Il Diavolo - 13

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loro ministerio; poi i varii ordini degli angeli, la Vergine Maria,
Dio Signore. Dio, come nel tempo della prima ribellione, poca parte
prendeva alla lotta, aspettando la pienezza dei tempi e il termine
fatale segnato alla diabolica tracotanza: contro l'indegno nemico
egli lasciava combattere la madre sua, i suoi santi, tutte le celesti
milizie, e gli uomini cui non veniva meno la sua grazia e l'ajuto di
Santa Chiesa. Ed era battaglia cotidiana, perpetuamente rinnovata,
giacchè, vinto appena, Satana risorgeva, e cacciato da una parte,
ricompariva da un'altra. Qualche volta ancora Satana diventava, di
vinto, vincitore.
Vediamo prima quali vittorie riportassero sul grande avversario gli
uomini d'ossa e di polpe, e vedrem poi quali vittorie riportassero su
di lui gli abitatori del cielo.

Il cristiano, che per la salvezza dell'anima propria pugnava contro
Satana, non mancava di armi, acconce di offesa e di difesa, quali
si richiedevano a così terribil combattimento; ed erano armi parte
spirituali, parte materiali. Egli aveva anzi tutto il sussidio della
divina grazia, senza di cui non era speranza di salute; poi aveva la
fede e la virtù, dietro a cui si riparava come dietro alle mura di una
rocca ben munita e forte. Le pratiche religiose cui egli diligentemente
attendeva, la preghiera, la frequentazione dei sacramenti, i digiuni,
le prolungate vigilie, erano come tante fazioni di guerra, atte a
tener lontano il nemico, o a fargli perdere novamente terreno, se
mai si fosse già troppo inoltrato. Arme formidabile, sempre pronta al
bisogno, e di facile uso, era il segno della croce, non meno buona per
l'offesa che per la difesa. Innumerevoli diavoli ebbero a confessare
di propria bocca che non era loro possibile resistere alla virtù del
sacratissimo segno, il quale li empieva di confusione e di sgomento.
Col segno della croce, non solamente si cacciavano i demonii, ma si
estinguevano incendii, si sedavan procelle, si guarivano infermi,
si ammansavano animali inferociti, e molte altre cose difficili si
facevano. Grande efficacia pure avevano i nomi di Dio Padre, di Gesù,
della Vergine Maria, invocati con fervore di fede, e gettati come una
sfida in volto ai dannati. Poi veniva l'acqua benedetta, più cocente
alle cervici e alle terga scellerate che non la pece bollente e il
piombo fuso delle caldaje infernali. Le campane, che empievano l'aria
di lor voce squillante, invitando i fedeli alle cerimonie del culto,
alla meditazione, alla preghiera, annunziando le feste piene di grazia,
mettevano in rotta i demonii tutto all'intorno, dissipavano le procelle
da questi suscitate assai volte, e producevano altri mirabili effetti;
onde l'inno della campana:
Laudo Deum verum,
Plebem voco,
Congrego clerum.
Defunctos ploro,
Pestem fugo,
Festa decoro.
Funera plango,
Fulgura frango
Sabbata pango.
Excito lentos,
Dissipo ventos,
Paco cruentos;
e in fine, talvolta, il terribile verso:
Est mea cunctorum terror vox dæmoniorum.
Le reliquie dei santi che avevano trionfato di tutti gli assalti e
di tutte le insidie di Satana, ajutavano altri infiniti a conseguire
consimili trionfi, e lo stesso dicasi di certi brevi benedetti, da
portare appesi al collo, o cuciti nei panni, e di certi amuleti. Nè
mancavano cose puramente naturali, le quali erano contrarie e nocive
ai diavoli; tali alcune gemme, come il crisolito e l'agata, che
li volgevano in fuga, e il zaffiro, che riconciliava con Dio; tali
certe piante, come l'aglio e la ruta, e un'erba detta dai francesi
_permanable_, che aveva virtù d'incantare i demonii. Il sale era una
delle cose di cui questi si mostravano più paurosi. Il gallo era,
come già s'è notato, un loro grande avversario, e con la mattutina
sua strombettata, foriera del giorno, li forzava (ma non tutti) a
nascondersi. Finalmente, in certi casi, il cristiano poteva anche usare
felicemente, come vedremo, delle sue braccia e di un buon bastone. Chi
poi era caduto in signoria del nemico poteva, con penitenze più o meno
aspre e lunghe, riscattarsi e mettersi sotto i piedi il tristo padrone.
Tuttavia è da dire che quelle armi e quei ripari non sempre giovavano,
come per chiari esempii si può vedere nelle vite di molti santi,
non pur dei minori e dei mezzani, ma degli eccellentissimi. Accadde
assai volte, qual che ne fosse la cagione, che i diavoli sfacciati
e protervi, ripeterono parola per parola, con ischerno, le sante
orazioni con cui altri s'ingegnava di tenerli in rispetto, e i salmi
stessi del libro sacro; che ghignarono atrocemente alla vista di quella
croce a cui di solito volgevano, fuggendo, le spalle; che trescarono
tripudiando sotto l'aspersorio, e che tanto più gli assalti loro
diventarono rabbiosi e frequenti, quanto maggiori furono le difese.

I santi erano, tra gli uomini, i più terribili avversarii di Satana,
quelli che combattevano senza riposo contro di lui, sia per difendere
sè medesimi, sia per difendere gli altri, e porre argine al suo mal
fare. Molte insidie e infinite noje essi dovevano soffrire da lui;
ma spesso se ne ricattavano con usura, e quanto più aspra e lunga
era stata la battaglia, tanto più glorioso e pieno era il trionfo. Si
potrebbe riempire un libro con la storia autentica degli sfregi, delle
strane burle e delle sante correzioni che Satana e gli spiriti suoi
ebbero da buoni servi di Dio, così dell'uno come dell'altro sesso, da
anacoreti con tanto di barba bianca, e da pie vergini uscite appena di
fanciullezza.
Sant'Antonio, primo eremita, che aveva pazientemente sopportato dai
diavoli mille dispetti, e persino fierissime battiture, un giorno, per
far intendere ad uno di quei suoi nemici quanto poco conto facesse
di lui e delle sue capestrerie, gli sputò nel viso, e quegli, tutto
smarrito, se la svignò. Ora è da dire che lo sputo dei santi poteva
avere qualità che non ha lo sputo degli uomini ordinarii: tanto è vero,
che il vescovo Donato, ai tempi di Arcadio e di Onorio, uccise uno
smisurato e spaventoso drago con solo sputargli in bocca.
Abbiam veduto quanta virtù fosse nel segno della croce. Con un segno
di croce san Sulpizio e san Frodoberto, essendo ancora fanciulli,
cacciavano via il diavolo che voleva impedir loro di recarsi alla
scuola. Usando di quella medesima arme, altri uomini santi ottennero
effetti anche più meravigliosi. Narra Pietro il Venerabile che
essendosi un diavolo introdotto nell'abbazia di Cluny, col proposito
di tentarvi non so che monaco, il priore, che era uomo di grande
avvedutezza e di non minor santità, con un segno di croce, senz'altro
apparecchio, lo cacciò nelle latrine.
Nessuno si meravigli se san Sulpizio e san Frodoberto si schermivano
così bene dal diavolo, anzi lo volgevano in fuga, essendo ancora
fanciulli. Come molte volte era precoce la santità, così erano precoci
certe facoltà e potestà conferite per essa. San Pacomio abate fu, sino
dagli anni più teneri, un grandissimo ed implacabile avversario del
diavolo; san Vittore d'Archiaco incuteva terrore ai demonii essendo
ancora nel ventre di sua madre. Nè questo è maggior miracolo di quello
che operavano le immagini di sant'Ignazio Lojola di fausta memoria, le
quali, così dipinte o scolpite com'erano, facevano levar le calcagna ai
più petulanti e temerarii fra gli spiriti maledetti.
Molti santi legarono il diavolo, quali con catene, quali con un
semplice filo. San Silvestro papa, quel medesimo che, secondo le più
autentiche storie, guarì l'imperator Costantino dalla lebbra, e n'ebbe
in premio Roma e tutto l'impero d'Occidente, san Silvestro acchiappò in
una profonda caverna il diavolo, che aveva presa la forma di un drago,
lo legò con un filo, e gli suggellò con un segno di croce la bocca.
In Ibernia, il santo abate Munna lo legò con una catena infocata.
Altri santi non vollero prendersi cotal briga, o non ci pensarono, e
adoperarono in altro modo.
Sant'Apollonio, abate in Tebaide, colse un giorno il demonio della
superbia sotto le sembianze di un piccolo etiope e lo seppellì
nell'arena. San Contesto, venutogli a tiro una volta non so che
demonio, il quale sotto forma di gigante lo sollecitava a lussuria,
gli gettò attorno al collo la propria stola, e lo menò in giro, come
un cane, per tutta la città. Sant'Illidio ne forzò uno a trasportare
due colonne da Treviri nell'Alvernia; san Procopio di Praga forzava
parecchi a menar l'aratro sui sassi. Il beato Notchero Balbulo, entrato
una notte in chiesa, vi trovò il diavolo sotto forma di cane: gli
ordinò di aspettarlo, e tolto un buon bastone, ch'era stato già di san
Colombano, glielo ruppe addosso. San Dunstano, abate di Glastonbury,
lo trattò anche peggio. Il degno uomo stava un giorno lavorando nella
sua fucina da fabbro ferrajo, com'era solito fare nell'ore disoccupate,
quand'ecco gli si presenta il diavolo tentatore in figura di bella e
giovane donna. Il santo finge di non riconoscerlo, e s'intrattiene
famigliarmente con lui, aspettando che un par di tanaglie, messe
sui carboni, sieno arroventate a dovere. Vedutele com'ei le vuole,
colto il momento opportuno, le afferra, le brandisce, e con mirabile
destrezza attanaglia il naso del malcapitato, traendo e dimenando
con tanto furore, che quegli per l'angoscia, s'avvolge come una
trottola, mugghia come un bufalo, e, appena può, sguizza via come
una saetta. San Domenico fu alquanto più umano. Stando una notte il
santo a studiare, eccoti il diavolo venirgli intorno e dargli briga.
Il santo non si turba nè si spazienta; ma presa la candela al cui
lume leggeva, la pone in mano al demonio, ordinandogli di tenerla
ben ferma, poi come se nulla fosse, si rimette a leggere. Il diavolo
è forzato d'obbedire; la candela arde, si consuma, ed egli si brucia
tutte le dita. Questo stesso giuoco si dice gli abbiano fatto anche
sant'Antonio e san Bernardo. In un caso presso a poco simile, Lutero
si contentò di gettargli in capo il calamaio; ma Lutero non era un
santo; anzi era, dicono, suo figliuolo. I santi non avevano da usar
riguardi. San Bernardo di Chiaravalle viaggiava una volta con un carro.
Viene il diavolo e gli fracassa una ruota. Tanto peggio per lui: il
santo gli ordina di trasformarsi in ruota, e di far l'officio di quella
fracassata.
Spesse volte i diavoli, quando hanno da fare coi santi, si lasciano
cogliere nei lor proprii tranelli. Certo giorno, uno di essi fa venire
una grandissima sete a san Lupo che appunto stava in orazione. Il
santo si fa recare un bel vaso d'acqua fresca, e il diavolo subito ci
si caccia dentro, con la fondata speranza di potergli così entrare in
corpo; ma quegli, placidamente, pone sul vaso il guanciale del letto,
e tien prigione il presuntuoso sino alla mattina seguente. Altri santi
fecero ai loro nemici questo brutto scherzo di chiuderli, e per più
lungo tempo. San Conone Isaurico chiudeva i diavoli in vasi suggellati,
e li poneva nelle fondamenta della sua casa. Maestro di tutti costoro
era stato Salomone, del quale si narrava che avesse rinchiuso in un
vaso di rame non so quante legioni di diavoli, e sprofondato poi il
vaso in una palude presso Babilonia. I diavoli vi sarebbero ancora,
se gl'ingordi babilonesi non avessero ripescato e aperto in mal
punto il vaso, credendo che il più savio dei re ci avesse nascosto un
tesoro. E che dovrei dire di san Chiuppillo, un santo che non si trova
registrato nel calendario, ma che i napoletani conoscono assai bene,
e ricordano spesso? Nessun altro santo s'avvisò, ch'io sappia, di fare
all'arrogante diavolo tentatore lo scherzo che san Chiuppillo gli fece,
e di dirgli le assennate parole ch'egli per ammonimento gli disse. Se
io ne taccio, gli è per non divulgar troppo la vergogna del maledetto.
Le sante non si mostrarono da meno dei santi nel dare al diavolo quel
che si meritava. Un pajo d'esempii può bastare a provarlo. Santa
Giuliana non aveva voluto accettar per isposo Eulogio, prefetto di
Nicomedia, perchè adoratore degl'idoli. Il prefetto, avendola invano
pregata e ammonita, perduta la pazienza, la fece prima battere con le
verghe, poi ordinò che fosse appesa pei capelli, e che le si versasse
in capo piombo liquefatto. Non potendole nuocere in modo alcuno, la
fece caricar di catene e gettare in un carcere. Nel carcere appare alla
vergine il diavolo, in figura di angelo, che le dice: “O Giuliana, io
sono l'angelo di Dio, il quale a te mi manda perchè tu ti risolva di
adorare gl'idoli, e non voglia morire di così mala morte.„ Ma Giuliana
volge una fervida preghiera al cielo, e lo stesso demonio è costretto
a scoprirsi. Allora la valorosa fanciulla, per insegnargli a non più
tentare le sante vergini, gli lega le mani dietro la schiena, lo getta
a terra, e senza punto commuoversi alle sue grida, con quella stessa
catena che avvinceva lei, lo flagella ben bene. Il prefetto ordina
che Giuliana sia tratta di carcere e sottoposta a nuovi tormenti: ella
esce, tirandosi dietro il suo nemico. Questi si duole e si raccomanda:
“O Giuliana, non mi rendere a questo modo ridicolo, perchè io non potrò
più tentar cosa alcuna contro nessuno. Si dice pure che i cristiani
sono misericordiosi; perchè non hai tu misericordia di me?„ Ma Giuliana
non gli bada, lo mena in trionfo per tutto il foro, e lo getta da
ultimo in una latrina. Quel forsennato del prefetto ha veduto ogni
cosa e non se ne dà per inteso. Ordina che la fanciulla sia lacerata
sulla ruota; ma un angelo spezza la ruota e la fanciulla torna più
sana di prima. Infiniti spettatori di tanto miracolo si convertono
alla fede di Cristo, e lì per lì sono decapitati cinquecento maschi e
centotrenta femmine. Il prefetto fa immergere Giuliana in una caldaja
piena di piombo fuso. Tornata vana anche questa prova, comanda che sia
senz'altro decollata. In quel punto ricomparisce il demonio in figura
di giovane, e aizza i carnefici, ricordando le offese fatte agli dei
e a lui; ma Giuliana con solo aprire alquanto gli occhi lo volge in
fuga. Da ultimo ella consegue la palma del martirio. Un'altra Giuliana,
priora di Monte Cornelio, quando il demonio le dava troppa noja, se lo
cacciava sotto ai piedi, e lo pigiava come si fa dell'uva nel tino.
Più poetico, se non più mirabile, è il caso di una santa Gertrude, non
so quale delle parecchie ch'ebbero tal nome.
Qui il diavolo non è picchiato, nè legato; ma ciò ch'ei fa prova
quanto potesse sopra di lui la santa. Un cavaliere s'era perdutamente
innamorato della bellissima vergine, la quale, aliena da ogni amore
mondano, non d'altre nozze bramosa che di quelle eterne con lo sposo
celeste, s'era chiusa in un chiostro, e viveva di contemplazione e di
preghiera. Non potendo altro fare, il gentil cavaliere dona tutto il
suo all'ordine cui s'era ascritta Gertrude, e in ispazio di tre anni
si riduce in povertà. Doglioso, non di questo, ma di non potere più
oltre spendere a onore della sua dolce amica, egli va errando per la
campagna, e una notte s'imbatte nel diavolo, che gli promette di farlo
assai più ricco di prima, quand'egli, passati sette anni, s'impegni
di dargli l'anima. Accetta l'innamorato, scrive col proprio sangue la
obbligazione, e, divenuto più ricco di prima, spende e spande a onor
della sua dama. Gli anni passano intanto, giunge il termine stabilito.
Il cavaliere va ad accommiatarsi dalla fanciulla e le lascia intendere
qual sorte l'aspetti; poi, bevuto un bicchier di vino che quella gli
porge, monta a cavallo, e da uomo leale, a mezzanotte, si reca al
luogo dove il terribile creditore gli diede la posta. Ma il demonio,
al vederlo, è preso da gran turbamento, e restituisce, senza nulla
chiedere, la scrittura: egli aveva scorta, seduta in groppa, dietro al
cavaliere, la vergine Gertrude, venuta a soccorrere il suo innamorato.
Più d'una volta la naturale inimicizia che era tra diavoli e santi
produsse vere sfide e veri duelli e lotte a corpo a corpo. San Vulstano
se ne stava un giorno in chiesa, a pregare dinanzi all'altare. Capita
quel mal consigliato del diavolo, e lo invita a lottare insieme. Il
santo accetta, lo avvinghia, lo butta in terra e lo concia pel dì delle
feste. Sant'Andrea di Scizia ebbe una volta una curiosa visione. Gli
pareva d'essere in un circo, e che da una parte fosse una moltitudine
di etiopi, cioè di diavoli, dall'altra una moltitudine d'uomini in
vesti candide, cioè di cristiani. Gli etiopi discorrevano fra loro
di corsa e di lotta, e sembravano pendere dal cenno di uno smisurato
moro, che tutti gli avanzava in forza e statura. Dubitavano i candidi
chi potesse affrontarsi con costui. Andrea lo affronta e lo vince.
I candidi fanno risonare il circo di applausi, e un angelo reca in
premio al vincitore tre corone. Parecchi narrano la storia di un
lombardo, uomo devoto, e fornito di buone braccia, il quale desiderava
ardentemente di potersi misurare col diavolo, e pregava Dio gliene
facesse la grazia. Un giorno, trovandosi egli in Ispagna, ai tempi
di san Vincenzo Ferrer, gli capita innanzi, in un campo, una povera
vecchia, incartapecorita e sgangherata: egli crede sia il diavolo, e
senza domandar altro, le salta addosso e la finisce di busse.
Chi volesse dire tutto il bene che i santi fecero, mentr'erano ancora
in questo basso mondo impedendo ai diavoli di far male, avrebbe da
dire per un pezzo. Infinite volte essi li forzarono a dire ciò che
più quelli avrebbero voluto tacere, a confessare ogni loro secreto
e ogni loro proposito, le birbonate commesse e quelle da commettere.
Molti santi riconoscevano il nemico sotto qualsiasi forma gli piacesse
nascondersi; altri lo sentivano all'odore come il bracco la preda.
Da tutto ciò grandissimo giovamento doveva venire alla buona causa,
e s'intende assai. bene come possa esser vero ciò che i biografi più
avveduti affermano, cioè che in pieno secolo XV il solo che impedisse
ai diavoli di mandare a soqquadro e in rovina questa sciagurata Italia
fosse san Francesco da Paola.

L'uomo, anche non santo, poteva, usando armi acconce, vincere il
diavolo quando questi assaliva di fuori; ma se il diavolo, simile ad
un nemico che per occulte vie penetri in una fortezza, gli era entrato
in corpo, il vincerlo diveniva assai più malagevole, e di solito, per
forzarlo a sgombrare, era necessario, come abbiam veduto, l'altrui
soccorso. Tommaso Cantipratense ricorda, gli è vero, il caso di un
chierico indemoniato, il quale si liberò da sè, bruciando un eretico;
ma queste erano eccezioni. Anche ammessa l'efficacia del rimedio, non
sempre l'indemoniato aveva sotto mano un eretico da bruciare; e poi gli
eretici li bruciavano gl'inquisitori, gelosissimi delle prerogative
del loro mestiere. Di regola l'indemoniato era un uomo posto fuori
di combattimento, e la battaglia si combatteva, non tra il demonio e
lui, ma tra il demonio e un campione più o meno agguerrito, il quale,
per di fuori, usava, con varia fortuna, varie arti di guerra. A rigor
di termine l'indemoniato era un castello, entro a cui il diavolo, o i
diavoli, si riparavano dagli assalitori, e spesso vittoriosamente li
respingevano.
Molti erano i modi usati a cacciare i demonii, e la loro efficacia
dipendeva, in parte, dalla qualità lor propria, in parte dalla qualità
di coloro che li adoperavano. Gran differenza era, per questo rispetto,
dall'umile esorcista, il quale non aveva altro che il suo carattere
ecclesiastico, al santo miracoloso, uso ad appender la cappa a un
raggio di sole, o a mutar l'acqua in vino. Dove quegli non vinceva se
non dopo lunghe e faticose pratiche, correndo talvolta il pericolo
d'essere invaso da quello stesso demonio onde liberava altrui, il
santo vinceva con una parola, un gesto, uno sguardo. L'esorcismo era
una operazione lunga e intricata, o semplicissima e breve, secondo i
casi. Poteva richiedere preghiere insistenti, formule rituali, digiuni
e altre macerazioni, candele accese, suffumigi, ecc.; ma poteva anche
far di meno di tutte queste cose. Bisogna poi dire che non tutti i
diavoli erano di una natura o di un umore; e come ce n'eran di quelli
che voltavan le spalle alle prime avvisaglie, anzi al primo rumore di
guerra, così ce n'erano altri, i quali facevano difesa disperata, e
che bisognava cavar di corpo agl'indemoniati come si trae il chiodo
dall'asse, con le tenaglie. Molti indemoniati rimasero liberi con solo
toccare le reliquie di un santo famoso, o bevendo un po' d'acqua in cui
era stato infuso un pizzico di polvere grattata via dal sepolcro di un
santo famoso; parecchi furono guariti, o vogliam dire riscattati, con
l'acqua che aveva servito a lavare i santissimi zoccoli di sant'Elia
Speleota. Esorcizzati da santi, i diavoli solevano dare qualche
segno sensibile di loro confusione e di loro sgomento. Un diavolo
esorcizzato da sant'Apro, uscì dal primo uscio che gli venne innanzi,
rumorosamente, e, dice il fedele biografo, con grande flusso di ventre.
Degna fuga di così laido nemico.
Erasmo da Rotterdam, in quello de' suoi _Colloquii_ che s'intitola
_Exorcismus sive Spectrum_, si burla allegramente di tutte le formole,
di tutti i riti e di tutti gli anfanamenti degli esorcisti; ma si
sa che la sua ortodossia non fu troppo sicura, e i suoi scherni
non tolsero a un cappuccino mantovano di comporre, verso la fine
del secolo XVI, un libro latino, il cui titolo, recato in italiano,
suona così: _Flagello dei demonii, contenente esorcismi terribili,
potentissimi ed efficaci, e provatissimi rimedii, atti a espellere
di corpo agl'indemoniati i maligni spiriti e ogni sorta di maleficii,
con le sue benedizioni e tutte l'altre cose che a detta espulsione si
richieggono_. Non dimentichiamo che tra i rimedii provatissimi era
anche il bastone, e che più di un energumeno, bastonato ben bene da
qualche santo nerboruto, fu veduto raumiliarsi come per miracolo, e
guarire senza bisogno d'altro esorcismo.


CAPITOLO XIII.
SEGUITANO LE DISFATTE DEL DIAVOLO.

Dalle vittorie che riportavano sul diavolo gli uomini vivi, passiamo
a veder le vittorie che su di lui riportavano gli uomini morti fatti
cittadini del cielo, e gli altri spiriti celesti, voglio dire i santi,
gli angeli d'ogni grado, la Vergine Maria. I santi, gli angeli, la
Vergine, erano sempre pronti ad accorrere in ajuto di chi, con salda
fede e mente pura, li invocava nella perpetua battaglia contro il
nemico. Qualche volta, se aveva il diritto dalla sua, il diavolo la
vinceva contro gli avversarii celesti; ma il più delle volte, anche
avendo dalla sua il diritto, la perdeva. Se ci entrava di mezzo la
Vergine perdeva sempre, e rimaneva col danno e con le beffe.
I santi, guadagnatosi il cielo, non dimenticavano la terra, anzi
volentieri assai seguitavano a ingerirsi nelle cose di quaggiù, dove
erano chiese innalzate in loro onore, ordini monastici istituiti
da loro, intere città e regni che si gloriavano d'averli patroni e
protettori. A tutti i fedeli in genere, ma in più particolar modo
ai loro devoti, essi erano larghi di ajuto, specie se si trattava di
combattere il diavolo, e quando il bisogno lo richiedeva, non esitavan
punto a scendere di cielo in terra, e a vestir novamente, in apparenza
almeno, il peso della carne. Molti esempii se ne potrebbero recare;
quello che segue è uno dei più illustri.
C'era una volta un vescovo, il quale aveva una speciale venerazione
per sant'Andrea apostolo, e sempre lo invocava, e qualunque cosa si
accingesse a fare, sempre cominciava con queste parole: “A onor di
Dio e di sant'Andrea.„ Invidioso e fastidito di tanta santità, il
diavolo mette mano alle insidie. Prende l'aspetto di una fanciulla
bellissima, va a trovare il vescovo, e gli racconta una sua favola
molto artificiosa: com'ella sia figliuola di un re; come il padre la
volesse dare in moglie ad un principe possente; come, volendo serbare
la sua verginità allo sposo celeste, ella sia fuggita dal suo paese
ove non potrebbe tornare senza gravissimo pericolo. Udite queste
cose, il buon vescovo, pieno d'ammirazione, la loda, la incoraggia,
le offre protezione ed asilo, la invita a desinare. A tavola non
sono soli; ma il vescovo, come più guarda la fanciulla, più la trova
bella; come più l'ode parlare, più la giudica sensata ed eloquente,
tanto che se ne innamora, e già aspetta con impazienza tempo e luogo
opportuno da poterle scoprire la sua passione. A un tratto, s'ode
giù gran rumore, alla porta. È un pellegrino, a tutti sconosciuto,
il quale picchia a colpi replicati, e a gran voce chiede d'entrare.
Il vescovo interroga la fanciulla: vuol ella che il pellegrino sia
introdotto? E quella: “S'introduca; ma a patto che, dando giusta
risposta a tre domande difficili, si mostri degno di sedere con voi a
mensa.„ Per desiderio del vescovo e dei convitati le domande sono da
lei proposte, e il nunzio le reca, successivamente al pellegrino, e
torna con le risposte. La prima domanda è: Delle piccole cose fatte
da Dio qual è la più mirabile? Il pellegrino risponde: “La faccia
dell'uomo,„ adducendo ragioni, che pajono a tutti giustissime. Alla
seconda domanda, in qual luogo la terra sia più alta del cielo, il
pellegrino risponde: “Nell'empireo, ove è il corpo di Cristo, fatto di
terra, come quello degli uomini.„ Alla terza domanda, che distanza sia
dal cielo alla terra, il pellegrino risponde: “Chi m'interroga ha a
saperlo meglio di me, perchè egli è il diavolo che tutta la percorse,
quando fu precipitato giù dal paradiso.„ A tale risposta inaspettata il
diavolo sfuma. Il pellegrino è sparito ancor esso; ma al vescovo, che
piange e confessa il suo peccato, si dà a conoscere in sogno: egli è
sant'Andrea.

Gli angeli fedeli, che in antico avevano vinto e cacciato i ribelli,
seguitavano a combattere contro di loro: alla fine dei tempi
l'arcangelo Michele, di cui si custodivano gelosamente, nella città di
Tours, la spada e lo scudo adoperati nel primo combattimento, vincerà
Satana di bel nuovo e per sempre. La credenza che ciascun uomo abbia
un suo proprio angelo custode è assai antica, giacchè si trova già nel
secondo secolo dopo Cristo; anzi da molti si crede che ciascun uomo
vada accompagnato nella vita da un angelo a destra, da un demonio a
sinistra. La natural nimistà ch'è tra i celesti e gl'infernali è qui
fatta più acre dalla comunità dell'oggetto su cui le contrarie potenze
si esercitano, l'anima dell'uomo. L'angelo si sforza di tirar l'anima
in cielo, il demonio si sforza di tirarla in inferno. Strano a pensare
e doloroso a dire, l'anima razionale, e provveduta di libero arbitrio,
ajuta nella maggior parte dei casi chi la vuol perdere contro chi la
vuol salvare: in questa battaglia, se non nelle altre, vince assai più
volte il demonio che l'angelo.
Ma nulla vince il demonio, anzi perde ogni suo guadagno ed ogni suo
potere, e rimane miseramente sconfitto e scornato, quando, bella ed
insuperabile avversaria, gli si leva contro la purissima donna che ha
intorno al capo una corona di stelle, e schiaccia sotto ai piedi il
serpe velenoso, l'avvocata di tutti i peccatori, la consolatrice di
tutti gli afflitti, la madre di Gesù redentore, la dolcissima Vergine
Maria. Ella è la regina del cielo e la dominatrice dell'inferno. Satana
trema dinanzi a lei, trema e si nasconde solo che oda pronunziare
il suo nome soavissimo. Ella è la salute, non pur degl'infermi, ma
dell'intero genere umano, perchè, da una parte, non lascia fare a
Satana la centesima parte del male ch'ei vorrebbe e potrebbe fare;
da un'altra placa l'ira di Dio, e ottiene che non si rovesci, come
giustizia vorrebbe, sui peccatori. San Damiano, rapito in estasi, la
vide che con le sue preghiere tratteneva Cristo da distruggere il mondo
pieno d'ogni scelleraggine e d'ogni bruttura. I fedeli costantemente
la invocano, a lei confessano colpe e bisogni, in lei pongono ogni
speranza: la salutazione angelica sale perpetuamente da questa valle di
miserie al suo trono; le lunghe litanie formano come tanti invisibili
lacci d'amore per cui le anime si sospendono a lei. Il suo potere
è illimitato, e pari al potere è in lei la misericordia. Ella nulla
sdegna e nulla tralascia di quanto può giovare a chi le si raccomanda,
sia pure il più malvagio e indurito peccatore di questo mondo. Ella
scende in terra, parla nelle immagini, si mostra in persona, ammonisce
i vacillanti nella fede, dà da mangiare agli affamati, guarisce
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