Il Diavolo - 16

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il commesso peccato, il paradiso per sempre perduto; ma sente di non
poter chiedere nè ottenere perdono, e, disperato, prorompe in queste
terribili parole:
Or bene, addio, speranze!...
Ecco in vece di noi, dannati, espulsi,
L'uom, sua gioja, ha creato, e questo mondo
Tutto per lui. Speranze, or dunque addio!
Addio paure! addio rimorsi! Il bene
Morto al tutto è per me. Sii tu, tu solo
Ora, o male, il mio ben: per te diviso
Terrò lo scettro col motor de' cieli,
E forse io regnerò sovra gran parte
Dell'universo, e l'uomo e questa nova
Terra lo apprenderanno in picciol tempo.
Non meno tenace si mostra, nè meno fiero parla l'Adramelecco del
Klopstock; ma e l'uno e l'altro vince il Lucifero del Byron, l'altero e
indomabile Lucifero, che a Caino, il quale gli ricorda Dio, signore del
tutto, risponde:
Ah no! pel cielo
Dov'ei siede e governa, per l'abisso,
Per le stelle infinite, e per la vita
Che comune ho con lui, no!... sul mio capo
Ho solo un vincitor, non un sovrano.
Ei l'omaggio otterrà dell'universo,
Ma non il mio. Con esso io duro in guerra
Come un tempo lassù. Per tutta quanta
L'eternità, nel baratro dell'ombre,
Negli spazii profondi immensurati,
Sull'ala infaticabile del tempo,
Tutto io vo' contrastargli, astro per astro,
Pianeta per pianeta, ed universo
Per universo! E fin che il gran conflitto
Non cessi, ondeggeranno in dubbia lance:
E cessar non potrà se l'uno o l'altro
Spento non sia....
Ma nella stessa _Messiade_ del Klopstock è il demonio Abbadona, che
piange il proprio peccato e la morte di Cristo, e rientra, ribenedetto
da Dio, nel paradiso. La Sand nel _Consuelo_, e il Montanelli in un
suo poema drammatico intitolato _La Tentazione_, mostrarono un Satana
convertito e redento; Alfredo de Vigny, in un poema immaginato,
ma non composto, _Satan sauvé_, voleva narrare la storia di Satana
salvato dall'amore di Eloa, angelo nato da una lacrima di Cristo; e
Vittore Hugo, in un poema rimasto incompiuto, _La fin de Satan_, la
riconciliazione di Satana con Dio.


CAPITOLO XV.
LA FINE DEL DIAVOLO.

Alla conversione e alla redenzione del diavolo c'è un impedimento a cui
non hanno pensato i teologi, e che i teologi negherebbero anzi, se ci
pensassero: il diavolo è morto, o sta per morire; e morendo, egli non
rientrerà nel regno dei cieli, ma rientrerà e si dissolverà nell'umana
fantasia, nella stessa matrice ond'è uscito.
Secondo la opinion dei rabbini molti demonii sono mortali. Nei processi
contro le streghe più di una volta le accusate narrarono che il diavolo
ammalava di tanto in tanto, giungeva in punto di morte, poi si riaveva:
in molte fiabe popolari, tuttora vive qua e là per l'Europa, il diavolo
muore a dirittura. Mi basterà di ricordarne una mantovana, dove un
giovane prende varie forme per isfuggire al diavolo, che varie ne
prende egli pure inseguendolo. Da ultimo il giovane, mutatosi in faina,
uccide il suo persecutore che s'era mutato in gallina: “è questa la
ragione,„ conclude il racconto, “perchè non c'è più il diavolo.„
Strana e significativa un'affermazion così fatta nella bocca del
popolo. Il diavolo non c'è più: prima di lasciar lui e la sua storia,
vediamo qualche sintomo e qualche ragione del suo disvenire. Il
diavolo nacque di certe cause, visse e prosperò in certe condizioni,
adattandosi come potè meglio al loro lento ma continuo variare. Alla
legge di variazione, che governa tutte le cose, soggiacque egli pure,
e, come un organismo vivo, percorse tutti i gradi della evoluzion
della vita: mancate le cause e le condizioni dell'esser suo, egli si
estenua e muore, come farebbe un animale dei tropici trasportato sotto
il rigido cielo settentrionale. Egli muore perchè la sua funzione è
cessata, e perchè l'idea che lo fece vivere non riesce più, nel vasto
agone della concorrenza vitale, a tener testa ad altre idee, più
vigorose e più giovani.
Per iscorgere i sintomi del suo morire basta guardarsi d'attorno. Che
cosa è ora l'opera sua a riscontro di quella d'altri tempi? Dove sono
le spaventose sue apparizioni, le insidie perpetue, le offese d'ogni
maniera, le meraviglie paurose? dove sono le formidabili milizie con
cui egli di nottetempo attraversava pianure e foreste, o trasvolava
per l'aria? dove i neri cavalli su cui rapiva gli uomini scellerati?
dove gl'incendii suscitati da lui, le procelle scatenate da lui, le
malattie devastatrici da lui cagionate? La Chiesa stessa, la quale non
può concedere che il diavolo muoja, deve pur riconoscere ch'egli va
assai più rattenuto di prima, e ha cessato di far molte cose che prima
faceva.
E negli animi il pensiero, il sospetto e la paura di lui sono venuti
sempre più mancando, non solo tra le persone colte, ma ancora tra
il volgo; non solo nelle città, dove è più sollecito il rinnovamento
delle idee e dei costumi, ma ancora nei campi, dove persiston più a
lungo le antiche credenze e le consuetudini antiche. Il nome di lui
ricorre frequente nel linguaggio famigliare, in proverbii, apostrofi
e maniere di dire; ma l'immagine sua è, di solito, assente dagli
spiriti. Pratiche magiche usano ancora tra le plebi ignoranti; ma è
rarissimo ormai il caso che ci si faccia entrare il demonio, e dei
famosi _sabbats_, o ritrovi, o giuochi, più nessuno parla. A chi mai
ora potrebbe venire in mente, salvo ch'ei fosse matto spacciato, di
evocare il demonio, di stringere un patto con lui, di dargli l'anima,
di ripromettersi da lui ricchezze ed onori? La Chiesa stessa, di tali
e simili peccati, che in altri tempi puniva col fuoco, oramai più
non discorre, e volentieri pare che se ne dimentichi. Anzi va più là,
e del demonio stesso parla il meno che può; e mentre fu sua cura in
passato di richiamarne sempre, in tutti i possibili modi, alla memoria
degli uomini, il nome, l'aspetto, la potenza, le opere, ora sembra
che di tutto ciò più non si ricordi essa stessa. Così riman provata
la legge di evoluzione in quegli stessi organismi che a cotal legge si
mostrano più ribelli, e più s'illudono d'essere perpetui ed immutabili.
Paragonate una predica di ora con una predica di cinque secoli
addietro. In questa il diavolo salta in mezzo ad ogni frase, mostruoso
e terribile, illuminato dai bagliori spaventosi dell'eterna fornace;
in quella sarà molto se di passata se ne pronunzia il nome. Paragonate
una chiesa moderna con una chiesa del medio evo. In questa il diavolo
sotto tutti gli aspetti, in tutti gli atteggiamenti, dipinto, scolpito,
intagliato, nei quadri, nei bassorilevi, negli scanni del coro, nei
capitelli, nei fregi, sempre in iscena, personaggio immancabile di un
dramma lungo e vasto quanto la storia stessa dell'umanità; in quella il
più delle volte, non un'ombra, non un segno di lui.
Nessuno ora, viaggiando, teme più di capitare in tenebrose foreste,
in solitudini alpine, in orrende spelonche, in laghi senza fondo,
in gorghi di mare infestati da demonii traditori ed omicidi. Se un
peccatore ostinato sparisce improvvisamente senza lasciar traccia di
sè, a nessuno più viene in fantasia che il diavolo l'abbia preso pei
capelli, e portato a volo in inferno; ma si fanno indagini, si mandano
avvisi, con la ferma persuasione che, o vivo o morto, egli abbia ad
essere in un qualche luogo, non dell'altro, ma di questo mondo. Se si
trova un pover uomo strangolato in letto, nessuno crede più che sia
stato il diavolo quegli che gli diè la stretta; ma si dice senz'altro
che un delitto è stato commesso, e la polizia si dà le mani attorno
per iscoprire il colpevole. Le donne non temono più gli abbracciamenti
notturni del diavolo, e di diventar madri di diabolica prole, o di
vedersi portar via da un diavolo, supposto padrino o tutore, i figli
delle loro viscere. Chi ammala, più non s'immagina d'essere stregato,
o d'avere il diavolo in corpo, e ricorre, non all'esorcista, ma al
medico; chi muore, non si vede più intorno al letto una corona di
diavoli fuligginosi e tetri, con le mascelle irte di denti aguzzi,
con gli occhi strabuzzati, con distese le mani uncinate, in atto di
ghermirgli l'anima. Una prova, fra l'altre, che la preoccupazione
diabolica è mancata negli animi, o è, almeno, straordinariamente
scemata, si ha nel fatto che le così dette demonopatie sono divenute
rarissime, e tendono a sparire del tutto. Nei secoli scorsi, e sino
a tempi non molto da noi lontani, certe malattie nervose, e in più
particolar modo certe forme d'isterismo, davano luogo regolarmente ai
fenomeni dell'ossessione e della possessione diabolica, appunto perchè
le menti erano piene del pensiero e del terrore del diavolo: ora invece
si risolvono in manifestazioni di tutt'altra natura, determinate dal
modo del viver presente, dal mutato indirizzo delle idee, da nuovi
interessi e da preoccupazioni nuove. I medici l'hanno veduto e detto
da un pezzo. I miracoli già fatti dagli esorcisti nelle chiese si fanno
ora dai medici nelle cliniche.
La civiltà umana, procedendo nell'opera del suo meraviglioso e
sterminato edifizio, muta e rimuta continuamente gli strumenti del
lavoro, abbatte essa stessa e distrugge le impalcature e i ponti e
gli altri ajuti onde si servì per innalzarlo. Ciò che in un tempo le
fu necessario, le diviene in un altro inutile o nocivo, ed essa se ne
sbarazza a dispetto di chi non vuole e di chi le contrasta. La civiltà
nostra espelle da sè il diavolo, che la servì in altri tempi, ma che
ora le è divenuto un inutile ingombro; lo espelle da sè, come espelle
la schiavitù, il privilegio, il fanatismo religioso, il diritto divino
e tant'altre cose, e come tant'altre ne espellerà in avvenire. A ciò
non è riparo possibile. Il diavolo era parte integrante e principale di
tutto un ordine di cose e d'idee, di un reggimento complesso e potente,
che raccolse per secoli sotto di sè tutta intera la vita. Mutato
quel reggimento in certa misura, bisognò mutasse la parte serbata
in esso al diavolo; proceduta più oltre la mutazione, bisogna che il
diavolo n'esca. Una religione più grossolana, una morale più acerba e
l'ignoranza introdussero il diavolo, e ne fecero il mostro che abbiam
veduto; una religione più culta, una morale più matura e la scienza
gli tolgono a mano a mano le orribili qualità e la spaventosa potenza,
lo premono da ogni banda, lo cacciano dalla coscienza, dalla vita, dal
mondo. Lo spirito che nega è negato a sua volta.

Chi voglia esser giusto non deve troppo rimproverare alla Chiesa d'aver
lasciato crescere la figura del tenebroso avversario per modo da farne
quasi un altro Arimane, e d'aver così offeso il diritto e snaturato
il concetto del regno d'Iddio: chi, senza i debiti temperamenti e la
voluta indulgenza, rinfaccia alla Chiesa di non essersi strettamente
attenuta alla semplice e pura dottrina degli Evangeli, mostra di
conoscer male la natura umana, e d'avere della storia, de' suoi
procedimenti e delle sue necessità un assai falso concetto. Il diavolo
è un portato della storia, e, come tale, dotato, finchè durano certe
condizioni, d'invincibile e indomabile vitalità. La Chiesa, quando
pure l'avesse saputo e voluto fare, non sarebbe stata in grado di
soffocarlo e di sopprimerlo, giacchè egli perpetuamente si rigenerava
nella coscienza dei singoli, e dalla coscienza dei singoli prorompeva
con nuovo impeto nella storia. Immaginare nel medio evo una religione,
non professata solo da pochi, ma comune a infiniti, e senza diavolo,
sarebbe impossibile, come sarebbe impossibile immaginare in altre
condizioni di tempi e di civiltà una religione senz'idoli, senza
oracoli, senza sacrificii cruenti. Il diavolo del medio evo ha, senza
dubbio, la origin sua e la sua radice in un dogma religioso anteriore a
quella età; ma è quella età, presa nel tutto insieme del suo pensiero,
delle sue istituzioni e de' suoi costumi, che gli dà la pienezza
dell'essere e la perfezion del carattere. Esso è necessario allora, ed
è così vero ciò, che la Riforma non lo tocca e lo accetta qual è.
Ma una religione muta a poco a poco al par di ogni altra cosa che
viva; muta negli animi, se non nei dogmi, nei sentimenti, se non nei
libri. Anche il cristianesimo muta, e mancati gli ostacoli che gliel
vietavano prima, ritorna a poco a poco alla purità delle origini, tende
sempre più a spiritualizzarsi, e a ridiventare essenzialmente, quale
fu nei primordii, religione di speranza e d'amore, di letizia e di
pace, rimovendo da sè tutto il tenebroso e il terribile che la barbarie
di lunghi secoli le trasfusero in seno. Tale lavoro, pur troppo, non
ancora si compie nei dogmi, nè coloro lo fanno che si chiamano custodi
e ministri di verità, sieno essi di qual grado si vogliano; ma si fa
da sè, spontaneamente e silenziosamente, a poco a poco, nell'intimo
e nel secreto delle coscienze. Quanti cristiani ho io conosciuti e
conosco, e dei più profondamente religiosi, e dei più degni, che del
diavolo non vogliono udir discorrere, e risolutamente negano che un
Dio di misericordia e d'amore possa dannare ad un perpetuo inferno,
ad una malvagità irreparabile, ad un castigo spaventoso ed inutile,
appunto perchè eterno, le sue povere creature! Ora, la religione vera
(l'abbiano a mente coloro che se ne credono maestri) non è quella
che rigida e assiderata si costringe nei dogmi, ma quella che viva
e mobile, a guisa di fiamma, divampa negli animi, e li riscalda, e
illumina le vie della vita.

Come muta la religione, così muta ancor la morale, e le due mutazioni
non possono andar disgiunte l'una dall'altra, ma l'una è coordinata
all'altra, e determinata dall'altra, ed entrambe sono condizionate
da altre mutazioni via via, e a volta loro le condizionano, compiendo
così quel vasto e labile cerchio di cause e di effetti per cui si muove
infaticabilmente la vita storica della umanità.
Checchè altri possa dire in contrario, mosso da preconcetto, o da
erronea cognizione di tempi e di cose, la morale cresce nel mondo,
inteso, sotto il nome un po' vago di morale, l'insieme di quegli stati
mentali e di quelle forme di operosità che assicurano l'esistenza e la
prosperità dei singoli uomini e delle associazioni loro, e favoriscono
le manifestazioni più alte della vita individuale e sociale. L'uomo
si umanizza a poco a poco, discostandosi sempre più dalla belva, e
la morale, attraverso i secoli, si affina, si allarga, s'innalza. C'è
più umanità nel mondo ora che non un secolo fa, assai più che non nel
medio evo, infinitamente più che non nell'età della pietra. So che
i fautori di una morale rivelata e immutabile negano, come possono
meglio, tutto ciò; ma guai per loro se ciò che essi negano a priori
non fosse vero. E le prove che sia vero sono infinite, sparse a piene
mani in ogni pagina di qualsiasi libro di storia si apra. Volerle
riferire, anche per piccola parte, sarebbe stucchevole; ma facciamo una
semplice supposizione. Supponiamo che il medio evo, co' suoi re e co'
suoi baroni, con le sue fazioni e le sue città divise, con le guerre
di conquista, con le guerre civili e con le guerre religiose, avesse
avuto i mezzi formidabili di distruzione che la scienza ha dato a noi;
ci sarebbero ancora nel mondo mura di città e di castella, ci sarebbero
ancora popoli civili? È lecito dubitarne.
Gli uomini, pel fatto stesso della convivenza sociale, diventano sempre
più morali; vivendo in società essi sempre più si adattano e si piegano
a quelle forme e condizioni di vita che sono necessarie o proficue
all'esistenza della società medesima. È un caso questo di quel generale
fenomeno ch'è l'adattamento degli organismi all'ambiente. La moralità
diventa un abito, si fa istintiva, come tutti gli atti di volontà
eccessivamente ripetuti, e si trasmette per via di generazione; e come
più diventa istintiva, meno abbisogna del precetto o del divieto della
legge e della sanzion della pena. Se le leggi si van facendo sempre
men aspre, e men aspri i castighi, è questo un segno, non di scemata,
ma di cresciuta moralità: l'imperiosità esterna della legge si fa
imperiosità interna della coscienza, e il castigo, che di sua natura
non corregge, si fa rimorso, cioè ravvedimento. Ecco perchè sparisce
dalle legislazioni moderne la pena di morte, e spariscono molt'altre
pene atroci che già furono in uso; ecco ancora perchè vien meno e si
perde la credenza in un diavolo tormentatore e in un inferno pien di
dannati a cui nessuna speranza sorride. Nel medio evo, per ogni più
lieve colpa il giudice minaccia la morte, il confessore l'inferno, e
con ragione, giacchè ogni altro argomento sarebbe scarso a trattener
dal mal fare uomini rozzi e violenti; ma a trattener dal mal fare
uomini raggentiliti bastano argomenti meno terribili, e la pena di
morte è abolita e il diavolo si dilegua. Come più gli uomini divengono
atti ad essere governati con la ragione, più divengono disadatti
e ricalcitranti ad essere governati col terrore. Perciò ancora ai
reggimenti despotici sottentrano i liberali; e quando altri fatti
nol provassero, basterebbero a provare che la morale è cresciuta, la
cessazione del despotismo, la mitigazion delle leggi e delle pene, la
sparizione del diavolo.

Finalmente c'è la scienza, che compie il lavoro cominciato da una
religione più illuminata e da una morale più perfetta, e che sarebbe in
grado di tutto farlo da sè, anche senza il concorso di quelle. Chi dice
scienza, dice, tra l'altro, il contrario di demonismo. Il demonismo
nasce spontaneo nella storia, non per opera di ciurmadori; e risponde
a certa condizione degli spiriti, e a certi modi di cognizione. L'uomo
rozzo non riesce altrimenti a spiegarsi i fenomeni della natura che
ponendo una volontà simile alla sua dietro a ciascuna cosa, popolando
il mondo di esseri superiori alla natura, buoni o cattivi. È questo
il demonismo. Viene la scienza, e fa vedere che dietro le cose non
ci sono volontà capricciose, ma forze disciplinate, e che la natura
non obbedisce ad arbitrii, ma a leggi. Il demonismo è, perciò solo,
incontanente e irreparabilmente distrutto. Gli uomini del medio evo
veggono e sentono il diavolo per tutto, nel vento che imperversa,
nell'onda che irrompe, nella fiamma che divampa, nella folgore,
nella grandine, nel fuoco fatuo, nelle malattie, nel pensiero e nel
sentimento lor proprio; gli uomini moderni, per poco che abbiano
qualche coltura, non veggono nella vita delle cose se non una perpetua
fluenza di cause e di effetti, della quale si può, ogniqualvolta
soccorra cognizion sufficiente, predire e descrivere il moto. Essi
hanno dinanzi a sè, non il regno dell'arbitrio, ma il regno della
necessità. Come si caccia di posizione in posizione un nemico, la
scienza ha cacciato d'uno in altro fenomeno il diavolo, e non gli ha
lasciato più, sulla terra e nel cielo, un angolo solo ov'egli possa
fermare il piede, e d'onde possa gettar novamente la sua ombra sul
mondo. Essa ha fatto anche di più: ha mostrato come e perchè il diavolo
sia nato, di quali elementi dell'animo nostro sia stato formato, e
l'ha reso assai più cognito a noi, che lo neghiamo, di quello fosse nei
secoli andati a coloro che ci credevano. Arrigo Heine dice, in una sua
poesia, d'avere evocato una volta il diavolo, e d'aver ravvisato in
lui, guardandolo bene, un antico suo conoscente. Noi possiam dire di
più; noi possiam dire che nel diavolo, guardandolo bene, riconosciamo
noi stessi.
La scienza combatte e caccia dinanzi a sè tutte le superstizioni, di
qualunque natura esse sieno, dovunque le trovi, e non poserà finchè
tutte non le abbia vinte e dissipate; ma essa non le affronta tutte
con eguale impeto, nè di tutte trionfa egualmente. Le minori si salvano
dal suo urto più facilmente che non le maggiori, appunto perchè offrono
minor presa, e di poco spazio e di poco nutrimento si contentano; così
l'erbe del prato sono appena agitate dal turbine che passa, mentre gli
alberi più poderosi sono divelti. La scienza può lasciar sussistere
l'umile superstizione, di piccolo significato e di poca efficacia,
vegetante a fior di terra; ma non la superstizione rigogliosa e tenace,
che con le infinite propaggini le attraversa ogni tratto la via; non
la superstizion prepotente che aveva empiuto del diavolo le cose e le
anime, la natura e la storia. Questa superstizione essa necessariamente
combatte ad ogni passo che muove, dovunque la incontri; ed ecco perchè,
mentre continuano a vivere indisturbati nella fantasia popolare molti
fantasmi, prole vivace della paura e dell'ignoranza, il diavolo vien
meno, il diavolo muore, il diavolo sfuma.

Strana vicenda delle cose di quaggiù! muore e sfuma per virtù della
scienza quel diavolo che già fu creduto suscitatore delle inquiete
curiosità e delle silenziose ribellioni dello spirito, onde nasce
appunto e inorgoglisce la scienza. _Satis scis si Christum scis_,
abbastanza sai se Cristo sai, diceva la sapienza degli asceti e dei
santi; ed ogni altro sapere era guardato con sospetto, e si accusavano
d'aver patteggiato col diavolo gli uomini che delle cose della natura
avessero qualche lume, col diavolo, l'antico bugiardo, che sedusse
la donna promettendo la scienza. E i trionfi della scienza, e il
crescere di una civiltà nuova di cui la scienza, ogni giorno più, si fa
moderatrice e maestra, furono pianti e maledetti come opere e vittorie
del diavolo.
Ed ecco il diavolo trasformarsi nel sogno e nell'accesa parola del
poeta, e diventare un simbolo luminoso e mirabile, il simbolo della
scienza imperterrita e indomita, che dirocca i dogmi e sbarba le
superstizioni; della ribellione, che abbatte tutte le tirannie; della
libertà, sotto le cui grand'ale una nuova vita s'instaura. Il Voltaire
chiamava _frères en Belzébuth_ gli amici suoi migliori, che, come il
D'Alembert e il Diderot, cooperavano con lui al grande rinnovamento
filosofico e civile. Il Michelet, nella _Sorcière_, narrò questo Satana
simbolico, e a questo sciolse il suo inno il Carducci:
Salute, o Satana,
o ribellione,
o forza vindice
della ragione!
Sacri a te salgano
gl'incensi e i voti!
hai vinto il Geova
de' sacerdoti.
Satana fu Dio a sua volta ed ebbe adoratori e preci; e un altro poeta,
il Baudelaire, nelle ambasce d'un dolor senza nome, lo chiamava in suo
ajuto:
O toi, le plus savant et le plus beau des Anges,
Dieu trahi par le sort et privé de louanges,
O Satan, prends pitié de ma longue misère!
O Prince de l'exil, à qui l'on a fait tort,
Et qui, vaincu, toujours te redresses, plus fort,
O Satan, prends pitié de ma longue misère!
. . . . . . . . . . . . . . . .
Pére adoptif de ceux qu'en sa noire colère
Du Paradis terrestre a chassé Dieu le Père,
O Satan, prends pitié de ma longue misère!
Il vinto si muta in vincitore, rientra in quel cielo onde fu bandito, e
uccide il suo nemico. L'empio Rapisardi narrò in mirabili versi questa
suprema vittoria di Lucifero:
Così dicendo (ed additava il sole
Che sotto ai passi gli sorgea), toccollo
De l'acuto suo raggio, e parte a parte
Lo trapassò. Stridea, come rovente
Ferro immerso ne l'onda, il simulacro
Fuggitivo del Nume; e, a quella forma
Che crepitando si scompone e scioglie
Fumigante la calce a l'improvviso
Tasto de l'acqua o del mordente aceto,
Tale al raggio del Ver struggeasi il vano
Fantasima; e in vapore indi converso,
Tremolando si sciolse, e a l'aria sparve.
Ma questi sono simboli e miti poetici, a cui altri poeti non mancarono
di contraddire. Nell'_Armando_ del Prati, Mastragabito, cioè Satana,
muore di sfinimento: in un poemetto di Massimo Du Camp, _La mort du
Diable_, Satana chiede in grazia a Dio la morte, e muore sotto il piede
di Eva, l'antica madre ingannata, che compie così, non un'opera di
vendetta, ma un'opera di misericordia. Il buon Béranger pretendeva che
il diavolo fosse morto sino dai tempi di sant'Ignazio di Loyola, e per
opera del santo medesimo:
Du miracle que je retrace
Dans ce récit des plus succincts
Rendez gloire au grand saint Ignace,
Patron de tous nos petits saints.
Par un tour qui serait infâme
Si les saints pouvaient avoir tort,
Au diable il a fait rendre l'âme.
Le diable est mort, le diable est mort.
Satan, l'ayant surpris à table,
Lui dit: Trinquons, ou sois honni.
L'autre accepte, mais verse au diable,
Dans son vin un poison béni.
Satan boit, et, pris de colique,
Il jure, il grimace, il se tord;
Il crève comme un héretique.
Le diable est mort, le diable est mort.
Il est mort! disent tous les moines;
On n'achetera plus d'_agnus_.
Il est mort! disent les chanoines;
On ne paira plus d'_oremus_.
Au conclave on se désespère:
Adieu puissance et coffre-fort!
Nous avons perdu notre père.
Le diable est mort, le diable est mort.
Ma, soggiunge il poeta, sant'Ignazio chiese ed ottenne il posto del
morto, ed ereditò l'inferno. Finalmente è da ricordare che Guglielmo
Hauff in Germania, e Federico Soulié in Francia, scrissero le Memorie
del Diavolo, e che le memorie si sogliono scrivere di chi è morto, non
di chi è vivo.
In realtà la scienza, che tante cose uccide, mentre tante altre ne
crea, uccide, o finisce di uccidere anche il diavolo, del cui ajuto,
se mai ebbe, ora non ha più bisogno. Per essa si avverano le parole
memorabili del vecchio Virgilio:
Felice
Chi delle cose la cagion conobbe;
E i terror vani, e il fato inesorabile
Sotto ai piedi si pose, e dell'avaro
Acheronte lo strepito.
Ma che il diavolo sia morto, o moribondo, non si ammette da tutti,
e molti s'ostinano a veder l'opera sua (poichè altrove oramai non la
possono vedere) negli oscuri fenomeni, o nelle troppo chiare ciurmerie,
del magnetismo animale e dello spiritismo: e or è qualche anno la
Santità infallibile del Sommo Pontefice Leone XIII, commossa da non
so che diavoleria di spiriti e di visioni, onde per due settimane
di seguito fecero gazzarra i giornali della Penisola, volse calda
preghiera all'arcangelo Michele, perchè volesse impugnar di nuovo la
spada formidabile, e gettato ai quattro venti, sopra e sotto la Via
Lattea, il grido della battaglia, scendere anco una volta in campo
contro l'antico e mal vinto avversario, e torgli il ruzzo dal capo.
Beatissimo Padre! Io non so qual risposta sia stata fatta di lassù
al vostro invito; ma a che pro turbare i riposi al degno paladino del
cielo? L'opera incominciata da Cristo diciotto secoli sono la civiltà
l'ha compita. La civiltà ha debellato l'inferno e ci ha per sempre
redenti dal diavolo.

FINE.


INDICE.

_Dedica_ Pag. V
CAPITOLO I.
Origine e formazione del diavolo.
La leggenda e la storia. — Il principio del male. —
Religioni primitive. — Spiriti buoni e spiriti malvagi. —
Il dualismo. — Divinità malefiche degli egizii, dei
fenici, degl'indiani, dei greci, dei romani. — Il mazdeismo:
Ormuz ed Arimane. — Satana nel giudaismo. —
Satana nel cristianesimo. — Satana e i Barbari. — La
figura di Satana giunge a perfezione nel medio evo. » 1
CAPITOLO II.
La persona del diavolo.
Corpo dei demonii e sue qualità. — Fisiologia diabolica.
— Figura dei demonii. — Bruttezza spaventosa. —
Diavoli belli. — Varie forme assunte dai diavoli.
— Zoologia diabolica. — Diavoli che si appropriano
corpi morti. — Aspetto pernicioso dei diavoli. — Peccati
diabolici. » 37
CAPITOLO III.
Numero, sedi, qualità, ordini, gerarchia, scienza
e potenza dei diavoli.
Diecimila bilioni di diavoli. — Diavoli nell'aria, diavoli
nell'inferno. — Ordinamenti sociali e divisione del lavoro.
— Monarchia infernale. — Intelligenza diabolica.
— Ciò che sanno i diavoli. — Ciò che possono i
diavoli. » 69
CAPITOLO IV.
Il diavolo tentatore.
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