Il roccolo di Sant'Alipio - 09

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paese sul bianco cavallo coperto di spuma sanguinosa, accorrendo ove
minacciavano nuovi pericoli. La poca gente che si trovava in piazza lo
pregò di fermarsi, avida di notizie della guerra, e di schiarimenti
sulle cose del giorno. Egli si arrestò per pochi minuti, e pareva
turbato e malcontento. Confermò le notizie del giorno antecedente. I
tedeschi erano stati respinti al passo della morte, ma ingrossavano
a tutti i varchi; i cadorini avevano a deplorare alcuni uomini
uccisi, fra i quali il prode ufficiale Isidoro Lorenzi. E dopo queste
poche parole cacciando gli sproni nei fianchi del cavallo, spariva
rapidamente nell'ombra delle montagne.
Sior Antonio e Maddalena, invece di rientrare in casa, si recarono al
roccolo di Sant'Alipio. La vecchia serva era sola, e non sapeva nulla
dell'avvenuto; allora spaventati corsero subito a casa coll'ultima
speranza di trovarvi la ragazza, ma la Betta che corse ad aprire la
porta fu sorpresa della loro domanda, essa non l'aveva veduta!....
Dove era dunque Maria?....
Maria, discesa il giorno prima dalla montagna di Medole, appena
attraversato il ponte di Ranza, si era fermata davanti un gruppo di
contadini che ascoltavano da uno sconosciuto il racconto della difesa
al passo della morte, che nominava anche i morti, fra i quali udì il
nome di suo padre.
Ricevuto il colpo fatale rimase sbalordita, si allontanò rapidamente,
non fu conosciuta da nessuno. Camminò lungamente senza sapere dove
andava, era fuori di sè, come stupida e pazza. Poi sentendosi mancare
le forze si lasciò cadere lunga distesa sull'erba, e rimase colà
lungo tempo priva dei sensi. Ritornata in sè stessa si mise a piangere
dirottamente, ma in quella profonda solitudine nessuno udì i gemiti
dell'infelice, nessuno poteva accorrere in suo soccorso.
Dato sfogo al primo impeto del dolore, un solo pensiero dominò la
sua mente: — vederlo, vederlo almeno un'altra volta!... deporre
l'ultimo bacio sulla fredda fronte del padre, tributargli le ultime
prove d'affetto prima che la terra lo involasse per sempre ai suoi
sguardi!... Con tale idea fissa nella mente, entrò in Pieve, attraversò
le vie deserte senza essere veduta da nessuno e continuò la strada
verso Domegge pensando al suo povero morto, e dimenticando ogni altra
cosa del mondo.
Chiusa nel suo intenso dolore camminava colla testa bassa, cieca ed
insensibile allo spettacolo incantevole che presentava la primavera.
Tre giorni prima, suo padre pieno di vita passava per la stessa strada,
esaltato dall'entusiasmo delle patrie battaglie, e pieno d'affetto per
le sue belle montagne, ammirava quella stupenda natura, che brillava
con tutte le ricchezze del maggio. I frutteti in piena fioritura
spiccavano colle tinte bianco rosate sul fondo oscuro dei coniferi
e sulle brune pareti delle vecchie case affumicate. I prati a mille
colori, parevano tappeti distesi in mezzo ai campi in un giorno di
festa. Gli abeti erano in piena vegetazione, e i nuovi germogli di
verde mare spiccavano sul verde cupo dei vecchi rami come frangie
ornamentali, sulla bruna veste di quei giganti delle Alpi, i quali
ora salgono alla spicciolata sui clivi come bersaglieri che aprono il
fuoco colle prime scaramuccie, ora stretti in grossi battaglioni si
raccolgono a sfidare gli uragani, e appariscono da lontano sulle cime
acuminate come un esercito in ordine di battaglia.
L'aria era imbalsamata dalle esalazioni resinose, e dai confusi
profumi del biancospino, dei lilla e dei caprifogli delle siepi che
dividono quelle piccole proprietà. Il fumo che usciva dalle porte e dai
balconi delle case di legno, tutte senza camini, raccogliendosi nei
vicoli, avvolgeva i paesi in una nuvola azzurrognola che si stendeva
fino alle rive sinuose del torrente, mentre le nude cime illuminate
dal sole brillavano di vivida luce, in un atmosfera trasparente. Le
mandre uscivano dalle stalle, avviandosi lentamente al pascolo, al
suono dei campanacci appesi al loro collo, e le capre salite sull'erta
si voltavano indietro a salutare il villaggio con tremuli belati. Le
rondini volavano a larghe onde lungo la valle cogliendo insetti, ed
apportandoli ai nidi costruiti sotto le travi affumicate dei poveri
tetti. La natura era tutta un sorriso ed una promessa, e Isidoro
contemplava quello spettacolo poche ore prima di chiudere per sempre
gli occhi alla luce. La palla straniera che colpiva il padre, generoso
difensore della patria, andava a ferire di rimbalzo il cuore della
figlia che nel fiore della giovinezza restava insensibile a tante
delizie della primavera paesana.
Quelle pacifiche popolazioni patriarcali, che vivevano tranquille
nei tuguri dei loro monti, senza invidie, nè avidità, nè ambizioni
erano turbate nella loro quiete serena, e spinte alla disperazione ed
alle armi, da quelle turbe rapaci che, senza altro diritto che quello
della forza brutale, venivano da lontano a violare quel territorio, a
profanare e saccheggiare quelle case, e spargere il terrore e la morte
in quella scena pastorale.
Ogni volta che le campane suonavano a stormo le popolazioni si levavano
in massa, e le intiere parrocchie marciavano contro il nemico coi loro
preti alla testa.
Gli austriaci giunti a Sauris varcarono le alte cime del monte Razzo,
e si avanzavano per un sentiero aperto in mezzo alle nevi, scendendo
cautamente, senza trovare ostacoli nel loro cammino.
Intanto Maria era giunta sulla sera fino a Laggio alle falde del
monte Adiès, che sorge fra il Tudaio a sinistra, e l'altissimo monte
Schiavone a destra. Sfinita dalla fatica del lungo cammino, e affranta
dal dolore, entrò in una cascina, e chiese ricovero per la notte.
L'apparizione di quella ragazza di fiero aspetto, ma straziata da
profonda afflizione, che si manifestava dai lineamenti scomposti, in
quei giorni di scene atroci, e di grandi eroismi, impressionò vivamente
quella famiglia di pastori, e tutti le si strinsero intorno chiedendole
con cordiale interesse quali sventure l'avessero condotta in quel sito.
Seduta fra loro scoppiò in dirotte lagrime e non le fu possibile di
parlare. La compassione trascina al pianto ma attutisce gli affanni,
e dopo qualche istante parve più calma. Aveva sete, era esausta di
forze; le presentarono del latte che bevette avidamente, poi chiese di
riposarsi, e sdraiata sopra un mucchio di fieno, il bisogno di natura
vinse il dolore, e si addormentò d'un sonno profondo che durò senza
interruzione alcune ore.
Svegliatasi prima dell'alba, non si rammentava più dove fosse. Un
lumicino che ardeva davanti una Madonna rischiarava debolmente la
stanza, si alzò sopra un gomito, guardò intorno, e a poco a poco le
ritornarono alla mente tutte le vicende del giorno prima, fino al
suo ingresso nella cascina. Allora ripensando al passato si sentì
oppressa dal rimorso di non aver annunziata la sua partenza alla povera
Maddalena. Udendo rumore nella stanza vicina sorse dal suo giaciglio
e trovò i suoi ospiti già occupati a mungere le mucche. La vecchia
moglie del pastore la forzò a prendere nuovamente un po' di latte, con
del pane di granoturco. Allora potè raccontare la sua storia dolorosa
a quella famiglia raccolta che pendeva dal suo labbro, dividendo le
sue angoscie. Manifestò il desiderio di vedere suo padre, e di poterlo
baciare ancora una volta prima che fosse sepolto; poi domandò se
fosse possibile di mandare un uomo a Pieve per portare una lettera. Un
giovanetto trilustre si offerse spontaneo, ma l'affare più difficile
era quello di poter scrivere una lettera, ove mancava la carta, le
penne o una matita. Il vecchio pastore propose alla ragazza di condurla
dal capo comune, ove non solo troverebbe il necessario per scrivere,
ma sarebbe anche istrutta sul modo di mandare ad effetto il suo pio
desiderio.
Partirono subito seguiti dal ragazzo e giunsero in breve tempo
all'uffizio Comunale, ma non fu possibile di parlare immediatamente
al Capo Comune, il quale s'era chiuso in una camera appartata, coi
notabili del paese, per decifrare i dispacci giunti la notte. Intanto
il vecchio cursore somministrò la carta e la penna richieste, e Maria
scrisse sul tavolo d'uffizio le poche parole seguenti: — «Sono a Laggio
colla speranza di poter vedere ancora una volta il mio povero padre.
Avvertite a Medole la mamma Maddalena, attribuite alla mia disperazione
la improvvisa partenza e perdonatemi.» — Poi piegato il foglio vi
scrisse sopra l'indirizzo, — Al signor Antonio Lareze — Pieve — (pagate
il messo).
Finalmente comparve il Capo Comune, col volto scombussolato, seguito
da varie persone gesticolanti in modo strano, e, rivolto a diversi
individui che aspettavano notizie, annunziò che gli austriaci si
avvicinavano minacciosi da varie parti.
Successe un parapiglia indiavolato di gente che correva qua e là
interrogando, consigliando, discutendo sul partito da prendersi.
Non fu facile a Maria di farsi ascoltare, e quando potè annunziare
il motivo della sua presenza, e chiedere come e dove potesse vedere
suo padre, le fu risposto che Isidoro Lorenzi era stato sepolto la
sera prima, e che non sarebbe possibile nemmeno di visitare il tumulo
recente, perchè nessuna strada era sicura, e forse quel terreno era già
occupato dai nemici.
Questo nuovo dolore spinse alla disperazione quella desolata, che in un
accesso di furore gridò:
— Anima benedetta di mio padre!... potessi almeno vendicare la tua
morte e quella del mio Tiziano, e ammazzarne uno di questi cani
arrabbiati, colle stesse mie mani!...
Non aveva ancora finito di pronunciare queste parole che udì il cupo
suono delle campane che suonavano a stormo, accompagnato dalle grida
delle donne e dei fanciulli, dagli urli della gente che correva
confusamente per la strada, armata di schioppi, di lancie, di spiedi,
alla quale si univano altri drappelli di combattenti che scendevano
da ogni parte per difendere il paese minacciato dagli austriaci che
avanzavano dalla valle d'Antoja.
— Datemi un'arma!... un'arma a me pure!... gridava Maria spinta al
parossismo dell'esaltazione, dell'eccesso del dolore, eccitato dal
tramenìo degli accorrenti spinti da diverse passioni, secondo il sesso,
l'età, il carattere degli individui, che vociavano confusamente per la
strada, con accenti confusi di entusiasmo, di collera, e di spavento.
Maria, cogli occhi accesi di sdegno, scuotendo violentemente per un
braccio il vecchio cursore sbalordito, esclamava:
— Datemi un'arma!... che voglio vendicare mio padre!...
Il cursore, agitato dallo spavento, aperse la porta d'un gabinetto ove
stavano raccolti alcuni fucili e varie lancie che scomparvero in brevi
istanti, portati via dalla folla invadente.
Maria afferrò una lancia, e agitandola in aria, si precipitò
furiosamente verso le scale per unirsi agli uomini, alle donne, ai
fanciulli, che correvano tutti confusi verso il nemico, ma il pastore
che la seguiva da presso l'arrestò per un braccio e le disse:
— Dove avete lasciata la lettera?...
La ragazza si scosse, si palpò intorno, trasse il foglio dal seno ove
lo aveva collocato, e consegnandoglielo gli raccomandò di spedirlo
subito al suo destino.
Il pastore raggiunse il ragazzo che attendeva sulla porta, gli pose
una mano sulla spalla, gli consegnò la lettera, e lo ammonì con queste
parole:
— Va ad avvertire tua madre che faccia salire le vacche in montagna,
e si allontani il più presto possibile; gli dirai che io parto cogli
altri contro i tedeschi. Tu andrai difilato a portare la lettera a
Pieve, e se Iddio ci salverà dalle disgrazie, ci troveremo a casa
quando avremo liberato il paese dai nemici.
Il ragazzo scomparve, il pastore raggiunse Maria, e si confusero colla
folla che progrediva, gridando, — Viva l'Italia — Viva Pio IX — morte
ai tedeschi!


X.

Le masse popolari armate venivano dalla valle d'Ansiei, da Lozzo,
Vigo, Lorenzago, e da S. Stefano del Comelico, e si unirono a Laggio
ascendendo la riva di Mondéron e per Sottonovada giunsero a Costadoro
davanti la valle del Piona fiancheggiata da nere selve, col monte
Cornon dirimpetto. Procedevano lentamente cantando inni nazionali,
preceduti dai fucilieri ai quali venivano dietro gli uomini e le donne
armati di lancie, di forche, di spiedi e di falci.
Questa turba veduta da lontano, che seguiva i sentieri tortuosi dei
monti, pareva un nero serpente gigantesco. Penetrava nei tetri boschi
d'Aunede, si distendeva in lunga fila sulla salita di Fontanelle e
s'arrestava davanti il ruscello di Rendimera, che scende precipitoso
fra le roccie di Starezza, sul margine della foresta. Dall'altra
parte del ruscello si vedeva un drappello di fucilieri cadorini che
retrocedeva lentamente davanti un corpo numeroso d'austriaci che
avanzava. Quando i cadorini che avevano attraversato il Rendimera, si
videro sostenuti dalla massa del popolo accorso, ripresero ardire,
e riparati dietro gli alberi e le roccie tirarono contro il nemico,
mirando dritto colle carabine, e facendo cadere un soldato ad ogni
colpo; e ad ogni nemico che cadeva il popolo mandava urli e grida
frenetiche di viva l'Italia, viva Pio IX.
Gli austriaci rispondevano colle fucilate e coi razzi, ma senza
avanzare, credendo che il bosco fosse tutto invaso da soldati che li
attendessero in agguato, quando invece non c'era che una popolazione
quasi inerme dietro ai soli ottanta fucilieri armati d'arme da fuoco.
Verso mezzogiorno, un ufficiale austriaco ed un tamburino essendo
rimasti uccisi, un caporale dei fucilieri di Auronzo alzatosi in piedi
per veder meglio i caduti, fu colpito da una palla in fronte che lo
distese morto all'istante. Dopo un altr'ora di lotta gli austriaci
appiccarono il fuoco ad un fienile, e si vedeva da lontano divampare
l'incendio, fra vortici di fumo e di fiamme, e i tedeschi raccolti i
loro cadaveri li portavano al fienile e li gettavano nel fuoco.
Mentre alcuni soldati erano intenti a questa operazione, gli altri si
tenevano nascosti fra gli alberi alle falde del monte, quand'ecco tutto
ad un tratto una grandine di macigni che scende dalle cime, schianta
gli alberi, schiaccia gli uomini e seppellisce sotto le macerie tutto
ciò che non travolge nei gorghi del torrente, fra le acque tinte
di sangue. A quel miserando spettacolo si univano gli applausi e le
grida della popolazione raccolta nel bosco, colpita dalla sorpresa di
quella scena, e dalla gioia di vedersi liberata dal nemico, il quale
spaventato dall'impreveduto massacro, esterrefatto dal terrore, correva
di qua e di là senza ordine nè ritegno, bersagliato dai tiri dei
fucilieri che abbattevano i fuggiaschi.
Erano stati gli abitanti del Comelico, che, giunti di soppiatto sulla
cima del monte, avevano precipitato le roccie sull'abisso nel cui
fondo stavano i nemici. Una fucilata partita dal bosco colpì anche
il comandante austriaco, che fu subito raccolto dai suoi soldati, e
portato verso la tettoia in fiamme; ciò fece credere ai cadorini che lo
gettassero nelle fiamme ancora vivente.
Intanto gli ufficiali superstiti tentavano di raccogliere i soldati,
facendo battere la ritirata; e si vide il nemico allontanarsi per
selva Antoja e salire verso Losco. Allora i fucilieri cadorini animati
dall'entusiasmo della vittoria, si slanciarono avanti arditamente
inseguendo i fuggiaschi fino quasi ai fienile abbruciato, seguiti
dall'immensa massa di popolo urlante e frenetico che usciva dal bosco e
scendeva confusamente dalla pendice.
Ma la retroguardia austriaca, minacciata alle spalle, si volse
indietro, spianò i fucili contro gli assalitori, li attese a piede
fermo, e quando giunsero a buon tiro fece una scarica di plotone che
colpì molti fucilieri, ed uomini e donne che venivano dietro, mettendo
in iscompiglio quella folla disordinata, che esaltata dallo spavento si
diede a fuggire nella massima confusione, precipitandosi nel bosco, e
correndo senza posa dalla parte di Laggio.
Intanto a Pieve sior Antonio aveva ricevuto il viglietto di Maria, e
preso seco il ragazzo che lo aveva portato, dopo essersi consigliato
in fretta con Maddalena, era partito egli pure alla volta di Laggio.
La Nina col solito passo resistente saliva le rive, senza bisogno di
frusta, e in poche ore li condusse al paese. Appena giunto procurò di
aver notizie di Maria, e venne a sapere dal Capo Comune che essa era
partita insieme alle popolazioni insorte dei villaggi vicini, e che
armata di una lancia pareva fermamente decisa di affrontare il nemico,
per vendicare la morte di suo padre, non avendo avuto la consolazione
di vederlo prima che fosse sepolto.
Sior Antonio crollò le spalle ed alzò gli occhi al cielo, mosso a
pietà da tanta insania, prodotta da eccessivo dolore, esaltato dagli
avvenimenti strani nei quali si trovava avvolta, e rimproverava
il Capo Comune di non essersi opposto a tale pazzia, raccogliendo
sotto la sua protezione quella povera ragazza; quando si udirono le
grida frenetiche, e gli ululati della gente che tornava indietro,
spaventata e confusa, dal combattimento di Rendimera, in un parapiglia
indescrivibile.
Allora sior Antonio lasciato l'ufficio municipale, si mise a correre
verso la gente affollata ed ansante, in cerca di Maria, interrogando
varie persone, per sapere dove fosse. Tutti gli facevano dei
discorsi spropositati, e rispondevano alle sue domande con narrazioni
spaventose. Dicevano che gli austriaci dopo d'essere stati schiacciati
dalle rovine del monte, risorgevano dalla terra, e sbucavano da ogni
banda in falangi innumerevoli, che si avanzavano rapidamente uccidendo
e massacrando quanti trovavano per via, incendiando i paesi nel loro
passaggio, e gettando nelle fiamme i feriti.
Ma il fatto più tremendo per sior Antonio, era quello di non poter
trovare Maria, di non poterne avere nessuna notizia. Finalmente il
fanciullo che aveva portata la lettera a Pieve, scorse fra la folla
suo padre, gli corse incontro, e lo condusse a sior Antonio che lo
interrogò ansiosamente, ma il pastore tutto sconvolto e sbalordito,
non seppe rendergli conto di nulla. Egli raccontava di non averla
abbandonata mai, ma essa gli era scomparsa fra il fumo della fucilata
quando all'avanzare dei tedeschi le donne e i fanciulli spaventati
si misero in fuga precipitosa, e trascinarono tutta la gente confusa,
attraverso il bosco, nel quale si udivano fischiare le palle nemiche
che battevano nei tronchi, e spezzavano i rami degli alberi che
cadevano sui fuggiaschi. In quella terribile confusione, tutti avevano
perduto qualche cosa, e il pastore smarrito fra la folla aveva perduto
di vista la fanciulla che gli aveva parlato poco prima; e soggiunse:
— Quando ci siamo finalmente arrestati, a qualche distanza dal bosco,
essa non si trovava più fra noi, ed era impossibile tornare indietro
a cercarla, perchè i tedeschi che c'inseguivano uccidevano tutti senza
misericordia!...
A tale racconto sior Antonio raccapricciava, aveva i capelli irti
sulla fronte, gli occhi stralunati, un colore di cadavere. Egli vedeva
la fanciulla esanime, caduta al suolo colpita dalle palle nemiche, o
peggio ancora in mano dei soldati ubbriachi, e le gambe gli tremavano,
e deplorava di non esser morto prima che tali orrori fossero venuti a
funestare la sua patria.
I fucilieri erano rimasti fuori del paese ad aspettare il nemico, ed
era tutto disposto per suonare le campane a stormo al suo avvicinarsi,
tutti decisi a precipitare in massa sopra i soldati per salvare il
villaggio dal saccheggio.
Intanto, essendo notte avanzata, sior Antonio fu costretto di
rifuggiarsi all'osteria, ove passò varie ore in dolorosa ansietà,
sotto la cappa del camino, in mezzo ai reduci della spedizione, che
colle armi alla mano aspettavano d'essere chiamati a dare lo scambio
ai colleghi che facevano la sentinella; e intanto mettevano fuori i più
strani racconti sulle varie vicende di quella giornata.
Ce n'erano anche di quelli che avendo udito parlare della fanciulla
smarrita, sostenevano d'averla veduta coi loro occhi, in mezzo dei
croati, che la trascinavano nella parte più fitta del bosco.
Dopo la mezzanotte, essendo giunta la notizia che i tedeschi erano
retrocessi, tutti si ritirarono nelle loro case per prendere qualche
riposo, e chiusa l'osteria, gli ospiti vennero condotti nelle
rispettive loro camere.
Sior Antonio si gettò sul letto senza spogliarsi, e funestato da
spaventosi fantasmi non potè chiuder occhio per quanto fu lunga la
notte. Sfinito di forze, abbattuto fino alla prostrazione, gli mancava
ogni vigore materiale e morale. Vedeva l'impossibilità di penetrare
fra i nemici per cercare le traccie di Maria, e non aveva il coraggio
di ritornare a casa, senza una qualche notizia, che pure non voleva
ricercare per tema che fosse spaventosa, e terribile.
Alla mattina per tempissimo percorse il paese, orecchiando qua e là le
dicerie assurde che si andavano propalando non si sa come, nè da chi,
nè a quale scopo, e che ingrossavano gradatamente a misura che venivano
diffuse. Interrogava tutti coloro che gli ispiravano qualche fiducia,
chiedeva avvisi e consigli, e non sapeva a quale partito appigliarsi,
e così divagando da varie parti, le gambe lo portarono nella valle
d'Antoja, ove seduto sopra un promontorio stette lungamente a guardare
da lontano quella parte del bosco che fu il teatro degli avvenimenti
del giorno antecedente....
Al momento di quel terribile tafferuglio, nel quale le donne spaventate
abbandonarono le loro provvisioni per correre senza impicci Maria poco
curante della vita, non si era sgomentata al frastuono della fucilata,
e lasciando che la gente fuggisse fra il parapiglia della paura, era
rimasta sola nel bosco. Tutto il terreno era sparso de' vari oggetti
smarriti, fra i quali vedevansi delle lancie, ed altre armi consimili,
dei vestiti, dei cibi e delle bevande o collocati nelle sporte, o
deposti al piede degli alberi.
Partiti i tedeschi da una parte, e i cadorini dall'altra, la fanciulla
vide avvicinarsi l'ora del tramonto nella solitudine e nel silenzio
della selva, e le pareva che i dolori che la opprimevano e i trambusti
di quel giorno non fossero altro che sogni d'infermo. Sedette sull'erba
ai piedi di un albero assorta in strani pensieri. Quanti e quali
avvenimenti in breve tempo!... quali scene desolanti di massacri e
di sangue successi ai giorni felici e sereni passati al roccolo di
Sant'Alipio!... ed ora che cosa doveva aspettarsi dalla vita, dopo aver
perduto quanto aveva di più caro al mondo, un padre adorato, uno sposo
che le assicurava un avvenire tranquillo nella pace della famiglia?...
e tante altre cose le attraversavano la mente come ombre paurose.
Intanto la notte veniva a sorprenderla nella solitudine di quel bosco;
e dopo la strage che l'aveva sbigottita, dopo l'odore della polvere,
le grida frenetiche d'una moltitudine divenuta crudele davanti al
pericolo, dopo il fragore delle roccie cadenti, e il frastuono dei
fucili che portavano la morte, tutto taceva, e quel silenzio solenne
non era interrotto che dal lene mormorìo delle acque del Rendimera che
saltavano sui sassi, e da un lieve stormire di fronde. La terra esalava
i suoi sentori aromatici, e un usignolo modulava i più armoniosi
solfeggi sul margine del suo nido.
La natura è bella, ma insensibile agli umani dolori essa sorride sulle
stragi, e l'erbe e i fiori germogliano più rigogliosi sopra i tumuli
dei morti.
Maria ascoltava, meditava, mandava profondi sospiri dall'anima
dolorosa, e dimenticava sè stessa, quando udito un rumore che veniva
dal fitto del bosco si rizzò in piedi esterrefatta. Essa non temeva
la morte, ma il solo sospetto d'una sorpresa notturna le metteva
raccapriccio. Afferrò la sua lancia e stette in orecchi decisa a
difendersi da disperata e morire.
Non udì più nulla. Gli antichi popolarono le foreste di spiriti
tutelari; la poesia ellenica animava gli alberi di Driadi ed Amadriadi,
di Napee, Oreadi ed altre leggiadre divinità. Vi furono numi che
vissero negli asili boscherecci, ninfe, fauni, e sileni, incoronati di
verdi fronde intrecciavano allegre danze sotto le annose piante, mentre
Silvano custodiva i confini.
Svanita l'antica fede e cresciuta l'ignoranza, si conservò il culto
delle selve, e i bassi tempi trascesero in fantastica fantasmagoria di
nuove superstizioni. La rozza immaginazione dei popoli settentrionali
popolò le foreste di _elfen_, di larve, di fate, di spettri e di
congressi notturni di demoni e di streghe. Il gufo, la civetta
apparvero sinistri augelli, l'allocco rappresentò un principio maligno,
e la paura generò nuovi fantasmi.
Il mondo moderno non crede più a niente, ma il sacro orrore delle
foreste sopravvive agli dei scomparsi, e ai miti superstiziosi, ed
anche al presente i boschi hanno i loro misteri, e specialmente di
notte vi si veggono dei fantasmi che stendono le braccia nel buio,
degli occhi lucenti che guardano nell'ombra, e si odono sibili,
bisbigli, sussurri, dei passi, degli strisciamenti, dei colpi, degli
stridi, delle voci arcane che mettono paura.... anche alle fanciulle
più coraggiose.
In quei momenti di guerra e di agguati il pericolo appariva più
evidente e più spaventoso; Maria non si sentiva tranquilla, e decise
d'uscire dal bosco. La notte era oscura, e rade stelle brillavano al
firmamento. Scese all'aperto nel prato, volgendosi peritosa di tratto
in tratto per osservare se taluno la seguisse da lontano, e s'avviò
verso il fienile incendiato che si andava spegnendo, mandando gli
ultimi sprazzi di luce, e quando gli fu presso sentì scricchiolare
i legni bruciati, o forse anche le ossa dei cadaveri gettati nelle
fiamme.
Osservando quei terreni rovinati dagli orrori della guerra, quegli
avanzi fumanti dell'incendio, le si risvegliò nell'animo indignato
l'odio per gli stranieri che erano venuti a desolare i suoi monti, ad
uccidere i suoi cari, a lasciarla sola nel mondo. Le tremule fiammelle
fra i carboni mandando una luce sinistra rischiaravano un tratto di
terreno e facevano apparire più cupe e profonde le tenebre della notte.
I monti boscosi parevano alti muraglioni percorsi da neri spettri, il
padiglione del cielo sembrava il funebre lenzuolo che copre la bara
dei morti, e quella fanciulla vagante nella tetra solitudine, cogli
occhi scintillanti di luce sinistra, coi capelli scomposti, col volto
sparuto, le vesti lacere, armata d'una lancia, presentava il truce
sembiante del genio della vendetta, che attende una vittima per vibrare
i suoi colpi.
Immobile e silenziosa ascoltava attentamente il crepitare del fuoco,
quando le parve udire un gemito che uscisse dalle rovine. Ritenne il
respiro, e udì distintamente una fievole voce che chiamava: — Maria.
A quel suono, a quel nome, un freddo sudore la invase, un fremito
le percorse tutte le fibre, si sentì mancare le forze, e dovette
appoggiarsi alla lancia per non cadere....
— Maria.... Maria.... ripeteva debolmente quella languida voce, e un
lungo gemito doloroso seguiva quel nome.
Le parve riconoscere la voce di suo padre moribondo.... si fece animo,
girò intorno all'incendio e scorse a breve distanza una piccola tettoia
che trovandosi sottovento era stata risparmiata dall'incendio, ed
essendo aperta dalla parte opposta al fuoco, si trovava immersa nelle
tenebre.
Maria entrò barcollante sotto quella tettoia, e vide confusamente nel
buio un uomo disteso sul terreno.
— Papà mio!... esclamò esterrefatta, sei tu che mi chiami?...
La voce rispose:
— Abbiate pietà d'un povero moribondo....
Quella non era la voce di suo padre; essa indietreggiò di due passi, e
non ebbe il coraggio di avanzare in mezzo all'oscurità.
Si trascinò fino al fienile incendiato, afferrò un tizzone ardente e
ritornò alla tettoia, ove vide un'ufficiale austriaco steso al suolo
in una pozza di sangue. Era il capitano ferito che i soldati per ordine
dei loro superiori avevano collocato in quel sito riparato non potendo
portarlo con loro, e che i cadorini, non vedendo da lontano la tettoia
nascosta dall'incendio, avevano creduto che lo avessero gettato nelle
fiamme ancora vivo.
Il sangue perduto aveva esaurite le sue forze, il pallore della morte
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