Il Diavolo - 02

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spiriti? Non erano Giove e Minerva, Venere e Marte, e gli dei tutti che
popolavano l'Olimpo, incarnazioni di lui, o ministri del suo volere,
esecutori de' suoi disegni? Quella civiltà rigogliosa e gioconda del
paganesimo, quelle arti fiorite, quella filosofia temeraria, quelle
ricchezze e quegli onori, quegli amori e quegli ozii, e quelle infinite
lascivie, non erano trovati suoi, inganni suoi, forme e strumenti
della sua tirannide? Non era l'impero di Roma l'impero di Satana? Sì,
veramente; Satana era adorato nei templi, celebrato nelle pubbliche
feste; Satana sedeva in trono con Cesare, Satana saliva coi trionfatori
in Campidoglio. Chi sa quante volte i pii fedeli, raccolti nelle
catacombe, udendosi passar sopra il capo il fremito e il mugghio di
quella vita, paventarono non fosse la procella diabolica per sommergere
in tutto la navicella di Cristo, e fra le braccia stesse della croce si
sentirono minacciati e premuti.
Così Satana ingigantiva di tutta la grandezza del mondo pagano raccolta
in lui. In ogni parvenza di quella vita che la stringeva tutto allo
intorno il cristiano ravvisava una sembianza del _forte armato_ che
Cristo era venuto a vincere, e che, vinto, era fatto più audace e più
impetuoso di prima. E l'anima sua si riempiva di costernazione e di
terrore; giacchè come guardarsi dalle insidie, come difendersi dagli
assalti di un nemico più velenoso dell'Idra, più moltiforme di Proteo?
Tertulliano ammonirà, ed altri ammoniranno, di non frequentare pagani,
di non partecipare alle feste e ai giuochi loro, di non esercitar
professione alcuna che possa, direttamente o indirettamente, servire
al culto degli idoli; ma come osservare tale divieto e vivere? o come,
osservatolo, assicurarsi di serbar puro il cuore, se la terra che si
calca, se l'aria che si respira è fatta d'impurità e di peccato?

E Satana non si contenta del lenocinio o della insidia; con altre armi
ancora egli tenta di riconquistare il perduto. Egli assalta d'ogni
parte la Chiesa appena fondata, e come un ariete dal capo di bronzo,
ne percote giorno e notte e ne sfalda le mura. Suscita le persecuzioni
spaventose, e la nuova fede cerca di annegare nel terrore e nel sangue.
Promuove le grandi eresie e sbranca innumerevoli agnelle dal gregge di
Cristo. Tristi tempi, vita piena di periglio e di dolore! No, il regno
di Cristo non è giunto ancora; ma gli spiriti contristati cui dà le sue
ali la fede, credono di scorgerne da lungi, nei sogni apocalittici, i
rutilanti bagliori, e annunciano la seconda venuta del redentore, e la
finale sconfitta dell'antico serpente.
Sogni vani, deluse speranze! Il redentore non viene, e l'antico
serpente, fatto più velenoso che mai, moltiplicale sue spire,
avvolge più sempre il mondo. Una prova tra l'altre se ne può avere
dalla dottrina di alcune sètte che travagliarono la Chiesa, più
particolarmente nei primi tre secoli, e che tutte s'industriarono
d'introdurre nel cristianesimo un dualismo poco diverso da quel
dei persiani. Quelle dottrine formano nel loro complesso ciò che si
chiama lo gnosticismo, e le più eccessive hanno per comune tendenza
di attribuire a Satana assai più importanza che non avesse innanzi,
di considerar Satana quale creatore della natura corporea, di far del
male un principio originario e indipendente, non sorto da defezione
o scadimento, ma coeterno al bene e in lotta con esso. Per tal modo
cresceva la potenza di Satana, e l'opera della redenzione si faceva
più difficile, la salute più incerta. Clemente Alessandrino e Origene
avevano sostenuto che tutte le creature tornerebbero a Dio, loro comune
principio; ma Sant'Agostino pensò che Dio salverebbe solo alcuni
eletti, e che la massima parte del genere umano sarebbe preda del
diavolo.
Non è punto agevole, nel cozzo delle opposte dottrine e nella
contrarietà degli influssi, traverso le speculazioni della filosofia,
specie neoplatonica e cabalistica, le brillanti fantasie della gnosi,
il dogma ortodosso ancor vacillante, farsi un chiaro ed esatto concetto
delle variazioni e degli accrescimenti di Satana nei primi secoli della
Chiesa. Chi sa a quale sincretismo strano e mostruoso fosse giunta
la religione di Roma, facilmente immagina che da quell'indefinibile
miscuglio di credenze assurde e di pratiche pazze Satana dovesse
derivare più d'uno degli elementi della sua rinnovata persona.
Veramente il Satana cristiano esce dallo scontro, dal mutuo penetrarsi
di svariate civiltà, di filosofie repugnanti, di religioni nemiche, e
quando la Chiesa trionfa, quando il dogma è fermato, egli stende sul
mondo uno spaventoso dominio.
La insanabile corruzione pagana dà nuovo rilievo all'idea del male
e fa giganteggiare colui che personifica quell'idea. I cristiani
credevano il mondo pagano fattura di Satana; invece gli è il mondo
pagano che foggia in gran parte Satana nella fantasia dei cristiani.
Senza l'impero di Roma Satana sarebbe riuscito molto diverso da quello
che egli è, o fu. Tutto il turpe e tutto il diabolico diffuso per
entro la civiltà pagana, si raccoglie in lui, si condensa in lui; egli
diventa il natural richiamo di quanto appar peccato alla timorata e
ritrosa coscienza cristiana, cioè una varietà infinita di pensieri,
di costumanze, di opere. I numi che avevano avuto altari e templi non
muojono, non dileguano, ma si trasformano in demonii, perdendo alcuni
l'antica formosità seduttrice, serbando tutti la pravità antica,
accrescendola. Giove, Giunone, Diana, Apollo, Mercurio, Nettuno,
Vulcano, Cerbero, e fauni e satiri, sopravvivono al culto che loro era
reso, ricompajono fra le tenebre dell'inferno cristiano, ingombrano
di strani terrori le menti, provocano fantasie e leggende paurose.
Diana, mutata in demonio meridiano, invaderà i disaccorti troppo
obbliosi di lor salute, e la notte, pei silenzii dei cieli stellati,
si trarrà dietro a volo le squadre delle maliarde, instruite da lei.
Venere sempre accesa d'amore, non meno bella demonio che dea, userà
negli uomini l'arti antiche, inspirerà ardori inestinguibili, usurperà
il letto alle spose, si trarrà fra le braccia, sotterra, il cavaliere
Tanhäuser, ebbro di desiderio, non più curante di Cristo, avido di
dannazione. Un pontefice, Giovanni XII, reo, diranno i suoi accusatori,
di aver bevuto alla salute del diavolo, invocherà, giocando a dadi,
l'ajuto di Giove, di Venere e _degli altri demonii_. Satana sarà spesso
rappresentato in figura di fauno, di satiro, di sirena.
Quando la Chiesa trionfa, la storia di Satana par cognita in ogni
sua parte, e piena la figura di lui. Si conoscono, cioè si crede
di conoscere, le sue origini, le prime e le posteriori vicende, i
procedimenti e le opere. I Padri l'hanno narrato e descritto. Satana fu
creato buono, e si fece perverso; cadde per suo peccato, trascinando
nella ruina un innumerevole popolo di seguaci. Si dirà più tardi che
la decima parte della milizia celeste fu precipitata quaggiù, sommersa
negli abissi, e s'immaginerà una schiera di angeli neutrali, non
ribelli a Dio, non avversi a Satana, spettatori della pugna combattuta
fra quello e questo; angeli che san Brandano incontrerà nel corso delle
sue avventurose peregrinazioni; che Parzival udirà ricordare laggiù
nell'ultimo Oriente, dove si custodisce la santa reliquia del Graal;
che Dante porrà nel vestibolo dell'inferno insieme con gli sciagurati
vigliacchi _che mai non fûr vivi_.

Ma Satana non ha ancora finito di crescere, la sua persona non è per
anche perfetta; lunga è la storia di lui, e quando un'èra ne è chiusa,
un'altra incomincia. Gli asceti, che avevano creduto fuggirlo fuggendo
il mondo, e nel deserto l'avevano ritrovato, più maligno e più possente
che mai, e avevano sperimentate le sue innumerevoli insidie, sostenuti
gli insulti feroci, non lo conoscevano ancora sotto tutti i suoi
aspetti.
Alle antiche calamità altre successero; a una età di corruzione
profonda tenne dietro una età di dissoluzione violenta, che parve
schiantare dai cardini il mondo. Giù dal settentrione caliginoso,
i barbari irrompono come un mare che abbia travolte le dighe, e
l'impero di Roma al loro urto si sfascia con fragorosa rovina. La rea
e maledetta civiltà pagana si spegne, ma per dar luogo a una tenebra
disperata di barbarie, per entro a cui non è possibile scorgere
lume di salvezza. Par che il regno umano sia per finire, sia invece
per cominciare sulla terra un regno ferino. L'immane sciagura,
quale da Salviano fu narrata con eloquenza focosa, fece dubitar
della provvidenza; e offrendo spettacolo di mali incogniti prima,
innumerevoli, incommensurabili, diede, com'era naturale, nuovo rilievo
alla figura di colui che è di tutti i mali principio e promotore.
Satana cresceva dell'opera dei barbari, ma in pari tempo cresceva
di molte loro credenze, attirando a sè quanto, e non era poco, nella
loro religione, trovava conforme e omogeneo al suo essere. A contatto
con la vita greca e romana, egli, in una certa misura, si grecizzò e
romanizzò; a contatto con la barbarie settentrionale si germanizzò.
Numerose figure della mitologia germanica, il dio Loki, il lupo Fenris,
ed elfi, e silfi, e gnomi, si trasfondono in lui, e gli conferiscono
nuovi aspetti, nuovi caratteri e nuove movenze. Così Satana si
costruisce e si forma, quando con accrescimenti rapidi, quando
con lenti, in virtù di stratificazioni successive, d'infiltrazioni
continue, variando senza posa, passando pei gradi di una evoluzione
faticosa e lunga. Semplice potenza elementare in origine, egli acquista
a poco a poco il carattere morale che gli appartiene, e quando lo si
guarda cresciuto, quando si scruta dentro il suo essere, si rimane
stupiti e sopraffatti vedendo la sua grandezza, vedendo la moltiplicità
e diversità degli elementi che lo compongono. Non solo le forze della
natura, non solo gli dei di varie mitologie diventano Satana, ma
gli uomini ancora. In poemi e leggende del medio evo Pilato, Nerone,
Maometto, si convertono in diavoli.

Satana tocca il sommo grado di esplicazione e di potenza nel medio
evo, nella torbida e travagliosa età in cui più vigoreggia il
cristianesimo. Egli perviene a maturità insieme con le istituzioni
varie e con le forme proprie di quella vita; e quando l'arte gotica
fiorisce nei templi cuspidati, anche il mito di lui fiorisce, tetro e
meraviglioso, nella coscienza delle genti cristiane. Chiuso il secolo
XIII, egli declina e disviene, come declinano e disvengono il papato,
la scolastica, lo spirito feudale, lo spirito ascetico. Satana è figlio
della tristezza. In una religione come la greca, tutta serena, tutta
irradiata di luce e di colore, egli non avrebbe potuto metter persona;
a farlo crescere e prosperare son necessarie l'ombre, son necessarii
i misteri di peccato e di dolore, che, simili a un velo funereo,
avvolgono la religione del Golgota. Satana è figlio del terrore, e il
medio evo è l'età del terrore. Presi d'invincibil ribrezzo, gli animi
temono la natura gravida di portenti e di mostri, il mondo corporeo
opposto al mondo dello spirito e suo irreconciliabile nemico; temono la
vita, perpetuo fomite e periglio di peccato; temono la morte, dietro
a cui si spalanca dubbiosa l'eternità. Sogni e farnetichi turbano
le menti. L'eremita estatico, da lunghe ore ginocchioni in preghiera
dinanzi all'uscio della sua cella, vede trasvolar per l'aria eserciti
spaventosi, tregende di mostri apocalittici: le notti si illuminano
di segni fiammeggianti, gli astri si sfigurano e si bagnan di sangue,
tristi presagi di sciagure imminenti. In occasione di morbi che
falciano gli uomini come spiche mature si vedono saette, vibrate da
mani invisibili, fendere l'aria, sparir sibilando: e ogni po' corre
traverso la cristianità esterrefatta come un brivido di finimondo, e la
sinistra novella che l'Anticristo è già nato, e sta per cominciare il
formidabile dramma annunziato dall'Apocalisse.
Satana cresce nella mestizia e nell'ombra delle cattedrali spaziose,
dietro i massicci pilastri, nei recessi del coro; Satana cresce nel
silenzio dei chiostri, invasi dallo stupor della morte; Satana cresce
nel castello merlato, dove un occulto rimorso rode l'anima al torvo
barone; nella cella recondita dove l'alchimista tenta i metalli;
nel bosco solitario, dove il mago, la notte, ordisce le sue malie;
nel solco, dove il servo affamato getta imprecando il seme che dovrà
nutrire il signore. Satana è in ogni luogo: infiniti l'hanno veduto,
infiniti hanno favellato con lui.

La credenza era ben radicata, e la Chiesa non mancò di darle favore,
di accrescerle forza. La Chiesa si giovò di Satana, fece di lui uno
strumento efficacissimo di politica, e quanto più potè gli crebbe
credito, giacchè ciò che gli uomini non facevano per amor di Dio, o
per ispirito d'obbedienza, facevano per paura del diavolo. Satana fu
offerto sotto tutti gli aspetti, dipinto e scolpito, alla sgomenta
contemplazion dei devoti; Satana venne in coda a ogni frase di
predicatore, a ogni ammonizione di confessore; Satana diventò l'eroe di
una leggenda senza fine, che ebbe riscontri ed esempii per tutti i casi
della vita, per ogni azione, per ogni pensiero. Non poche Visioni del
medio evo mostrano quale applicazione si sapesse fare del diavolo alla
politica in genere: certo alla politica ecclesiastica il diavolo servì
assai più della inquisizione e dei roghi, sebbene e quella e questi
l'abbiano servita abbastanza. Sino dall'anno 811 Carlo Magno accusava
in un suo capitolare i chierici di abusar del diavolo e dell'inferno
per truffar denari e carpir possessioni.
Se grande era la paura che si aveva di Satana, l'odio che si
nutriva contro di lui non era punto minore. Tale odio non era certo
ingiustificato, giacchè odiando lui si odiava l'autor di ogni male, e
quanto più si amava Cristo tanto più si doveva odiare il suo nemico. Ma
anche in questo caso la paura e l'odio produssero gli effetti consueti,
stravaganza di opinioni, ed esagerazion di giudizii. La figura di
Satana ebbe a risentirne le conseguenze, e l'eccesso avvertito da
alcuno di mente più temperata, diede origine al proverbio che dice: _Il
diavolo non è poi così brutto come si dipinge_.


CAPITOLO II.
LA PERSONA DEL DIAVOLO.

Gli uomini non riescono se non con somma difficoltà, se pur vi
riescono, a formarsi il concetto di una sostanza incorporea,
essenzialmente diversa da quella che cade loro sotto i sensi.
L'incorporeo per essi non è di solito altro che un'attenuazione, una
rarefazione del corporeo, uno stato di minima densità, paragonabile,
anche se minore, a quella propria dell'aria, o della fiamma. Per tutti
gli uomini non civili, e per la massima parte ancora di quelli che
si chiamano civili, l'anima è un fiato, o un vapor leggiero, e si può
vedere sotto apparenza di _ombra_. Gli déi di tutte le mitologie sono
o poco o molto corporei; quelli della greca si nutrono d'ambrosia e di
nettare, e se si cacciano, come usan di fare, nelle zuffe dei mortali,
corron pericolo di toccare, come i mortali, di buone busse. Per ciò non
deve sembrare strano che le dottrine pneumatologiche, così giudaiche,
come cristiane, attribuiscano di solito un corpo agli angeli e ai
demonii.
Dottori e Padri della Chiesa, son quasi unanimi nel credere che i
demonii sieno provveduti di un corpo, già posseduto da essi quando
ancora duravano nella condizione di angeli, ma fatto, dopo la caduta,
più denso e più grave. La densità di quel loro corpo, assai più lieve
sempre che non sia il corpo degli uomini, non è da tutti stimata
egualmente: nel secondo secolo Taziano la faceva simile a quella
dell'aria o del fuoco, e un corpo formato d'aria dava ai demonii
Isidoro di Siviglia in principio del settimo. Altri, come san Basilio
Magno, inchinarono ad attribuir loro un corpo anche più sottile. Ma ben
s'intende come non potesse esservi in sì fatto argomento una opinione
unica, da doversi seguire universalmente, e come potesse Dante, senza
offendere la coscienza di nessuno, dare al suo Lucifero, là fra i
ghiacci di Cocito, un corpo saldo e compatto, al quale egli e Virgilio
si aggrappano come ad una roccia.
Avendo corpo, i demonii debbono anche avere certe necessità naturali,
come hanno tutti gli esseri corporei viventi; prima fra tutte quella
di riparar l'organismo, la cui trama, con l'esercizio della vita,
perpetuamente si logora. I diavoli debbono aver bisogno di nutrirsi,
e in fatti, Origene, Tertulliano, Atenagora, Minucio Felice, Firmico
Materno, san Giovanni Crisostomo, ed altri parecchi, dicono che
i diavoli assorbono avidamente il vapore e il fumo delle vittime
sacrificate dai pagani; cibo poco sostanzioso a dir vero, ma non
disdicevole alla complessione loro. Alcuni rabbini, largheggiando
un po' più, e pensando a introdurre nella diabolica vivanda qualche
maggior varietà, dissero che i diavoli si nutrono dell'odore del fuoco
e del vapore dell'acqua, ma sono anche avidissimi di sangue, quando ne
possono avere, e un proverbio tedesco soggiunge che il diavolo, quando
è affamato, mangia le mosche.
Il popolo parla volentieri di diavoli vecchi e di diavoli giovani, e
sono parecchi i proverbii che, in varie lingue, traggono il tema da
quella sua credenza. Si sa che il diavolo, divenuto vecchio, si fece
eremita, e parrebbe ragionevole che ancor egli dovesse invecchiare,
dacchè tutti gli esseri che hanno organismo invecchiano; ma il già
citato Isidoro di Siviglia afferma che non invecchiano, e noi non
possiamo dir altro fino a che l'anatomia e la fisiologia diabolica non
sieno meglio studiate. Se non invecchiano, non debbono neanche morire,
e una grande bugia avrebbero detto quei rabbini i quali asserirono
che anch'essi, come gli uomini, muojono, non tutti veramente, ma la
maggior parte. Ammalare sembra che dovrebbero potere; tanto è vero che
le streghe, quando ce n'erano, giunsero a dire qualche volta nelle loro
deposizioni, dopo ricevuti due o tre tratti di corda, che il diavolo di
tanto in tanto cadeva ammalato, e che allora toccava ad esse vegliarlo
e curarlo.
Alcuni Padri e Dottori, come, per non ricordarne altri, san Gregorio
Magno, vollero i diavoli al tutto incorporei; ma fu questa, come ho
detto, l'opinione meno accreditata. Ad ogni modo si poteva credere
così o così, come meglio piaceva, e san Tommaso, riferite le contrarie
sentenze, concludeva con dire che, abbiano i demonii o non abbiano
corpo, ciò poco importa alla fede. Ma se poco importa alla fede, molto
importa alla fantasia, e il popolo non mancò mai di dare ai diavoli un
corpo quanto più sodo gli fu possibile.

E come era fatto cotesto corpo? Badisi che qui si tratta del corpo che
i diavoli hanno naturalmente, non di quello che essi possono assumere a
lor piacimento e di cui dovrò parlare più innanzi.
In generale, e di regola, il corpo dei demonii aveva forma umana. Ciò
non deve recar meraviglia: l'uomo che ha fatto a propria immagine gli
déi, ha fatto pure a propria immagine gli angeli e i diavoli. Se non
che, quando si dice forma umana, non si deve intendere forma in tutto
simile alla nostra. In conseguenza del peccato e della caduta. Satana
La creatura ch'ebbe il bel sembiante,
come dice l'Alighieri, e con Satana gli altri ribelli, videro, non
solo il corpo loro farsi più denso e più grossolano, ma ancora mutarsi
in obbrobriosa deformità la bellezza sovrana di cui Dio li aveva
vestiti. La forma dei diavoli è pertanto una forma umana deturpata e
mostruosa, nella quale il ferino si mescola con l'umano, e non di rado
soperchia; e se per ragion della forma si dovesse assegnare ai diavoli
(mi perdonino i naturalisti) un posto nella classificazione zoologica,
bisognerebbe raccoglierli per buona parte in un'apposita famiglia di
antropoidi.
Una bruttezza eccessiva, quando spaventosa e terribile, quando
ignominiosa e ridicola, fu dunque tra i caratteri, dirò così, fisici
del diavolo, il più spiccato ed appariscente; e non senza ragione,
giacchè se non è vero, come si volle far dire a Platone, che il bello
è lo splendore del buono, è per contro verissimo che gli uomini sono
tratti da una specie d'istinto di cui non cercheremo ora le origini,
ad accoppiare bellezza e bontà, malvagità e bruttezza. Dare a Satana
una bruttezza eccessiva fu considerato come un'opera meritoria, che
per sè stessa faceva bene all'anima, e nella quale trovava anche
legittimo sfogo l'odio contro un nemico non mai temuto abbastanza.
Autori di leggende, pittori, scultori, spesero in raffigurar Satana
il meglio della lor potenza inventiva, e così bene, o, se vogliamo
dir più giusto, così male lo raffigurarono, che Satana stesso ebbe a
risentirsene, sebbene sia da credere che egli della sua bellezza non si
tenga troppo. È nota la storia, narrata da molti nel medio evo, di quel
pittore, che avendo dipinto un diavolo più brutto assai dell'onesto,
fu da esso diavolo precipitato dal palco su cui lavorava. Buon per lui
che una Madonna, da lui figurata bellissima, sporse il braccio fuor del
dipinto, e lo sostenne, a mezz'aria.
Del resto non c'era bisogno d'inventar nulla di proposito. Il diavolo
molti l'avevano veduto co' proprii occhi, e potevan dire com'era fatto:
nella vorticosa fantasia dei visionarii, egli ad ogni minimo urto,
si formava di rottami e di cascami d'immagini, a quel modo che si
formano, di pezzetti di vetro multicolore, le capricciose figure del
caleidoscopio.
I manichei, eretici famosi sorti verso il mezzo del terzo secolo,
attribuivano al principe dei demonii, non solo forma umana, ma
gigantesca, e gli uomini dicevano fatti ad immagine sua. Sant'Antonio,
che sotto tanti altri aspetti ebbe a vederlo, lo vide appunto una
volta in figura di smisurato gigante, che toccava col capo le nubi,
e tutto nero; ma un'altra volta in figura di un fanciullo, nero del
pari, ed ignudo. Il color nero si trova dato ai diavoli, come loro
color naturale, sino dai primi secoli del cristianesimo, e le ragioni
che suggerivano di darglielo si palesan da sè, tanto sono ovvie e
spontanee. Più di un anacoreta della Tebaide vide il demonio in figura
di Etiope, il che prova una volta di più come il demonio ritragga
sempre de' tempi e de' luoghi in mezzo ai quali si muove, o è fatto
muovere; ma infiniti altri santi di poi continuarono a vederlo a quel
modo, non ultimo san Tommaso d'Aquino. La figura gigantesca non è
nemmen essa senza ragione, giacchè in tutte le mitologie, i giganti
sogliono essere malvagi. Nella greca i Titani sono gli avversari di
Giove, e però Dante li pone in inferno. Lo stesso Dante fa gigantesco
il suo Lucifero: nelle epopee francesi del medio evo i giganti sono
assai spesso diavoli, o figli di diavoli. Nella Visione di Tundalo,
composta verso il mezzo del XII secolo, il principe dei demonii, che in
eterno cuoce sopra una graticola, non solo è gigantesco, ma ha, come
Briareo, cento braccia, e simile a Briareo, con cento mani e cento
piedi, lo vide nel secolo XIV santa Brigida. Per contro qualche volta
il diavolo è rappresentato come nano, probabilmente per influsso di
miti germanici, di cui non serve ora discorrere.
Il Lucifero di Dante ha tre facce, ma non è Dante il primo a dargliele.
La Trinità fu qualche volta rappresentata nel medio evo sotto specie
di un uomo con tre volti; e poichè il concetto della Trinità divina
suggerisce, per ragion di contrasto il concetto di una Trinità
diabolica, e poichè, inoltre, nello spirito del male si supponeva
essere tre facoltà o attributi opposti e contraddicenti a quelli che
si spartiscono fra le tre persone divine, così era naturale che si
ricorresse per rappresentare il principe dei demonii a una figurazione
atta a far riscontro a quella con cui si rappresentava il Dio trino
e uno. Questo Lucifero con tre facce, che è come l'antitesi della
Trinità, o come il suo rovescio, appare in iscolture, in pitture su
vetro, in miniature di manoscritti, quando cinto il capo di corona,
quando sormontato di corna, tenendo fra le mani talvolta uno scettro,
tal altra una spada, o anche due. Quanto tale figurazione sia antica
è difficile dire, ma certo è anteriore a Dante che la introdusse nel
suo poema, e a Giotto che prima di Dante la recò in un suo affresco
famoso: essa si trova già nel secolo XI; e di un Beelzebub tricipite è
cenno nell'Evangelo apocrifo di Nicodemo, il quale, nella forma che ha
presentemente, non è posteriore al secolo VI.

Come più cresce negli animi e si dilata nel mondo la paura di Satana,
più la bruttezza di lui si fa orrenda e fantastica; ma s'intende bene
che a fargli dare piuttosto una che un'altra figura contribuivano
non poco le occasioni, le credenze, i temperamenti. La forma più
semplice di cui egli sia stato vestito è quella di un uomo alto,
macilento, fuligginoso o livido, straordinariamente magro, con occhi
accesi e sbarrati, spirante da tutta la sua tetra persona un orrore
di larva. Tale lo descrive più di una volta nel secolo XIII Cesario
di Heisterbach, monaco cisterciense, il cui nome ricorrerà frequente
in queste pagine, e tale lo introduce ancora Teodoro Hoffmann nel
suo strano racconto, che appunto s'intitola l'_Elisir del diavolo_.
Un'altra forma, infinite volte rappresentata dalle arti, è quella di
un angelo annerito e deturpato, con grandi ali di pipistrello, corpo
asciutto e peloso, due o più corna in capo, naso adunco, orecchie
lunghe ed acute, denti porcini, mani e piè con artigli. Così è fatto
il demonio che nell'inferno dantesco butta giù nella pegola spessa dei
barattieri uno degli anziani di Santa Zita:
Ahi, quanto egli era nell'aspetto fiero!
E quanto mi parea nell'atto acerbo,
Con l'ale aperte e sovra i piè leggiero!
L'omero suo, ch'era acuto e superbo,
Carcava un peccator con ambo l'anche,
E quei tenea de' piè ghermito il nerbo.
Questa forma non esclude una certa eleganza; ma appunto perchè non
l'esclude doveva facilmente trovare chi l'imbruttisse. Le corna
diventarono spesso corna di bue, le orecchie, orecchie d'asino; la coda
si munì in cima di una bocca di serpente; ceffi mostruosi, simili a
mascheroni di fontana, copersero le giunture, boccheggiarono sul petto,
sul ventre, sulle natiche; il membro virile s'inserpentì, si contorse
in istrane fogge, così da ricordare certe bizzarre creazioni dell'arte
antica; le gambe si mutarono in gambe di capro, reminiscenza del satiro
pagano, o l'una di esse soltanto in gamba di cavallo; i piedi furono
talvolta artigli d'uccel di rapina, o zampe d'oca.
Ma con ciò non si toccavano ancora gli ultimi termini del mostruoso.
Una strana credenza voleva che il corpo dei diavoli non avesse che
la parte anteriore, e fosse cavo dentro, simile a quei vecchi tronchi
d'albero cui una lenta dissoluzione ha votato della sostanza legnosa.
San Furseo vide una volta una turba di diavoli con lunghi colli e capi
come caldaje di rame. Certi altri diavoli, veduti da san Gutlaco,
avevano grandi teste, colli lunghi, volto lurido e macilento, barba
squallida, orecchie ispide, fronte torva, occhi truci, denti equini,
chiome arsicce, bocca ampia, petto sollevato, braccia scabre, ginocchia
nodose, gambe arcate, calcagna massicce, piedi stravolti. Di giunta
avevano voce clamorosa e rauca, e dalla bocca vomitavano fuoco. E
questo vomitar fuoco dalla bocca non è gran cosa, perchè di solito
schizzavano fiamma viva da tutte le aperture del corpo. A santa Brigida
apparve una volta un diavolo che aveva il capo simile a un mantice
munito di lunga canna, le braccia come serpenti, le gambe come un
torchio, i piedi come uncini.
Ma chi mai potrebbe descrivere sotto tutti i suoi aspetti questa
nuova Chimera? L'opinione che ciascun demonio dovesse avere una sua
forma particolare, conveniente al suo particolar carattere, al suo
grado, e alla natura del suo magistero infernale, moltiplicava le
immaginazioni strane, accresceva la confusione. Abbiam veduto membra
bestiali accoppiarsi nel corpo dei demonii alle umane; non di rado
il bestiale soperchia l'umano, e in tal caso si ha poniamo, una fiera
con capo d'uomo, come il Gerione di Dante: talvolta ancora il bestiale
esclude interamente l'umano, e allora si ha una fiera diabolica, la
quale può essere anche una bestia composita, fatta di pezzi tolti di
qua e di là, un mostro che fa violenza alla natura, un vivo simbolo di
prevaricazione e di disordine.

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