Il roccolo di Sant'Alipio - 12

Total number of words is 4434
Total number of unique words is 1754
36.5 of words are in the 2000 most common words
52.2 of words are in the 5000 most common words
61.7 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
e a quelle fantastiche spiegazioni che non si osa nè ammettere, nè
confutare. E infatti davanti a tante cose che non si comprendono il
silenzio è più ragionevole delle ciarle.
Michele, curioso di conoscere la fine della storia dell'amico, lo pregò
di riprendere il suo racconto, ed egli continuò:
— La solitudine con Maria... altro io non avrei desiderato al roccolo
di Sant'Alipio, ma non poteva rifiutarmi di ricevere le persone che
venivano a farmi visita, e a congratularsi della mia ricuperata salute,
perchè stavo sempre meglio, e le cure della mia buona madre, e la cara
compagnia di Maria, e l'aria pura delle mie montagne mi ridonavano
il perduto vigore. L'arcidiacono fu fra i primi a visitarmi; buono e
pietoso coi deboli e coi vinti, era dignitoso e severo coi superbi
e coi vincitori, egli mi provò colla sua condotta che un prete può
essere buon cristiano e buon patriotta ad un tempo. Non sono che i
preti sciocchi, e gli ambiziosi, che non sappiano mettere insieme due
cose che non possono andar disgiunte — Dio e la patria. Una visita
seccante e noiosa fu quella del Consigliere imperiale, che ho dovuto
subire per non contrariare mio padre, il quale mi diceva che anche le
banderuole sono buone a qualche cosa, non fosse altro che per sapere
che vento spira. E il vento spirava terribilmente da tramontana, perchè
il consigliere, mostrandomisi dolente della delusione del Cadore,
mi assicurava che l'Austria non avrebbe mai a nessun patto cedute le
nostre provincie, che giudicava indispensabili alla sicurezza della
Germania. Al che io gli rispondeva tranquillamente che questo era un
assurdo, e che se un giorno l'Italia diventasse più forte dell'Austria,
sarebbe al pari censurabile se pretendesse occupare alcune provincie
della Germania per la sicurezza d'Italia. — Io penso, gli dicevo, che
ciascheduno ha diritto di essere padrone in casa propria, e nessuno in
casa altrui — ed egli mi rispondeva — Questo va bene in teoria!... ma
in pratica ogni nazione ha un piede fuori di casa, — ed io conchiudeva
— bisogna dunque esser forti per esser liberi, e se tutti avessero
fatto come il Cadore, l'Italia si sarebbe liberata per sempre degli
stranieri.
Ed ecco la politica che ritornava a martellarmi col ritorno della
salute; e appena mi sentii la forza di reggere la spada, mi tornò il
desiderio di alzarla contro i nostri invasori.
Nelle ore tranquille io andavo frugando fra i libri di Isidoro per
trovare qualche cosa da leggere. La sua piccola libreria non era
composta che di opere d'agricoltura, di botanica, di storia naturale,
e dei migliori poeti. Egli amava la natura, ne penetrava i misteri, ne
ammirava il bello, studiava le virtù delle piante; e godeva di sentire
le idee che erano state ispirate dalla bellezza di un fiore. Passava
volentieri dalla scienza alla poesia. Egli leggeva o per imparare
qualche cosa di pratica utilità, o per sollevare lo spirito al di sopra
delle umane miserie. Scartabellando quei volumi leggichiavo qua e là
per passatempo, e mi arrestavo a guardare le vignette. Una mattina mi
cadde in mano una bella edizione del Tasso, l'apersi a caso e caddi
sul canto XVI che lessi tutto d'un fiato da capo a fondo. Dopo uscito
dal Seminario non avevo più letto la Gerusalemme liberata, e mi parve
assai bella e tanto più meravigliosa in quanto il mio caso rassomiglia
in qualche parte al caso di Rinaldo. Anch'io viveva in un giardino
incantato, inebbriato d'amore, mentre altrove ferveva la guerra e si
decidevano le sorti della patria.
Rimasi tutto quel giorno pensoso ed umiliato, e passando davanti
uno specchio che pendeva dal muro della mia camera, mi arrestai a
guardarmi. Il mio viso era ritornato fresco e rubizzo, e ne ebbi
vergogna come Rinaldo davanti lo scudo adamantino d'Ubaldo; e
«Qual uom da cupo e grave sonno oppresso
Dopo vaneggiar lungo in sè riviene,
Tale io tornai nel rimirar me stesso....
e parlai a Maria della mia vergogna, dell'impulso che mi spingeva a
raggiungere i miei amici, che oltre l'amore di patria e di libertà, mi
sentivo anche animato dal desiderio di vendicare suo padre.
Alla prima impressione, questo nuovo colpo inaspettato le riuscì
assai doloroso. Essa doveva dunque perdermi nuovamente, ritornare
alla squallida solitudine, oppressa dal continuo timore di sapere la
mia vita esposta a mille pericoli.... Doveva dunque mettere in dubbio
l'avvenire?... e la nostra felicità!....
Doveva piangere nuovamente con una madre desolata, con un padre
continuamente oppresso dal timore di perdere l'unico figlio!....
no, essa non si sentiva più la forza di ricominciare quella vita di
ansietà, di tormenti, di affanni, di perdite disperate! Io aveva fatto
il mio dovere, essa diceva, avevo pagato il mio tributo di sangue alla
patria... essa aveva perduto il padre... non intendeva di perdere
anche lo sposo... nessuno poteva esigere da una sola persona tali
sacrifici... essa aveva diritto di vivere... e la mia morte sarebbe
stata anche la sua... e forse anche quella dei miei genitori!....
Io le risposi tranquillamente:
— Tu ami dunque meglio diventare la moglie d'un vile... e vedere
l'Italia oppressa dagli stranieri?... perchè se tutte le donne
pensassero così, l'indipendenza italiana sarebbe spacciata per
sempre!.... Pensa alla vita obbrobriosa ed umiliante che ci aspetta
sotto al dominio straniero, pensa alla vergogna degli italiani...
ridivenuti gli schiavi dei tedeschi!... essi ci faranno le leggi,
e prenderanno i nostri figli per farne dei soldati obbligati di
combattere contro la patria... e contro la libertà degli altri
popoli!...
Maria, alzando gli occhi al cielo, soggiungeva:
— Hai ragione!... sono osservazioni giustissime!... ma tu non puoi
uccidere tua madre... tuo padre... la tua sposa... per salvare
la patria!... anche questo è contro natura!... e se tu dovessi
morire, è sicuro che moriremmo tutti!... non si sopravvive a due di
questi colpi... quando non si è ancora guariti del primo!... pensa
all'avvenire e decidi...
— L'avvenire è in mano di Dio!... — io le risposi. — La morte è
sempre preferibile al disonore. E poi non tutti i soldati muoiono alla
guerra!.... Tu desideri che passino almeno sei mesi dopo la morte di
tuo padre per darmi la mano di sposa. Io ti comprendo e ti approvo;
ma intanto che posso io fare onoratamente qui in Pieve, solo di tutti
i giovani della mia età, mentre i miei amici sono a Venezia, sotto la
nostra bandiera, a sostenere l'onore e il diritto d'Italia.... Posso io
rimanere qui ozioso, infingardo, senza arrossire, mentre tutti i miei
comilitoni hanno ripreso le armi?!...
Essa mi rispondeva piangendo, e non avendo buone ragioni da oppormi,
aveva lagrime che mi scendevano al cuore, e mi toglievano il coraggio.
Con tali lotte che amareggiavano la nostra vita, abbiamo passati alcuni
giorni; la mia famiglia cominciava insensibilmente ad abituarsi a
questa idea di nuove prove, alle quali mi vedeva risoluto; e se non
poteva convincersi di questa necessità, sentiva di doversi rassegnare
alla sorte. Mia madre dapprima si mostrò disperata, mio padre andò
in collera, dicendo che io non finiva, più, che ero troppo fanatico,
che ero un egoista, che non pensavo mai a lui, che egli era vecchio,
stanco, sfinito, che aveva bisogno della mia assistenza. Io lasciavo
passare tutte queste burrasche, rispondendo con poche parole, e talora
pungenti, che facevano breccia.
La notizia giuntaci da Venezia della creazione dei _Cacciatori delle
Alpi_ mi decise intieramente, e alfine tutti dovettero piegarsi alla
mia volontà di partire.
Bortolo che aveva riprese con piacere le sue occupazioni pacifiche, e
si sentiva poco disposto a ritornare alle fatiche ed ai pericoli della
guerra, si mostrò esitante nelle nostre dispute di famiglia, ma quando
mi vide risoluto ad accorrere a Venezia cogli altri, provò qualche
vergogna delle sue incertezze, e si dimostrò deciso ad accompagnarmi.
La Betta si opponeva con tenace resistenza, e diceva a suo figlio: «Ti
proibisco di allontanarti da Pieve, sei figlio di madre vedova, e devi
sostenere la mia vecchiaia.» Questa opposizione lo pungeva, ed egli
le osservava che la sua vecchiaia non aveva bisogno di aiuti, perchè i
suoi buoni padroni non la avrebbero mai abbandonata.
Quando mi vide fare seriamente gli apparecchi per la partenza, mi
dichiarò apertamente che mi avrebbe seguito, e che niente avrebbe
potuto arrestarlo.
La Betta rinnovò con maggior energia la sua proibizione, dicendogli
severamente: — Tu devi obbedire tua madre!... — Si, sempre!... egli le
rispose, meno quando mi ordina di non fare il mio dovere!...
Alfine tutti dovettero cedere, e furono ammirabili in questo nuovo e
doloroso sacrifizio! Decisa la mia partenza, i miei stessi genitori
desiderarono che Bortolo mi accompagnasse, e così anche la Betta
dovette rassegnarsi.
Io mi credeva il più forte di tutti, ma all'ultimo momento mi mancò
ogni coraggio, e sentii profondamente il dolore della separazione di
quanto aveva di più caro sulla terra!...
Si scambiarono molti baci, cogli occhi velati dalle lagrime, colla voce
soffocata dall'emozione. L'addio della partenza fu una lacerazione
violenta, e straziante. Uscii di casa che non vedevo più nulla. Udii
un grido disperato, un singhiozzo angoscioso al quale risposero altri
singhiozzi....
Bortolo mi aiutò a salire in carrettina, mi si sedette vicino... e
si trottava verso Tai che ancora l'interna lotta sconvolgeva i miei
pensieri in un caos, e gli oggetti esterni mi passavano davanti
confusi, come nell'ambiente vaporoso di un sogno.
Il vecchio Anselmo guidava la Nina, e così tutti i vecchi del Cadore
ritornavano dalla giubilazione al servizio attivo, perchè i giovani
erano tutti scomparsi.
Prima di uscire dalla Valle di Pieve ci rivolgemmo entrambi un'ultima
volta a salutare il paese ed io sentiva un vuoto profondo dentro di me.
Il mio cuore era restato al roccolo di Sant'Alipio; e pensavo che forse
non avrei veduto mai più il nido di Montericco!...
Quando siamo discesi a Perarolo, la gente che ci vedeva passare ci
salutava cordialmente con un sorriso amichevole ed un cenno del capo
che era una manifesta approvazione alla nostra partenza. C'intendevamo
senza parlare; tutti indovinavano che si andava a riprendere le armi, e
ad offrire il nostro sangue per la liberazione della patria.
Anche a Longarone non c'erano più giovani, e i vecchi patriotti ci
stringevano la mano con affezione dicendoci: — Bravi... bravi... fate
buon viaggio... e felice ritorno....
Queste dimostrazioni cortesi ci infondevano il coraggio che avevamo
perduto al momento della partenza, e siamo giunti a Serravalle
tranquilli e soddisfatti d'aver seguita la via dell'onore, ove la
bandiera italiana raccoglieva nuovamente gl'intrepidi difensori del
Cadore.
È inutile che ti racconti tutti i giri e raggiri che abbiamo dovuto
fare, per deludere l'attiva sorveglianza degli austriaci, ma in questa
lotta fra la vigilanza e l'astuzia siamo riusciti vincitori... ed
eccoci da poche ore a Venezia. —
Finito il racconto di Tiziano, Michele aveva ancora molte curiosità da
soddisfare, per cui le ciarle continuarono un bel pezzo, e si convenne
sul modo di vivere insieme, e su quanto era da farsi. Poi i due giovani
si recarono da Calvi, e presero con lui gli opportuni concerti. E
quando Calvi stringeva la mano di un cadorino pareva che rivedesse un
fratello.
Il giorno seguente Bortolo veniva arruolato nei _Cacciatori delle
Alpi_, ed entrava in caserma ove trovava gli antichi commilitoni; e
Tiziano ripreso il suo grado di ufficiale si alloggiava in una stanza
vicina a quella di Michele, e prendeva conoscenza alla sua volta, della
vita che il suo amico conduceva a Venezia.


XIII.

Non erano le sole imprese guerresche che tenessero occupato Michele, il
quale divideva le sue occupazioni fra la difesa dei forti, e l'assedio
di una terrazza. Le milizie alternavano i giorni di servizio con quelli
di riposo, e così il suo tempo si trovava diviso fra le ore nelle quali
arrischiava la vita e quelle che impiegava per consolarla.
S'era trovato un alloggio all'ultimo piano d'una vecchia casa, per
combinare l'economia col bisogno d'aria e di sole, e di là poteva
vedere la laguna sopra i tetti delle case, e respirare l'aria pura
ad un'altezza che gli rammentava le montagne. Per giungere a tale
dimora, partendo da piazza San Marco, era necessario di percorrere
mezza Venezia; introducendosi in calli storte ed anguste sotto alte
case passare per sotto portici e viottoli misteriosi, attraversare
rivi e canali tortuosi, sopra ponti in isbieco da dove si vedevano
case rientranti e sporgenti, poggiuoli di ferro e di marmo, balconi
gotici, marmi orientali e mattoni scalcinati, come le quinte d'un
teatro, che devono servire a varie rappresentazioni, e che si trovano
miste e confuse fra loro. E tutto questo ammasso di fabbriche, palazzi,
casipole e catapecchie sorgeva dall'acqua nel buio, si alzava a varie
altezze, e nei piani più elevati un bel raggio di sole sbatteva i muri
a sghimbescio, illuminando abbaini, loggie, e camini a cono tronco
rovesciato.
Si entrava nella sua casa per un andito tenebroso, verdognolo per
vegetazioni muscose prodotte dall'umidità permanente, e dalla luce
assente, e si saliva per una scala tortuosa, che non finiva mai,
fino che giunti all'ultimo piano, e aperta la porta della camera, si
entrava in un'onda di luce che penetrava da due larghe finestre sempre
spalancate, dalle quali si vedeva da lontano, sopra i tetti, un ampio
spazio turchino di laguna, a macchie gialle prodotte dai bassi fondi,
solcato da battelli e barche di pescatori, con qualche gondola raminga,
e qualche vela riflessa nelle onde.
Era un orizzonte infinito come in cima d'un campanile.
La casa dirimpetto, più bassa della sua, finiva con due camerette a
piccoli balconi ed era fiancheggiata da una di quelle terrazze che a
Venezia si chiamano _altane_.
Michele alla finestra contemplava estatico l'ampio panorama che gli
si stendeva davanti, e fumava in una pipa turca. Un giorno che stava
meditando sulle tristezze della vita solitaria, una vezzosa apparizione
attirò i suoi sguardi all'altana.
Una bella ragazza, di forme snelle, si mise a stendere il bucato sopra
le cordicelle appese alle pertiche fissate negli angoli, cantando una
canzonetta veneziana con voce melodiosa, che armonizzava perfettamente
coi delicati lineamenti d'un pallido viso, illuminato da due grandi
occhi vivaci che brillavano sotto una fronte serena incoronata da
morbide treccie di capelli castani.
Allora era l'epoca della fratellanza universale alimentata da
curiosità, da speranze, da timori comuni, nella quale tutti
si parlavano senza conoscersi, e colle reciproche confidenze
in pochi istanti si stabiliva l'intimità. Michele salutò la
fanciulla che cortesemente rispose, dapprima scambiarono qualche
parola insignificante, ma a poco a poco acquistarono confidenza e
s'intrattennero a parlare degli affari del giorno. Essa era lieta di
poter aver notizie della guerra da un _Cacciatore delle Alpi_, ed egli
era felice di poter conversare con una graziosa vicina e riposare gli
occhi sopra un bel viso giovanile, che rasserenava il suo spirito.
Lo sguardo della donna è sprone alla gloria, nè si potrebbero
comprendere le giostre dei tempi cavallereschi senza la presenza
incoraggiante delle dame che assistevano ai combattimenti, e
ricompensavano i prodi vincitori. Quella modesta altana, sorgente
sopra un povero tetto, in un angolo romito di Venezia, esercitava
la sua influenza elettrica su tutti i forti della città, nei quali
Michele portava successivamente gli ardori accesi dalle scintille di
due begli occhi. Gli occhi di Maria avevano fatto di Tiziano un eroe
delle Alpi, gli occhi della bella veneziana facevano di Michele un eroe
della laguna. Come le immagini che si venerano sugli altari possono
rappresentare la divinità, così il volto d'una donna, può personificare
la patria, e Michele sentiva da lontano quello sguardo che gl'infondeva
audacia davanti il nemico, e lo rendeva più risoluto in faccia al
pericolo. E quasi tutti quei giovani soldati erano legati da quei fili
invisibili che facevano balzare i loro cuori di ardente entusiasmo
per Venezia, che riassumeva tante attrattive e tante passioni
personificando la bellezza, l'amore, la patria.
Nei forti di Marghera, di Brondolo e di Chioggia, si lottava non solo
colle artiglierie austriache, ma ancora colle insidie d'un nemico
nascosto fra le canne palustri, e le acque stagnanti, che infondeva
nelle membra dei combattenti la squallida febbre. E quando Michele
ritornava sfinito dalle fatiche e dai pericoli della difesa, un bel
sorriso lo attendeva dirimpetto ai suoi balconi, e gli pareva che
quella ragazza con uno sguardo riconoscente lo ricompensasse di tutte
le pene.
Il blocco chiudeva la città per terra e per mare, i viveri cresciuti di
prezzo rendevano assai cara la vita, ma nessuno si lamentava, e tutti
cercavano di ingegnarsi per non aggravare le tristi condizioni con vane
recriminazioni. Michele vedeva ogni notte un lumicino che ardeva nella
povera cameretta dirimpetto, e la fanciulla dell'altana che lavorava
assiduamente fino ad ora avanzata. Ammirando quella vita laboriosa,
ne prese vivo interesse, e afferrata ogni occasione d'interrogarla non
tardò molto a conoscere il nome, e la semplice storia della sua bella
vicina.
La Gigia era una povera e onesta fanciulla. Rimasta orfana ancora
bambina, era stata allevata e custodita dalla nonna che le aveva
insegnato il suo mestiere di cucitrice.
La nonna era una vispa vecchietta, che apparteneva all'ultima
generazione della repubblica, nella quale aveva vissuto allegramente
nella prima gioventù, e rimpiangeva sempre quei bei tempi color
di rosa, deplorando tutti i mali successivi come se fossero i soli
frutti del secolo presente, e le naturali conseguenze del governo
straniero che detestava a suo modo, cioè burlandosi dei tedeschi,
della loro dabbenaggine e spilorceria che, messa a confronto col
fasto e le pompe dei nobili del suo tempo, le pareva una vera miseria.
Colpita dagli acciacchi della vecchiaia, che attribuiva in gran parte
all'influenza dei tempi, conservava tuttavia il suo umore brioso, e
raccontava piacevolmente le balordaggini attribuite ai tedeschi, sempre
disprezzati dal popolo veneziano che li trattava da bambocci, non
ignorando che erano entrati in Venezia non per merito di vittorie, ma
per semplice effetto d'un trattato diplomatico, stipulato dall'Austria
con Buonaparte traditore della repubblica. Fino l'ultima plebe di
Venezia sentiva un certo orgoglio delle cadute grandezze dell'antico
governo di San Marco, e calcolava che i tedeschi non conservassero
il dominio che per la sola forza materiale prevalente, caduta per
sorpresa, come un peso morto sulle spalle del leone, il quale appena
aveva potuto muoversi se n'era liberato. E per tali idee il popolino
Veneziano trattava i dominatori colla superiorità del disprezzo, dava
del tu a tutti i soldati, si burlava della loro bonarietà, pareva
sentisse che i suoi quattordici secoli d'indipendenza e di grandezza,
gli dessero i diritti dei vecchi sui bimbi. La nonna Giovanna era
stata moglie d'un marinaio della repubblica, di quelli che avevano
accompagnato Angelo Emo sulle coste dell'Africa, e nell'ultima
spedizione di Tunisi, e avvezza fino dall'infanzia ad ammirare la
destrezza dei marinai veneziani nel maneggio del loro mestiere, si
sbellicava dalle risa quando vedeva dei soldati tedeschi imbarazzati
a condurre una barca di pagnotte nei canali, ove ingarbugliavano i
remi dentro o sotto le altre barche, con pericolo di cadere in acqua,
e il gondoliere che passava rapidamente, tenendosi ritto sulla gondola
leggiera, li trattava da ragazzi principianti, e li canzonava, dicendo
loro in aria di protezione: — «Andè a casa putei, che no i xe afari per
vualtri!»
Divenuta vecchia la Giovanna doveva lavorar cogli occhiali, il lume
della lucerna le indeboliva gli occhi sempre più, e la Gigia la mandava
a letto per tempo, e lavorava soletta fino che il sonno le faceva cader
la testa sul lavoro, ma non voleva che la povera nonna avesse a mancare
di nulla.
— Quella sarebbe una donnetta per me!... pensava Michele, se dopo la
guerra potessi stabilirmi a Venezia, a fare l'avvocato, perchè non
sarebbe mai possibile di condurre quella colomba nella tana dell'orso;
— chè con tal nome chiamava sempre suo zio.
E con tali idee si diportava colla fanciulla da vero galantuomo, senza
dichiarazioni avventate e fuori di tempo, procurando di meritare la
sua fiducia, e la sua amicizia, e di entrare nelle buone grazie della
nonna, il che non era tanto difficile per un difensore di Venezia, —
bastava che si mostrasse sempre pronto a respingere i tedeschi, e fosse
di buon umore, e ben disposto a riconoscere che Venezia era la più
bella città del mondo, e il governo della repubblica, il migliore dei
governi.
Appena Tiziano prese possesso della camera vicina, Michele lo presentò
alle sue nuove conoscenze, come un compatriotta, che quantunque fatto
sposo d'una buona e brava ragazza tuttavia arrischiava la vita per la
patria pensando che il dovere del buon cittadino deve passare prima di
tutto.
Gigia ammirò la virtù del nuovo vicino, lo osservò col più vivo
interesse, raccontò alla nonna la condizione del giovane....
— Deve essere un bravo figliuolo, rispose la nonna, non dico che il
signor Michele sia da meno di lui... ma talvolta ha dei tiri da matto.
La Gigia ridendo raccontò a Michele il giudizio della nonna, ed egli le
rispose:
— La nonna va perfettamente d'accordo con mio zio orso, e a guerra
finita procureremo di combinare il loro matrimonio, così io ci
guadagnerò una bella cuginetta.... e ridevano di cuore.
Quelle buone donne s'erano fatta una dolce abitudine della
conversazione dei vicini, cosicchè se mancavano un giorno di
presentarsi alla finestra, era per loro una vera privazione, e per
godere più spesso della lieta compagnia, li invitarono a salire alla
loro dimora. Michele ne fu felice, e la relazione assunse il carattere
d'una amichevole intimità, soddisfacente per tutti quattro. I giovani
salivano allegramente quelle scale, e passavano qualche ora in vivace
conversazione, le donne intente al lavoro, i due ufficiali occupati a
raccontare le vicende dell'assedio.
Quando i due amici erano liberi entrambi ci andavano insieme, quando
uno era di guardia l'altro andava solo. Però in mezzo ai lieti
conversari c'era sempre un grave pensiero dominante da parte delle
donne — il pericolo al quale erano esposti quei bravi giovani.
Venezia abbandonata da tutti si difendeva eroicamente. Le batterie
nemiche fulminavano le fortificazioni, ove i soldati dovevano rimanere
al loro posto per dodici ore continue. Quando tuonavano le artiglierie
dai tre forti di San Secondo, Sant'Antonio, e San Giuliano, il popolo
veneziano diceva che i tre santi erano in baruffa.... e la baruffa fu
lunga e tremenda. Quando Michele raccontava le scene di lutto che erano
avvenute sotto ai suoi occhi, le donne impallidivano, e sospendevano il
lavoro assorte in dolorosi pensieri. Egli non parlava che di feriti,
di morti, di rovine. Quando Michele era di guardia, Tiziano solo
andava a visitare le vicine, e allora la Gigia gli domandava mille
cose di Maria, e il giovanotto le narrava i suoi amori descrivendole
il roccolo di Sant'Alipio, e il nido di Montericco. Egli si teneva in
continua corrispondenza colla famiglia e con Maria per mezzo di Giacomo
Croda che faceva il contrabbando, e introduceva a Venezia ogni sorta
d'oggetti specialmente di provianda, sfuggendo con rara destrezza alla
severa sorveglianza del blocco.
Bortolo faceva il suo dovere come soldato, e quando non era di servizio
e poteva uscire dalla caserma andava a zonzo per Venezia, il naso in
aria e le mani in saccoccia, arrestandosi a bocca aperta davanti i
monumenti e le chiese, e soffermandosi ad esaminare attentamente le
mostre delle botteghe, guardando dagli orefici se vi fossero degli
orecchini di filigrana non troppo cari, e pensando che prima di
ritornare in Cadore li avrebbe comperati per regalare a sua madre
un bel ricordo. Girando per la città aveva anche incontrato dei
compatriotti, e rinnovate delle conoscenze cogli offellieri cadorini
di San Vito e di Borca stabiliti a Venezia, e coi venditori di _zaleti_
(pane di granoturco), coi fabbricanti di _storti_ (cialdoni) e di panna
montata, e nelle ore perdute andava ad aiutare un suo compatriotta a
maneggiare la pasta, in un'offelleria, e raccoglieva in quei negozi
le ciarle, i pettegolezzi e le notizie politiche popolari, che poi
andava a comunicare al suo padrone ed a Michele. Ma nei primi tempi
della sua dimora, ogni volta che voleva recarsi a trovarli in casa si
smarriva per via, e faceva doppia strada, non sapendo raccapezzarsi
in quel complicato labirinto di calli, ponti, vicoli, rivi e canali
che lo mettevano nell'imbarazzo, e non volendo chiedere l'indirizzo
per trovarlo da sè, giungeva ansante e trafelato, lamentandosi delle
vie troppo strette, delle case troppo alte, dei canali infetti, e
rimpiangendo le sue montagne, le case basse, l'odore del fieno, e la
Nina.
Cercavano di consolarlo, gli facevano raccontare quelle notizie che
li metteva di buon umore per la ingenua stranezza. Un giorno egli
annunziava il prossimo arrivo di centomila ungheresi, che sbaragliato
l'esercito austriaco accorrevano a liberare Venezia; un altro giorno
era la flotta Sarda che si avvicinava, o i francesi che scendevano le
Alpi accorrendo in aiuto dell'Italia.... E siccome non mancava mai
di accorrere in piazza ad ogni annunzio di pubblica solennità, così
aveva sempre qualche cosa da descrivere, dimostrazioni, attruppamenti,
fischi ed applausi, annunzi di trionfi di vittorie o di tradimenti che
circolavano nella folla.
E s'ingarbugliava nella narrazione di tante cose, mescolando le grandi
colle piccole, e non sapendo render ragione di nulla. Manin, Pio IX,
San Marco, la repubblica, Carlo Alberto e Mazzini si confondevano nella
sua ammirazione, colla solenne inaugurazione del caffè Bassi e del
caffè Gavazzi, che avevano preso i nomi dei due frati patriotti per
attirare la gente allo spaccio. E non poteva perdonare agli italiani
delle altre regioni di ritardare la liberazione di Venezia, lasciandola
tanti mesi senza soccorsi e senza viveri, in mezzo a tutta quell'acqua,
ove c'era da marcire.
Talvolta lo mandavano dalla Gigia con qualche prodotto delle fabbriche
Cadorine, scelto da lui nelle pasticcierie dove prestava i suoi
servigi, e quando la ragazza rosicchiava i croccantini facendone
l'elogio, Bortolo vantava il mestiere de' suoi compatriotti, esperti
pasticcieri, spiegava i segreti di quelle ghiotte manipolazioni, e li
giustificava di non poter far meglio, perchè cominciavano a mancare
molti ingredienti, divenuti irreperibili a motivo del blocco.
— E se non fosse Giacomo Croda, egli diceva, la sarebbe finita per gli
offellieri; perchè....
— Perchè?.. domandava la Gigia.
— Perchè mancavano gli ovi... e le galline... i tedeschi non lasciano
passar nulla, e non ci mandano che palle di tutti i calibri... che
romperebbero gli ovi... se ce ne fossero... ma....
— Ma ce ne sono pochi, diceva la Gigia.
— Quelli soli che Giacomo Croda fa passare in faccia ai cannoni
tedeschi, e sotto le fucilate... senza romperne mai uno!...
La nonna rideva allegramente della dabbenaggine dei croati, che con
tutte le loro artiglierie non sapevano rompere le uova nel paniere del
bravo cadorino, che le portava felicemente a Venezia.
Ed alla sera nella conversazione coi giovani ufficiali Bortolo
diventava il protagonista della commedia, e si raccontavano ridendo le
espressioni della sua ingenuità; ma dopo tutto non mancava di qualche
merito che lo rendeva stimabile. Era onesto e fedele, ed offriva il
suo sangue alla patria, non chiedendo altro compenso che di vederla
liberata dagli stranieri.
E ce n'erano tanti di quei bravi giovani, pronti ad ogni sacrifizio con
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Il roccolo di Sant'Alipio - 13
  • Parts
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 01
    Total number of words is 4274
    Total number of unique words is 1804
    33.3 of words are in the 2000 most common words
    48.1 of words are in the 5000 most common words
    56.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 02
    Total number of words is 4356
    Total number of unique words is 1767
    38.8 of words are in the 2000 most common words
    55.2 of words are in the 5000 most common words
    62.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 03
    Total number of words is 4381
    Total number of unique words is 1718
    39.5 of words are in the 2000 most common words
    56.2 of words are in the 5000 most common words
    63.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 04
    Total number of words is 4337
    Total number of unique words is 1844
    34.5 of words are in the 2000 most common words
    52.0 of words are in the 5000 most common words
    60.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 05
    Total number of words is 4345
    Total number of unique words is 1795
    36.1 of words are in the 2000 most common words
    51.6 of words are in the 5000 most common words
    60.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 06
    Total number of words is 4326
    Total number of unique words is 1785
    36.5 of words are in the 2000 most common words
    51.5 of words are in the 5000 most common words
    59.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 07
    Total number of words is 4346
    Total number of unique words is 1753
    33.9 of words are in the 2000 most common words
    49.6 of words are in the 5000 most common words
    58.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 08
    Total number of words is 4370
    Total number of unique words is 1788
    34.2 of words are in the 2000 most common words
    49.2 of words are in the 5000 most common words
    57.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 09
    Total number of words is 4415
    Total number of unique words is 1769
    33.7 of words are in the 2000 most common words
    49.2 of words are in the 5000 most common words
    56.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 10
    Total number of words is 4379
    Total number of unique words is 1773
    38.4 of words are in the 2000 most common words
    53.8 of words are in the 5000 most common words
    62.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 11
    Total number of words is 4468
    Total number of unique words is 1768
    37.3 of words are in the 2000 most common words
    53.7 of words are in the 5000 most common words
    62.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 12
    Total number of words is 4434
    Total number of unique words is 1754
    36.5 of words are in the 2000 most common words
    52.2 of words are in the 5000 most common words
    61.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 13
    Total number of words is 4284
    Total number of unique words is 1821
    32.9 of words are in the 2000 most common words
    49.9 of words are in the 5000 most common words
    58.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 14
    Total number of words is 4390
    Total number of unique words is 1660
    37.5 of words are in the 2000 most common words
    53.7 of words are in the 5000 most common words
    61.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 15
    Total number of words is 4409
    Total number of unique words is 1824
    35.7 of words are in the 2000 most common words
    51.0 of words are in the 5000 most common words
    59.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 16
    Total number of words is 4335
    Total number of unique words is 1760
    36.8 of words are in the 2000 most common words
    53.8 of words are in the 5000 most common words
    62.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 17
    Total number of words is 4321
    Total number of unique words is 1784
    37.0 of words are in the 2000 most common words
    53.7 of words are in the 5000 most common words
    61.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 18
    Total number of words is 3555
    Total number of unique words is 1553
    34.8 of words are in the 2000 most common words
    51.0 of words are in the 5000 most common words
    58.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.