Il roccolo di Sant'Alipio - 08

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abbandonate ad una desolante tristezza, sarebbe in errore. Regnava
invece un buon umore perenne, e quella vita nomade presentava delle
attrattive imprevedute, e il sacrifizio degli agi aveva i suoi compensi
nella bizzarra novità di quella esistenza, nella quale bisognava spesso
aguzzare l'ingegno per trovare continui ripieghi a casi impreveduti.
I bambini erano felici, correvano, cantavano, danzavano, coglievano
fiori, spargevano la gioia dovunque, e si vedeva davvero che la libertà
è un gran bene, che l'uomo in società mena un'esistenza artificiale, in
continua contraddizione cogli istinti della natura.
La montagna scelta da alcune famiglie di Pieve pel loro rifugio
fu quella di Medole, e molte altre fissarono il loro accampamento
sui dorsi più elevati della montagna di Vedorchia. Per recarsi in
quest'ultima bisogna prima discendere per la lunga e rapida strada
che va fino al ponte di Ranza, famoso per la sua posizione sopra
un'altissima gola di roccie. Da Ranza convien salire per sentieri erti
e malagevoli, il lungo cammino in zig-zag che conduce ai _Tabiadi_,
ossia fienili di montagna; disposti in diverse località sulla schiena
del monte. Colà fissarono allegramente la loro dimora le donne di
Pieve, quasi tutte di civile condizione, e molte signore ricchissime,
gentili, avvezze a tutti gli agi di una elegante esistenza, e vi
rimasero lungo tempo, anche dopo l'entrata dei tedeschi, non osando
fidarsi della promessa di costoro di rispettare le persone e le
proprietà dei cadorini, preferendo ogni privazione piuttosto di
tollerare l'aspetto degli abborriti invasori.
Quei fenili sconnessi per vetustà lasciavano entrare il vento da ogni
parte, e mal si potevano riparare con coperte o lenzuola; la pioggia
penetrava dai tetti, filtrava dalle pareti, correva sul pavimento. Nei
giorni burrascosi era impossibile di reggere all'aria aperta. Ciò non
ostante non vi fu in tutto quel tempo nessuna malattia di conseguenza,
e se ne stettero sempre allegre, passando il tempo in conversazioni sul
solito tema della guerra, e sulle vicende del giorno, con reciproche
confidenze delle intime storie di ciascheduna.
L'arrivo delle notizie guerresche era naturalmente il momento delle
grandi emozioni, ma per fortuna dopo gli ultimi fatti di Vodo regnava
una specie di tregua, che quantunque foriera di più gravi avvenimenti,
pure teneva in sospeso almeno i dolori acuti di perdite subite, e
quantunque lasciasse temere nuovi pericoli, pure non mancava anche di
alimentare nuove speranze. E in mezzo a tante gravi preoccupazioni,
e a tante privazioni, l'energia di quelle donne non si smentì mai, ed
esse tennero vivo l'ardore dei combattenti, animandoli alla pugna colle
loro corrispondenze epistolari, nelle quali raccomandavano sempre la
resistenza. E nella loro solitudine innalzavano preghiere a Dio per la
patria, e la vittoria, e intuonavano canti di libertà.
La signora Enrichetta Giacobbi-Solero, donna veneranda per età, ricca
di censo, rispettabile per senno virile, di modi cortesi ed affabili,
di umore gaio e pieno di risorse, simpatica e cara a tutte le compagne,
era stata eletta per acclamazione direttrice della piccola colonia di
Medole, e tutte le signore e signorine dipendevano dai suoi ordini;
ed essa trovava sempre il modo di aver notizie, e di tener viva la
corrispondenza fra gli uomini della difesa e le esigliate del monte,
conosceva tutto l'andamento degli avvenimenti, sapeva consolare e
tacere in tempo; e quando giungeva la notizia d'una vittoria, era una
festa per tutte, una gioja giovanile di canti e di balli, ed alla notte
si accendeva un fuoco, al quale rispondevano tutte le altre colonie
con altri fuochi sulle cime di tutti i monti, che era uno spettacolo
consolante pei combattenti, terribile pei nemici.
E quando il silenzio della sera non era rallegrato da qualche buona
notizia, allora davanti l'ampio orizzonte, cinto dalle nebbie della
notte, tutte quelle signore unite all'ottima donna che si erano eletta
per capo, si mettevano in ginocchio, ed alzavano al cielo ferventi
preghiere per la patria, per la salvezza dei padri, dei mariti, dei
figli, dei fratelli, dei fidanzati.
Al mattino alzate per tempo correvano all'aperto salivano a qualche
punto che dominava il sentiero, e spiavano attentamente l'arrivo d'un
parente, d'un amico, d'un messo. E davvero le visite non scarseggiavano
a quell'attraente eremitaggio, ed ogni interessato trovava la sua volta
per salire, ed ogni riposo concesso ai combattenti era impiegato in
una gita sul monte. Le donne possono ricoverarsi in fondo al mondo, gli
uomini troveranno sempre il tempo di raggiungerle.
Ogni babbo, fratello, marito od amante che saliva era sempre ricevuto
come il re della giornata, e fatto sedere nel centro del grazioso
cenacolo doveva raccontare tutto quello che sapeva dell'universo. E lo
servivano di panna fresca, e d'altre ghiottonerie giunte non si sapeva
come in cima della montagna. E aveva mille motivi di meravigliarsi di
quanto vedeva d'intorno; delle risorse inconcepibili create da quelle
esiliate, per rendere meno incomodo il loro soggiorno, e di certe
raffinatezze impreviste che scaturivano improvvisamente in quei siti
selvaggi. E quando il visitatore partiva non rifinivano d'incaricarlo
delle loro commissioni a voce ed in iscritto, segrete o palesi, lo
accompagnavano per un pezzo, gli raccomandavano caldamente di mandare
amici e parenti, invitandoli a pranzo, e promettendo le più laute
imbandigioni per quei tempi di guerra, di carestia, e di miseria.
Ritornando indietro salivano sulle roccie sporgenti ed agitavano i
fazzoletti in segno d'addio fino che fosse possibile di vedersi.
Così coglievano ogni occasione per ridere e stare di buon umore.
A mantenere costante la loro ilarità contribuì largamente un certo
signor Taddeo, il quale benchè giovane e robusto aveva un carattere
eccessivamente pusillanime, e s'era rifugiato egli pure colle donne e
coi vecchi in cima della montagna. Il suo volto rotondo, paffuto, le
sue membra grasse e ben tarchiate, le sue perpetue paure, lo rendevano
il personaggio più comico della comitiva, ed era la vittima degli
incessanti motteggi, dei frizzi, e degli scherzi delle più vispe
ragazze, che si godevano un mondo a mettergli spavento con notizie
inventate. Un giorno gli si annunziava la leva in massa di tutta la
popolazione: uomini, donne, fanciulli rifugiati sul monte dovevano
scendere per incontrare il nemico; un'altra volta erano i croati che
avevano circondato il loro rifugio coll'intenzione di passare per le
armi tutti i fuggiaschi. E gli mettevano i brividi raccontandogli le
crudeltà degli austriaci, i villaggi saccheggiati, distrutti a ferro
e a fuoco, e simili altri disastri della guerra, che doveva estendersi
ovunque.
Egli studiava tutti i mezzi possibili di salvezza, ma veniva confutato,
allora voleva discutere di politica, e le donne ridevano a crepapelle
dei suoi sproloqui, e lo mettevano in canzone; e così Taddeo per
fuggire dalle palle austriache era divenuto il bersaglio di quelle
lingue mordaci, la vittima, il capro espiatorio di quel terribile
drappello femminile che lo dilaniava fino sull'osso.
Che se talvolta per placare quei disprezzi, o per ingannare il tempo
piacevolmente, tentava di fare il galante, veniva immediatamente
denunziato alla pubblica indignazione, avendo tutte quelle donne
giurato solennemente di condannarlo al celibato perpetuo, senza
concedergli le attenuanti, in pena della sua vergognosa poltroneria.
Allora egli crollava le spalle, si mostrava rassegnato, accendeva il
sigaro, ed accennando colle braccia aperte all'ampiezza del mondo,
diceva che ogni peccato ha diritto all'assoluzione, che ogni idea la
più strana ha incontrato dei sostenitori, che tutto si dimentica, che
i più timidi finiscono sempre col trovare indulgenza, e forse anche
maggiori compensi degli eroi; e in questo non aveva tutto il torto,
perchè giudicava i fatti positivi, senza tener conto della coscienza
del dovere, che è il giudice supremo dei galantuomini.
Le donne più robuste, le più giovani, le più coraggiose scendevano
sovente a Pieve a passare la giornata e ritornavano alla sera alla
montagna, cariche di provvisioni, e fornite di notizie che raccontavano
alle compagne che venivano ad incontrarle.
Maddalena e Maria vivevano appartate sulla montagna, colpite dal dolore
nel profondo dell'anima per l'incerta sorte di Tiziano, non prendevano
mai parte alle gaiezze dell'allegra brigata delle altre donne, e si
erano ricoverate in un angusto tugurio isolato che serviva di rifugio
ai pastori quando l'uragano li sorprendeva lontano dalla baita. Per
solo compagno d'esiglio avevano condotto seco Fido, il cane di casa
Lareze, l'amico del povero scomparso, e scendevano spesso a Pieve
ansiose di sapere se fossero giunte notizie del loro caro, Maddalena
per vedere suo marito, Maria per abbracciare suo padre, quando tornava
nel roccolo a riposarsi qualche ora dalle dure fatiche del campo.
Le buone signore ricoverate a Medole salivano poche per volta a
visitare le due afflitte nel tugurio, si studiavano di consolarle; con
speranze che non potevano dividere, ma che erano balsami pietosi per
quelle anime esulcerate.
Nelle lunghe ore solitarie si comunicavano le loro idee, rammentavano
le rare doti di Tiziano, e piangevano insieme. Fido doveva certo
comprenderle, e sdraiato ai loro piedi le contemplava cogli occhi
mesti, partecipava al loro dolore, e pareva che avesse riportato a
Maria il tenero attaccamento che lo legava a Tiziano, e lambiva le mani
alla fanciulla guardandola con espressione affettuosa.
Sior Antonio si recava spesso a visitarle, portando i pochi viveri
necessari alla vita, del pane bigio, del formaggio, e qualche frutta.
Saliva lentamente per la via tortuosa colla sua pipa in bocca e il
fardello sulle spalle. Fido lo scorgeva da lontano, avvertiva le donne
abbaiando in modo singolare e correva incontro al padrone salutandolo
con molte carezze, e scodinzolando in segno di contentezza.
Le donne non osavano interrogarlo, ma procuravano d'indovinare dalla
espressione del suo volto se aveva delle buone o delle cattive notizie;
egli preveniva tanto le vane speranze che i timori paurosi, e appena
giunto esclamava: — niente di nuovo!... — e accompagnava queste parole
con un profondo sospiro, e qualche volta con una lagrima.
Dopo alcuni giorni di tregua gli austriaci si fecero più minacciosi,
passarono i confini in vari punti, sempre respinti dall'indomabile
resistenza dei cadorini, dall'attiva vigilanza del Comitato della
difesa, dall'instancabile attività del capitano Calvi che pareva avesse
il dono dell'ubiquità, perchè compariva sempre in tutti i pericoli.
Lo si vedeva passare rapidamente pei paesi quasi deserti, montato sul
bianco cavallo, e accorrere dove si udiva il suono del cannone o delle
fucilate.
Animava i combattenti, si metteva alla testa dei drappelli che andavano
all'attacco, dirigeva i movimenti, ordinava ogni cosa coll'audacia
che sfida le maggiori difficoltà, colla calma che calcola freddamente
le conseguenze d'ogni azione. E tutti lo seguivano con fiducia, con
entusiasmo, con slancio irresistibile, e nessuna fatica eccessiva,
nessuna marcia forzata, nessuna privazione faceva uscire un lamento, da
quegli uomini forti, risoluti e coraggiosi.
Ma era impossibile trovarsi sempre in tutti i siti minacciati, e un
giorno 300 cacciatori tirolesi passata la Forcella d'Antelao per un
varco poco praticabile sopra San Vito penetrarono nella valle d'Otten,
e giunsero fino alle prime case di Calalzo. Il paese era deserto,
ma due donne avvedutesi del pericolo corsero in fretta al campanile,
diedero di piglio alle campane, e suonarono con tanto furore che poco
dopo si udirono tutti i campanili vicini che suonavano a stormo. Allora
i nemici si credettero circondati da ogni parte, e si dettero a fuga
precipitosa.
Sarebbe troppo lungo e troppo straziante il narrare tutte le barbare
uccisioni di gente inerme, tutte le atrocità, gli incendi, le sevizie,
le rapine di quei barbari invasori stranieri, e tutti gli atti eroici
dei cadorini, in quelle gole deserte e sconosciute, dove sovente dieci
patriotti risoluti facevano retrocedere cento soldati. Le sole donne
salvarono più volte i paesi minacciati, con quell'ardire che nasce dal
semplice e santo amore della famiglia e della patria, senza il pungolo
degli onori e della gloria che animano i soldati.
Il generale Stürmer con 5000 uomini da Longarone giunse a Rivalgo,
fece vani tentativi per penetrare più avanti, e fu sempre respinto.
Ai _razzi alla congreve_ slanciati per atterrire i difensori essi
rispondevano col grido di «viva l'Italia» e sapevano schivarli, quando
invece le carabine dei cacciatori Cadorini abbattevano ad ogni colpo un
soldato tedesco.
Furibondi per l'impossibilità di vincere quella tenace resistenza, gli
Austriaci misero il fuoco al paese, e si ritirarono, e le rovine di
Rivalgo, dopo più di trent'anni, non del tutto riparate, conservano
le traccie di quella barbarie, attestano l'infame procedimento
degl'invasori, e mostrano ancora alla nazione la necessità di
saper trattare le armi per la sicurezza della patria, per la difesa
dell'onore, della libertà, e della famiglia, contro gli assalti degli
stranieri.
Dopo ripetuti tentativi in Oltrechiusa riusciti tutti vani, un corpo
di 3000 tedeschi si presentò nuovamente a quel confine. I Cadorini
trovandosi in numero assai ristretto si ritirarono fino alla Chiusa ove
li attesero imperterriti; operarono prodigi di valore, e li obbligarono
a retrocedere.
Allora i tedeschi essendo numerosi in Friuli tentarono d'introdursi in
Cadore dalle gole della Carnia, ove il confine era stato poco premunito
per la difesa, non avendo giudicato probabile che dovessero penetrare
da quella parte.
La sera del 23 maggio giungeva al Comitato l'annunzio che circa 3000
Austriaci avevano passato il Fella, che si dirigevano per Tolmezzo
e quindi pel Cadore, attraversando il Mauria; seguiti da altri 700.
Poco dopo, un altro messo portava la notizia che altri 1200 tedeschi
passavano pel canale di Gort, e che sarebbero penetrati in Cadore per
la via di Forni-Avoltri e Sappada.
Calvi fece tosto suonare il tamburo per le strade di Pieve per
raccogliere i Corpi Franchi che si trovavano in paese. Michele ed
Isidoro accorsero subito, ordinarono i loro militi, e tutti uniti
partirono sul far della sera, col capitano Calvi alla testa, montato
sul solito cavallo bianco, salutato con entusiasmo dai pochi abitanti
che si trovavano in paese. Marciarono tutta la notte in silenzio,
ciascheduno raccolto ne' suoi pensieri. La luna batteva i suoi pallidi
raggi sul condottiero, che pareva un fantasma vagante di notte tempo
fra quelle tetre montagne, seguito da ombre fantastiche che di tratto
in tratto sparivano nelle cupe tenebre dei villaggi per ricomparire
confusamente nella luce azzurrognola ove si allargava la valle libera
dalle case e dagli alberi.
All'alba trovarono i paesi sgomenti per la notizia dell'invasione che
s'era propagata rapidamente. Gli abitanti avevano passata la notte
sulla via, esitanti sul partito da prendersi, ascoltando le diverse
opinioni, consigliandosi fra vicini. Le donne cariche di fardelli
partivano coi bimbi, i vecchi esortavano i giovani alla difesa, ma
nella confusione e nel disordine nessuno prendeva un partito. Ma ecco
il primo raggio di sole che batte sul cavallo bianco che si avanza da
lontano, con un codazzo di gente armata, ecco il tamburo che chiama
il villaggio alle armi. A quella vista un grido di esultanza esce
dalla folla, tutti si rivolgono da quella parte al grido di viva
l'Italia, ogni esitanza è scomparsa, tutti si sentono animati alla
difesa ed accorrono ad afferrare le prime armi che trovano in casa
per accompagnare i corpi franchi. Le campane suonano a stormo, tutte
le campane dei villaggi vicini rispondono, e da Lorenzago, da Vigo,
da Lozzo, da Auronzo gli abitanti corrono in massa per difendere i
valichi minacciati. Il passaggio dei Corpi Franchi ha raccolto tutti
gli abitanti dei villaggi che scendono come una valanga da tutte le
alture. Calvi arringa quelle masse, le elettrizza colla sua parola
che risveglia ogni nobile sentimento. Egli li ordina, li fa procedere
regolarmente, e giunto al fine della marcia unisce tutte le forze che
ha raccolte per via, e le colloca opportunamente intorno al passo della
Morte.
Il passo della morte è una strettissima gola, che si nasconde tra due
angusti dirupi, alla sinistra del Tagliamento. La strada passa fra un
muraglione e le roccie tagliate a picco come una breccia scavata nel
monte. Una barricata venne innalzata davanti all'apertura, sotto la
quale praticarono delle mine. I fucilieri vennero distribuiti sulle
coste del monte e si mandarono sulle alture gli uomini disarmati, per
accumulare sassi e macigni e apparecchiare le mine da seppellire sotto
i frantumi coloro che osassero attraversare il varco vietato.
Il mattino del 24 gli esploratori spediti da Calvi verso il nemico
udirono un suono d'armi e di armati oltre il Rio Verde, ad un
chilometro e mezzo dalle barricate, e videro l'avanguardia austriaca
che avanzava. Retrocessero subito per darne l'avviso, mettendosi tutti
in pronto per la difesa.
Giunti al Rio Verde i nemici si fermarono sviluppandosi in catena sopra
e sotto la strada, e mandando avanti un pichetto di pochi uomini fino
all'imboccatura del passo.
Alla loro comparsa s'udì un colpo di fucile, senza sapere da che
parte venisse, ed anche questa volta venne preso pel segnale che era
stato convenuto dai difensori, e subito dopo si scaricarono le armi
da ambe le parti, scoppiarono le mine, e si precipitarono i sassi con
orribile fracasso, quando soltanto pochi nemici erano penetrati nella
gola. Dileguato il fumo della polvere gli Austriaci erano scomparsi,
lasciando pochi feriti e qualche morto sotto le rovine, e spaventati
dal tremendo spettacolo delle montagne che si rovesciavano davanti di
loro, fuggirono in precipitosa ritirata verso la Carnia. Ma due uomini
erano caduti anche fra i Corpi Franchi colpiti dalle palle nemiche, ed
uno di questi era Isidoro Lorenzi, il padre di Maria.


IX.

Maria desiderosa di vedere suo padre, che doveva trovarsi a Pieve, dopo
essere stato vari giorni alla difesa d'Oltrechiusa, era discesa tutta
sola dalla montagna di Medole, promettendo a Maddalena di ritornare
per tempo. La povera donna, affranta dal pensiero della sorte del suo
Tiziano, che dilaniava costantemente il suo animo esulcerato, non
si era sentita in caso di accompagnarla, e non volle opporsi alla
sua partenza, ma la vide allontanarsi con rammarico, e passò tutto
il giorno in un angolo del suo eremitaggio, funestata da paurosi
fantasmi. Seduta sopra uno di que' sgabelli a tre piedi che servono ai
pastori per mungere le mucche, coi gomiti appoggiati ai ginocchi, e
la testa nelle mani, pensava a tutte le speranze svanite, a tutte le
disgrazie che continuavano a funestare il suo paese, al vuoto della
casa, all'avvenire senza conforti, alla vecchiaia deserta, e le ore
succedevano alle ore, lente, eterne, affannose.
Quei maledetti stranieri avevano scompigliata la sua tranquilla
esistenza; privata del figlio, del marito, della casa, delle care
abitudini domestiche, la sua vita non era più che una continua vicenda
di amarezze, di dolori, di lagrime.
Il sole si abbassava dietro il monte, e Maria non era ancora di ritorno.
Maddalena si metteva sulla porta del casolare, guardava, ascoltava, ma
invano.
Fido fissava la padrona col suo occhio intelligente, e vedendola
inquieta indovinava forse il motivo del suo tormento, faceva un giro
intorno la bicocca, si avvicinava al sentiero, fiutava l'aria, poi
tornava indietro colla testa bassa e si sdraiava per terra scoraggiato.
Giunta al colmo dell'inquietudine, vedendo che dopo il tramonto Maria
non era ancora di ritorno, raccolte le poche forze che le restavano,
e fattosi animo, decise di andare ad incontrarla, perchè la fanciulla
tutta sola e in tempo di notte non si smarrisse, o cadesse in pericoli
fra quelle rupi deserte. Camminò qualche tempo, ma invano, sedette,
ascoltò attentamente, le parve di udire un passo che calpestasse le
foglie secche, chiamò Maria a più riprese, ma nessuno rispose. Sola,
sorpresa dal buio della notte, impaurita da due occhiacci scintillanti
che la guardavano fra i rami d'un albero, ristette alquanto indecisa
se dovesse avanzare o retrocedere, quando tutto d'un tratto udì un
rapido movimento che le fece credere d'essere assalita da qualche
disertore croato. Era invece un uccellaccio di rapina che fuggiva
al suo avvicinarsi urtando le grandi ali negli alberi. Un brivido
di spavento le ricercò tutte le membra, dovette sedersi a terra per
qualche tempo, poi ritornando indietro si trascinò barcollando fino
al tugurio, accompagnata da Fido che la seguiva da presso, e pareva
impressionato esso pure da quelle apparizioni notturne. Giunta al suo
rifugio, ascoltò ancora sulla porta per qualche istante, alzò gli occhi
al cielo stellato, poi, chiuso l'uscio, si mise in ginocchio a pregare
ferventemente pel figlio, pel marito, per Maria, per tutti coloro
che soffrivano nel suo paese, in quel tempo di uccisioni, di stragi,
d'incendi, di sventure; e le parve che la preghiera le togliesse un
peso dal cuore, e la lasciasse più calma. Allora si gettò sul fieno
stanca, sfinita, e passò tutta quella notte tremenda ed angosciosa
fra l'assopimento e l'insonnia rivoltandosi sul duro giaciglio, ora
angustiata da affannosi sogni, ora tormentata da paurosi pensieri,
cercando invano di calmare quell'agitazione morbosa con ogni argomento
che potesse giustificare l'assenza di Maria: e andava dicendo fra
sè: sarà forse rimasta al roccolo per rendere qualche servizio a suo
padre rientrato stanco, si sarà ritardata per attendere delle notizie,
e non avrà più osato avventurarsi di notte per questi greppi; forse
mio marito non avrà voluto lasciarla partire sola all'avvicinarsi
della sera.... forse i tedeschi saranno entrati in Pieve!... e a tale
pensiero le si rizzavano i capelli, un cupo terrore invadeva il suo
spirito, e il sangue le saliva alla testa.
Finalmente il barlume che penetrava dalle fenditure l'avvertì che era
l'alba, scese dal fieno, aperse l'uscio sconnesso, e uscì a respirare
l'aria fresca e balsamica del mattino. Il sole sorgeva nel cielo sereno
e rischiarava con rosea luce i lontani paeselli sparsi nella valle e
sulle falde dei monti.
Era una splendida giornata di maggio, e Maddalena si decise di scendere
a Pieve, per sapere più presto che cosa fosse avvenuto. Appena avviata
al sentiero che scendeva dalla montagna, Fido indovinò il pensiero
della sua padrona e cominciò a precederla nel cammino, divagando di qua
e di là su e giù per le rive e talvolta mettendosi in ferma davanti
un cespuglio dal quale faceva levare qualche uccello selvatico, poi
entrava in un bosco mentre la donna continuava a scendere lentamente
per l'arduo declivio.
Dopo di aver percorso un breve tratto di cammino udì che Fido abbaiava
allegramente, come soleva fare incontrando qualche persona di casa, poi
lo vide che le veniva incontro, abbaiando nuovamente, e dimenando la
coda. Certo era Maria che attardata sulla sera avrà passata la notte a
Pieve e saliva di buon mattino per non tenerla in pene più a lungo. Ma
fu grande la sua sorpresa quando invece di Maria scoperse da lontano
suo marito solo, che saliva lentamente la montagna.
Maddalena affrettò il passo, e quando si arrestarono faccia a faccia,
entrambi sorpresi, scambiarono la stessa domanda:
— Dov'è Maria?....
— Maria?!.... ripetè sior Antonio sbalordito, ma non è dunque a
Medole?...
— Maria è scesa a Pieve fino da ieri mattina... non l'avete veduta?...
— Signor benedetto! disse sior Antonio, alzando le braccia al cielo,
dove avrà dunque saputo la sua disgrazia?...
— Un'altra disgrazia?... hanno ucciso anche Isidoro!... lo indovino al
vostro viso sconvolto....
— Pur troppo!... soggiunse sior Antonio, levandosi in furia il
cappello, e guardando in alto con un'espressione mista di disperazione
e di pietà.
Ma avvedendosi che sua moglie barcollava, e poi stava per cadere in
deliquio, le si accostò in fretta per sostenerla, e giunse appena in
tempo da rallentare la sua caduta. La coricò dolcemente sull'erba, e le
sostenne la testa che si piegava sulle spalle, mentre le appariva sul
volto il pallore della morte.
Ah i soldati uccisi e i feriti sul campo di battaglia non sono le sole
vittime della guerra; essa getta da lontano i suoi dardi avvelenati,
e lacera i cuori dei genitori, delle sorelle, delle spose, e trascina
dietro alle sue carneficine una lunga catena di sventure e di morti!
Quando Maddalena ritornata in sè fu in caso di sostenersi, appoggiata
al braccio del marito, rifece lentamente la strada percorsa, e ritornò
alla cascina, ove sior Antonio si studiò con ogni cura possibile di
rianimarla, raccomandandole di dominare il dolore, per essere in caso
di mettersi sulle traccie di Maria, alla quale non restavano che loro
sulla terra, che dovevano considerarla come figliuola.
I poveri vecchi seduti accanto uno dell'altro piansero insieme, poi
la misera donna si fece ripetere con precisione quello che si poteva
sapere sulla triste notizia, e voleva conoscerne i particolari, che
erano ancora ignoti.
Sior Antonio le disse:
— È morto colpito in fronte da una palla nemica.... altro non so...
Jeri sera ne giunse l'annunzio a Pieve. Non trovando riposo nel letto,
non potendo chiuder occhio, ho dovuto alzarmi senza attendere il
mattino, e così di notte sono venuto su per apparecchiare Maria al
colpo tremendo!... Ah povera Maria!... povera Maria!...
— Ma dove sarà? — soggiungeva Maddalena — dove potremo trovarla?...
sarà essa giunta al roccolo ignorando la sua disgrazia, o l'avrà udita
per via?... e se non è stata in caso di continuare la strada, chi
l'avrà raccolta?... o che sia caduta in pericoli?... che abbia fatto
dei brutti incontri?...
E prostrata dal dolore, agitata da tante incertezze, turbata da
sospetti e presentimenti che le laceravano il cuore, ora sentiva
mancarsi le forze, ora riprendeva un repentino vigore, e voleva partir
subito per rintracciare Maria. Suo marito non lo permise, procurò di
calmarla, la obbligò a prendere qualche riposo, e facendola coricare
sul fieno, la consigliò di starsene tranquilla qualche tempo. Intanto
egli si recò nella malga più vicina, trovò del latte fresco dai
pastori, e ritornato alla baita volle che Maddalena v'inzuppasse un po'
di pan bigio che rimaneva delle provvigioni, persuadendola dolcemente
che per mettersi in cammino doveva riparare le forze esaurite dal
digiuno, dalla fatica, dal dolore. Essa rifiutava con insistenza, ma
per non contrariare troppo il marito dovette rassegnarsi a questo
sforzo, e inghiottiva qualche boccone in mezzo alle lagrime che
cadevano nella scodella, e ripeteva fra i singhiozzi:
— Noi non abbiamo più figli!... li abbiamo perduti tutti due!... il mio
povero Tiziano è morto di sicuro!... e la sua povera Maria... non la
vedremo mai più!....
Quando fu in caso di partire cominciarono a scendere lentamente,
seguiti dal cane, e lungo tutto il sentiero Maddalena non cessava di
fare le più strane supposizioni. Sior Antonio procurava di persuaderla,
che l'avrebbero trovata al roccolo di Sant'Alipio, dove colpita dalla
funesta notizia, sarà rimasta a piangere la morte del suo povero padre,
dimentica d'ogni altro pensiero, tutta assorta nell'immensità del
dolore.
Spronata da tali supposizioni essa affrettava il passo, esclamando:
— Sarà nostra figlia!... doveva sposare il nostro povero Tiziano....
ha perduto lo sposo, ed il padre... ma troverà ancora dei parenti che
faranno le veci de' suoi genitori... povera orfanella!... così giovane,
e rimasta sola nel mondo!....
La strada pareva più lunga del solito, e riuscì faticosa ai poveri
vecchi affranti da tante sventure, che sulla sera giunsero a Pieve
estenuati. Poco prima del loro arrivo, Calvi aveva attraversato il
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