Il roccolo di Sant'Alipio - 10

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gli stava sul volto, gli occhi incavati erano circondati da un cerchio
azzurro.
Maria mossa a pietà dal misero stato di quell'infelice gli chiese
dove fosse ferito. Egli accennò un braccio ed una gamba, e gli fece
comprendere che non era in caso di muoversi: l'emorragia gli esauriva
gradatamente le forze.
Tutto mancava di quanto è necessario per soccorrere un ferito; tagliò
colla spada le vesti dell'ufficiale, lacerò in fretta la sua sottana
e ne fece delle bende, lacerò un lembo della camicia, lo addoppiò per
fare dei guancialini che applicati alle ferite arrestarono il sangue,
poi li assicurò con delle fasciature legate strettamente, e corsa
al rivolo inzuppò d'acqua un brandello della sua veste, e lavò il
sangue rappreso intorno alle ferite. Poi rammentandosi degli oggetti
abbandonati nel bosco, si fece animo, vi rientrò e raccolse del pane,
del vino, dei vestiti, e ritornò alla tettoia carica di provvisioni.
Fece bere un po' di vino al ferito che parve rianimarsi alquanto,
gli collocò sotto la testa dei panni, lo coprì con quelli che gli
restavano; e dispose dei rami d'abete per sostenergli le membra.
Riavuto alquanto da quelle cure, il capitano chiese alla fanciulla:
— Chi siete voi, così buona e pietosa?...
— Sono la figlia infelice d'un uomo ucciso dai vostri soldati!... —
essa gli rispose.
Il ferito alzò gli occhi al cielo, e soggiunse:
— Terribile sventura la guerra!... per tutti!... La vostra carità vi
onora doppiamente.... Che Dio ve ne ricompensi, concedendovi ogni bene
possibile sulla terra!
— Nessun bene è più possibile per mio conto!... non posso avere che
lagrime, per piangere i miei poveri morti. Ho perduto anche il mio
fidanzato.... non mi resta più nessuno!...
— Povera ragazza!... anche il vostro fidanzato è morto combattendo?...
— È scomparso in un combattimento.... morto, o ferito, o prigioniero,
nessuno seppe più nulla di lui.... si dice anche che sia stato
massacrato dai soldati che lo avranno preso!...
— L'uomo inferocito dalla lotta diventa una belva.... ma voi come vi
trovate in questo luogo?...
Maria gli raccontò il suo pellegrinaggio, e le vicende del giorno
antecedente.
Durante questo racconto egli impallidiva sempre più. Maria vedendolo
venir meno inzuppò del pane nel vino e glielo porse. Egli lo prese
ringraziando, poi ne chiese ancora, e così a varie riprese, e parve
riacquistare un po' di vigore.
La fanciulla lo vegliava come una suora di carità, e vedendolo un po'
meno abbattuto volle appagare una sua curiosità, e gli disse:
— Quando io mi aggirava intorno al fienile incendiato, voi avete
chiamato distintamente, e più volte Maria.... che cosa significa questo
nome in vostra bocca?...
— Maria è il nome della mia fidanzata.... povera Maria!... essa prega
da lontano, unitamente a mia madre.... prega per la mia salute....
spera nella pace e nell'avvenire.... e ignora ch'io sono vicino
alla morte.... non ci vedremo mai più!... essa pure al pari di voi
sarà vedova prima delle nozze!... — ed una lagrima gli solcava le
guancie.... e due singhiozzi convulsi gli strozzarono le parole nella
gola.
— Quale strano accidente! esclamava la fanciulla.... io pure mi chiamo
Maria!...
— Forse la suprema provvidenza non è estranea a questo caso, egli le
rispose. Una donna che porta il nome della mia fidanzata mi chiuderà
gli occhi.... e farà sapere alla mia famiglia che io sono morto col
pensiero rivolto ai miei cari!... — tacque per qualche istante, poi
riprese — La mia povera madre attendeva il mio ritorno per celebrare le
nozze!... Maria aveva appena finito il suo corredo quando è scoppiata
la guerra.... io doveva lasciare il servizio militare, e una casetta di
campagna ci attendeva all'ombra d'antichi alberi, ove ho passata la mia
gioventù.... ho tutto perduto per questa guerra maledetta!...
— Noi almeno, soggiunse Maria, noi ci battiamo per difendere la
patria.... ma voi!...
— Noi ci battiamo per dovere di soldati.... per l'onore che ci obbliga
a seguire la nostra bandiera!...
A questo dialogo seguì un lungo silenzio, il ferito non voleva
offendere la pietosa fanciulla che lo aveva soccorso con tanta bontà,
ed essa non voleva amareggiare un moribondo.
Sospiravano entrambi, concentrati in dolorosi pensieri.
Ai primi barlumi del crepuscolo quella scena si disegnava
distintamente. L'austriaco prostrato di forze giaceva al suolo
impotente, la fanciulla accovacciata in un angolo sorvegliava i suoi
movimenti, per accorrere in suo soccorso ad ogni bisogno. L'invasore
era protetto dalla vittima; la debolezza, trascinata alla vendetta
dalla violenza, all'aspetto della sventura aveva mutato l'odio
in carità. Il dolore aveva appianate le differenze, e scriveva in
caratteri parlanti e concisi la storia di tutte le guerre: — Vittime,
morti, incendi, desolazioni da ogni parte. La ragione e la giustizia in
balia d'una forza cieca e brutale, che può dare risultati contrari ad
ogni previsione.
L'aurora tingeva il cielo di porpora, e pareva il riverbero del sangue
versato sul campo di battaglia.
L'ufficiale ferito alzò lentamente il capo, ed osservò con attenzione
le cime dei monti, verso la Carnia, poi rivolto alla fanciulla le
disse:
— Guardate bene su quei monti, oggi i soldati scenderanno numerosi da
quelle roccie.... ed entreranno in Cadore da ogni parte....
Maria si rizzò prontamente, aguzzò l'occhio raccogliendo la luce colla
mano distesa davanti la fronte, ma nessuna traccia di gente armata
appariva, per quanto si poteva vedere da lontano.
L'ufficiale continuò:
— Il Cadore è stretto da un cerchio di ferro e di fuoco, nessuna
forza potrà resistere più lungamente alle armi imperiali.... Voi
buona fanciulla potreste salvare molte vite umane avvertendo i vostri
coraggiosi compatrioti di cessare da ogni inutile resistenza....
— La mia voce non sarebbe ascoltata, rispose Maria, e tale missione
non può convenire ad una donna del Cadore, dove non si contano mai
i nemici.... ma si muore, non solo per difendere la patria, ma per
protestare davanti al mondo contro una scellerata invasione....
— La vostra difesa sarà memorabile, quantunque sostenuta dalle truppe
regolari piemontesi, napoletane, romane.... quanti italiani delle varie
regioni calcolate che sieno venuti in vostro aiuto?...
— Neppure uno!... gridò la fanciulla alzando fieramente il capo. Noi
siamo soli!... i difensori del Cadore sono tutti cadorini.... con
poche armi.... ma con animo risoluto.... è vero che ci siamo tutti, ma
proprio tutti, soggiunse, giovani e vecchi, donne e fanciulli!...
L'ufficiale che la contemplava cogli occhi spalancati, le chiese:
— Posso credere sul vostro onore che quanto asserite è la pura
verità?...
— Ve lo giuro sull'anima benedetta del mio povero padre.... morto in
difesa della patria!...
— Quando è così.... soggiunse il ferito, sollevandosi con uno sforzo,
ed alzando la testa.... siete un popolo di eroi!!..
Ed entrambi rimasero lunga pezza in silenzio.
L'ufficiale guardava sempre le montagne, e Maria lo vide alzarsi di
nuovo, e fissare, lungamente immobile, un punto preciso. Riprese varie
volte questa attitudine, e ad un certo momento le parve che i muscoli
del suo volto si agitassero vivamente, e l'occhio s'animasse, e nello
stesso istante stendeva il braccio, e la mano, dicendo:
— Guardate attentamente da quella parte.... a diritta.... sul margine
di quel bosco,... sotto quella cima coperta di neve....
Maria fissò lo sguardo nel punto indicato e vide un bagliore
scintillante come di stelle vaganti. Erano baionette austriache che
brillavano al sole.
— Ecco i miei soldati!.... esclamò il tedesco.... siete perfettamente
in tempo di ritirarvi al sicuro.... nè la mia riconoscenza, nè la
mia autorità sarebbero sufficienti a salvare la vostra bellezza dagli
insulti di soldatesche eccitate ad ogni violenza dalle vicende d'una
lotta irritante.... Maria, la memoria della vostra carità resterà
scolpita nel mio cuore fino che mi duri la vita... la vita che forse mi
avete salvata colle vostre cure pietose. Se devo morire fra poco delle
mie ferite, Iddio vi compenserà del bene che mi avete fatto; se devo
vivere, ditemi... che cosa posso fare per voi?
— Spero che vivrete, rispose la fanciulla, che potrete riabbracciare
vostra madre... e rivedere la vostra Maria... alla quale direte che
un'altra Maria di lei più infelice, ha avuto la fortuna di fare per
voi ciò che vorrei fosse fatto al mio fidanzato in simile caso.... La
religione fece di tutti i cristiani tanti fratelli.... la maledetta
frenesia delle conquiste muta gli uomini in cannibali... io vi auguro
ogni bene, e non vi domando che una sola grazia. Se vi sarà dato di
avere qualche notizia della vita o della morte del mio fidanzato,
vi supplico di farmene conoscere i più minuti particolari.... e se
riuscite vincitori della mia povera patria siate miti e pietosi coi
vinti!
L'ufficiale la pregò di levare un portafoglio dalla sua veste, e
di scrivere colla matita il suo nome e quello del suo fidanzato,
coll'indirizzo preciso. E la fanciulla scrisse: — Tiziano Lareze, e
Maria Lorenzi, che l'amore doveva congiungere in matrimonio, e che la
guerra ha divisi, forse per sempre — Pieve di Cadore, al roccolo di
Sant'Alipio. —
Il ferito lesse queste parole, promise nuovamente di occuparsene, se
avesse la sorte di vivere, poi le disse di prendersi il suo viglietto
di visita, sul quale stava scritto il nome di _Kasper Kraus i. r.
capitano d'infanteria_.
Maria ponendo in seno il suo viglietto, gli disse
— Sarà un ricordo di questi giorni tremendi....
Poi gli ripose in tasca il portafoglio, e prima di lasciarlo volle
che riprendesse ancora un po' di pane inzuppato nel vino, visitò
attentamente le fasciature, e avendole trovate in ordine disse addio
al capitano con voce commossa, perchè le comuni disgrazie e la pietà
congiungono gl'infelici in una specie di parentela, consacrata dalla
sventura; gli raccomandò di tenersi tranquillo, lo salutò a più
riprese, e uscì dalla tettoia, commossa, ed afflitta di abbandonare il
ferito.
Egli la salutava con la mano e col capo, ma l'emozione che gli
stringeva la gola, non gli permise di pronunciare una parola. Le
lagrime gli velavano gli occhi, e gli scorrevano sul volto, che
quantunque abbattuto, conservava ancora un aspetto marziale.
Salendo sull'erta, Maria vedeva dalla parte opposta gli austriaci che
si avanzavano lentamente in due ale, seguiti da cannoni e carriaggi, e
dopo di aver osservato per qualche tempo i loro movimenti affrettò il
passo alla volta di Laggio.
Giunta a piccola distanza dal paese, le parve di riconoscere da lontano
sior Antonio che le veniva incontro. E infatti era proprio lui, che,
scorgendola sulla strada, era sceso dal promontorio, e sorpreso dalla
comparsa della fanciulla correva quanto le forze glielo permettevano
per raggiungerla il più presto possibile. Essa pure si mise a correre,
fino che giunse a precipitarsi nelle sue braccia.
Nè l'uno nè l'altro non poteva parlare. Sior Antonio la guardava
ansiosamente, con uno sguardo inquieto e scrutatore, e quelle vesti
lacere e quel viso sconvolto atteggiavano i suoi lineamenti allo
spavento. Dopo qualche istante, cacciandole la mano tremante nei
capelli le alzò la testa, interrogandola:
— Povera figliuola mia!... tremende sciagure ti hanno colpita!....
— Tremende!... essa rispose...
— Sei caduta in mano dei croati?...
Allora Maria comprese la causa dello spavento di sior Antonio, e si
affrettò a rassicurarlo.
— La morte di mio padre!... la perdita di Tiziano mi resero come
pazza... mi sono esposta a tutti i pericoli.... ma coll'aiuto del cielo
sono salva....
Sedettero sull'erba al piede di un albero, sior Antonio si asciugava il
sudore della fronte, e le chiedeva mille spiegazioni su quella notte di
angoscie.
Maria, ripresa un po' di calma, potè finalmente raccontargli la sua
storia.
Durante il racconto sior Antonio spalancava gli occhi che pareva un
ossesso, e mandava profondi sospiri come se sentisse sollevarsi un gran
peso che premendogli il petto gli togliesse il fiato.
Dopo una lunga sosta ritornarono a Laggio, ove annunziarono
l'avvicinarsi del nemico, e in mezzo alla confusione generale degli
abitanti che correvano alle armi ed alle campane, sior Antonio attaccò
la Nina alla timonella, e, fatta salire Maria, percorsero rapidamente
la strada che li ricondusse alla Pieve.
La fanciulla estenuata si gettò piangendo nelle braccia di Maddalena,
la quale invece di rimproverarle il crudele abbandono, e i pericoli ai
quali s'era esposta, non pensò che a consolarla con affettuose parole,
dicendole a cuore aperto:
— Vieni, la mia povera orfana, vieni povera derelitta... hai perduto
un buon padre... ma è morto per la patria!... ed hai trovato dei nuovi
parenti che ti aprono le braccia e ti adottano come figlia diletta. Mio
marito ti sarà padre affettuoso, io sarò sempre per te la più tenera
delle madri.
— E il mio povero Tiziano!... esclamò Maria con un grido disperato.
A questo nome Maddalena non ebbe la forza di rispondere, e la sua testa
cadde sulle spalle della fanciulla, che si avvide troppo tardi d'aver
inasprita una piaga dolorosa a chi cercava di lenire i suoi dolori.
Allora stringendosi al seno con affannose convulsioni, le due donne
scoppiarono in acuti singhiozzi, e piansero lungamente sulle loro
sventure.


XI.

Pochi giorni dopo questa scena gli austriaci ingrossarono a tutti
i confini. Il Cadore non aveva più munizioni, nè pane; e gli uomini
dispersi su vari punti per respingere i molteplici attacchi, non erano
più in numero sufficiente per una efficace difesa. L'ultimo tentativo
venne fatto da Calvi in Cima Mauria, ma se non si fosse ritirato in
tempo col suo piccolo drappello, sarebbe stato preso in mezzo dai
nemici che irrompevano da ogni parte.
Il giovane condottiero portato rapidamente dal bianco cavallo
attraversò per l'ultima volta quelle vallate a lui tanto care, e che
aveva difese con tanto ardimento, secondato dall'entusiasmo di quelle
popolazioni, che avevano imparato ad amarlo come il loro dio tutelare.
La sera del 4 giugno egli ordinava ai vari presidi di ritirarsi sui
monti; i Corpi franchi furono sciolti dal giuramento di fedeltà, e il
Comitato della difesa cessò di esercitare il potere, trasmettendo al
Municipio l'amministrazione del paese.
La sera del 5 giugno giungevano a Pieve tre battaglioni austriaci, ed
alcune compagnie di croati, e attraversarono le vie silenziose, davanti
le case chiuse, come un convoglio funebre in tempo di peste.
Il solo consigliere imperiale giudicò opportuno di recarsi allo stato
maggiore, in frac e cravatta bianca, per presentare l'omaggio della sua
rispettosa sommissione quale imperiale regio impiegato in quiescenza,
giustificandosi presso i conoscenti col dire che si era sacrificato
a quel passo nell'interesse del paese, per evitare nuove disgrazie,
e raccomandare agli ufficiali il rispetto delle persone e delle
proprietà.
Una taglia di dieci mile fiorini venne promessa a chi avesse consegnato
Calvi nelle mani del vincitore, mentre tutti andavano a gara per
servirgli di guida attraverso le montagne.
L'Austria che conosceva per prova l'eroismo di quei montanari, ne
ignorava le altre virtù, l'ospitalità antica, la fede inconcussa,
l'onore personale, ed avrebbe potuto mettere una taglia di dieci
milioni, collo stesso risultato, senza che il più povero di quegli
abitanti avesse mai pensato di commettere un tradimento.
Calvi, anche solo, avrebbe potuto attraversare tutti i paesi del Cadore
assai più sicuro d'ogni ufficiale austriaco in mezzo ai suoi soldati.
La lega dei galantuomini è la più valida difesa contro ogni insidia.
Alcuni amici accompagnarono Calvi, non per salvarlo da' pericoli
impossibili, ma per tenergli compagnia.
Varcate le montagne di Cimolais, giunsero a San Fiore nella villa
Cadorina, poi passarono a Oderzo, e colà si divisero, stringendosi la
mano, colla reciproca promessa di presto rivedersi, per tener ancora
fronte al nemico.
Calvi e un suo compagno passarono per Ceneda e Serravalle,
attraversarono il canale di San Boldo e andarono a rifuggiarsi a Mel,
ove si riposarono alcuni giorni.
Poi passato il Piave rasentarono Feltre, toccarono Quero e Possagno,
sempre costeggiando i monti, finchè giunsero a Trebaseleghe. La pianura
era piena di croati, e ne incontravano dovunque le pattuglie, ma
proseguendo tranquillamente la strada giunsero a Briana dove Calvi potè
gettarsi nelle braccia di sua madre, lieta di stringerlo al seno, ma
tremante per la sua sicurezza. Colà passò la notte col suo compagno, ed
al mattino seguente partirono insieme per Conche, ove presero una barca
per Chioggia, e di colà giunsero sulla sera a Venezia.
Michele fu il solo, dei tre amici del roccolo di Sant'Alipio, che fosse
rimasto incolume nella difesa del Cadore. Appena ritornato a Pieve,
corse in casa Lareze ad abbracciare quella sventurata famiglia, colpita
da tante sciagure. Colà potè stringere affettuosamente la mano di
Maria, che al solo vederlo si sciolse in amare lagrime chiamando invano
fra i singhiozzi suo padre e Tiziano.
Il roccolo di Sant'Alipio era chiuso; ogni coltura abbandonata, le
erbacce e le ortiche crescevano fra i fiori e le frutta che nessuno
coglieva; le piante curvate dai venti alpini pareva che piangessero,
e sembrava che la natura vestisse il lutto per la morte di chi l'aveva
amata con tanta passione.
Bortolo era ritornato a casa sano e salvo anche lui, bene accolto da
tutti, compreso Fido, che non rifiniva di manifestargli a suo modo la
gioia di rivederlo. Quel buon giovane aveva contratte facilmente le
abitudini militari, si teneva ritto sui talloni, e non si cavava più
il cappello per salutare, ma alzava la mano alla fronte. Era dolente
che tutto fosse finito, e non poteva rendersi conto come dopo d'aver
sempre vinto, si avesse finito col perdere la partita, e ne accusava il
destino. E quando gli amici andavano alla mattina a trovarlo in stalla
mentre governava la cavalla, e gli parlavano dei tedeschi ritornati,
egli strigliava la Nina con tanto furore, che la povera bestia
sentendosi lacerare la pelle menava calci e nitriti da disperata.
Michele prese congedo dalla famiglia Lareze, augurandole giorni
migliori, ed annunziò la sua partenza per Venezia, ove si andavano
raccogliendo i combattenti dispersi in tutto il Veneto. Egli non
metteva nessun dubbio di superare le difficoltà che si opponevano
al viaggio, deludendo la sorveglianza della polizia, e trovando un
mezzo di trasporto, ma la faccenda più seria fu quella di ottenere
nuovi fondi dallo zio. Sior Iseppo pretendeva che tutto fosse finito,
e per sempre. Glielo aveva assicurato il Consigliere imperiale, il
quale andava ripetendo a chi gli dava retta che i cadorini dovrebbero
essere convinti che non si schiaccia l'Austria colle mani, come se
fosse un pane di butirro!... E al nipote che voleva persuaderlo che il
Consigliere era un idiota ed un vigliacco, sior Iseppo rispondeva:
— Sei matto!... è un uomo di mondo, è un uomo d'esperienza che la sa
lunga, e che vede chiaro. Voi giovani siete buoni tutt'al più a farvi
rompere la testa... e a rompere le tasche ai vostri parenti. Ti ho
mantenuto a tutte le scuole per darti uno stato... ahimè che cosa sei
diventato?... quale mestiere, quale professione hai mai scelto?... che
cosa hai fatto finora a questo mondo?... non sei buono da niente!...
congiurato... per farti mettere in gabbia, emigrato per girare il
mondo a spese di tuo zio minchione... politicante per turbare la quiete
della gente dabbene... soldato per farti battere!... ed ora che tutto
è finito che cosa pensi di fare?... Ehm! vergognati una volta, pensa
a far giudizio che è tempo!... cessa alfine di spender bezzi e di
cavarmi sangue, senza guadagnare un quattrino... credi che io abbia
una miniera?... e con questi anni di miserie!... ehm!... ahu!... — e
andava via dimenando la testa, e brontolando fra i denti, tirandosi il
berretto di lana nera fino alle orecchie.
Michele gli faceva le corna per di dietro, e lo mandava a tutti i
diavoli, lo chiamava vecchio imbecille, sordido, avaro... ma dentro i
denti, e senza lasciarsi intendere, e lasciava passare la bufera per
tornare alla carica a tempo più opportuno.
Una mattina, gli austriaci, passati in rassegna da un generale,
suonarono il tamburo molto per tempo sotto i balconi di sior Iseppo
e gli ruppero il sonno prima dell'ora abituale. Sior Iseppo andò in
furia, e camminando in fretta per le sue camere, colle mani dietro la
schiena, andava mormorando:
— Maledetti bestioni!... pare che sieno a casa loro.... farebbero
assai meglio a star tranquilli, e non far saltare la mosca al naso ai
cadorini!...
Michele colse il momento favorevole, e disse allo zio:
— Ho ben pensato alle vostre osservazioni, e sono deciso di restare in
Cadore, e di domandare un impiego....
— A chi?... gli chiese indignato sior Iseppo, fermandosi tutto d'un
tratto e fissandogli in faccia due occhi da basilisco. — A chi vuoi
domandare un impiego?...
— Non posso domandarlo che al governo...
— Domandare un impiego ai tedeschi?...
— E che cosa posso fare dei miei studi legali se non domando un
impiego? avvocati e notai ce ne sono più del bisogno.... Colla
protezione del Consigliere imperiale potrò ottenere un buon posto...
forse col tempo diventerò commissario di polizia!... farò arrestare i
liberali... sarò l'amico dei retrogradi... e degli austriacanti... e
così sarete contento!...
Allora il vecchio sior Iseppo, in un accesso di indignazione, gettò
violentemente il suo berretto di lana, e tirandosi i pochi capelli che
gli restavano sul cranio, sbuffando dalla collera rispondeva:
— Fai apposta per contrariarmi!... ti burli di tuo zio... mi togli
l'onore, e non pensi una parola di quanto mi dici!...
— Lo credo bene!... se pensassi in questo modo meriterei d'essere
gettato dalle finestre... a calci nel deretano!... non c'è un solo
cadorino che possa soffrire i tedeschi in Italia. I giovani vanno a
Venezia a combatterli fino all'ultima cartuccia, i vecchi aiutano come
possono i giovani... e i tedeschi dovranno lasciare l'Italia!.... E
quando saremo liberi i codini pagheranno tutte le spese!...
Sior Iseppo fissò in volto il nipote con occhio truce, e gli disse
bruscamente:
— E tu perchè non fai come gli altri?... se io non fossi vecchio sarei
al mio posto da un pezzo, e non starei qui ad ascoltarli passare con
tanta burbanza....
— Non mi manca che il vostro passaporto!... — e fregando il pollice
sull'indice faceva vedere a suo zio ciò che gli abbisognava.
— Partirai domani mattina, gli disse sior Iseppo con voce cavernosa, e
girando sui talloni scomparve.
Prima di sera lo chiamò nella sua camera, gli diede del denaro,
raccomandandogli di tenerne conto, se non voleva farlo morire nella
miseria, poi lo congedò con queste poche parole:
— Fermezza e concordia!... bisogna che facciamo tutti dei sacrifizi per
la patria... ma voi non concedete nessuna tregua, che quando avranno
ripassato le Alpi....
Intanto gli austriaci ben fortificati in paese s'erano messi a
sorvegliare tutti i passi, accorgendosi che la gioventù partiva
per Venezia, ove si andava raccogliendo per ricominciare la lotta.
Non potendo viaggiare per la strada maestra senza pericolo d'essere
arrestato, Michele dovette prendere le scorciatoie dei monti, e Giacomo
Croda che era tornato a Pieve a render conto al Comitato della sua
ultima spedizione, volendo ritornare alla laguna, si offerse ben
volentieri anche questa volta a servirgli di guida.
I monti hanno vie sacre agli esuli, ai fuggiaschi, ai contrabbandieri,
e segreti ignoti agli estranei. Colà il montanaro è in casa sua,
e in mezzo al croato ed allo sgherro che corrono sulle sue traccie
egli siede sovrano, e guarda da lungi in atto di sfida chi non sa
raggiungerlo sulla roccia fedele, e colà si riposa in sicurezza, e fuma
pacifico la pipa in barba ai persecutori.
Era però amaro per Michele trovarsi come fuggiasco fra quei monti, che
pochi giorni prima coi suoi amici aveva contesi agli invasori stranieri
sui quali avevano tirato come sugli orsi, facendoli fuggire spaventati.
Sulle erte pendici boscose che sovrastano Pieve, Michele guardava
con amore il suo paese, e si attristava di dovervi lasciare i soldati
stranieri, che si vedevano dall'alto brulicare sulla piazza deserta
d'abitanti, e parevano formiche che circondano un cadavere.
Quelle casupole nere, affumicate, miserabili, non avevano potuto
sfuggire alla conquista di genti straniere, che avevano abbandonato
i loro paesi e le loro case per correre fra mille pericoli in mezzo a
quei monti ove gli abitanti li aspettavano colla carabina in guardia
per fulminarli. Ed ora che erano divenuti i padroni, gli pareva che
quei monti diventassero inabitabili, uggiosi, opprimenti; quelle rupi
smisurate, quei massi giganteschi spaccati dai secoli, quei crepacci
irti di piante selvaggie, quelle frane ridotte in frantumi, sui quali
crescevano degli abeti rotti dagli uragani, quelle nevi eterne sulle
cime inacessibili, gli stringevano il cuore, e le sfuggiva inorridito.
Pochi giorni dopo per vie nascoste entrava in Venezia. Quivi era un
altro spettacolo, la bandiera italiana coll'antico Leone di San Marco
sventolava sulle antenne della piazza. L'orizzonte era aperto, ampio,
infinito. Il sole sfolgorante faceva sembrare la laguna sparsa di
brillanti. Era tutto un sorriso di natura, d'arte e di ricchezza unite
insieme. I mosaici d'oro, le colonne di marmi orientali pompeggiavano
nel tempio, i palazzi come gioielli preziosi si alzavano dalle onde
turchine, i gondolieri cantavano canzoni patriottiche, le donne si
ornavano il crine coi tre colori nazionali, e i loro occhi gettavano
dardi d'amore.
Questo lembo delizioso d'Italia era libero, e spiegava il mistero
dell'invasione. Ecco perchè gli stranieri avevano lasciate le loro
case, e sfidata la resistenza dei confini, ed erano penetrati in quei
monti aspri e terribili che li schiacciavano sotto le loro rovine.
Varcate quelle Alpi spaventose c'era il paradiso terrestre che
attendeva i vincitori, c'era il sorriso d'Italia che compensava di
tutte le pene subìte c'era il dolce riposo in grembo del bel paese
prediletto dalla natura.
— Bisogna finirla!... esclamava Michele nell'entusiasmo; questa terra
benedetta è nostra. Iddio ce la diede a dimora, essa venne illustrata
dai nostri antenati, e noi non possiamo dividerla con altri popoli,
fino che intendono dominarla come padroni. Fuori gli stranieri rapaci,
o moriamo tutti; difendiamo la patria e la libertà in questo antico
rifugio della laguna.
Quest'idea dominava tutte le menti, oscillava in quell'aria salina, si
diffondeva colle brezze del mare; era il pensiero di Venezia.
Il Cadore aveva fatto il possibile per vietare l'ingresso degli
stranieri, ma questi erano penetrati da ogni parte come un'inondazione
che allaga un paese.
I cadorini caduti gloriosamente combattendo, sopraffatti soltanto dalla
potenza superiore del numero e delle armi, si rifugiavano a Venezia
in mezzo ad altri italiani provenienti da tutte le provincie, per
tentare se il mare fosse barriera più sicura delle Alpi, e per vedere
ancora una volta se i diritti della natura e della storia potessero
soverchiare la forza brutale che voleva soggiogarli.
E gli altri Stati d'Europa assistevano impassibili a questa lotta,
perchè tutti più o meno portavano il marchio infame della conquista,
tutti furono più o meno invasori. L'Italia ne aveva dato il primo
esempio, e ne subiva per legittima conseguenza una terribile punizione.
Dal suo isolamento sorse il detto famoso «L'Italia farà da sè!»
E nella rivoluzione di Milano e nelle battaglie combattute sul Mincio e
sull'Isonzo, nelle giornate memorabili di Sorio e Cornuda, nell'eroica
difesa del Cadore, nei fatti gloriosi di Vicenza si versò molto
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