Il Diavolo - 04

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di quello scolare di Parigi, che morto, e andato a perdizione, apparve
all'esterrefatto maestro con indosso una cappa ricamata di sofismi,
storia narrata dal buon Passavanti ad ammonimento ed a confusione di
quanti non fanno buon uso del sillogismo.
Ma se i demonii non avevano a sapere di filosofia, parrà strano a
taluno ch'ei potessero saper di teologia, e avere a mente le Scritture,
e disputar dei misteri con quella stessa chiarezza e precision di
concetti che si ammira nei teologi di professione. E pure è così.
Infinite volte, per bocca degli indemoniati del cui corpo s'erano fatti
padroni, essi citarono luoghi dell'Antico e del Nuovo Testamento,
recarono in mezzo opinioni e sentenze di Padri e di Dottori della
Chiesa, proposero quesiti imbarazzanti, con non piccola vergogna di chi
standoli a udire, o pretendendo di scongiurarli, si avvedeva di saperne
assai meno di loro. In una delle Visioni di San Furseo, i demonii
disputano assai dottamente con gli angeli di peccati e di penitenza,
citano le Scritture, e non si mostrano men buoni dialettici che teologi
amplissimi. Altri esempii simili non mancano: si sa che il diavolo
disputava assai acremente di teologia con Lutero.
Del resto non bisogna credere che tutti i diavoli avessero lo stesso
sapere e fossero tutti d'una levatura. C'erano anche tra loro i più
e i meno dotti, come c'erano i più e i meno avveduti. A suo luogo
c'imbatteremo nel diavolo sciocco ed ignorante, concetto non così
irragionevole come parrebbe a prima giunta. Se a un diavolo un certo
sapere riusciva più gradito di un altro poteva, sembra, approfondirsi
in quello. Cesario narra di un diavolo consigliere, per nome Oliviero,
il quale era assai buon causidico. Altri diavoli si dilettavano più
delle cose naturali, e questi ajutavano a cuocer filtri, a trasmutar
metalli e a compier altre così fatte bisogne.

Chi dice scienza dice potenza, e però non deve far meraviglia che i
diavoli potessero grandi cose. Certo, anche la loro potenza aveva dei
limiti; ma dov'eran essi? difficile il dirlo con esattezza. Matteo
chiama Satana uno spirito potente, e, in verità, non a torto. La sua
potenza non è paragonabile alla onnipotenza di Dio, ma è pur grande
e formidabile. Ribelle, è vinto, e la vittoria non gli sorriderà più
mai; ma tuttochè vinto, risorge e si vendica. Egli penetra nella felice
dimora dei primi parenti e v'introduce il peccato; turba l'armonia
dell'opera divina e v'introduce la morte. Egli attossica il mondo e lo
fa apostatare da Dio; egli diventa il signore e l'arbitro di questo
mondo pervertito, _princeps hujus sæculi_. Si dice, è vero, che egli
tanto solo può quanto Dio gli permette; ma bisogna riconoscere che
molto Dio gli permette, e che quanto egli opera, opera in virtù di
una forza che è in lui, che è connaturata con lui. Quanto è di male al
mondo viene in principio da lui, e l'eccesso del male fa ingigantire
il concetto della sua potenza. E questa sua potenza, l'opera della
redenzione che doveva fiaccarla, non l'ha fiaccata. Si narra che il
diavolo apparve una volta a sant'Antonio e gli disse essere ingiuste
le maledizioni che senza fine gli uomini scagliavano contro di lui,
poichè, regnando Cristo, egli non poteva più nulla. Ma il diavolo che
così diceva mentiva. Col paganesimo cessava forse il suo pieno dominio
sopra la terra, non cessava già la potenza. Cristo l'ha vinto, ma
non l'ha disarmato, ed egli rappicca incontanente la zuffa, e corre
novamente la terra per sua, disputando anima per anima al vittorioso
avversario questa misera umanità. Egli popola di schiavi il suo regno,
e passati più e più secoli dalla morte del redentore chi mai, guardando
questo povero e tribolato mondo direbbe di trovarsi in un mondo
redento?
La potenza dei demonii è grande, così sulle cose della natura, come su
quelle della umanità, e l'esercizio di tale potenza è loro agevolato
da facoltà portentose. Essi possono, in un baleno, volare da un termine
del mondo all'altro, profondarsi nell'acqua e nella terra, compenetrar
gli elementi.
La natura corporea è ad essi in particolar modo soggetta. Non si
dimentichi che parecchie sètte di eretici considerarono la materia
quale fattura di Satana, e che come più, nell'idea religiosa, si
faceva vivo il contrasto fra materia e spirito, e la materia veniva in
concetto di vile o di corrotta, più le fantasie dovevano inchinare a
vedere nella natura il gran laboratorio, il regno proprio di Satana.
Le ragioni per cui pajono sì rari e sì esigui nel medio evo i segni
di quel particolare sentimento che noi chiamiamo ora sentimento della
natura, sono certamente parecchie; ma non può mancare fra esse il
sospetto e il terrore che della natura si aveva come di cosa, se non
prodotta da Satana, almeno contaminata da lui. Il peccato che corruppe
i primi parenti pervertì, nel tempo medesimo, la natura, e se l'umanità
fu redenta da Cristo, la natura non fu redenta.
Il fuoco, che ebbe in India antichissimi adoratori, e che il mito
ellenico immaginò rubato a Giove dall'audacia di Prometeo, il fuoco è
il proprio elemento dei demonii. Ma noi abbiam veduto che i demonii
hanno una delle lor sedi nell'aria; perciò ragion vuole che anche
sull'aria essi esercitino il loro formidabile dominio. I teologi sono
generalmente concordi nell'ammettere che essi possono a lor piacimento
(salvo sempre il voler divino) suscitar venti impetuosi, addensar le
nubi, vibrar le folgori, rovesciar sulla terra a torrenti le acque del
cielo. L'urlo della bufera è fatto di grida di demonii inviperiti. San
Tommaso dice, gli è vero, che tali sconvolgimenti son da essi prodotti
soltanto _artificialiter_, e non _naturali cursu_; ma in pratica
viene ad esser lo stesso. Nell'Antipurgatorio Dante fa raccontare
a Buonconte da Montefeltro, morto a Campaldino, come il corpo suo,
che dopo la battaglia non si trovò, fosse travolto dalle acque di
una ruinosa procella suscitata dal diavolo. Ai demonii fu attribuita
facoltà di provocare tutti in genere i fenomeni atmosferici, e Tommaso
Cantipratense credeva opera loro le illusioni della Fata Morgana.
Non minore potestà avevano i demonii sopra la terra, ed è cosa
ragionevole se si pensa che nel centro della terra appunto si poneva
l'inferno. I terremoti erano, o potevano essere, opera loro, e così
ancora le eruzioni vulcaniche, e i vulcani si credeva generalmente
fossero bocche e spiragli dell'inferno. Quando un diavolo frettoloso
voleva prendere la via più diritta per far ritorno alla sua buja
magione, ordinava alla terra di aprirsi, e spariva nella voragine
spalancata come in un trabocchetto di teatro.
Ma non tutte le cose in natura erano egualmente soggette alla potestà
dei demonii: ce n'erano alcune le quali obbedivano loro interamente,
e si facevano, senza contrasto, strumento e ricettacolo della
loro malvagia potenza; ce n'erano altre le quali mostravansi loro
risolutamente contrarie. La fantasia e la superstizione trovarono in
così fatte credenze abbondantissimo pascolo. I demonii prediligevano
i luoghi solitarii e spaventosi, i monti dirupati, le foreste dense
e tenebrose, le spelonche, i precipizii, e ciò perchè in cotali
luoghi la potenza loro era più intera ed irresistibile. Già gli ebrei
consideravano il deserto come la propria stanza degli spiriti malefici,
e tutti sanno a quali e quante angherie e vessazioni diaboliche
soggiacessero nel deserto gli anacoreti. Alcune piante, come per
esempio, il noce e la mandragora, si può dire che appartenessero al
diavolo, mentre altre, come l'aglio, gli erano del tutto nemiche.
Il carbone, la cenere gli conferivano, ma il sale gli toglieva ogni
vigore, e lo stesso dicasi di alcune gemme. Gli animali anch'essi non
si comportavano con lui tutti ad un modo: il rospo era un suo buon
servitore, e il gallo un suo grande avversario.

Ho detto che molto poteva Satana sulle coso della umanità, e a
persuadersene basta ricordare che la perdizione del genere umano fu
opera sua. Ma anche in ciò bisogna distinguere. La potestà sua sopra
l'umana natura, depravata dopo il peccato, era assai grande, ma non
isconfinata, non assoluta. C'è l'uomo fisico e c'è l'uomo morale;
c'è il corpo e c'è l'anima; e la potenza di Satana non si estendeva
sopra entrambi egualmente. Il corpo, altrimenti detto la bestia, è in
certo modo un amico, un vassallo di Satana, e ci furono degli eretici
i quali dissero chiaro e tondo che esso è fattura di lui e non di
Dio. Il corpo, che è la prigione dell'anima, e un perpetuo fomentator
di peccati, si piega docilmente ai voleri di chi non tende ad altro
che a corromper l'anima. Se tra l'anima e il corpo c'è la discordia
che tutti sanno, ne viene di conseguenza che il corpo è il naturale
alleato del diavolo. E il diavolo ne profitta. Il diavolo blandisce
il corpo e lo fa prosperare affinchè sempre più s'inorgoglisca contro
quella meschinella dell'anima, e le cresca addosso; egli ne aguzza
gli appetiti, ne inasprisce gli stimoli, ne corrobora le energie,
ne moltiplica le sfacciate richieste, tanto che l'anima perde la
bussola e si lascia trascinare a rimorchio. Ma può anche tenere il
modo contrario. Per far rinnegare all'anima ogni pazienza, per farla
invelenire e disperare, Satana può infestare il corpo di morbi, può
tribolarlo con mille accidenti, come fece a quel pover'uomo di Giobbe.
Le epidemie si credeva da molti fossero opera sua, e così ancora le
epizoozie.
L'anima era di solito meno soggetta, ma non però sottratta alla potenza
e agli influssi del diavolo. I teologi sono tutti d'accordo nel dire
che egli non può far forza alla volontà, che il libero arbitrio non
può essere manomesso da lui. Ma se era questa la regola, la regola
pativa eccezione. In fatti gl'indemoniati sono interamente in balía di
Satana, il quale fa loro dire e fare ciò che a lui piace; e secondo
una opinione molta diffusa sin dai primi secoli della Chiesa, erano
similmente in potestà di Satana gli scomunicati e tutti coloro che non
erano stati riscattati mediante il battesimo. Quanto agli indemoniati
la cosa può intendersi agevolmente, perchè il demonio non solo si
cacciava nei corpi, ma penetrava ancora le anime. Più difficile a
intendere è per contro come avvenisse questa specie di ipostasi o di
endosmosi diabolica.
Ma molto poteva il demonio anche sulle anime di coloro che non erano,
come gl'indemoniati, in sua potestà; al qual proposito bisogna aver
presente che ogni peccato commesso è come una porta aperta al nemico.
Il demonio suscita nelle anime pensieri riottosi, immaginazioni
scomposte, affetti disordinati, mille larve e cogitazioni di peccato;
egli le assalta nel sonno, quando il giudizio è offuscato, quando
la volontà è assiderata, e le insidia e le oppugna con visioni e con
sogni che si lasciano dietro turbamenti e sollevamenti pericolosi. Le
anime stesse dei santi non vanno immuni dal suo influsso; egli soffia
sopr'esse e le fa vacillare come fiaccole al vento.
La vita di ogni singolo uomo era per non picciola parte governata da
Satana; ma così ancora era quella delle nazioni e della intera umanità.
Dato che la storia sia opera della Provvidenza, bisogna concedere
che essa è pure opera di Satana; e veduto qual essa fu nel corso
dei secoli, è forza riconoscere che la parte di Satana è rilevante e
cospicua. E per vero i Padri e i Dottori tutti si dànno l'intesa per
dire che le false religioni sono inventate da lui, le scienze occulte
(e le non occulte?) trovate da lui, le eresie suscitate da lui; egli
getta i semi di tutte le discordie, suggerisce le congiure, matura le
ribellioni, prepara le carestie, promuove le guerre, mette in trono
i malvagi principi, consacra gli antipapi, detta i cattivi libri, e
negl'interstizii che lasciano tra loro le maggiori calamità, semina
incendii, ruine, naufragi, uccisioni, rapine, scandali e subissamenti.
Notisi che egli conosce ed ha in sua potestà tutti i tesori nascosti
nelle viscere della terra, ed è espressamente detto che l'Anticristo,
suo figliuolo e vicario generale, se ne servirà per farsi, quando sia
tempo, signore del mondo. Ora, tutti sanno che l'oro è un nerbo, non
soltanto della guerra, ma della storia in genere, ed è probabilmente
per torlo di mano al nemico che i papi cercarono sempre di arraffarne
quanto più fu loro possibile.
Ma non finisce qui il discorso della potenza di Satana: non ho ancor
detto nulla di quella che si potrebbe chiamare la sua abilità tecnica.
Il diavolo sa fare tutti i mestieri; ma naturalmente, sdegna gli umili,
e solo in cose grandi si piace di misurare la sua forza e la sua
destrezza. Egli ha una passione, quella delle fabbriche. La vecchia
Europa è piena di ponti, di torri, di muraglie, di acquedotti, di
edifizii d'ogni maniera costruiti da lui. La famosa muraglia eretta per
ordine di Adriano tra l'Inghilterra e la Scozia fu creduta opera sua, e
lo stesso fu creduto di altre muraglie e difese. Il ponte di Schellenen
in Isvizzera, il ponte sul Danubio a Regensburg, il ponte sul Rodano
ad Avignone, e cent'altri, si credettero fabbricati da lui, e molti
portano ancora il suo nome e si chiamano ponti del diavolo. In tempi
di barbarie e di povertà le ingenti costruzioni romane, comprese le
strade, parvero eccedere la potenza degli uomini, e facilmente furono
attribuite all'artefice maledetto. Più strano parrà che il diavolo
con le proprie sue mani si mettesse a fabbricar chiese e conventi; ma
egli poteva ciò fare, o per suoi fini occulti, o sforzato da potestà
superiore. Le piante e gli altri disegni delle chiese di Colonia e di
Acquisgrana furono, dicesi, fatti da lui; anzi quest'ultima chiesa
fu, almeno in parte, da lui fabbricata. L'abbazia di Crowland in
Inghilterra è opera sua. E da tanto egli si teneva in quest'arte che
una volta ardì sfidare l'arcangelo Michele, l'antico suo vincitore, a
chi fabbricherebbe sopra un monte di Normandia, che appunto è detto di
San Michele, la più bella chiesa. L'arcangelo vinse, come di ragione;
ma anche il diavolo si fece onore. Nè il miracolo era, di solito tanto
nell'opera compiuta, quanto nella misura del tempo accordatogli a
compierla. Spesso una notte doveva bastare, e bastava nel fatto, se non
c'entrava di mezzo l'inganno, un inganno, intendiamoci, fatto non da
lui, ma a lui. Nello spazio di una notte, se, per esempio, trattavasi
di una chiesa, il diavolo portava, di regioni talvolta lontanissime, i
materiali tutti necessarii alla fabbrica, i gran quarti di granito, le
lastre e i cubi dei marmi variopínti, magari le colonne enormi rubate a
qualche antico tempio pagano, le roveri poderose, gli sperticati abeti,
le ferramenta, e senza mai prender fiato tagliava, scalpellava, puliva,
scortecciava, riquadrava, impostava, commetteva, dipingeva, scolpiva,
tanto che, sopraggiunto il giorno, il primo raggio del sole accendeva
in cima alle guglie le palle di bell'oro brunito, e faceva balenare
i gran vetri dipinti dei finestroni. E non c'era pericolo che dopo un
anno o due le mura si scrostassero, o venisse giù il soffitto.
Tutto ciò richiedeva non solamente ingegno e destrezza e alacrità
somma; richiedeva ancora una forza, dirò così, muscolare, veramente
portentosa. Di cotal forza io non ho detto nulla; ma le prove di essa
sono senza numero, sparse nelle storie e per il mondo. Non è regione
d'Europa dove non si veda qualche smisurato macigno, portato a braccia
dal diavolo in mezzo a una pianura, da un monte lontano, e le buone
genti dei campi, interrogate in proposito, sanno dirvi per filo e per
segno come andò la cosa. Qua era in antico un romitorio, abitato da un
uomo di santissima vita, il quale passava in preghiera i giorni intieri
e le intiere nottate: il diavolo, indispettito, tentò di schiacciar
lui e la sua cella sotto quel masso che vedete, ma non tolse bene la
mira, e il sant'uomo se la cavò con un po' di paura. Laggiù, quel gran
buco nel monte, fu fatto dal diavolo, un giorno che, pazzo di rabbia,
scaraventò per l'aria il maglio enorme della sua fucina. Per tutto, i
gran massi erratici che i ghiacciai delle età preistoriche trascinarono
a miglia e miglia lungi dai monti loro, si credette fossero stati
lanciati o rotolati dal diavolo, e così pure si credette delle pietre
druidiche.
Ma la forza strabocchevole non esclude in Satana l'agilità e la
destrezza, chè anche queste sono in lui meravigliose. Egli possiede
le arti tutte del giocoliere e del funambolo, e non è operazione così
delicata da cui non sappia levare destramente le mani. Tertulliano
afferma che fu veduto il diavolo portar acqua in un crivello.
Le fabbriche del diavolo, dicevo, sono solide e degne di tanto
artefice; ma si capisce che debbano risentirsi in qualche modo
dell'origine loro, ed avere in sè alcun che di soprannaturale.
Generalmente parlando, se il diavolo le lascia incompiute, non è dato
ad altri di compierle. Con pensiero analogo a questo fu creduto in
molti luoghi che se il diavolo recava a un edifizio alcun danno, il
danno non poteva più essere riparato.

In uno dei canti che compongono la _Légende des siècles_, Vittore
Hugo racconta una gara che il diavolo ebbe con Dio, a chi facesse la
cosa più bella. Il diavolo chiese al suo avversario una gran quantità
d'ingredienti, di cui aveva bisogno, e avutili si mise all'opera.
Et grondant et râlant comme un boeuf qu'on égorge,
Le démon se remit a battre dans sa forge;
Il frappait du ciseau, du pilon, du maillet,
Et toute la caverne horrible tressaillait;
Les éclairs des marteaux faisaient une tempête;
Ses yeux ardents semblaient deux braises dans sa tête;
Il rugissait; le feu lui sortait des naseaux,
Avec un bruit pareil au bruit des grandes eaux
Dans la saison livide où la cigogne émigre.
Tanta forza e tanta fatica non riescono ad altro che a produrre una
cavalletta, mentre Dio, con solo guardarlo, fa di un ragno il sole. Ma
il poeta ha torto. Ben maggiori cose, e senza punto affannarsi, poteva
fare il diavolo, e la potenza di lui era veramente grande e terribile.
Ciò nondimeno quella potenza aveva pure i suoi limiti, e spesso assai
più angusti che non parrebbe. Come vedremo in seguito, non solo c'erano
contr'essa ripari e difese, ma, cosa ben più importante, c'era anche
modo di assoggettarla e dirigerla. Ciò che mi preme far notare sin da
ora si è che, secondo un'opinione divulgatissima, il diavolo non può
esercitare la sua potenza se non la notte, o, se la esercita durante
il giorno, non la esercita più con la stessa efficacia. I primi albori
che imperlino il cielo, la squillante chicchiriata del gallo, volgono
il diavolo in fuga, o, almeno, gli dimezzan le forze. Del resto
non è punto irragionevole che il re delle tenebre abbia vigor dalle
tenebre, e che in mezzo ad esse la potenza sua riesca più intera e più
formidabile.

Ma non si creda che Satana, sebbene assai volentieri faccia mal uso
del suo potere, sia assolutamente e sempre un campione della violenza,
il principale seguitator della massima che ha tanti altri seguaci: la
forza vince il diritto. S'egli fa ciò che fa, se con portamenti da
despota scorrazza la terra, se tratta gli uomini come nemici o come
schiavi; ha pure il diritto di far tutto ciò, o, se non lo ha più, lo
ebbe. Ireneo, il santo vescovo di Lione, fu il primo, già nel secondo
secolo della Chiesa, a porre in chiaro cotal diritto. Il peccato diede
legittimamente gli uomini in mano a Satana, e gli è per legittimamente
ricomperarli, senz'uso di violenza, che Cristo versò il suo sangue.
Satana, procacciando ingiustamente la morte di un giusto, perdette
ogni diritto precedentemente acquistato. Tale dottrina incontrò molto
favore, e, sino al principiare del medio evo, tutti gli scrittori
ecclesiastici ammisero, più o meno, l'antico diritto di Satana,
cancellato da Cristo. Satana, dal canto suo, non volle riconoscere
cancellazione di sorta, e seguitò ad esercitare il diritto suo quanto
e come meglio potè; e noi dobbiamo confessare che se lo esercitò
illegalmente, non lo esercitò senza frutto. Per meglio far trionfare
il suo, vuoi legittimo, vuoi usurpato diritto, Satana ebbe cura di
ordinare il suo regno e le sue milizie, e di imitare, per quanto gli
fu concesso, le istituzioni e gli ordinamenti divini, imitazione che
gli valse il nome vilificativo di scimia di Dio. Alla Chiesa di Cristo
egli contrappose la propria sua Chiesa, ed ebbe sacerdoti, culto, e,
affermava già Tertulliano, sacramenti.
Abbiam veduto qual fosse il diavolo, quale la sua potenza ed industria;
vediamo ora come egli combattesse contro gli uomini, e contro Dio,
cotidiana battaglia, vediamolo nell'opera sua principale.


CAPITOLO IV.
IL DIAVOLO TENTATORE.

Satana non ispera più di riconquistare in cielo il posto che ha
perduto. Egli rimpiange l'antica felicità, ma nel rimpianto non
anneghittisce, anzi procura di accrescere a sè stesso grandezza e
potenza. Egli è re; vasto e popoloso è il suo regno, ed ei può farlo
maggiore e popolarlo vie più. Se l'umanità non sarà più sua tutta
intera, sarà ancora sua la più parte. Rendere labile e scarso, quanto
più far si possa, il frutto della redenzione; moltiplicar sulla faccia
della terra l'errore; far della terra, invano bagnata del sangue di
Cristo, un altro inferno, e della storia umana una sequela rovinosa di
mali, dove peccato e dolore s'indentano l'uno nell'altro; tale sarà
il suo costante proposito, tale il perpetuo suo studio. Ogni peccato
commesso, ogni anima rubata al cielo e guadagnata all'inferno, segnerà
un suo trionfo. Sia pure forte e salda la Chiesa come uno scoglio
in mezzo ai marosi; egli saprà bene investirla e percuoterla d'ogni
intorno, facendola tremare sin nelle fondamenta, e staccandone di tanto
in tanto alcuna pietra angolare. Vigili il pastore, e vigilino i cani
a custodia del gregge; egli, come un lupo affamato, anzi come il leone
ruggente ricordato dall'apostolo, non cesserà dal rapire delle dieci
pecorelle le nove.
Satana non può far sue le anime se prima non le intrida e non le
corrompa di peccato; ma l'umana natura, tuttochè redenta, è proclive
e pronta al peccato. Satana non può far forza al libero volere; ma
può di tal maniera moltiplicargli le insidie d'attorno che esso abbia
quasi necessariamente a soccombere. Satana è il grande, l'infaticabile
tentatore. Egli tenta Eva e ardisce di tentar Cristo: qual meraviglia
se tenta gli uomini anche più santi? Anzi gli è contro ai più santi
ch'egli usa ogni sua industria, giacchè i non santi, senza troppo
contendere, gli si fanno seguaci e servitori.
Questo della tentazione era un esercizio molteplice e vario, irregolare
e malagevole, che prendeva norma dalle occasioni e dalle condizioni,
si piegava e mutava secondo le persone, i tempi, i luoghi, richiedeva
sottile accorgimento, e non di rado grande perseveranza. La tentazione
era un'arte in cui Satana dava a conoscere tutto il suo ingegno e tutta
la sua destrezza.
Le occasioni del tentare erano innumerevoli. San Paolo aveva detto:
“Non fate luogo al diavolo;„ ma il diavolo sapeva farsi luogo da sè.
Aveva anche detto: “Resistete al diavolo ed egli fuggirà da voi;„ ma
spesso spesso chi più strenuamente resisteva era più ostinatamente
assalito. Sottrarsi interamente al suo influsso non era possibile;
non era nemmeno possibile evitare in tutto il suo pernicioso contatto.
L'anima timorata poteva fare come la testuggine, restringersi tutta nel
suo guscio; ma per fare che facesse lasciava sempre aperto un qualche
adito, entro a cui il demonio poteva spingere l'ugna acuta e rapace.
Chi viveva nel mondo, e della vita del mondo, non solo s'imbatteva
in Satana ad ogni passo, ma si può dire vivesse in Satana, perchè la
mondanità, nel tutto insieme delle sue parvenze ingannevoli, de' suoi
lenocinii e delle sue lascivie, non è se non Satana. Vivere nel mondo
e non peccare, gli è come voler tuffarsi nel mare e non bagnarsi. Chi
viveva nel mondo era dunque soggetto ad una tentazione continua; ma
chi se ne ritraeva non cessava d'esser tentato. I buoni cristiani,
che scandalizzati e nauseati della corruzione cittadina, e di tutta
quella che appunto chiamavasi la pompa del diavolo, cominciarono, sin
dai tempi di Costantino il Grande, a disertar la città, a fuggire
il consorzio degli uomini, a cercare il deserto, ritrovarono nelle
solitudini dell'Egitto e dell'Asia quel medesimo Satana che con tanto
studio avevano voluto fuggire. E non altrimenti incontrò a quegli
altri fuggiaschi del mondo che, senza disertar le terre popolate e
le stesse città, cercarono fra le mura dei chiostri un asilo sicuro
contro il temuto avversario. E gli uni e gli altri ritrovaronsi a
fronte quel medesimo Satana, anzi un Satana molto più insidioso e più
acerbo. L'assalto suo non cessava, ma mutava alquanto di qualità. Nel
mondo la tentazione era continua, minuta, diffusa in certo qual modo
nelle cose ch'erano perpetuo incentivo di peccato, e però non violenta
d'ordinario: in solitudine si faceva acuta, subitanea, intermittente,
ritraeva del parossismo. Nel mondo la tentazione sembrava muovere più
dalle cose esteriori; in solitudine toglieva argomento dalle mal vinte
energie dell'organismo, da ogni moto dell'animo che potesse in qualche
maniera essere avviamento a peccato. Nessuna occasione di tentazione,
per quanto fuggevole, per quanto dubbia si fosse, fu mai trascurata da
Satana. Come si credette che ciascun'anima avesse, durante il terrestre
pellegrinaggio, compagno un angelo, che si adoperava a guidarla sulla
via della salute, così si credette ancora avesse compagno un diavolo
che senza posa si studiava di trarla a perdizione. A destra l'angelo
custode, a sinistra il diavolo tentatore.

Tutti gli uomini potevano esser tentati, ma la tentazione variava,
secondo il sesso, l'età, la condizione propria di ciascuno, quando
semplice e poco o punto dissimulata, quando artificiosa e fraudolente.
Mezzi sicuri a preservarsi dalla tentazione non c'erano, giacchè quegli
stessi che avevan più credito ed erano più universalmente preconizzati,
spesso spesso si mostravano inefficaci alla prova. I santi erano,
come ho già detto, assaltati e perseguitati con più furore, perchè,
dicevasi, importa a Satana assai più trionfare di uno di loro che
non di mille altri. Noi, guardando la cosa sott'altro aspetto, potrem
dire che i santi, a cagione appunto di quella continua ed angosciosa
preoccupazion di peccato che turbava le anime loro, e delle macerazioni
insensate cui assoggettavano il corpo, credendo così di nettarlo da
ogni mala prurigine di carnali appetiti, si esponevano assai più che
altri alle fiere battaglie della tentazione. Vero è altresì che tali
battaglie erano da essi spesso invocate e cercate, come quelle in cui
la virtù loro brillava di lume più vivo, e ritraeva dal trionfo vigore
novello. Ma checchessia di ciò, Satana sapeva, il più delle volte,
commisurare alla qualità e condizion di ciascuno il grado e la forma
della tentazione, e così facendo si dava a conoscere non meno buono
psicologo di quello fosse buon _loico_.
Come i tempi non tutti, così non tutti i luoghi erano egualmente
opportuni e propizii all'opera della tentazione. Quel della notte
era il tempo più acconcio, non solo perchè cresce col crescere delle
tenebre la potenza diabolica, ma ancora perchè nelle tenebre i fantasmi
suscitati da Satana non così facilmente si scoprono bugiardi. E l'ora
fra tutte più propizia era quella in cui il sonno comincia a occupare
le membra affaticate, quando si smarriscono i sensi, non però chiusi
ancora alle impressioni del mondo esteriore, e cessa nell'anima la
vigilanza della volontà e del giudizio. Ond'è che non senza ragione san
Pacomio dormiva seduto, e chiedeva a Dio l'insonnia per poter meglio
combattere il nemico.
I modi e le forme della tentazione erano innumerevoli, come sono
innumerevoli gli atti dell'anima e i fatti della vita. Non c'era così
tenue pensiero, non così picciolo avvenimento da cui Satana non sapesse
cavare argomento di tentazione, e quando l'occasione mancava, egli la
faceva nascere. Quegli strani documenti della credenza cristiana che
sono le leggende dei santi, riboccano di racconti che il provano, e
forniscono non di rado notizie e indizii preziosi per la cognizione
dell'umana natura.

Talvolta la tentazione era assai semplice, si offriva con poco o punto
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