Il roccolo di Sant'Alipio - 05

Total number of words is 4345
Total number of unique words is 1795
36.1 of words are in the 2000 most common words
51.6 of words are in the 5000 most common words
60.0 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
Dopo la solennità, sior Antonio si era recato da Isidoro a chiedere la
mano di Maria per l'unico suo figlio Tiziano, mentre costoro giravano
spensierati fra le piante del roccolo, raccogliendo dei fiori.
Chiamati a comparire davanti i genitori li trovarono gravemente seduti
intorno al tavolo, sul quale erano stati deposti dei bicchieri e
delle bottiglie. Maria s'era messo fra le treccie un papavero rosso, e
portava in mano un fascio di biancospini e di lilla odorosi. Isidoro
le annunziò in poche parole la domanda di Sior Antonio, chiedendole
se fosse contenta. A tale proposta inaspettata, si fece tutta rossa, e
guardando Tiziano con uno sguardo di dolce rimprovero gli disse:
— Traditore!... non mi ha detto mai niente!....
— Dunque.... soggiunse suo padre, non sei disposta di concedergli la
tua mano?...
Maria guardò negli occhi il suo amico, e gliele sporse tutte due. Egli
se la strinse al seno dicendo: — Siamo nati per vivere insieme!... E
riempiuti i bicchieri, tutti bevettero alla salute dei promessi sposi.
Venne poi pattuito di comune accordo, che se l'Austria si decidesse a
resistere, e rendesse necessario di combattere per l'indipendenza della
patria, le nozze avrebbero luogo a guerra finita.
Intanto anche i Cadorini che dimoravano a Venezia facevano pervenire a
quel governo provvisorio le loro adesioni, raccomandandogli caldamente
la difesa delle loro montagne, e il governo rispondeva alle loro
dimostrazioni con un manifesto «ai popoli del Cadore» ricordando
che l'antica repubblica li chiamò «fedelissimi» rammentando loro le
patrie vittorie, e con platonici sentimenti, come era nelle abitudini
declamatorie del momento, scambiava le più ingenue dichiarazioni
d'amore, dicendo a quel popolo: «Cadorini, credete all'affetto nostro,
e noi al vostro crediamo, perchè sappiamo bene che le anime sincere
sono le più generose ed ardenti.»
Ma siccome nelle rivoluzioni e nelle guerre una buona carabina è assai
più vantaggiosa della rettorica, anche se accompagnata da cordiali
dimostrazioni d'affetto, così i Cadorini si ostinarono a domandare al
governo di Venezia, armi, munizioni, e soccorsi per resistere ad una
possibile invasione, e per loro parte si mettevano subito all'opera
organizzando dovunque la difesa, istituendo le guardie civiche,
raccogliendo tutte le armi che potevano trovare, fortificando i punti
più importanti di Venàs, di Vallesella, e di San Vito; ed alcuni
drappelli più animosi erano anche andati a tenere in sorveglianza il
confine malsicuro di Ampezzo e di Montecroce. I Cadorini sentivano
d'essere le sentinelle avanzate sui confini d'Italia, e che la difesa
delle Alpi avrebbe deciso la sorte della patria comune. L'arsenale di
Venezia era bene provveduto di armi da guerra, e coll'insistenza dei
cadorini dimoranti colà si ottennero finalmente 400 stutzen, 5 cannoni,
ed alquanti barili di polvere.
Al loro arrivo in Cadore queste armi furono accolte con segni festosi
di gioja, i cadorini andarono ad incontrare i carri che le portavano,
li scortarono come in trionfo, ma erano sempre poche al bisogno, e
affatto insufficienti al gran numero d'uomini che correvano volonterosi
a difendere le gole dei monti. Così mentre in molte città d'Italia si
facevano romorose dimostrazioni, o vane pompe di facili trionfi, in
quei monti ignoti o appena noti a gran parte d'Italia quegli animosi
montanari si apparecchiavano arditamente alla difesa. Le miniere
d'Auronzo fornivano il piombo, le donne preparavano le cartucce e le
filaccie, gli uomini si esercitavano al maneggio delle armi.
Tiziano viveva una vita piena d'entusiasmo, ora in soavi colloqui colla
adorata fanciulla, ora col fucile in ispalla, attendendo il nemico
alla frontiera in difesa della patria. E dopo una notte passata in un
bosco per sorvegliare i confini, egli correva sotto al noto balcone ad
aspettare il primo raggio di sole. Al crepuscolo si apriva la finestra,
e compariva Maria, che gli pareva più bella dell'astro che tingeva di
rosa le cime dei monti.
L'amore della patria si animava dell'amore della donna, e si
concentrava in una sola aspirazione: far rispettare tutto ciò che
l'uomo ha di più sacro sulla terra, il suolo nativo e la famiglia,
l'onore della nazione e i tesori del cuore.
E in mezzo a quelle alpi sublimi, nel roccolo di Sant'Alipio, nel
nido recondito sospeso sulle roccie di Montericco, nelle ore concesse
al riposo del soldato, l'amante s'inebbriava del sorriso della sua
fanciulla e la loro gioventù si alimentava di speranze e di voluttà,
e Tiziano stringendo la mano di Maria, trovava ancora più stupenda
la bella natura che gli stava davanti, e in quella varietà di tinte,
d'ombre, di luce, di canti e di profumi trovava più adorabile la sua
fidanzata, che gli faceva tutto sentire ed ammirare attraverso il
prestigio della passione. Quella stagione del rinnovo gli apparve
come uno spettacolo meraviglioso, ed infatti era per lui la primavera
della vita, la primavera dell'amore, la primavera della patria, che
si associavano alla primavera dell'anno. Il mattino era un incanto di
paradiso in quel sito, le tinte rosee del cielo si riflettevano sulle
cime dei monti, l'aria leggera ed odorosa echeggiava di mille voci
sonore che salutavano il ritorno della luce. A mezzo giorno, tutto
era silenzio, pace, e profumi; al tramonto, il cielo le nuvole le alpi
parevano di fuoco, e i sospiri del cuore si confondevano colle brezze
vespertine.
Quando il dovere chiamava il soldato alle armi durante il giorno, ed
alla sera si cambiavano i drappelli che erano stati di guardia, dopo un
breve riposo Tiziano correva al roccolo di Sant'Alipio, ove Maria lo
aspettava, e passavano delle ore deliziose al chiaro di luna. Le loro
parole sommesse, bisbigliate in quella solitudine incantevole, parevano
preghiere, ed erano poesie, ignote a chi non ha amato con purezza di
sentimento in quei tempi in quei luoghi in quelle circostanze. E quella
poesia era la realtà di quella scena e di quei cuori, come le lubriche
scene dei vizii cittadini sono la realtà d'altri tempi e d'altri
costumi.
Ai primo alito di libertà il paese si sentiva vivere di nuova vita.
Era in tutti un desiderio d'operare pel bene comune, una fratellanza di
sentimenti, di voti, di aspirazioni, una curiosità intensa di notizie
delle altre parti d'Italia, che recavano sempre nuove sorprese.
All'ora dell'arrivo della diligenza giornaliera una folla di curiosi
le si accalcava d'intorno avida di udire le novità e di ricevere le
corrispondenze e i giornali, e in tal modo la popolazione di Pieve
veniva a conoscere gli avvenimenti che si succedevano continuamente,
impreveduti, meravigliosi.
Tutte le città del Veneto, meno Verona, avevano superati gli ostacoli,
e allontanati gli austriaci. A Udine avevano obbligato le truppe
a ritirarsi a Gorizia, a Treviso una capitolazione aveva costretto
il presidio a sgombrare, lasciandovi un battaglione del reggimento
Zannini, tutto di Trivigiani, che avevano fraternizzato col popolo. A
Padova il tenente-maresciallo D'Aspre firmava una convenzione con quel
municipio, obbligandosi ad uscire dalla città, evacuava anche Vicenza
soggetta al suo comando, e si ritirava nel quadrilatero. Treviso aveva
istituito i _Cacciatori del Sile_, e la legione _Italia libera_, Padova
la _legione Euganea_.
Ma come avviene ordinariamente ne' tempi di rivoluzioni e scompigli,
le notizie invece di giungere positive e veritiere pareva che si
gonfiassero per via, e si sballavano grosse, esagerate, ed anche
false ed inventate di pianta. A udire quei viaggiatori di passaggio
l'Austria era caduta in dissoluzione, era morta e sepolta; non se ne
parlava nemmeno; e i paesi erano intieramente preoccupati dal pensiero
della forma di governo da adottarsi; chi voleva la repubblica, chi la
monarchia, chi la casa di Savoia e chi il papa, chi la federazione e
chi l'unità.
Mazzini predicava per un partito, Gioberti declamava per un altro, ed
entrambi ottenevano applausi, dimostrazioni clamorose, e trionfi.
A tali racconti i buoni patrioti si attristavano grandemente; sior
Antonio agitava la testa e stringeva le labbra, sior Iseppo grugniva,
il consigliere imperiale crollava le spalle, Isidoro si lasciava
trasportare dall'entusiasmo, assicurava in piena buona fede che tutto
sarebbe finito a meraviglia, Tiziano vedeva color di rosa, la politica
e l'amore, e si esaltava gridando:
— Viva l'Italia!... viva la libertà!...
Un giorno che si aspettava colla solita ansietà l'arrivo della
diligenza, la si vide da lontano che saliva la costa, e si distingueva
una macchietta sull'imperiale che sventolava una carta. Grande
impressione nella folla a quel segnale! Che cosa poteva essere?... chi
diceva una bandiera bianca, chi vedeva un brutto presagio, chi sperava
l'annunzio d'una buona vittoria, o un trattato di pace che consolidasse
l'indipendenza italiana. L'agitazione andava sempre crescendo, tutti
spalancavano gli occhi, molti corsero incontro alla diligenza per
essere i primi a conoscere il fatto straordinario che si annunziava...
Era Michele che ritornava dal suo breve esilio in Piemonte e che aveva
cominciato da lontano ad agitare in aria il manifesto del Re Carlo
Alberto — _Ai popoli della Lombardia e della Venezia._ —
Quando la diligenza si arrestò in mezzo alla folla stipata davanti
l'Ufficio della Posta, Michele, in piedi sull'imperiale, si mise a
declamare ad alta voce il manifesto — «I destini d'Italia si maturano;
sorti più felici arridono agli intrepidi difensori dei conculcati
diritti.» Uno scoppio di applausi frenetici fece sospendere la lettura,
la quale fu costantemente interrotta dal crescente entusiasmo degli
spettatori, e dalle grida romorose di chi domandava il silenzio. Quando
udirono che il re del Piemonte entrava in Lombardia col suo esercito,
gli applausi non finivano più, e Michele accennava colle mani che
stessero zitti se volevano udire anche il resto. Quando fu possibile
di riprendere la lettura, il giovane continuò con voce stentorea:
«Seconderemo i vostri giusti desideri fidando nell'ajuto di quel Dio
che è visibilmente con noi, di quel Dio che ha dato all'Italia Pio IX,
di quel Dio che con sì meravigliosi impulsi pose l'Italia in grado
di far da sè.» — Tali parole eccitarono una irresistibile frenesia
nella folla, e non fu più possibile di calmarla. Le grida assordanti
di Viva Pio IX si confondevano con quelle di viva l'Italia, viva la
libertà, viva il Cadore, Viva Carlo Alberto. — Viva la repubblica di
S. Marco!... La fine del manifesto non si è potuta udire che dai più
vicini, e Michele saltato abbasso dalla diligenza si trovò stretto e
quasi soffocato dagli amici. Sior Antonio piangeva dalla consolazione:
egli vedeva la patria liberata, la famiglia tranquilla, e il legname
delle seghe fuori di pericolo. Il Consigliere imperiale assicurato
dall'intervento del Piemonte, giudicò l'Austria perduta senza
remissione, e vedendo l'entusiasmo del popolo, stimò opportuno per la
propria sicurezza, e per garanzia della pensione, di dare una prova
evidente di patriottismo, e si mise a gridare — «morte all'Austria!
fuori i barbari dall'Italia! viva Carlo Alberto e l'esercito
piemontese!» I popolani gli strinsero le mani, in segno di ammirazione
pel suo generoso entusiasmo, ed egli ringraziava modestamente, mentre
Michele sfuggito alla folla correva a casa col suo sacco da notte,
ad abbracciare lo zio orso e ad ascoltare con rassegnazione le sue
ramanzine.
Però gli avvenimenti non erano così assolutamente decisi come si
credeva nel primo entusiasmo dalla poca esperienza politica delle
popolazioni appena uscite dalla dominazione straniera. L'esercito
austriaco sorpreso dalla rivoluzione nelle varie città non era punto
disfatto. Anzi si andava raccogliendo regolarmente, e i vari corpi
dispersi con poche perdite si concentravano nel quadrilatero dove
il vecchio feldmaresciallo Radetsky organizzava le truppe e stava
attendendo i rinforzi che aveva domandati, per uscire da' suoi ripari e
riprendere il terreno perduto.
I volontari che sotto gli ordini del generale Sanfermo si batterono
coraggiosamente contro gli austriaci a Montebello dovettero soggiacere
al numero superiore che li assalì, a Sorio, dove fu un vero macello,
e si pagò uno dei primi tributi di sangue per la difesa del territorio
veneto. Il generale Durando col suo corpo d'esercito pontificio non si
decideva mai a varcare il Po, malgrado le vive sollecitazioni che gli
venivano fatte dal governo di Venezia e dal generale Lamarmora, che lo
eccitavano a portarsi sull'Isonzo dove il Nugent raccoglieva uomini,
armi e munizioni per scendere nel Friuli e recarsi a Verona in soccorso
di Radetsky.
Pio IX dopo di aver benedetto il 25 marzo dall'alto del Quirinale
la bandiera delle truppe regolari che partivano per la guerra
dell'indipendenza, si mostrava esitante e mal contento, e finalmente
dichiarò coll'enciclica del 29 aprile che non aveva mai inteso di far
la guerra all'Austria.
L'indignazione fu grande in tutta Italia, e a Roma principalmente,
ove i genitori, i parenti, gli amici dei militi partiti per la guerra
temevano di vederli cadere in mano del nemico ed essere trattati da
ribelli.
In tali condizioni di cose premeva grandemente che i soldati
volonterosi di battersi per l'indipendenza nazionale avessero dei capi
che sapessero dirigerli, e i cadorini pressavano il governo provvisorio
di Venezia di voler provvedere a questa necessità, per difendere
validamente le Alpi.
E infatti il 18 d'aprile Daniele Manin fece chiamare il dottor Luigi
Coletti, reduce dalla lotta di Sorio, e gli presentò Pietro Fortunato
Calvi, nominato capitano delle armi del Cadore, con decreto del 17 dal
governo provvisorio della repubblica.
Pietro Fortunato Calvi era nato nell'antico castello di Briana in
provincia di Padova, comune di Noale il 15 febbraio 1817, aveva
dunque appena compiuto 31 anno, e ne mostrava assai meno. Era un bel
giovane biondo, di nobile fisonomia, di aspetto marziale, di carattere
dignitoso, schietto, leale, che attirava la simpatia di quanti lo
vedevano. Il parroco del villaggio fu il suo primo maestro, poi
continuò i suoi studi nel ginnasio di Padova, e dopo passò nel collegio
militare del genio a Vienna da ove uscì col grado di tenente nell'arma
di fanteria del reggimento Wimpfen. Trovatosi per vari anni di
guarnigione a Venezia, venuto a contatto cogli ufficiali di marina, che
memori delle glorie passate, colleghi dei Bandiera e di Moro, nudrivano
sentimenti italiani, fattosi amico di alcuni giovani veneziani che
gli parlarono di patria e di libertà, il giovine tenente s'avvide a
poco a poco che le tenebre politiche avevano oscurata la vista a molti
italiani, che ignoravano di avere una patria, e si mostrò pronto a
riconoscerla e deciso a servirla. I suoi superiori si accorsero delle
nuove idee che germogliavano nella mente del giovane ufficiale, e per
allontanarlo dalle tentazioni e guadagnarlo coll'ambizione soddisfatta,
lo traslocarono a Gratz col grado di capitano. Ma ai primi movimenti
del 48 diede le sue dimissioni, che non vennero accettate, ciò che non
gl'impedì egualmente di lasciare il servigio straniero, e recatosi a
Trieste uscì dal porto in una barca peschereccia ed attraverso mille
pericoli giunse a Venezia. Colà si faceva conoscere dal governo il
quale lo accoglieva con distinzione e gli dava l'incarico di andar a
dirigere la difesa del Cadore. Il giorno 19 aprile egli partiva per la
sua destinazione insieme al compagno che gli era stato dato e il giorno
successivo sulla sera, entrava a Pieve e prendeva alloggio in casa
Coletti.
Presentato al Municipio che riconobbe subito il suo incarico, venne
tosto deliberato di convocare nuovamente pel giorno 25 i deputati di
tutti i comuni del Cadore, i capi delle guardie civiche, e tutti i
maggiorenti del paese. Intanto il capitano prendeva conoscenza dei
luoghi e delle persone.
Il giorno 25 nella sala della Comunità, ai rintocchi della campana
che aveva suonato al 1º del mese si raccolse l'assemblea, con meno
trasporti frenetici della prima volta, ma con pari patriottismo, più
positivo e più grave, decisi tutti a qualunque sacrificio per vietare
l'ingresso delle Alpi all'esercito imperiale; che si presentava
minaccioso alla frontiera.
Il Municipio di Pieve presentò ai convocati il capitano Calvi, come
capo delle armi cadorine, eletto dal governo centrale. Esso venne
accolto da unanimi applausi, e fece un breve discorso all'adunanza,
manifestando il suo fermo proposito di dedicare la vita alla difesa e
al bene del paese, nel quale con suo sommo piacere era stato mandato.
Le sue parole vennero ascoltate in rispettoso silenzio, seguito da
manifestazioni di gioia, e da esclamazioni di entusiasmo guerriero.
Si fece qualche altro discorso, e poi si passò subito alla nomina del
Comitato di difesa, al quale presero parte i più distinti cittadini.
Dopo alcune altre formalità secondarie, si stava dettando il protocollo
delle prese deliberazioni, quando si vide entrare nella sala un
uomo pallido in volto, che teneva in mano un foglio stampato. Era
il signor Luigi Galeazzi di Perarolo il quale veniva ad annunziare
all'assemblea che gli Austriaci avevano passato l'Isonzo, che Udine
aveva dovuto capitolare, e quel foglio conteneva appunto il testo della
capitolazione, ed era la prova evidente della nuova invasione.
A tale sorpresa successe qualche istante di silenzio. Era una
trasformazione impreveduta di scena che faceva cadere ad un tratto
molte illusioni, smorzava molti entusiasmi, risvegliava timori e
paure, e smascherava alcune persone accorse all'assemblea colla
fiducia di qualche vantaggio personale, spinte a secondare la corrente
e a mostrarsi fra le prime ad adorare il nuovo astro che sorgeva
all'orizzonte. Chi avesse osservato in quel momento le contrazioni
muscolari del viso del Consigliere imperiale avrebbe veduto un tipo
curioso ed interessante di quell'epoca, uno di quei personaggi che dopo
d'aver servito con molto zelo il governo straniero, procuravano dopo la
sua caduta di far dimenticare un passato pericoloso, e si mostravano
fra i più ardenti promotori del nuovo ordine di cose, insinuandosi
astutamente nelle pubbliche adunanze, gridando più forte degli altri,
infiltrandosi a poco a poco, e penetrando nei nuovi uffici, per
riprendere influenza nelle cose pubbliche, assumere nuova autorità,
sollevarsi dalle rovine, cercando nuove soddisfazioni all'ambizione, e
nuovi lucri all'avidità.
Il consigliere imperiale, avvedutosi in quel momento d'aver avuta
troppa fretta a mostrarsi liberale, avrebbe voluto tirarsi indietro
senza compromettersi, ed agitato dalla lotta che si combatteva nel suo
cervello, presentava una fisonomia, che sarebbe sembrata molto comica,
se le gravi preoccupazioni del momento non avessero attirato altrove
gli sguardi. Ma se c'era un consigliere imperiale, e qualche timido
che viste le critiche circostanze avrebbe voluto subito rinunziare ad
ogni resistenza, l'assemblea si componeva la maggior parte di animosi
patriotti come Tiziano, Michele, Isidoro, e tanti altri disposti a
dare la vita per la patria, decisi di resistere alla nuova invasione,
i quali non avevano che un solo timore, quello di riveder l'Italia
ricadere in mano degli stranieri, e non erano animati che da una sola
ambizione, quella di offrire tutto il loro sangue per salvarla da
questa nuova sventura.
Il generoso patriotta che stava al fianco di Calvi prese la parola,
dicendo:
— A che ci siamo qui raccolti?... Nol sapevamo noi che il nemico ci
stava alle porte deciso d'invadere nuovamente la patria?... Non è
forse il pensiero della difesa che ci ha qui condotti?... A che dunque
occuparsi di difesa se non si avesse avuto presente che fra poco
avremmo avuto il nemico da combattere?
Queste ragionevoli domande, che contenevano la risposta perentoria,
vennero accolte con sommo favore dalla maggioranza, ed al breve
silenzio prodotto dalla sorpresa, successero i più vivi applausi e
gli evviva iterati all'Italia, alla repubblica, ed a Pio IX, e finito
in fretta il protocollo verbale, e firmato dal maggior numero degli
intervenuti, l'assemblea si sciolse, accolta dal popolo stipato nella
piazza, con ripetute acclamazioni, e con voci d'incoraggiamento e di
concorde adesione.
Il consigliere imperiale corse a chiudersi in casa, deplorando la
sua imprudenza, ritirò dalle pareti del suo gabinetto il ritratto
di Pio IX e quello di Carlo Alberto, e li portò in soffitta, dove
si mise con ogni cura a ritirare la polvere e le ragnatele dai
ritratti dell'imperatore Ferdinando, e a quelli dei marescialli
dell'Impero, che rimise con grande rispetto nelle loro cornici, e
dopo lavati i vetri appese di nuovo al loro posto, dal quale erano
stati ritirati prudentemente davanti le energiche manifestazioni
cadorine in favore della libertà, e nascosti dietro le casse coi vecchi
mobili abbandonati. E tutto intento a tale operazione, deplorando la
precipitazione dei primi giorni giurò solennemente che in avvenire
sarebbe più cauto, non ammettendo mai più nelle sue stanze altro che
i sovrani riconosciuti regolarmente da tutte le potenze d'Europa.... e
delle nazioni più forti delle altre parti del mondo.
Ma in quello stesso giorno la popolazione di Pieve celebrava la
festa di San Marco nella chiesa di Santa Maria, stipata di gente
d'ogni condizione, e il reverendissimo Arcidiacono che officiava
solennemente, circondato dal clero, dava la benedizione alla bandiera
della _Guardia Civica_. La religione e la patria si erano congiunte in
uno stesso sentimento di devota affezione, e quelle buone, semplici,
ed energiche popolazioni delle montagne, prostrate devotamente davanti
gli altari, domandavano a Iddio la protezione delle armi per difendere
valorosamente il loro territorio e le loro case dalla invasione degli
stranieri.


VI.

Il Comitato di difesa si mise subito all'opera alacremente, aprendo i
ruoli dei volontari, esercitandoli al maneggio delle armi. I cadorini
hanno la consuetudine di emigrare ogni anno per alcuni mesi, in vari
paesi d'Europa, esercitando diverse professioni, ma in quell'anno
non erano partiti, od erano ritornati più presto a motivo degli
sconvolgimenti politici. I giovani accorsero subito ad iscriversi nella
milizia, e in tal modo vennero prontamente costituiti i _Corpi franchi_
destinati al servizio attivo ai confini, lasciando alla guardia civica
il servizio interno d'ordine e sicurezza. Fissato il giornaliero
assegnamento dei volontari, furono presentati al Comitato, davanti
il quale giurarono solennemente di servire per tre mesi come soldati
regolari, sotto il supremo comando del capitano Calvi. E in pochi
giorni si raccolsero 380 uomini che vennero divisi prima in quattro
poi in cinque corpi di 75 a 80 uomini ciascheduno. Ogni drappello
aveva la sua bandiera tricolore che lo precedeva nelle marcie, e veniva
piantata nel punto fissato per la difesa. La fretta rese impossibile di
adottare una assisa uniforme, soltanto portavano un ramoscello d'abete
sulla coccarda italiana fissata ad una falda del cappello rilevata ed
aderente alla cupola. I capi si distinguevano per dei segnali bianchi
alle maniche.
Mentre venivano istruite queste milizie il capitano Calvi col suo
inseparabile compagno del comitato percorreva il Cadore, prendendo
conoscenza delle posizioni, ispezionando quanto era stato operato
dai cadorini fino a quel momento per la difesa dei loro confini,
e disponendo tutto ciò che era da farsi secondo i luoghi e le
circostanze. Trovarono il confine di Montecroce bastantemente premunito
per cura di Giovanni Coletti comandante della guardia civica del
Comelico superiore.
Le accoglienze fatte dalle popolazioni del Comelico al capitano
mandato dalla repubblica di Venezia, ed al capo del comitato che lo
accompagnava, dimostrarono come anche in quella parte del Cadore fosse
vivo il desiderio dell'indipendenza, e come quei paesani fossero fermi
e ben disposti a difendersi ed a respingere con energia l'invasione
tedesca. Ed era assai bello il vedere quei montanari del Comelico
superiore, che sono generalmente alti della persona e robusti, vestiti
del loro costume di festa, che consiste in una tunica bianca di lana,
affatto particolare al paese, portanti sulle spalle la scure dei
boscajuoli e la zappetta, inghirlandata di verdi fronde, col cappello
ornato di nastri, e la coccarda tricolore sotto al ramoscello d'abete.
S'erano raccolti ad aspettare il capitano sulla piazza di Padola,
villaggio estremo del Cadore, collocato in un'ampia valle palustre,
in mezzo a monti coperti di foreste, attraversati da torrenti, colle
alte cime di nude roccie acuminate, costantemente nevose. Quella brava
popolazione intelligente e svegliata ascoltava estatica i discorsi dei
loro capi, applaudiva concorde, e prometteva costanza e fedeltà.
A Treponti il capitano Calvi ordinò alcuni lavori per barricare il
passo e fece alzare un fortino a sinistra del Pieve, sotto il bosco di
Gogna, per collocarvi due cannoni.
La valle del Boite, le gole d'Oltrechiusa e il confine Ampezzano
avevano avuto le principali cure dei Cadorini, poco sicuri dei loro
vicini tirolesi. Quelle valli che dalla chiusa di Venàs si estendono
fino ai confini di Ampezzo, presentano dei prospetti assai pittoreschi.
Il torrente Boite che scaturisce dalle alpi tirolesi scorre alle falde
dei monti profondamente incassato, corre a sbalzi, e si stende come un
verde cristallo nei siti piani e profondi, e si trasforma in candide
spume spruzzanti e rumorose quando s'infrange nelle roccie cadute dalle
cime più eccelse nel suo letto tortuoso. La strada detta d'Alemagna,
tagliata nei macigni a grande altezza dal torrente, si raggira in varie
curve secondando i seni e i dorsi dei monti, ed ora presenta alla vista
una vallata ridente di poggi, di pascoli, e di verdi boschi di larici
e abeti, ora si va stringendo in gole minacciose, e fra nude rupi a
picco, che pare devano rendere impossibile l'uscita.
A destra del Boite torreggia il Pelmo che s'innalza a 3161 metri sul
livello del mare, a sinistra l'Antelao s'innalza a 3255 metri, in mezzo
d'un corteggio di monti minori. Monte caro e terribile ai Cadorini che
lo ammirano da lontano, coronato di nevi o di tempeste, nero di nubi
o irradiato da rosei colori dell'alba, o dal fuoco vivo d'incantevoli
tramonti. Gigante dolomitico spaventoso ai vicini, colle sue orribili
frane, la cui storia è tremenda per villaggi sotterrati dalle rovine e
sepolti per sempre. Egli sorge squallido, nudo, frastagliato, nevoso,
in mezzo ai deliziosi boschetti di Valle, paesello ridente d'ortaglie
e frutteti, che guardano paurosi il fantasma che li sovrasta. Le
case antiche di Valle tutte di legno, affumicate, coi loro ballatoi,
ingombre di scale, poggiuoli, coi tetti sporgenti, formano dei gruppi
di linee stupende e di colori pastosi e robusti, davanti un orizzonte
ondeggiante in amenissimi declivi ornati d'alberi ramosi che sporgono
le loro braccia ritorte fra le fabbriche e i muri cadenti coperti
di edere, dietro i quali si vedono i lontani boschi di larici dalle
fogliette glauche, che rendono più dolci i passaggi dalle tinte
cariche e cupe del primo piano al fondo cinereo dell'Antelao che spicca
maestoso sull'azzurro del cielo.
A Costa un ponte d'un solo arco s'innalza sull'acqua del torrente a 59
metri, e, appoggiandosi sulle roccie sparse d'abeti che crescono fra i
crepacci, congiunge le due rive e conduce sulla strada di Cibiana. Nel
1823 il monte franato fermò il corso del Boite per 12 ore, e finalmente
rotta la diga, le acque si versarono furiosamente nella valle e
alzandosi fino a 25 metri, inondarono Perarolo apportando desolazioni e
rovine.
Anche Vodo offre amenissimi paesaggi e prospettive stupende; monti
sparsi di boschi, seguiti da altri monti e da altri boschi a tinte
sempre più digradanti quanto più si allontanano dalla vista, con
declivi a dolcissime curve e toni sempre più languidi e sfumati che
finiscono con nude roccie grigie filettate di neve e confuse colle
nuvole.
Presso l'antichissimo paesello di San Vito, il Pelmo presenta le
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Il roccolo di Sant'Alipio - 06
  • Parts
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 01
    Total number of words is 4274
    Total number of unique words is 1804
    33.3 of words are in the 2000 most common words
    48.1 of words are in the 5000 most common words
    56.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 02
    Total number of words is 4356
    Total number of unique words is 1767
    38.8 of words are in the 2000 most common words
    55.2 of words are in the 5000 most common words
    62.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 03
    Total number of words is 4381
    Total number of unique words is 1718
    39.5 of words are in the 2000 most common words
    56.2 of words are in the 5000 most common words
    63.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 04
    Total number of words is 4337
    Total number of unique words is 1844
    34.5 of words are in the 2000 most common words
    52.0 of words are in the 5000 most common words
    60.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 05
    Total number of words is 4345
    Total number of unique words is 1795
    36.1 of words are in the 2000 most common words
    51.6 of words are in the 5000 most common words
    60.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 06
    Total number of words is 4326
    Total number of unique words is 1785
    36.5 of words are in the 2000 most common words
    51.5 of words are in the 5000 most common words
    59.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 07
    Total number of words is 4346
    Total number of unique words is 1753
    33.9 of words are in the 2000 most common words
    49.6 of words are in the 5000 most common words
    58.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 08
    Total number of words is 4370
    Total number of unique words is 1788
    34.2 of words are in the 2000 most common words
    49.2 of words are in the 5000 most common words
    57.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 09
    Total number of words is 4415
    Total number of unique words is 1769
    33.7 of words are in the 2000 most common words
    49.2 of words are in the 5000 most common words
    56.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 10
    Total number of words is 4379
    Total number of unique words is 1773
    38.4 of words are in the 2000 most common words
    53.8 of words are in the 5000 most common words
    62.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 11
    Total number of words is 4468
    Total number of unique words is 1768
    37.3 of words are in the 2000 most common words
    53.7 of words are in the 5000 most common words
    62.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 12
    Total number of words is 4434
    Total number of unique words is 1754
    36.5 of words are in the 2000 most common words
    52.2 of words are in the 5000 most common words
    61.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 13
    Total number of words is 4284
    Total number of unique words is 1821
    32.9 of words are in the 2000 most common words
    49.9 of words are in the 5000 most common words
    58.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 14
    Total number of words is 4390
    Total number of unique words is 1660
    37.5 of words are in the 2000 most common words
    53.7 of words are in the 5000 most common words
    61.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 15
    Total number of words is 4409
    Total number of unique words is 1824
    35.7 of words are in the 2000 most common words
    51.0 of words are in the 5000 most common words
    59.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 16
    Total number of words is 4335
    Total number of unique words is 1760
    36.8 of words are in the 2000 most common words
    53.8 of words are in the 5000 most common words
    62.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 17
    Total number of words is 4321
    Total number of unique words is 1784
    37.0 of words are in the 2000 most common words
    53.7 of words are in the 5000 most common words
    61.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Il roccolo di Sant'Alipio - 18
    Total number of words is 3555
    Total number of unique words is 1553
    34.8 of words are in the 2000 most common words
    51.0 of words are in the 5000 most common words
    58.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.