Il roccolo di Sant'Alipio - 14

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odore di brodo salì alle narici del povero soldato italiano, che non
aveva preso cibo dalla mattina, e quelle esalazioni gl'inasprirono
talmente la fame, che forse si sarebbe deciso a rendersi prigioniero,
se fosse stato sicuro di aver la sua parte del rancio. Ma guardando
i ceffi neri di quei barbari, rischiarati dalla luce sinistra del
fuoco che si andava spegnendo, gli parve di non essere abbastanza
sicuro, e preferiva morire di fame piuttosto di cadere in quelle
mani. Poi osservando un bel pezzo di carne nuotante nel brodo, si
sentì l'acquolina in bocca, e si mise a pensare se fosse possibile
d'impadronirsene con qualche stratagemma. Forse l'apparizione
impreveduta ed istantanea d'un fantasma notturno, forse la comparsa
del diavolo, sorprendendo di notte in una foresta quel drappello
avrebbe potuto metterlo in fuga precipitosa.... Ma il tentativo gli
parve troppo audace, e poco sicuro, e guai se non fosse riuscito. In
ogni caso, supposto anche un improvviso sgomento che li avesse fatti
fuggire, c'era da scommettere cento contro uno che sarebbero fuggiti
colla carne, e in tale previdenza non conveniva arrischiare la vita,
e lo spettatore digiuno si rassegnò anche a questo sacrificio, e li
vide farsi le parti, e divorarle, e trasportare altrove alcune marmitte
destinate ad altri soldati che attendevano certamente in altre parti
del bosco.
Poco dopo, cambiate le sentinelle, si distesero sulle foglie secche che
avevano raccolte, e si misero tranquillamente a dormire.
Durante il silenzio della notte Tiziano non udì altro rumore che il
lontano muggito del mare, e il fischio di qualche uccello palustre,
e sorpreso dal sonno dormì come gli fu possibile in quell'incomoda
posizione.
Prima dell'alba il tamburo tedesco che suonava a raccolta si fece
sentire da lontano, i tedeschi si alzarono in fretta, indossarono i
sacchi, presero i fucili e le marmitte, e partirono.
Il giovane cadorino mandò un profondo sospiro come se gli avessero
levato un peso dal petto, potè stendere le membra aggranchite e
dolorose per la lunga immobilità, ma non osò ancora discendere, e
stette qualche tempo ad ascoltare, con grande attenzione.
Il suono del tamburo si allontanava, il sole era già alto, e tutti gli
indizi raccolti gli facevano presumere che i tedeschi ritirandosi nei
paesi vicini avessero abbandonato il bosco, e i suoi dintorni.
Poi il belato d'una pecora che giunse al suo orecchio parve
rassicurarlo maggiormente, col pensiero che se i pastori uscivano
al pascolo, era sicuro indizio che il terreno circostante si trovava
affatto sgombro da soldati.
Scese dunque dall'albero, guardò intorno, ascoltò nuovamente, e non
vide nè udì nessuna cosa sospetta, anzi il belato della pecora si
avvicinava, e lo rendeva più tranquillo e sicuro. Osservò attentamente
sul terreno se gli fosse dato di scorgere qualche avanzo del festino
al quale aveva assistito; un boccone di vecchia pagnotta gli sarebbe
sembrato un dono prezioso della divina provvidenza; ma non restavano
nemmeno le bricciole. Bisognava rassegnarsi per forza, ed avviarsi
verso Brondolo, ove non gli sarebbe mancato nessun soccorso. Si
incamminò da quella parte, e poco dopo vide la pecora che pascolava
tranquillamente al piede d'un albero, alzando talvolta la testa per
mandare qualche belato, come se chiamasse le compagne dell'ovile.
Tiziano cercò di qua e di là le altre pecorelle e il pastore, per
chiedergli qualche informazione, ma invano.
Era evidente che la povera bestia requisita il giorno prima, era stata
perduta dai conduttori nella confusione della raccolta, e nella fretta
di far avanzare tanti animali diversi per imbarcarli in tempo, prima
d'un attacco nemico.
In tale supposizione la pecorella smarrita apparteneva al governo
di Venezia che l'aveva pagata coi buoni, e bisognava condurla al suo
destino.
Tiziano tirò di tasca il fazzoletto, lo assicurò al collo della
pecora e cercò di trascinarla con sè, ben lieto di non ritornare ai
compagni colle mani vuote. Ma la bestia invece di seguirlo si ostinava
a pascolare l'erbetta appetitosa del bosco, e il giovane ufficiale
procurava di farla camminare, ora invitandola colla mano come se
le offrisse del sale, ora spingendola per di dietro. Intento a tali
manovre non tardò molto ad avvedersi che la pecora era da latte, e
questa gli parve davvero una stupenda scoperta. Aveva sete, e bisogno
d'alimento, e il latte poteva soddisfare a queste due necessità; si
mise dunque a mungerla con una mano studiandosi di raccogliere il latte
nell'altra, ma ne poteva conservare assai poco.
Allora si decise di lasciarla pascolare in pace, e coricandosi a
terra prese un capezzolo in bocca, come fosse un agnello, e assaporò
lentamente e voluttuosamente quel latte caldo e sostanzioso, che fu
per lui un vero balsamo, ed una colazione di gran lusso, per un povero
soldato del blocco di Venezia, smarrito in un bosco.
Si è in tale deliziosa occupazione che venne sorpreso da una pattuglia
austriaca, che gli arrivò addosso improvvisamente senza che l'avesse
nè veduta nè udita. Appena un rumore di passi vicini gli fece alzare
la testa, egli si vide circondato dai soldati tedeschi colle baionette
abbassate.
Il caporale gli disse alcune parole in tedesco, che egli non intese, ma
indovinò benissimo che gl'intimavano l'arresto.
Tiziano sbalordito restava seduto sull'erba guardando in faccia i
soldati, senza rendersi conto della situazione. Ma quando dovette
alzarsi e gli fu tolta la spada, e si trovò prigioniero fra i tedeschi,
e vide che un soldato si tirava dietro la pecora, legata ancora col
suo fazzoletto, che doveva servire come corpo del delitto di violazione
del blocco, allora comprese la gravità della sua condizione, e si vide
perduto.
Dopo d'averlo fatto camminare per un bel pezzo di strada, lo
introdussero in una casa isolata, ove una sentinella faceva guardia
alla porta, in fianco alla quale alcuni soldati fumavano la pipa. La
pattuglia condusse il prigioniero in una camera invasa dal fumo del
tabacco, nella quale sedeva un sergente davanti un tavolo coperto
di carte, fiancheggiato da varie sedie vuote. Il caporale parlò al
sergente in tedesco, e poi si tirò da parte coi soldati. Il sergente,
che borbottava un po' d'italiano, spiegò in poche parole al prigioniero
la sua condizione.
— Voi trovato pattuglia oltre linea plocco con pestia per introducione
Vinedig!... Capitano assente — presto torna. — Voi sicuro poche ore
fucilato dietro muro....
Poi rimettendosi in bocca la pipa, apparecchiò un foglio di
carta, prese una penna, la intinse nel calamaio, e incominciò
l'interrogatorio, domandandogli:
— Nome, cognome, patria, contitione.
— Tiziano Lareze, rispose il giovane, ufficiale dei Cacciatori delle
Alpi, nativo di Pieve di Cadore....
A tali parole il sergente alzò la testa, si levò la pipa di bocca, e
facendo un terribile sberleffo, gli chiese con due occhi da basilisco.
— Ti stato forse in Cadore con pricanti.... anno passato?...
— Coi briganti no! disse Tiziano, ma coi miei compatriotti cadorini ho
difeso la patria, come era mio dovere!...
— Catorina grande canaglia!... esclamò il sergente — fatta guerra coi
sassi!... e mi quasi morto!... ma ti morto sicuro domani!...
E dopo una breve sosta, durante la quale mandò fuori dalla bocca tre o
quattro rapide sbuffate di fumo, riprese a dire:
— Nostra compania quasi tutta morta sotto montagne!.... ti paga
per tutti!.... — poi rivolto al caporale gli disse alcune parole in
tedesco, e questi preso per un braccio il prigioniero, lo condusse in
una stanza, chiuse il balcone e la porta, e lo lasciò solo nel buio.
Pochi istanti dopo il sergente batteva alla porta per ammonirlo:
— Se ti mette testa al palcone, ti stato subito morto. Aspetta un poco,
processo sommario... poi tutto finito presto!...
Tiziano sapeva benissimo che le leggi di guerra sono sempre
implacabili, e che non aveva nulla a sperare, ma la sua condizione
era tanto più terribile quanto più i tedeschi dovevano essere ancora
irritati dalla recente sortita di Brondolo, alla quale non avevano
potuto impedire quelle numerose requisizioni che erano andate a
vettovagliare Venezia. Il colmo poi della sua sventura consisteva nel
dover comparire davanti un consiglio di guerra composto da militari
battuti in Cadore, e fortemente indignati per le terribili disfatte che
avevano subite. Bisognava dunque apparecchiarsi a lasciare il mondo fra
breve, ed era vano sperare misericordia.
Con tali pensieri il prigioniero camminava lentamente su e giù nella
stanza nella quale era rinchiuso, rivolgendo la mente alle persone più
care che doveva disporsi a non vedere mai più!
La stanza nella quale fu introdotto Tiziano faceva parte d'una povera
casa rurale, occupata dai soldati dopo la fuga dei coloni. Non aveva nè
inferriate nè invetriate, ma imposte rotte dalle quali sarebbe stato
agevole di uscire, se le sentinelle non fossero state pronte a tirare
al minimo tentativo di fuga. La porta era chiusa esternamente da un
catenaccio sconnesso, e senza chiave. Ma si udivano i passi dei soldati
che vigilavano attentamente, da ogni parte. La sorveglianza era tanto
più rigorosa, quanto doveva essere più breve, essendo evidente che
coloro che venivano sorpresi sul fatto a violare le leggi del blocco,
restavano poche ore in quella camera, e dopo un breve processo sommario
e spicciativo, venivano adossati al muro esterno della casa e fucilati.
— È finita!... pensava Tiziano, seguitando a girare per la camera al
barlume che entrava dalle fenditure delle imposte, e dopo qualche
tempo, avendo scorto un materasso in un angolo, vi si lasciò cader
sopra estenuato dalle violenti emozioni del giorno, che gli abbattevano
terribilmente le forze; e pensava:
— Ancora poche ore e sarò morto!... quanto meglio sarebbe stato se
una buona palla mi avesse ucciso nel fervore della mischia, o in quel
giorno famoso di Ricurvo, o sui forti di Venezia... o nella sortita di
ieri!...
Poi rivolgeva il pensiero al Cadore, a Maria ed al roccolo di
Sant'Alipio, alla sua famiglia, alla sua povera madre, al vecchio
padre infelice, a Michele, alla Gigia, alla gentildonna Marina, a
Bortolo, ai commilitoni!... forse nessuno verrà mai a sapere in qual
modo ignobile sarò morto!... fucilato in fianco ad un muro, vicino i
paludi, nella squallida solitudine, a poco più di venti anni!... senza
gloria!... povera patria!... povera Italia, quanti martiri ignoti
saranno necessari ancora alla tua indipendenza?... .... Possano un
giorno gl'italiani liberati dagli stranieri non dimenticare giammai
la tirannide del loro dominio... i martiri che ne furono vittime!...
l'umiliazione... la vergogna del paese, espiate con tante lagrime e con
tanto sangue!...
E poi tutte queste riflessioni, tutti i nomi e le persone più care
gli si confondevano nella mente esagitata, in una specie di sogno
d'agonizzante.
Le ore passavano lente, affannose, piene di paurosi fantasmi. Egli
ascoltava ansioso ogni calpestio, aspettando il momento di comparire
davanti il tribunale di guerra, che doveva condannarlo, e gli pareva
di udire la sentenza di morte, di vedere il drappello che lo conduceva
all'esecuzione... gli bendavano gli occhi, e traforato dalle palle
cadeva....
Rimase tutto il giorno in quella dolorosa aspettativa; i soldati
andavano e venivano, in movimento continuo; udiva cambiare le
sentinelle, uscire e rientrare le pattuglie, udiva i loro dialoghi
tedeschi, e soffriva di non poterli comprendere.
A poco a poco la camera divenne affatto buia, e si avanzava la notte,
quando udì ad un grido della sentinella, che tutti i soldati correvano
ai loro fucili, ed a mettersi in rango. Allora ebbe un raggio di
speranza, credendo ad una nuova sortita da Brondolo, all'arrivo
de' suoi liberatori, alla fuga dei tedeschi, ma non tardò molto ad
avvedersi della vana illusione. I soldati erano corsi sotto le armi
scorgendo da lontano i loro superiori che si avvicinavano, e pensò
che il Consiglio di guerra si avanzava per venire a giudicarlo. Allora
riflettendo ai continui pericoli delle sorprese che molestavano spesso
gli assedianti, comprese benissimo e trovò naturale che durante il
giorno stessero in continua sorveglianza, e non si occupassero d'altro,
e che si raccogliessero di notte in consiglio di guerra per prendere
gli opportuni provvedimenti, o per giudicare gli arrestati in flagrante
violazione delle leggi, che venivano poi fucilati al levare del sole.
Infatti udì che si spalancavano le porte della camera vicina che
serviva di ufficio, s'accorse che accendevano i lumi, sentì entrare un
personaggio che doveva essere un capo, conobbe la voce del sergente che
gli faceva il rapporto, e certo gli rendeva conto della cattura.
Dopo un lungo silenzio durante il quale non sentiva che i battiti del
proprio cuore, e delle arterie ai polsi ed alle tempie, un comando
militare mise in moto alcuni uomini, la sua porta s'aperse e due
soldati armati di fucile accennandogli di seguirli lo introdussero
nell'ufficio, dove il capitano e il sergente sedevano al tavolo, fra
due candele accese, scartabellando alcune carte. I soldati di scorta
chiusero l'uscio e rimasero ai lati della porta a far guardia. Tiziano
nel mezzo attendeva di essere interrogato.
Il capitano gli fece ripetere le indicazioni già date al sergente, poi
gli disse:
— Voi siete accusato del flagrante delitto di rottura del blocco.
Tiziano voleva parlare, ma il capitano lo fece tacere con un cenno
imperioso della mano, e soggiunse:
— Domani mattina sarete tradotto a Correzzola dove si trova il
Consiglio di guerra, che deve giudicarvi, unitamente ad altri individui
sorpresi dalle nostre pattuglie con viveri destinati a Venezia. Questo
non è che un corpo di guardia avanzato, per la sorveglianza della
linea. — E dopo tale spiegazione lo fece condurre nella sua prigione
provvisoria.
Tiziano si gettò nuovamente sul materazzo col pensiero che quella
era l'ultima notte che passava a questo mondo, e voleva dedicarla
interamente ai suoi cari, vivendo in ispirito con loro le ultime
ore della vita, ma era continuamente distratto da un andirivieni di
gente, e da un ripetersi di comandi che metteva in movimento uomini
ed armi. Indovinò che erano pattuglie notturne che ricevevano gli
ordini e partivano al loro destino. Quel movimento durò circa un'ora,
e finalmente gli successe un perfetto silenzio. Allora soltanto i
pensieri del prigioniero poterono concentrarsi, e dovette provare il
massimo dolore di ricordarsi del tempo felice nella miseria. Rivide il
roccolo di Sant'Alipio, e il nido di Montericco con tale lucidità, che
la sua anima pareva aver abbandonato il corpo per trasportarsi in quei
luoghi diletti, sentiva la voce di Maria, sentiva la freschezza delle
sue labbra che gli davano l'ultimo bacio.... In questo punto la porta
si aperse e vide entrare un uomo rischiarato da un fanale semispento.
Il prigioniero appoggiandosi ad un gomito alzò la testa, e mettendosi
una mano distesa sopra gli occhi per concentrare la poca luce, osservò
attentamente l'uomo del fanale, e conobbe il capitano, il quale,
essendosi avanzato fino a lui, gli disse:
— Alzatevi.... la vostra Maria vi salva la vita....
Tiziano sbalordito non capiva nulla, e chiedeva ansiosamente:
— Maria?... dove è Maria?...
— Essa vi aspetta a Pieve di Cadore.... quando questa maledetta guerra
sarà finita.... Alzatevi e partite.... le direte che il capitano Kasper
Kraus ha fatto il suo dovere. Ora non c'è tempo da perdere. Ho mandato
le pattuglie a diritta ed a sinistra, voi non avete che a prendere la
strada diritta che vi sta dirimpetto, e spero non incontrerete nessuno.
Camminate tranquillamente, domani mattina per tempo sarete al sicuro
sotto le mura di Brondolo.
Così dicendo il capitano aveva spalancato il balcone, e fatto uscire
dalla camera Tiziano, ne aveva chiusa esternamente la porta. Quando
giunsero all'uscio della casa, il capitano mise in mano del giovane un
fiaschetto d'acquavite, un pezzo di pane, e la spada che gli era stata
tolta, e stringendogli la mano, gli disse:
— Addio.... addio.... che il cielo vi salvi.... non perdete tempo....
Tiziano confuso, sgomento, voleva ringraziarlo, ma gli mancavano le
parole. Gli strinse fortemente la mano dicendogli:
— Spero che ci vedremo ancora a questo mondo!... la mia
riconoscenza.... la mia gratitudine....
— Non perdiamo tempo.... andate.... sempre diritto in questa
direzione.... con somma precauzione e prudenza.... non ho mancato di
assicurarvi la strada libera.... ma sapete che un accidente impreveduto
può cambiare ogni cosa.... se ricadete in mano d'una pattuglia mi sarà
impossibile di salvarvi nuovamente. Siate cauto ed avveduto.... io non
posso così fare di più.... addio....
— Il cielo vi compensi!... addio!... — e stringendosi nuovamente la
mano si separarono.
Tiziano si mise la via fra le gambe, nella direzione indicata; e
alzando il fiaschetto alla bocca, sorseggiava ad ogni tratto un po'
d'acquavite per riprendere vigore, o inzuppava un pezzetto di pane, e
lo mangiava camminando. Al minimo rumore si fermava, non osava tirare
il fiato, si accoccolava dietro una pianta od un rialzo di terreno, e
non riprendeva la via che quando era ben sicuro che non c'era pericolo.
Il capitano non rientrò in casa, ma scomparve dalla parte opposta
per un sentiero che penetrava nelle campagne. Al mattino seguente,
ritornando al corpo di guardia, trovò il sergente furibondo per
la fuga del prigioniero e finse di dividere la sua collera, ma gli
fece osservare che alla guerra bisogna sempre tener conto dei fatti
principali, e non curarsi troppo degli accessori. E facendolo sedere
al suo posto nella camera d'ufficio, gli dettò il solito rapporto
sugli avvenimenti della notte, annunziando al Consiglio di guerra che
avendo avuto relazione dagli esploratori che si tentava un colpo per
far entrare a Venezia delle provvigioni, egli era stato costretto di
mandare in pattuglia tutti gli uomini disponibili nei siti indicati
dalle spie, nel qual tempo il prigioniero essendosi senza dubbio
avveduto della partenza dei soldati aveva aperta la finestra ed era
fuggito. Appena avvedutosi della fuga dell'arrestato aveva spedito
nuovamente i suoi soldati per dargli la caccia, e non disperava di
rintracciarlo, per farlo tradurre immediatamente davanti al Consiglio
di guerra.
Intanto Tiziano proseguiva la sua strada, guardando da ogni parte se
vedesse comparire da lontano qualche pattuglia. Camminò tutta la notte
col vigore d'un uomo che fugge la morte, e giunse sull'alba davanti un
canale tortuoso che attraversava le paludi. Osservando attentamente da
lontano vide una macchia nera che si muoveva nell'acqua. Sospettando
un pericolo si mise in agguato nascosto fra i canneti, e non tardò
ad avvedersi che era una barca, che si avanzava lentamente alla sua
volta. Che cosa trasportava quella barca?... forse una pattuglia
tedesca che cercava d'impedirgli il passaggio, o una pattuglia italiana
che esplorava il terreno?... Dovette aspettare che si avvicinasse
maggiormente per riconoscerla. Alfine la riconobbe per una di quelle
barche di Chioggia che avevano servito al trasporto delle requisizioni.
Quale era lo scopo di quella imbarcazione che si avventurava con tanta
audacia in mezzo ai nemici?... S'avviò da quella parte per incontrarla,
e quando le fu vicino interrogò i barcaiuoli dai quali seppe che
venivano alla ricerca d'un certo Giacomo Croda che il giorno della
sortita di Brondolo era giunto troppo tardi, ed avendo trovato tutte
le barche piene non potè caricarvi due buoi requisiti, nè aveva voluto
abbandonarli. Lasciato sul terreno coi suoi animali, non si era più
veduto, e si tentava di rintracciarlo colla speranza che non fosse
caduto in mano del nemico. Alcuni esploratori erano sparsi in varii
punti delle paludi pronti ad assicurare i barcaiuoli d'ogni sorpresa,
annunziando l'avvicinarsi delle pattuglie nemiche, con segnali
convenuti. I barcaiuoli speravano al primo indizio di un pericolo di
giungere in tempo di mettersi in salvo colla barca sotto la fortezza di
Brondolo, e in caso disperato erano decisi di abbandonare la barca e di
fuggire a piedi. La speranza d'una ricompensa generosa, il piacere di
giovare a Venezia, la stessa voluttà del pericolo li spingeva ad ogni
audace tentativo. Ogni giorno raccoglievano degli uomini dispersi nella
sortita, e non disperavano di rintracciare anche il contrabbandiere
smarrito.
— Povero Giacomo! — esclamò Tiziano, lo avranno preso e forse questa
mattina sarà giudicato dal Consiglio di guerra di Correzzola.... e
immediatamente fucilato!... la notte che seguì la sortita, e la mattina
seguente tutto il terreno venne esplorato con ripetute ricognizioni, e
assai pochi possono essere sfuggiti alla vendetta del nemico.... ma voi
fino a dove volete avanzarvi?...
— Noi siamo decisi di attendere nascosti fra le canne di quell'angolo
del canale dal quale si può vedere lontano senza essere veduti.
Tiziano li seguì dalla riva, e quando giunsero al punto fissato, si
fermarono, e sedettero tranquillamente sulle banchine della barca,
colla fredda indifferenza di chi ha l'abitudine di affrontare ogni
pericolo.
Tiziano aveva fretta di mettersi in salvo, poco disposto di tornar
da capo con tutte le peripezie del giorno antecedente, ma il vivo
interesse che portava al suo compatriotta, e la pungente curiosità di
assistere allo scioglimento di quella avventura, gli fecero dimenticare
ogni altra preoccupazione, e lo arrestarono forzatamente sul sito.
Ma poco dopo gli parve di vedere da lontano un movimento di colori
sospetti, che potevano essere anche croati che lo inseguissero, e
cominciava a pentirsi della nuova imprudenza. Nascosto dietro un
banco di sabbia, coi piedi quasi nell'acqua, stette immobile per
qualche tempo aspettando che quella macchia lontana si disegnasse più
chiaramente all'orizzonte.
Dopo lunga aspettativa, e molte incertezze, gli parve alfine di
riconoscere due buoi trascinati da un uomo, ed osservando attentamente
credette di poter essere sicuro, che il conduttore degli animali fosse
Giacomo Croda.
Quell'audace contrabbandiere cadorino al servizio di Venezia era dotato
d'immensa perspicacia, unita alla più raffinata malizia felina, e le
sue membra nerborute erano in pari tempo così flessibili ed elastiche,
che poteva strisciare fra le canne come un serpente, correre come
un capriolo, saltare come una pantera, e i tedeschi non potevano
gareggiare con lui in nessuna circostanza. Infatti egli sfuggì cento
volte dalle loro mani, e giunse sempre sano e salvo colla sua preda
a Venezia, deludendo vittoriosamente tutta la sorveglianza degli
assedianti, e tutti i rigori del blocco.
Giacomo Croda si avanzava tranquillamente verso la barca, con
l'andatura d'un mercante di bestiami che si reca al mercato, e la
raggiunse come se arrivasse ad un approdo ordinario in tempo di pace.
Tiziano gli andò incontro, e quella fu una bella sorpresa, perchè
non sapeva più nulla di lui, scambiarono alcune congratulazioni
reciproche, e poi senza perder tempo fecero entrare i buoi nella
barca, e dati i remi nell'acqua ripresero tutti uniti la direzione
di Brondolo, conservando un rigoroso silenzio, e non perdendo mai di
vista i dintorni. Avevano percorso un breve tratto di cammino quando
Tiziano s'accorse di alcuni punti neri che si avanzavano da varie
parti, concentrandosi evidentemente verso la barca. Ne diede subito
l'avviso, la barca fu arrestata, ma non si tardò ad avvedersi che erano
gli esploratori che avendo veduto l'esito felice della spedizione
ritornavano indietro per rientrare colla comitiva nel raggio della
fortezza.
Quando si credettero abbastanza sicuri da poter ciarlare senza timore
che una distrazione potesse tornare funesta, si accinsero a raccontarsi
le loro vicende. Tiziano gli narrò il caso strano che gli avvenne, e
poi mostrandosi sorpreso di rivederlo dopo due giorni, sano e salvo,
e ancora accompagnato dall'imbarazzante bottino, volle sapere in qual
maniera fosse pervenuto a sfuggire alla vigilanza del nemico, senza
nemmeno perdere i due animali requisiti. E Giacomo gli rispose subito:
— Nella sera della sortita non essendo giunto in tempo d'imbarcarmi
colla nostra preda, sono andato a nascondermi coi buoi in una
catapecchia diroccata di pescatori, le cui rovine erano nascoste fra i
canneti d'uno stagno. Appena ricoverati gli animali, li ho provveduti
d'erba, tagliata in fretta, e dopo di averli muniti del necessario
alimento, mi sono ritirato in un nascondiglio, a qualche distanza, per
riposare in quiete, senza il timore d'essere tradito dal muggito dei
buoi. Ieri ho cercato invano una barca, e poi ho dovuto nascondermi
nuovamente, perchè i tedeschi avevano invaso il palude, e mi giravano
intorno senza vedermi; però non hanno mai avuto l'idea di penetrare
nella capanna in rovina, e i buoi ebbero il buon senso di starsene
tranquilli e silenziosi. Questa mattina ho perlustrato attentamente i
dintorni, li ho trovati tutti sgombri dal nemico, e quando ho scoperto
la barca da lontano sono andato a prendere i miei buoi con piena
sicurezza, ed eccoci in salvo.... come al solito.
Giunti davanti il forte di Brondolo i barcaiuoli apersero la cassetta
di poppa, ne trassero fuori la bandiera tricolore col leone di San
Marco, e la issarono sopra un piccolo albero della barca. E così
arrivarono trionfalmente all'approdo, fra gli applausi dei loro
commilitoni e gli evviva della popolazione festante.
Il giorno seguente i Cacciatori delle Alpi ritornavano a Venezia
applauditi con eguale entusiasmo dai Veneziani.


XVI.

Appena ritornato a Venezia, Tiziano corse all'ambulanza ad abbracciare
l'amico, ed a raccontargli le sue avventure e lo trovò in piedi, in
piena convalescenza; ma a misura che la ferita della palla tedesca
si andava cicatrizzando, una nuova ferita gli si apriva, prodotta
da quegli occhi cerulei, da quegli sguardi pietosi, che volendo
consolare gli ammalati li colpiva con acuti strali nel cuore. Michele
non rifiniva di raccontare all'amico le cure sollecite, affettuose di
quell'angelo che rappresentava così bene Venezia al letto dei feriti,
facendoli sopportare con eroica rassegnazione i loro dolori, rendendo
dolci e soavi i farmachi più disgustosi che somministrava con quelle
morbide mani patrizie.
Tiziano diceva all'amico:
— Le tue membra robuste lacerate dalle palle nemiche si rimettono
presto, ma hai l'anima di troppo facile combustione, e difficilmente
resisti al prestigio della bellezza. Appena giunto a Venezia
dimenticavi le tue fiamme cadorine per la Gigia, venuto all'ambulanza
al primo sguardo della contessa Marina dimentichi la Gigia....
— Ah mio caro, questo è il fatale destino di chi non ha mai ricevuto
una ferita insanabile al cuore, come tu l'hai ricevuta da Maria. Essa
ha tutte le qualità che possono soddisfare un'intera esistenza. Invece
le donne che io adoro hanno sempre qualche piccolo neo che col tempo
si sviluppa e diventa una macchia. Gli incanti della bellezza non
durano se non sono accompagnati costantemente dalla bontà, e dal buon
senso. Si ammira il volto della donna prima di conoscerne il carattere
e l'intelligenza, e le nature complete sono rare. Ecco perchè io
volo come l'ape di fiore in fiore, e il più bello mi attrae, e mi fa
dimenticare gli altri!... Come vuoi che in mezzo a tante belle suore di
carità un povero giovane possa rimanere insensibile?...
— In conclusione tu sei più in pericolo all'ambulanza che a
Marghera!... — e ridevano entrambi di cuore.
Tuttavia a Marghera il fuoco continuo del nemico presentava l'aspetto
d'una densa nube solcata da lampi. Le bombe e le palle austriache
cadevano da trenta a quaranta al minuto sulle lunette, sui bastioni,
ed in mezzo al forte. Le casematte prese di mira dai grossi Paixans
di Campalto cominciarono ad essere smantellate, mentre le bombe ne
fracassavano le volte.
In mezzo a tanta rovina non si faceva nessuna confusione nel forte,
gli artiglieri rispondevano in ordine, e tranquillamente, come se
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