabacca e comincia punto a credere a malie
e streghe, agli spiriti e agl'incanti, si può dir ch'ei sia l'oca;„
e spesso i negromanti e le operazioni magiche sono argomento di celia
nelle commedie e nelle novelle nostre del Cinquecento.
Quel capo ameno (per non dirgli altro) di Benvenuto Cellini racconta
nella sua Vita una curiosa istoria, che fa molto al proposito nostro, e
che qui non può essere passata sotto silenzio. Egli aveva, _per certe
diverse stravaganze_, presa amicizia in Roma con un prete siciliano,
di molto ingegno, di gran sapere, e assai profondo in negromanzia.
Confidato a costui come tutto il tempo di vita sua avesse avuto
grandissimo desiderio di vedere o udire alcuna cosa di quell'arte,
n'ebbe promessa che ogni sua voglia sarebbe stata appagata, se si
sentiva d'animo forte e sicuro, quale richiedeva l'impresa. Una notte,
tolti con sè due compagni, se ne andarono nel Colosseo, e quivi il
prete, paratosi secondo l'usanza, cominciò a disegnar circoli in terra,
a bruciar profumi, a fare scongiuri, e quanto altro abbisognava. Dopo
un'ora e mezzo che queste cerimonie duravano, comparvero parecchie
legioni di diavoli, tanto che il Colosseo n'era pieno, e Benvenuto,
invitato a domandar qualche cosa, domandò di poter essere con la sua
Angelica siciliana. Per quella notte non ebbe risposta, e il prete gli
disse che bisognava tornarvi un'altra volta, e ch'ei menasse con sè
_un fanciulletto vergine_. Così fu fatto. Ricominciate le cerimonie
e ripetuti gli scongiuri, più solenni quelle e più terribili questi,
non andò molto che il Colosseo fu pieno di cento volte più diavoli
che non ne fossero apparsi la prima fiata. Benvenuto rifece la sua
domanda, e n'ebbe risposta che in capo di un mese il desiderio suo
sarebbe appagato; ma tanto era il numero dei demonii, e così minaccioso
l'aspetto loro, che il prete cominciò a smarrirsi e a tremare, e con
lui i compagni, e Benvenuto medesimo. Il negromante allora cominciò
a usare modi dolci e soavi, per vedere di licenziare quei maledetti,
e raccomandò di bruciare dell'assa fetida. In quel punto, un dei
compagni, certo Agnolino Gaddi, il quale era mezzo morto di paura,
fu colto da una irresistibile e strepitosa soccorrenza di ventre, la
quale, dice Benvenuto (che usa parole più significative e più spicce),
ebbe maggior virtù che non l'assa fetida. Benvenuto allora si mise
a ridere, e il fanciullo, levati a quel riso gli occhi, disse che i
diavoli _se ne cominciavano andare a gran furia_, e quando venne a
sonar mattutino, disse il fanciullo che pochi ancora ne rimanevano
e discosto. Dopo un altro po' il prete, Benvenuto e gli altri se ne
uscirono dal circolo in cui s'erano tenuti stretti, e senz'altro danno
che della paura avuta se ne tornarono alle lor case.
Il diavolo ridicolo è, se non meno tristo in sè, certo meno pericoloso
e nocivo del diavolo serio, e facilmente si passa da lui al diavolo
dabbene. Dare il predicato di buono al diavolo, il quale è il principio
stesso del male, pare che non si possa senza contraddizione patente;
e pure gli è un fatto che il popolo immaginò una specie di diavolo
buono, contrapposto al diavolo malvagio, e che teologi di professione
pensarono a una possibile, o a dirittura necessaria conversione finale
dei superbi ribelli.
E qui mi bisogna ricordar di nuovo che non tutti gli angeli caduti
avevano peccato a un modo ed erano egualmente malvagi. Molti ce ne
furono, secondo afferma Origene, che nella gran battaglia combattuta
nei cieli, erano rimasti neutrali, e son quelli di cui Dante dice che
non furon ribelli,
Nè fûr fedeli a Dio, ma per sè foro.
Dante li pone nel vestibolo dell'inferno, insieme con
l'anime triste di coloro
Che visser senza infamia e senza lodo.
E prima e dopo di Dante altri ebbe a dire di loro. Nel corso della sua
avventurosa navigazione san Brandano giunse ad un'isola, dove trovò un
albero meraviglioso, popolato di uccelli candidissimi, i quali erano
appunto angeli caduti, ma non malvagi. Essi non soffrivano castigo; ma
eran fuori dell'eterna beatitudine. Ugone d'Alvernia trovò angeli così
fatti vicino al Paradiso terrestre, i quali lodavano Dio ed erano senza
castigo alcuno la domenica.
Il diavolo dabbene si dà anzi tutto a conoscere come diavolo
servizievole; egli ajuta gli uomini nei pericoli e nei bisogni,
spontaneamente, senza mala intenzione, e senza chiedere premio alcuno,
o contentandosi di piccolissimo compenso. Gli esempii e le prove sono
innumerevoli.
In molti racconti si vede un demonio trasportar per l'aria, da luogo
a luogo, e a distanze grandissime, un eroe, affinchè egli possa
giungere in tempo a recar soccorso, o a impedire che si compia alcuna
cosa in suo danno. Un giorno d'inverno (così si narra in una vecchia
cronaca tedesca) un povero demonio tutto intirizzito dal freddo
entrò in casa del cavaliere Wernhard von Strätlingen. Questi, mosso
a compassione, gli regala un mantello; poi, da lì a qualche tempo va
in pellegrinaggio. Viaggio facendo, è preso e trattenuto prigione sul
monte Gargano. Allora gli appare il diavolo con in dosso il mantello
donatogli, e gli dice d'essere mandato dall'arcangelo Michele per
riportar lui a casa, ove la moglie sua sta per rimaritarsi. E lo
riporta a casa davvero.
Parecchi altri cavalieri e parecchi santi viaggiarono a questo stesso
modo, senza che la magia c'entrasse per nulla. Di sant'Antidio, morto,
come si crede, nel 411, raccontano che si fece portare a Roma da un
diavolo per dare una lavata di capo al papa, il quale aveva commesso
non so che peccatuzzo contro il sesto comandamento.
Di molti diavoli si legge che servirono volonterosamente in casa di
persone dabbene e persino in conventi. Certo, questi servigi loro
non sempre erano disinteressati, e potevano recare pericolo grande
a chi se ne giovava. Nel VI secolo sant'Erveo scoverse un diavolo
sotto le vesti di un servitore, in casa del conte Eleno, e un altro
ne scoverse nel convento del santo abate Majano: entrambi confessarono
le malvage loro intenzioni. Gualtiero di Coincy narra la storia di un
demonio, che si pose ai servigi di un ricco uomo, e tentò, non solo
di distorlo dalla virtù, ma di ucciderlo a dirittura. Questa poteva
esser la regola; ma anche tra i servitori diavoli qualcuno di buono
se ne trovava. Un diavolo si pone per valletto con un cavaliere, e lo
serve con somma fedeltà e discrezione, anzi, in certa congiuntura,
scampa lui e la moglie da sicura morte. Scopertane la natura, il
cavaliere non osa più tenerlo con sè, ma gli dice di chiedere qual
premio più gli piaccia de' suoi servigi. L'onesto demonio chiede una
piccola somma, e avutala la restituisce al padrone, pregandolo di voler
comperare con essa una campana per certa chiesa povera. Così racconta
il nostro Cesario. Un altro diavolo stette più tempo ai servigi del
vescovo di Hildesheim, secondo attesta il Trithemio. In un vecchio
racconto italiano si legge di un diavolo che stava con certi monaci
e faceva con grandissima diligenza e puntualità il lavoro di dieci
servitori: “onde subitamente apparecchiava la mensa e sparecchiava, e
spazzava, e lavava le scodelle, e così molti altri servigi: e che più
è, sonata la prima volta al mattutino, toglieva un bastone e picchiava
le celle, sollicitandogli ch'andassero a dire mattutino nella chiesa.„
Un esempio ancora e poi potrà bastare. Il cronista tedesco Bernardo
Hederich (secolo XVI) racconta la storia di un diavolo, il quale servì
lungo tempo onestamente in un convento di francescani, nella città di
Schwerin, e non chiese al partirsi altro premio che una veste di più
colori, con molti sonagli intorno, già pattuita innanzi.
Ma anche in altro modo sanno rendersi utili i diavoli dabbene. Uno di
essi una volta fece scommessa coll'arcangelo Michele a chi avrebbe
fabbricata la più bella chiesa sul monte di Normandia che appunto
ha nome dall'arcangelo. Un altro giunse a insegnare a san Bernardo
sette versetti dei salmi, che, recitati ogni giorno, assicuravano
il paradiso. Un altro, senz'essere richiesto, trasportò l'anima di
un cavaliere ammalato a Roma e a Gerusalemme, e gli fece racquistare
la sanità perduta. Questi erano certamente diavoli nobili e di gran
levatura: quelli di minor conto facevano ciò che potevano. Cesario
racconta di uno che per una cesta d'uva custodì una vigna.

Che diremo del diavolo credente, che recitava orazioni e confessava le
verità della fede? Di uno, che entrato in corpo a una vecchierella,
cantava inni, salmi e il _Kyrie eleison_, si narra nella Vita di san
Giovanni Gualberto. Nella storia popolare di Fausto ricordata più
sopra, questi ragiona di teologia con Mefostofile. Il demonio dice,
con molta verità, della bellezza ond'era adorno nel cielo il suo
signore Lucifero; della caduta sua e degli angeli ribelli, provocata
dalla superbia; delle tentazioni che i diavoli adoperano contro gli
uomini; dell'inferno e de' suoi tremendi castighi. Una volta Fausto gli
domanda: “Se tu fossi uomo e non demonio, che faresti per piacere a Dio
e agli uomini?„ ed egli risponde sorridendo: “Se io fossi uomo, come tu
sei, io m'inchinerei dinanzi a Dio sin che avessi fiato, e farei quanto
fosse da me per non l'offendere e per non muoverlo a sdegno. Osserverei
la sua dottrina e la sua legge; non invocherei, loderei, onorerei se
non lui, e mi guadagnerei così dopo la morte, la beatitudine eterna.„
Ma il più savio, buono e cortese diavolo che mai sia stato al mondo
è quell'Astarotte che Luigi Pulci introduce in certa parte del suo
_Morgante Maggiore_. Malagigi, il mago benefico, ha scoperte le frodi
del traditor Ganellone, e prevede la sciagura che sta per incogliere
Orlando e gli altri paladini in Roncisvalle. Egli allora evoca il
demonio Astarotte per sapere dove sieno Rinaldo e Ricciardetto.
Astarotte narra una lunga storia delle loro avventure in Asia ed in
Africa, poi, a un certo punto gli scappa detto che il Figliuolo non sa
tutto ciò che sa Dio Padre. Malagigi rimane di ciò confuso, e vuole
averne ragione; ed ecco il diavolo entrare in un nuovo discorso, in
cui molto dottamente, e in modo al tutto ortodosso, ragiona della
Trinità, della creazione, della caduta degli angeli; e avendo Malagigi
notato che questa caduta non par si concilii con la infinita bontà
di Dio, egli va sulle furie, e afferma che Dio fu egualmente buono e
giusto per tutti, e che i caduti non d'altri si debbono dolere che di
sè stessi. Dopo di ciò, tolto in sua compagnia il demonio Farfarello,
se ne va in Egitto, per prendere Rinaldo e Ricciardetto, cui usa,
tornando, mille cortesie. Provvede vivande squisite, sventa l'inganno
di un altro demonio, Squarciaferro, mandato da un negromante nemico,
e a Rinaldo descrive molti strani animali che sono in Africa e in
Asia, e chiarisce, come a Malagigi, alcun punto più oscuro della fede,
affermando che
Vera è la fede sola de' Cristiani,
E giusta legge, e ben fondata e santa.
Giunti tutti insieme in Roncisvalle, egli, nell'accommiatarsi, può dir
con ragione:
Non creder nello inferno anche fra noi
Gentilezza non sia;
e Rinaldo, che del suo partire si duole, _quanto fussi fratello_,
afferma di credere che sia in inferno,
Gentilezza, amicizia e cortesia;
invita lui, e Farfarello, e Squarciaferro ancora, fatto di nemico
amico, a venirlo a vedere, e prega Dio che perdoni loro.
Il diavolo zoppo del Guevara e del Lesage è, esso pure, un buon diavolo.

Fu notato che nel diavolo bonario e servizievole riappajono alcuni
caratteri proprii di esseri mitologici benigni, come gnomi, elfi,
silfi; ma il concetto di un diavolo così fatto, anzi di un diavolo che
potesse ravvedersi e redimersi, doveva sorgere spontaneamente negli
animi, senza bisogno di suggestioni derivate di lontano.
Nel secondo e nel terzo secolo dopo Cristo, Giustino, Clemente
Alessandrino e il grande Origene ammisero come possibile, o a dirittura
come necessario, il ravvedimento del diavolo; Didimo di Alessandria
e Gregorio di Nissa professarono nel IV la stessa opinione. Ma la
opinione contraria, che cioè il diavolo non potesse pentirsi, e
che la dannazione sua fosse eterna e irreparabile, prevalse, e dal
sesto secolo in poi fu considerata come la sola ortodossa. Nel medio
evo la eretica dottrina non è più sostenuta che da Scoto Erigena, e
sant'Anselmo la combatte ad oltranza; san Tommaso, lume della teologia,
nega recisamente che il diavolo possa diventar migliore. Nella Vita
di san Martino, scritta da Venanzio Fortunato nel sesto secolo, si
dice che il diavolo, se potesse pentirsi, sarebbe salvo; ma ciò che
si negava appunto era la possibilità del pentimento in lui, e per
negare quella possibilità, senza da altra banda negare il libero
arbitrio, il quale era in lui non meno che negli uomini, si annaspavano
strane e sottili dottrine; si diceva, per esempio, che il diavolo
non poteva fare penitenza, per non essere in lui che una sola natura,
la spirituale, mentre l'uomo, in virtù della penitenza, ascendeva da
carne a spirito. Ma i teologi di professione avevano un bell'annaspare
e un bell'arzigogolare; il popolo, il quale sente assai più che non
ragioni, non riuscì mai a capacitarsi interamente di quella malvagità
non necessaria, e pure irrimediabile del diavolo; ammise, se non altro,
in più di un demonio, il desiderio di far penitenza; e se l'avessero
lasciato fare, qualcuno in cielo ne avrebbe portato di certo. Ebrei e
maomettani furono in ciò più larghi di manica che non i cristiani. Fu
opinione dei rabbini, che come l'inferno un giorno sarà purificato e
santificato, così i demonii saranno convertiti novamente in angeli; e
di demonii convertiti si parla nel Corano.
Desiderio del cielo perduto, e pentimento della stolta ribellione
mostrarono in varii tempi più diavoli. Di uno, assai degno di
compassione, racconta l'inesaurabile Cesario: in un vecchio poema
inglese, _The develis parlament or parlamentum of feendis_, diavolo
si oppone a Cristo venuto a liberare le anime dell'inferno, e non
potendogli contrastare, chiede di essere liberato con loro. Da questo
desiderio di redenzione poteva nascere la volontà di adoperare i mezzi
che conducevano a redenzione: si capisce per altro come quei mezzi
dovessero riuscire alquanto ostici a diavoli di professione, e come,
fattone il saggio, questi smettessero e si tirassero indietro.
Sant'Ipazio domandò una volta a un diavolo perchè non si pentisse,
mentre, pentendosi, avrebbe potuto ottenere facilmente perdono: il
diavolo ch'era dei più protervi, non volle riconoscersi peccatore. Era
questo, come ognun vede, un assai cattivo principio, perchè la prima
cosa che il peccatore ha da fare è di riconoscere d'aver peccato, e
pentirsi. In un contrasto italiano fra Cristo e Satana, questi si lagna
dei Redentore, che amò l'uomo, creatura vile, più di lui, creatura
angelica, e l'uomo redense, lasciando lui in disperata miseria. Cristo
gli dice: “Se io non t'ajuto, questa sì è la casgione che tu medesmo
non ti vuoli ajutare. Perciò ajuto l'omo ch'elli medesmo s'ajuta.
Così salverei io tei come lui, se tu ti vollessi ajutare pentendoti
et adorandomi et dimandandomi misericordia et dicendo tua colpa et
adorandomi come singnore.„ Ma Satana risponde orgogliosamente: “Io mi
pento ch'io caddi di cielo; ma non perchè io ti vogla adorare, nè dire
mia colpa. Innansi vorrei andare in profondo di inferno, in cento milia
cutanta pena ch'io sia, non ch'io ti volesse adorare.„
Tristo diavolo anche questo! altri di miglior indole pensarono sul
serio a convertirsi, e giunsero sino a volersi confessare. Che i
diavoli si confessino è caso raro; assai più frequente invece che
facciano essi da confessori, e allora bisogna guardarsi bene e
raccomandarsi a Dio, perchè, ad ogni peccato che odono recitare, per
quanto brutto e grave esso sia, hanno in uso di dire: “Non è nulla ciò;
non v'è male alcuno; non vi badate.„ Pure qualcuno se ne confessò;
al qual proposito è da ricordare che spesse volte diavoli cicaloni,
fecero, non chiesti, conoscere ad uomini di santa vita, le arti
loro più nascoste e più frodolenti, e Pietro il Venerabile s'ingegna
di spiegare perchè essi, pur tanto astuti, facciano ciò. Il solito
Cesario racconta che un diavolo s'andò un giorno a confessare, sperando
perdono. Il confessore, prete caritatevole e discreto, non gl'impose
altra penitenza se non d'inginocchiarsi ogni giorno tre volte, e
dire con animo contrito: _Signore Iddio, mio creatore, ho peccato,
perdonami_. Ma il diavolo, ch'era pur sempre un diavolo, la trovò
troppo aspra al suo orgoglio, e non se ne fece altro. Guglielmo di
Wadington, già ricordato altra volta, autore di un Manuale dei peccati,
racconta la storia di un altro diavolo, che vedendo i meravigliosi
effetti della confessione, e come molti si salvassero per essa, volle
una volta confessarsi, e andò a recitare a un sant'uomo la sterminata e
spaventosa lista de' suoi peccati; ma senza effetto, perchè rifiutò di
far penitenza. Altri sacramenti dovevano riuscir men gravi ai maledetti
superbi. Dal famoso processo di Mora in Isvezia, nel 1669, venne fuori,
insieme con altre moltissime cose, che nei consueti ritrovi delle
streghe il diavolo chiamava un prete e si faceva battezzare.
Nell'immortale poema del Milton, Satana, sopraffatto dall'orrore della
miseria in cui è precipitato, e più dall'orror di sè stesso, rimpiange
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