Il Diavolo - 08

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altri e più corpulento, sedente in un carro; a lui porgi silenzioso
l'epistola, e incontanente sarà appagato il tuo desiderio, purchè tu
faccia tanto d'essere d'animo risoluto.„ Il giovane si avviò, come
gli era stato prescritto, e stando la notte a ciel sereno, vide la
verità di quanto avevagli detto il prete, chè nulla non mancò alle
promesse. Fra gli altri che di là passavano, scorse sopra una mula una
donna vestita a modo di meretrice, sparsi i capelli giù per le spalle,
e stretti in capo da un'aurea benda. Teneva colei in mano una verga
d'oro, con la quale governava la cavalcatura, e per la tenuità delle
vesti mostrandosi quasi ignuda, faceva ostentazione d'atti impudichi.
Che più? l'ultimo, che pareva il signore, ficcando i terribili occhi
nel viso al giovane, dal carro superbo, tutto composto di smeraldi e di
perle, chiese la cagion del suo venire; ma quegli, nulla rispondendo,
stesa la mano, porse la epistola. Il demonio, non osando disprezzare il
noto suggello, lesse lo scritto, e tosto, levate al cielo le braccia:
“Dio onnipotente,„ esclamò, “insino a quando soffrirai tu la iniquità
di Palumbo?„ E senza por tempo in mezzo, mandò due suoi satelliti,
perchè togliessero a Venere l'anello, la quale, dopo molto contrastare,
finalmente lo rese. Così il giovane, venuto a capo del suo desiderio,
potè godere dei sospirati amori; ma Palumbo, com'ebbe udita la lagnanza
che di lui il demonio aveva mossa a Dio, intese esser prossima la sua
fine; per la qual cosa, fattosi di suo arbitrio troncar tutti i membri,
morì con miserevole penitenza, avendo confessato al papa e a tutto il
popolo le inaudite sue scelleraggini.
Così Guglielmo; il quale avverte da ultimo come ancora al tempo suo, in
Roma, e in tutta la circostante provincia, le madri usassero raccontare
il caso ai figliuoli, affinchè ne fosse tramandata ai posteri la
memoria.
Non lascerò i succubi senza dire che la bellissima Elena, ricordata
nella leggenda quale concubina di Simon Mago, era, secondo la più
fondata opinione, un diavolo, e che da amori con succubi tolsero
argomento, il Cazotte a quel suo strano romanzetto intitolato _Le
diable amoureux_, e il Balzac ad uno dei suoi _Contes drôlatiques_.
Forzare i diavoli a lasciar le pratiche di loro gusto non era cosa
agevole, nè priva di pericolo. In una delle innumerevoli leggende
della Vergine si narra di una donna, la quale era invano ricorsa ai
segni di croce, all'acqua benedetta, alla preghiera, alle reliquie,
per liberarsi da un gran diavolo che la teneva in luogo di moglie:
finalmente, un giorno, trovandosi all'usato cimento, levò le braccia
al cielo invocando il santo nome di Maria, e il drudo maledetto non fu
più buono a nulla. Cesario di Heisterbach racconta un'altra storia. Un
diavolo seduce nella città di Bonna la figliuola di un prete e si giace
con lei. La fanciulla confessa la cosa al padre, il quale, per tagliar
corto alla tresca, allontana la figliuola da casa e la manda oltre il
Reno. Cápita il diavolo, e non trovando più la sua ganza, corre dal
padre e gli grida: “Malvagio prete, perchè mi hai tu tolta la moglie?„
e gli dà tale un picchio nel petto che dopo due giorni il pover uomo
rende l'anima.

Abbiam veduto che i diavoli, o a torto, o a ragione, generavano, e
poichè essi erano innumerevoli, non è a meravigliare se grandissimo era
il numero dei loro figliuoli. Giordane, storico dei Goti nel VI secolo,
afferma che gli Unni nacquero dal commercio di orribili maliarde
con demonii incubi; e durante tutto il medio evo ci fu una spiccata
tendenza a considerare come figliuoli del diavolo i bambini deformi ed
i mostri, che per ciò appunto sperdevansi senza scrupulo alcuno. Nel
1265, una dama che aveva passata la cinquantina, Angiola de Labarthe,
confessò in Tolosa d'aver generato col diavolo un figliuolo con testa
di lupo e coda di serpe, che bisognava nutrire con carne di bambini.
Secondo un'altra opinione, confermata da notabili esempii, i figli del
diavolo erano robusti, animosi, pieni d'ingegno e d'ardore. Lo storico
Matteo Paris (m. 1259) ricorda il caso di un bambino che a sei mesi era
grande quanto un giovane di diciott'anni. La Chiesa chiamò, e chiama
ancora, figliuolo di Satana chiunque si scosti un pelo dal catechismo;
ma questa è una metafora e nulla più.
Avviene dei figliuoli di Satana ciò che dei figliuoli degli uomini: i
più passano incogniti e immeritevoli di fama; alcuni si traggon fuori
della volgare schiera, ed empiono il mondo del loro nome e del grido
delle loro gesta; taluno pure ve n'ha, che vincendo la fatalità della
origine e la maledizione della propria natura, si redime dall'inferno
per sempre, acquistando il cielo. Io non parlerò se non dei principali.
Il più antico è Caino, il primo omicida. Assicurano i rabbini che
Adamo ebbe commercio con succubi ed Eva con incubi, un bel modo, come
si vede, di dar principio alla razza umana: di uno di questi incubi fu
figliuolo Caino, che mostrò chiaramente con l'opere l'origine sua. Tale
credenza, del resto non fu dei soli rabbini: il greco Suida (sec. XI)
la ricorda in certo suo _Lessico_.
Attila, il Flagello di Dio, fu figliuolo del diavolo secondo alcuni, di
un mastino secondo altri; e del diavolo fu figliuolo Teodorico re dei
Goti, in prova di che gettava fuoco dalla bocca, e vivo ancora andò a
raggiungere il padre in inferno.

La storia del mago e profeta Merlino, è, per questa parte, più
particolareggiata e più celebre. L'inferno, debellato e spogliato da
Cristo, sentiva il bisogno di rifarsi della patita jattura. Satana, cui
più sta a cuore la cosa, risolve di procreare un figliuolo che propugni
la sua causa fra gli uomini, e disfaccia l'opera redentrice di Gesù.
L'impresa è di gran momento, perigliosa e difficile, e chiede lunga
e diligente preparazione. Ecco: per le forze congregate dell'inferno
una famiglia onorata e cospicua è tratta a rovina, gettata in preda al
disonore e alla morte. Di due figliuole superstiti, l'una si abbandona
al più svergognato libertinaggio, l'altra, bella e casta, resiste
lungamente ad ogni tentazione, sino a che trovandosi una notte, per
aver dimenticato di farsi il segno della croce, temporaneamente priva
della protezione del cielo, dà agio al diavolo di sopraffarla e di
compiere il meditato disegno. Conscia e inorridita di sua sventura, la
fanciulla si studia di ricomprare, con le austerità di una penitenza
angosciosa, il non suo peccato, e giunto il termine posto dalla natura,
dà alla luce un figliuolo, che nel corpo stranamente peloso reca i
segni dell'origine sua. Il fanciullo è battezzato, senza, s'intende, il
consentimento del padre, e riceve il nome di Merlino: poi si pensa in
cielo che sarebbe non piccolo trionfo quello di strappare all'inferno
lo stesso figliuolo di Satana, e il buon Dio ci provvede. Satana aveva
impartito al figliuolo la cognizione del passato e del presente;
Dio v'aggiunge quella dell'avvenire. Quale arma migliore contro
gl'inganni del mondo e le insidie del diavolo? E Merlino, crescendo,
operò molte cose mirabili, come si legge nel Venerabile Beda, nelle
antiche croniche, nelle istorie della Tavola Ritonda, e fece molte e
bellissime profezie, delle quali parecchie già si avverarono, e altre
si avvereranno quando che sia, con l'ajuto del cielo. Di suo padre non
si diede un pensiero al mondo, anzi lo rinnegò a dirittura. Morì, non
si sa precisamente come nè quando; ma tutto fa credere che sia andato
in luogo di salvazione.

Se non che, salvarsi quando Dio ci vuol salvi, non è poi merito così
grande, e più assai di Merlino mi par degno d'ammirazione quel Roberto
il Diavolo della cui storia si fecero poemi, drammi, fiabe, esempii
morali e persino un'opera in musica. Terribile storia in verità, ma
piena di nobile insegnamento.
C'era dunque una duchessa di Normandia, che si struggeva dal desiderio
d'aver figliuoli, e non ne poteva avere. Stanca di raccomandarsi a Dio
che non l'esaudisce, si raccomanda al diavolo, ed è tosto appagata.
Nasce un figliuolo, una saetta. Bambino, morde la balia e le strappa
i capezzoli; fanciullo, sventra a coltellate i maestri; giunto a
vent'anni si fa capitano di ladri. L'armano cavaliere, credendo
così di vincere in lui quella furia d'istinti malvagi; ma dopo ei
fa peggio di prima. Nessuno lo passa di forza e di bravura. In un
torneo vince ed ammazza trenta avversarii; poi va gironi pel mondo;
poi ritorna in patria, e si rimette a fare il bandito e il ladrone,
rubando, incendiando, assassinando, stuprando. Un giorno, dopo avere
sgozzato tutte le monache di un'abbazia, si ricorda della madre, e va
a trovarla. Come prima lo scorgono, i servitori scappano, chi di qua e
chi di là; nessuno s'indugia a domandargli d'onde venga, che voglia.
Allora, per la prima volta in sua vita, Roberto stupisce dell'orrore
che inspira a' suoi simili; per la prima volta ha coscienza di quella
sua mostruosa malvagità, e sente trafiggersi il cuore dal dente acuto
del rimorso. Ma perchè mai è egli più malvagio degli altri? Perchè
nacque, chi lo fece tale? Un'ardente brama lo punge di penetrare
il mistero. Corre dalla madre, e con in pugno la spada sguainata
le impone di svelargli il segreto de' suoi natali. Saputolo, freme
ed inorridisce, sopraffatto dallo spavento, dalla vergogna e dal
dolore. Ma la sua forte natura non s'accascia per questo, non cede
alla disperazione; anzi, la speranza di un laborioso riscatto, di
una mirabil vittoria, stimola e solleva l'anima sua tracotante. Egli
saprà vincere l'inferno e sè stesso, saprà render vani i disegni dello
spirito maledetto che in proprio servigio lo creava, che aveva voluto
far di lui un docile strumento di distruzione e di peccato. E non
frappone indugi. Va a Roma, si butta ai piedi del papa, si confessa
a un santo eremita, si assoggetta ad asprissima penitenza, e giura
di non prender più cibo se non sia strappato alla bocca di un cane.
Per ben due volte, essendo Roma assediata dai saraceni, egli combatte
sconosciuto per l'imperatore, e procaccia la vittoria ai cristiani.
Riconosciuto finalmente, rifiuta i premii e gli onori, la corona
imperiale, la stessa figliuola del monarca, e si ritrae a vivere col
suo eremita nella solitudine, e muore come un santo, ribenedetto da Dio
e dagli uomini. In altri racconti gli si fa sposare da ultimo la bella
principessa innamorata di lui.
Ma non sempre i figliuoli del diavolo fecero così bella fine, ed
Ezzelino da Romano, tiranno di Padova, ne può con più altri far fede,
Ezzelino, immanissimo tiranno,
Che fia creduto figlio del demonio.
Tale fu creduto, e tale fu veramente, se le storie non mentono. Nella
sua tragedia intitolata appunto _Eccerinis_, Albertino Mussato fa
svelare l'orribile arcano dalla stessa madre del mostro, Adelaide.
Ezzelino, e il fratel suo Alberico, furono tutt'e due generati dal
diavolo, che prese per l'occorrenza la forma di un toro. Giove non
aveva a' suoi tempi sdegnato di fare lo stesso. Conosciuta l'origine
sua, Ezzelino se ne rallegra e se ne gloria, e promette di fare in modo
che il mondo l'abbia a conoscere per degno figliuolo di tanto padre. E
mantiene la promessa. Il diavolo questa volta non si vedrà rinnegato
da coloro stessi cui diede la vita, nè defraudato delle speranze sue
più legittime. Ezzelino diventa signore di Padova, e con l'ajuto del
fratello compie lo scellerato disegno, e imperversa a guisa di Furia,
chiuso ad ogni senso di umanità, sordo agli avvertimenti che il cielo
non lascia di dargli. Ma il castigo, troppo meritato, non si fa molto
aspettare. Vinto al Ponte di Cassano, l'iniquo muore disperato, e il
fratel suo non tarda a seguirlo.

Noto, così di passaggio, che anche Lutero fu dagli avversarii suoi,
tenuto figliuolo del demonio, che s'era nascosto sotto le vesti di un
giojelliere, e vengo al maggiore tra i generati da Satana, a colui
che non è nato ancora, ma deve nascere, a quel formidabile campione
dell'inferno che sarà l'Anticristo. Il suo nome esprime la sua natura e
narra le sue opere.
Già altra volta tentò Satana, se non mente un poema anglosassone del
secolo IX, di contrapporre un suo figliuolo a Gesù, anzi di porlo nel
luogo stesso di questo. Fallitagli allora l'impresa, egli aspetta più
propizia occasione, e rinnovellerà la prova quando saranno maturi i
tempi e prossima la fine del mondo. Le sue supreme speranze s'accolgono
tutte in quel nascituro prediletto.
Intorno al quale corsero molte e varie opinioni. Nell'Apocalissi
l'Anticristo è Nerone, che si vede poi, in certe leggende paurose del
medio evo, diventar demonio. Nell'VIII secolo si riconobbe l'Anticristo
in Maometto, nel XIII in Federico II. Del modo del suo nascimento
molto ebbe a dirsi. Sant'Efrem, vescovo di Edessa, vissuto, secondo
si crede, nel IV secolo, affermava ch'egli nascerebbe da una donna
di mala vita; altri invece dicevano da una vergine, opinione cui
contrasta nel X secolo Assone, nel trattato suo _De Antichristo_.
Alcuni si contentarono di credere ch'egli avrebbe a genitore un uomo,
ma sarebbe posseduto dal diavolo sino dall'ora del concepimento; altri
assicurarono che padre gli sarebbe lo stesso principe dell'inferno. E
questa fu l'opinione più generalmente accettata.
Gl'innumerevoli trattati che intorno all'ultimo avversario di Cristo e
a' suoi fatti lasciò il medio evo, molti dei quali giacciono inediti
e dimenticati nelle biblioteche, fan fede a noi dell'ansietà e del
terrore che teneva desti negli animi il pericolo sempre imminente
e al tutto inevitabile della sua venuta. Si ricordavano i segni
terribili che al mondo esterrefatto dovevano prenunziare la prossima
apparizione di lui, e ponevasi mente se già non se ne vedesse qualcuno.
Si moltiplicavano, e si aggravavano con la fantasia gli orrori
degli ultimi tempi; ed ogni po' correva per mezzo la cristianità la
spaventosa novella che l'uomo fatale era nato, o stava per nascere.
Intorno al 380 Martino, vescovo di Tours, lo credeva già nato, e
così pure credeva intorno al 1080 il vescovo Ranieri di Firenze, e
alcuni decennii più tardi Norberto, arcivescovo di Magdeburgo. Ai
tempi d'Innocenzo VI, un frate minore ne annunziava la nascita per
l'anno 1365, e per l'anno 1376 la prediceva Arnaldo di Villanova. Nel
1412 Vincenzo Ferrer sapeva di certa scienza, e ne faceva avvertito
l'antipapa Benedetto XIII, che il gran nemico era già d'età di nove
anni. Dinanzi al sacro tribunale dell'Inquisizione non poche streghe
confessarono d'averlo conosciuto e praticato.
Ma gli anni passavano, sbugiardando novellatori e profeti, ai quali,
del resto non pochi, nè poco validi argomenti opponevansi da chi
era di men facile credenza e di fantasia più composta. Non per anche
vedevansi i segni infallibili. La corruzione e l'apostasia non avevano
ancora in tutto guasto il genere umano. Il sacro Impero di Roma
tuttavia si reggeva, il quale doveva al tutto sfasciarsi all'apparire
del terribile avversario. L'Anticristo non era ancor giunto; ma forse
poco più tarderebbe. E si conoscevano gli atti dell'intera sua vita, e
narravasi la sua storia come fosse storia passata e non avvenire. Egli
raccoglierà nelle sue mani le ricchezze tutte della terra, strumento
massimo di corruzione e di signoria. Abbatterà il famoso muro di
Alessandro Magno, e le gran porte di ferro, e i mostruosi popoli di
Gog e Magog strariperanno come un oceano irresistibile. Non fu mai
cavaliere o capitano che lo pareggiasse in valore e in iscienza di
guerra. All'armi sue nessuno potrà contrastare: egli metterà a fuoco
e a sangue città e reami, ucciderà di propria mano i profeti Enoc ed
Elia, scesi indarno a difendere la Chiesa, e riunite sul suo capo
tutte le corone, sederà unico re della terra soggiogata. Ma allora
sopravverrà pure l'inevitabile e ben meritato castigo: l'usurpator
scellerato, il figliuolo e il campione di Satana, sarà ucciso da
Cristo in persona, o dal principe delle milizie celesti, lo strenuo e
pugnace arcangelo Michele, e con lui sarà vinta e fiaccata per sempre
la potestà dell'inferno. Allora le porte dell'abisso saranno chiuse e
suggellate per sempre: finirà il regno di Satana, ricomincerà per non
più finire il regno di Dio.

Come gl'incubi potevano generare, così i succubi potevano concepire
e partorire. In Inghilterra si credette un tempo, e i cronisti nol
tacciono, che uno degli antenati di Goffredo Plantagenet avesse sposato
un demonio e procreato con esso parecchi figliuoli. Di Balduino conte
di Fiandra, ed eroe di un vecchio romanzo francese, si narra una storia
consimile, ma più particolareggiata. Gonfio d'orgoglio, il conte sdegna
di sposare la figliuola del re di Francia, e sposa una dama di grande
bellezza e prestanza, ch'egli incontrò un giorno in un bosco, e che
gli disse esser figliuola di un potentissimo re dell'Asia. Passato
un anno, nascono due gemelle bellissime. Il conte aspetta notizie di
quel reame d'Oriente; ma notizie non vengono, e intanto un eremita, il
quale ha fiutato l'inganno, comincia a mettergli certi dubbii e certi
sospetti nell'animo. Un giorno il sant'uomo capita in corte, nell'ora
del banchetto, entra in sala, e senza più cerimonie ordina alla signora
contessa, figlia del re d'Oriente, di tornarsene difilata all'inferno,
ond'è venuta. La signora contessa, cioè il demonio, non se lo fa dire
la seconda volta, e schizza via come una saetta, gettando all'aria
un orribile e veramente diabolico grido. Il conte, per espiare il suo
peccato, imprende una crociata e ammazza molta gente. Quanto alle due
figliuole, non fanno poi quella mala riuscita che c'era da aspettarsi,
essendo nate di cotal madre.

Oltre ai naturali, generati da loro, i diavoli potevano avere dei
figliuoli adottivi e avventizii, dei quali non si davano meno pensiero
che degli altri, sia che li rubassero, sia che li avessero da genitori
malvagi o disavveduti. Molte storie edificanti si potrebbero raccontare
a tale proposito; a me basterà ricordarne qualcuna.
Una fanciulla rimasta incinta (così racconta circa il 1200 l'annalista
inglese Ruggero di Hoveden), non volendo si conosca il suo errore,
fugge dalla casa paterna, quando è già prossima al parto. Vaga sola
pei campi, mentre infuria una orrenda procella, e stanca d'invocare
indarno l'ajuto di Dio, chiama in suo soccorso il demonio. Ed ecco
le apparisce il demonio in figura di giovane, e le dice: Seguimi.
Obbedisce la donna, e quegli la mena a un ovile, e fattole quivi un
letto di paglia, acceso un buon fuoco, va a cercar da mangiare. Due
uomini, che passavano di là, veduto il fuoco, entrano nell'ovile,
interrogano la giacente, e saputo com'erano andate le cose, corrono ad
avvertire il curato e i parrocchiani di un villaggio poco discosto.
Torna il diavolo, recando del pane e dell'acqua, e refocillata la
donna, raccoglie a mo' di levatrice il bambino che viene al mondo.
Sopraggiunge in quell'ora il curato, munito di croce e d'acqua
benedetta, scortato da gran brigata, e comincia i suoi esorcismi; il
diavolo non potendo resistergli, fugge con la creatura nata appena fra
le braccia e più non si lascia vedere. La buona madre, nulla curandosi
del figliuolo, ringrazia Dio d'averla salvata dal nemico, e torna a
casa.
Un'altra storia, non meno meravigliosa, ma di più felice esito, narra
il benedettino Gualtiero di Coincy (m. 1236) in una sua raccolta di
miracoli della Vergine. C'erano due sposi di gran condizione e virtù, i
quali, dopo avere avuto parecchi figliuoli, fecero a Dio e alla Vergine
voto di castità. Ma la carne è fragile, e mai non cessa dalle insidie
il demonio. Una notte di Pasqua egli accende di tanta concupiscenza
l'animo del marito, che questi scorda ogni suo proposito e vuole ad
ogni modo infrangere il voto. La moglie prega, ammonisce, minaccia; ma
poi, non potendo contrastare più oltre, grida: “Se dal nostro peccato
un figliuolo ha da nascere, sappi che io ne fo dono al diavolo.„
Dopo nove mesi, viene al mondo un bambino, così bello e gentile che
quanti lo vedono se ne meravigliano. Passano alcuni anni, e il bambino
cresce di svegliatissimo ingegno, di bonissima indole, adorno d'ogni
bel costume. La madre, che teneramente lo ama, si strugge in lacrime,
pensando alla sua imprecazione e agli effetti che ne debbon seguire.
Quando il fanciullo ha compiuto il dodicesimo anno, appare a lei un
orribile demonio, e l'avverte che di lì ad altri tre anni verrebbe a
prendere colui che per diritto gli appartiene, e a cui non rinuncerebbe
per cosa del mondo. La povera donna si dispera, e un giorno, cedendo
alle supplicazioni del figliuolo, svela il secreto. Il figliuolo dà
allora in un pianto dirotto:
S'il est dolenz n'est pas merveille,
Quar l'aventure est moult amère.
A mezzanotte abbandona la casa de' suoi genitori, e solo si pone in
viaggio. Giunge a Roma, e, come il cavaliere Tanhäuser, si presenta al
papa, e gli narra la dolorosa sua storia. Il papa a così nuovo caso
non sa che dire, e manda il fanciullo al patriarca di Gerusalemme,
il più saggio uomo che sia sulla terra. Ecco il nostro pellegrino
in Gerusalemme, dopo molte fatiche e molti pericoli. Il patriarca,
come il papa, non ci vede rimedio; ma si ricorda in buon punto di un
eremita, il quale abita in una grande e perigliosa foresta, ed è di
così santa vita che gli angioli scendono dal cielo per intrattenersi
con lui: da lui forse potrà aversi consiglio ed ajuto. Piangendo
amaramente, invocando Dio e la Vergine, il fanciullo si rimette in
cammino; ma intanto i tre anni sono quasi passati, e non manca più che
un giorno allo spirare del termine fatale. Il sabato innanzi Pasqua
trova l'eremita, il quale, udita la strana avventura, rimane ancor
egli, a bella prima, come smarrito; ma tosto ripreso animo, conforta
il fanciullo, lo esorta a sperar bene, e provvede a dargli valido
ajuto. Passano entrambi la notte in orazione, poi venuta la mattina,
l'eremita, posto il garzone fra sè e l'altare, comincia a celebrare la
messa. Ma ecco il diavolo, con dietro una masnada de' suoi, irrompe in
chiesa, e pone lo mani addosso al poveretto. L'eremita chiama a gran
voce la Vergine che venga in soccorso, e la Vergine gloriosa scende
dal cielo, e in un baleno volge in fuga i nemici. Il fanciullo è
salvo. Pien di riconoscenza s'accomiata dal suo benefattore e ritorna
in patria, dove è ricevuto con indicibile giubilo dalla madre, e dove
tutto si consacra poi al servizio della Vergine benedetta.
In un'altra storia il diavolo rapisce, appena nato, il fanciullo che
gli fu consacrato, lo fa nutrire, e lo mena poi con sè in giro pel
mondo, trattandolo con ogni riguardo sino all'età di quindici anni.
Allora san Giacomo glielo toglie e lo restituisce ai genitori. In
altri racconti i figliuoli sono, non donati, ma venduti al diavolo,
il quale fa come i ladri: quando non può rubare, compra. Nè tali
mercati si facevano coi figliuoli soltanto. In una storia che dovrò
riferire più oltre, un cavaliere fa un patto col diavolo, e s'impegna
di dargli la propria moglie dopo trascorsi sette anni: quanti in
suo luogo gliel'avrebbero data subito! In un'altra si vede come al
diavolo potessero esser date persone affatto estranee, e come il
diavolo, almen qualche volta, volesse che quelle donazioni fossero
fatte col cuore, e non con la bocca soltanto. Eccola. Un pessimo
esattore, avaro e crudele, andava un giorno a certo villaggio, per
farvi una delle solite esazioni. Per via si accompagnò con lui un
tale, che egli subito conobbe essere il diavolo, e non è a dire se,
conosciutolo, desiderasse, per sue buone ragioni, di levarselo da
torno. Incontrano un uomo, che conduceva un porco, il quale lo faceva
disperare, cosicchè quegli rinnegava la pazienza e gridava: “Il diavolo
ti porti!„ L'esattore dice al diavolo: “Non odi? colui ti dà il porco;
va e prendilo.„ — “No, risponde il diavolo, non me lo dà di cuore.„ Un
po' più oltre trovano una madre, che a un suo bambino piangente gridava
stizzita: “T'abbia il diavolo!„ — “O perchè non lo prendi?„ esclama
l'esattore. — “Non me lo dà, di cuore, risponde il diavolo: quello è un
modo di dire.„ Giungono intanto al villaggio, e quei poveri villici,
vedendo venire il lor carnefice, gridano in coro: “Il diavol t'abbia!
possa tu servire al diavolo!„ E il diavolo: “Questi si che mi ti danno
di cuore, e però tu sei mio.„ E, senz'altro aggiungere, acciuffatolo,
sel portò via.


CAPITOLO VIII.
I PATTI COL DIAVOLO.

Il diavolo, quando non può adoperare la violenza per venire a' suoi
fini, adopera l'astuzia, e volentieri usa i modi legali, se dai modi
legali si ripromette guadagno. Dove non gli è dato rubare, patteggia
e traffica; compra, a più o men caro prezzo, quanto non gli sarebbe
donato; stipula contratti, assume obblighi e li osserva.
L'idea di un possibile patto col diavolo fu, nei tempi di più viva ed
ingenua credenza, un'idea che s'offerse spontanea agli spiriti, e che
molti ne dovette tentare con acri e strane lusinghe. Se il desiderio
più vivo del principe delle tenebre era quello di sedurre anime, e se
per vedere appagato questo suo desiderio egli usava tutto il suo potere
e tutta l'arte sua, come non credere che l'uomo potesse vendergli
l'anima a prezzo di ricchezze, o di onori, o di qualsivoglia altro bene
mondano, ond'egli, quale signore del mondo, era facile dispensiero? E
come non credere ciò, se negli stessi Evangeli si vede Satana offrire
a Cristo i regni della terra a patto d'essere riconosciuto per signore
e adorato da lui? Naturalmente ancora doveva il patto vestir la forma,
e accompagnarsi di quelle cautele che, tra gli uomini, sono prova
di legalità e validità, e assicurano l'osservanza reciproca degli
obblighi. Di qui la scrittura debitamente distesa e firmata, che il
diavolo chiede a chi, in iscambio di tale o tal cosa, s'impegna di
dargli, dopo un tempo stabilito, l'anima propria; ed è curioso che
mentre il diavolo sente il bisogno di assicurare con un documento in
regola e ben chiaro, la fede del suo contraente, questi, di solito,
non sente il bisogno di assicurarsi, nello stesso modo, della fede di
quello. Vero è che il demonio, quasi sempre, sta ai patti, o almeno,
se non allo spirito, alla lettera dei patti, e che gli uomini molto
spesso non ci stanno, s'ingegnano di riaver le scritture, e riavutele,
si gabbano di chi ha loro creduto. Forse fu per dar più valore al
contratto che, a cominciare dal secolo XIII, il diavolo volle si
scrivessero i patti col sangue, il quale, come ben dice Mefistofele, è
un certo succo affatto particolare. A tali scritture anche il demonio
soleva apporre alcun segno. In una, di cui dà notizia Gilberto di
Vos (sec. XVII) in certo suo libro di teologia, il diavolo lasciò
l'impronta abbronzata della sua mano, stesa sopra una croce.
Sono innumerevoli le storie in cui si racconta di patti stretti col
demonio, e parecchie assai antiche: non ispiacerà, spero, al lettore,
che io ne riferisca qualcuna.

In una vita di san Basilio arcivescovo di Cesarea, attribuita ad
Amfilochio vescovo d'Iconio (sec. IV), si legge quanto segue. Un
senatore cristiano, per nome Proterio, ha un'unica figliuola, cui egli,
dopo aver visitato i luoghi santi, risolve di consacrare a Dio. La
fanciulla è lieta di ciò; ma il demonio, che mai non dorme, si accinge
tosto a contrariare il santo disegno. Egli accende nell'animo di un
giovane servo una passione violenta per la nobil donzella. Sapendo
di non potere in altro modo conseguire il suo desiderio, il servo
ricorre ad un negromante, e gli promette, quand'ei voglia ajutarlo in
quell'amore, grandissima quantità di denaro. Il negromante acconsente,
e fattogli, prima d'ogni altra cosa, rinnegare il Redentore, gli dice:
“Va alla tale ora di notte, e ponti sul sepolcro di alcun pagano,
tenendo levata in alto questa lettera che io ti do: tosto vedrai
apparire chi ti condurrà alla presenza del demonio mio signore, dal
quale potrai avere l'ajuto che chiedi.„ Il servo fa puntualmente quanto
gli è detto, e giunta l'ora è da alcuni spiriti condotto alla presenza
del principe dei demonii, che siede in un trono eccelso, con le sue
milizie d'attorno. Letta la lettera del mago, dice il principe al
servo: “Credi tu in me?„ e quegli: “Credo.„ Ma il demonio: “Voi altri
cristiani siete gran tergiversatori, e poco sicura è la vostra fede.
Quando avete bisogno di me, venite a cercarmi; raggiunto poi il fine,
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