Il bacio della contessa Savina - 14

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ambisco se non a ciò che ho diritto d'ottenere, ma non ammetto
restrizioni ai miei diritti: ad un affetto leale e santo esigo
condizioni pari. Le doppiezze e l'inganno nella vita domestica mi paiono
delitti; il giorno in cui il cuore vacilla è meglio dirlo francamente, e
dividersi subito: preferisco la più atroce lacerazione all'onta d'una
finta carezza; la morte non mi fa paura, ma l'oltraggio si!...--Tutto o
niente!... ecco il mio motto... se non sai custodire il pensiero...
siamo ancora in tempo... puoi scegliere altrove altra moglie.
Le baciai la mano con effusione d'affetto, dicendole:
--Ti prometto sull'onore che divido perfettamente le tue idee su questo
punto. Ho sempre detestato ogni inganno, ma nel matrimonio lo trovo
obbrobrioso. Se il cuore esce di casa, uscite con lui... ma uccidere col
ridicolo chi porta il vostro nome, è peggio che uccidere col
coltello.... No, mai... te lo giuro: sarò fedele per la vita.... e caso
mai.... caso impossibile.... ma lo noto per rassicurarti.... caso mai
non mi sentissi più degno di te.... non mi vedrai più!... saprò
scomparire dalla terra.... Non ti domando nemmeno se il tuo cuore sarà
costante....
--Il mio cuore!... è tuo per sempre....
--E pel tuo amore io rinunzio a tutto!...
--No, questa sarebbe un'ingiusta pretesa,--soggiunse,--e non l'accetto.
Se hai un'attitudine qualunque che possa renderti utile alla società e
alla famiglia, non posso che incoraggiarla, e desiderarti la migliore
riuscita. La buona moglie divide col marito le pene e gli onori. Studia,
lavora, e se ti senti inclinato alle lettere, scrivi dei libri.
--Veramente non ne sento proprio il bisogno. I clamorosi successi del
teatro mi sorridevano con abbagliante prestigio. Mi elettrizzavo
all'idea della folla plaudente in massa, e vedevo in sogno delizioso il
bagliore delle faci, lo splendore delle gemme e dei fiori sulle donne
eleganti, commosse alle mie parole. Dopo il trionfo, la fama porta il
nome dell'autore da un capo all'altro del paese e racconta a tutti
quella notte di entusiasmo che fece palpitare il cuore di mille persone,
raccolte e frementi davanti la scena.
--Il libro non mi presenta tali attrattive. Dopo le lunghe fatiche che
costa la sua composizione, esso si presenta modestamente nelle vetrine
dei librai, confuso co' suoi confratelli di tutti i colori, taluno anche
più vistoso di lui. La folla passa, e non se ne cura. Chi lo guarda il
povero libro?... qualche raro letterato con pochi soldi in saccoccia,
che esamina le novità, e che vorrebbe anche comperarne taluna, se lo
stomaco non fosse più esigente del cervello, e il trattore più
indispensabile del libraio. Il giornalista non parla che degli amici, il
critico volgare non esamina che i libri che gli vengono offerti in dono,
l'artigiano vuol leggere a macca, e trova nelle biblioteche popolari,
come nelle cucine economiche, da saziare la fame.
Il ricco ha altro per la testa! il lusso dei libri è l'ultimo della
casa; esso vien dopo gli arredi, la cucina e la stalla, meno le
eccezioni delle famiglie veramente distinte per solida e completa
educazione, che sono tanto rare. Come farà dunque il povero libro a
farsi largo tra la folla, a farsi conoscere, ad entrare nelle famiglie,
e cadere sul tavolo degli sfaccendati, a penetrare nello studio del
marito e nel salotto della dama?... Ci vuol altro!... è una lotteria;
per essere fortunati, bisogna avere un buon numero; ma molti sono i
chiamati e pochi gli eletti.
Intanto i nuovi volumi cadono come valanghe sul dorso del povero libro
in aspettativa, e il libraio, costretto di far posto ai nuovi venuti, lo
relega negli ultimi scaffali della bottega, all'ombra, sotto la polvere
e le ragnatele, ove non uscirà dalla nicchia se non per mano d'un
modesto bibliofilo, che si contenta di conservarlo intonso nelle sue
collezioni; o per bocca d'un ardito sorcio che lo riduce in frantumi.
In conclusione, se la scena m'invitava alle sue lotte, la vita solitaria
del libro mi spaventa. Ce ne sono anche troppi, e non so a che cosa
potrà un giorno servire tanta carta imbrattata d'inchiostro. Bando
dunque anche ai libri.... cioè ai miei libri!...
--Hai torto di preferire la vampa alla cinigia. Essa è luminosa come una
meteora, ma abbaglia più che non riscaldi, è una baldoria che presto
passa, scottando gl'imprudenti, e non lasciando talvolta che
l'impressione del fumo.... e dopo la sua scomparsa l'aria sembra più
fredda di prima....
Al contrario la cinigia, più modesta, non abbaglia, è vero, ma non
nuoce, nè incomoda, e col blando calore, riscalda lungamente.... Con ciò
intendo dire che il trionfo d'un dramma può essere clamoroso, ma
effimero. Talvolta un'arte sottile lo impone alla folla che cerca forti
emozioni, ma il suo rapido effetto non dura. I lumi non sono ancora
spenti, la folla plaudente non è ancora dispersa, e già nuovi pensieri
la occupano, nuove correnti la travolgono, nuovi piaceri la chiamano.
Del dramma non resta altro che una debole memoria, misurata alla stregua
d'un'ora perduta.
Il libro invece non fa tanto chiasso, anzi fugge dai luoghi clamorosi,
ma, modesto e tranquillo, va a trovare chi lo accoglie come un amico.
Esso racconta, istruisce, diverte, riposa dalle gravi fatiche del
giorno, fa dimenticare le lunghe sere del verno alla famiglia raccolta,
consola il solitario e il derelitto, riempie gradevolmente le notti
insonni, distrae l'ammalato da' suoi dolori, il convalescente dalla
noia, porta fuori del carcere il prigioniero, fa sopportare al soldato
il tedio della vita di guarnigione, al viaggiatore gl'incomodi del
viaggio, alle donne la vita casalinga! Onorato dalle lagrime, dai
sorrisi, dalla simpatia dei suoi amici, il libro li accompagna dovunque,
e sovente riposa con loro sotto al capezzale. Le impressioni che
produce, essendo più prolungate, sono maggiormente durevoli di quelle
del dramma, e se ha saputo meritarsi la nostra stima e la nostra
riconoscenza per le buone ore che ci ha fatte passare, vien legato in
pelle con fregi d'oro come un gioiello, e conservato con cura.
Finalmente, il libro rappresenta l'autore che sopravvive a sè stesso; è
una parte della sua anima che rimane sulla terra dopo la morte, è il suo
pensiero che vola attraverso i tempi, e manifesta ai venturi una voce
del passato!
Daniele, essa concluse, dovresti fare un buon libro.
--Preferisco,--io risposi,--passare la vita in pace al tuo fianco,
lavorare per la famiglia, contento di sopravvivere nei figli, e di
rivivere nell'eternità indiviso dalla mia compagna.
--Così,--ella mi disse,--potrai un giorno servir di modello a qualche
autore che voglia descrivere il tipo d'un marito perfetto.
--Non c'è pericolo!... non si scrivono che le vite degli uomini
illustri.... e quelle dei bricconi.
--Se fosse possibile scrivere la vita d'ogni persona, io credo che molti
terrebbero una diversa condotta, per non passare alla posterità come
cattivi arnesi.
--Non lo credo. La pubblicità delle cause celebri non ha impedito un
solo assassinio. In quanto al gusto dei lettori, è positivo che le gesta
degli assassini vengono sempre preferite a quelle dei galantuomini, e
lette col più vivo interesse. Nella vita sociale il galantuomo è
stimato, ma in letteratura riesce noioso. Io sono convinto che la vita
veramente felice d'un uomo possa raccontarsi in una mezza pagina, in
istile epigrafico o telegrafico. Si dicono fortunate quelle nazioni che
non hanno storia; io credo parimente fortunate quelle famiglie che non
hanno romanzi.... o avventure romanzesche.
--È ben vero!... il turbinìo delle passioni mi spaventa.... mi piace
meglio l'idillio....
--È un genere falso, ma molte volte è preferibile al vero. Non ti
ricordi la nostra lettura sulla rivoluzione francese? Le scene pastorali
di Trianon erano false e mi piacevano tanto!... Maria Antonietta,
vestita da pastorella, distribuiva il latte delle sue cascine, pescava
nello stagno, leggeva sotto l'ombre profumate del parco fra i figli e il
marito... una regina che preferisce la vita rustica agli splendori del
trono!... è falso!... ma a me piaceva quella falsità. La prigione, gli
insulti d'una plebe selvaggia, i processi, il patibolo... furono veri...
e mi fecero raccapriccio.
--Prendiamo la vita come viene,--io dissi,--senza forzarne gli
avvenimenti. Non sarà nè un idillio, nè un romanzo, ma avrà giorni lieti
e tristi come al solito.... sarà una vita naturale.... senza artifizii.
--E nemmeno questo mi piace,--rispose con vivacità.--Non faremo nè
romanzi, nè idilli, ma dobbiamo fuggire il male con fermezza, volere il
bene con energia e pertinacia, e prendere per guida d'ogni azione la
virtù....
--E l'amore....--io soggiunsi.
--Siamo intesi;--e con dolce sorriso mi porse la mano, ch'io baciai con
tale tenerezza ch'ella fu costretta di ritirarla.
E così facevamo sovente lunghe conversazioni, con divagazioni
interminabili, e le ore volavano rapide, mentre stavamo predisponendo a
modo nostro l'avvenire... l'avvenire sempre incerto, che dipende in
parte da forze superiori alla nostra volontà, e ci apparecchia soventi
volte sorprese imprevedute.


XX.

Mio zio capitò nel mese di luglio, e gli feci quelle festose accoglienze
che meritava. In casa Bruni vi furono banchetti d'onore, brindisi, e
mille felici pronostici per gli sposi. Il buon canonico si fermò qualche
giorno al villaggio, esaminando e lodando i nuovi restauri della casa, e
tutte le mie disposizioni pel prossimo matrimonio. Doveva rimanere
convinto della mia perfetta conversione, tuttavia non mancò di
raccomandarmi di far giudizio, d'essere ragionevole, sodo e ponderato,
apparecchiandomi ad una vita positiva ed onesta, senza chimere nè sogni.
Io non avevo bisogno di tali consigli; amavo l'Agata teneramente, d'un
amore pieno di stima, avevo rinunziato spontaneamente ad ogni idea che
non avesse rapporto diretto col futuro mio stato, m'ero quasi
dimenticato il passato... o perchè dunque è venuto fuori a parlarmi di
chimere e di sogni?... Precauzioni balorde!... parlandomi di ciò che
avevo dimenticato, me l'ha fatto tornare in mente.
Mio zio canonico colle sue reticenze irritava il mio carattere,
suscitava i miei nervi, mi faceva l'effetto d'una mosca molesta, o d'un
indiscreto che con un fuscello stuzzica un uomo che dorme!... non ci può
essere di peggio!... Quando un cavallo cammina tranquillamente,
lasciatelo andare in pace per la sua strada; se lo toccate colla frusta,
imbizzarrisce, e forse vi trascina in un fosso!...
Esso evitava di parlarmi della contessa Savina.
Ma di che cosa aveva paura!... il mio prossimo matrimonio doveva
rassicurarlo pienamente. Qualunque notizia m'avrebbe trovato
indifferente; invece il suo silenzio provocava i miei sospetti e mi
faceva fantasticare.
Finalmente lo zio essendo partito pei bagni di Bormio senza rompere il
silenzio su tale soggetto, il mio umore se ne risentì, mi parve una
ingiusta diffidenza, me ne crucciai fortemente, e per qualche giorno mi
fu impossibile di nascondere l'uggia all'occhio chiaroveggente
dell'Agata.
Dovetti giustificarmi con pretesti che vennero accolti freddamente,
senza fiducia; ed ecco come un semplice vapore, sollevato dal fondo
d'una palude, s'innalza a poco a poco e diventa una nuvola capace
d'oscurare anche il sole, se non spira qualche brezza che la disperda.
Le dolci parole della mia fidanzata fecero l'ufficio della brezza: in
breve tempo dispersero ogni vapore, e l'animo ritornò sereno e
illuminato della luce benefica de' suoi sguardi.
Avendo dato termine anche in quell'anno alla scuola, e messo all'ordine
ogni cosa, al ritorno dello zio venne fissato il giorno delle nozze.
Agata manifestò il desiderio di partire dal villaggio appena compiuta la
cerimonia, per apparecchiarsi con qualche giorno di raccoglimento alla
nuova vita. I parenti approvarono tale divisamento, mio zio ci propose
un viaggio in Toscana, perchè non mi venisse l'idea di condurre la sposa
a Milano. Io propendeva per Venezia. Le mie letture m'avevano
affascinato, io vedevo quella città di marmo sulla laguna, coronata di
cupole, cinta di navi, adorna di monumenti insigni. Pensavo alla bruna
gondoletta che mi avrebbe condotto colla sposa attraverso quei canali
misteriosi, davanti quelle basiliche e quei musei, ove quattordici
secoli d'indipendenza e di gloria lasciarono traccie immortali. Sognavo
la voluttà di quelle notti rischiarate dalla luna riflessa dalle onde,
sentivo l'eco lontano delle serenate, immaginavo le gite sul mare, e il
mio cuore palpitava d'ammirazione....
Ma la scelta spettava di pieno diritto alla sposa. Senza esitare un solo
istante essa scelse la Svizzera.

La mattina del giorno solenne apersi per tempo la finestra dopo una
notte insonne, e respirai con voluttà l'aria refrigerante dell'aurora.
Era un bel giorno d'autunno, e mi pareva strano che tutti non
celebrassero la mia festa. I pastori uscivano al pascolo col gregge, il
belato delle pecore risuonava nella valle, unitamente al tintinnìo dei
campanacci delle capre.
Le povere donne colla gerla sulle spalle salivano ai monti, l'operaio si
metteva al lavoro, tutti seguivano le loro abitudini quotidiane.
Le abitudini non cambiavano che per me solo, io incominciavo una nuova
vita.
Indossati gli abiti da sposo, corsi in casa Bruni. Agata era pronta; il
pallore del suo volto, il languore de' suoi occhi, l'aspetto esitante
raddoppiavano la sua bellezza. Il velo nuziale, assicurato ai capelli da
qualche fiorellino d'arancio, le scendeva sulla candida veste,
avvolgendo l'elegante persona. Il suo sguardo, inumidito da una lagrima,
chiedeva pietà e tenerezza. Le baciai la mano tremante, col rispetto con
cui da fanciullo baciavo la Madonna. Essa, trattomi nel vano d'una
finestra, mi mostrò la medaglia di mia madre che teneva sul seno,
dicendomi con tremula voce:
--Essa ci accompagna... quando saremo davanti l'altare, tua madre ci
guarderà dal cielo... Daniele!... preghiamola insieme che ci benedica.
I miei occhi si gonfiarono di lagrime.
Di quel giorno non ricordo con precisione che quel momento. So che in
chiesa mi pareva di vedere mia madre fra gli angeli, e pregai l'Essere
Supremo di purificare la mia anima, e di rendermi degno della sposa che
il cielo mi aveva destinata. Poi non mi rammento più nulla.
Alla nostra partenza le lagrime e i singhiozzi di tutti ci
accompagnarono; i parenti non potevano distaccarsi dalla figlia; mio
zio, impaziente, coll'orologio alla mano, ci dava premura, dicendoci che
la vettura ci aspettava da un pezzo, che l'ora si faceva tarda, che non
era prudente trovarsi fra le montagne di notte, e parve felice quando,
entrati in carrozza, chiuse lo sportello, accennando al cocchiere di
partire, e salutandoci colla mano e colle benedizioni del cielo.

Dalla Valtellina, attraversando lo Spluga, entrammo nel Cantone dei
Grigioni. Agata piangeva, io cercava di consolarla senza impedire le sue
lagrime, sfogo necessario del dolore che provava lasciando i genitori e
la casa paterna, ove aveva vissuto fino allora felice. Guardando
attraverso lo sportello, io non vedeva che squallide rupi pendenti
minacciose sul nostro capo, e precipizi spaventosi ai nostri piedi.
Incominciavo la vita matrimoniale fra gli orrori di nude e brulle
giogaie, trascinato a gran fatica da cavalli ansanti che salivano
l'ardua montagna.
Io mettevo le Alpi fra il celibato e il matrimonio, deciso di difendere
con vigore il mio nuovo stato dalle invasioni dell'antico. Ahimè!... io
pensava, le Alpi non furono riparo sufficiente alla patria contro gli
stranieri, potranno esse salvarmi dalle insidie delle passioni che
assalgono l'anima umana?... In ogni caso sono deciso a vincere o morire,
piuttosto di darmi prigioniero al nemico. La leggiadria che spirava da
tutta la persona della mia sposa convalidava i miei santi propositi.
Chi ha viaggiato nelle regioni pastorali della Svizzera con una donna
adorata al fianco crederà facilmente alla sincerità delle mie
risoluzioni e all'entusiasmo della mia luna di miele.
Le aride montagne e i torrenti hanno un termine anche nella Svizzera...
come le lagrime sul ciglio delle spose. Allora si rivede il sole.
Varcata l'ultima gola, spariscono le roccie ferrigne, le nevi perpetue e
i ghiacci eterni, e si scoprono le vallate ridenti di verdura, irrigate
da limpidi ruscelli, sparse di casolari, circondate da boschi, popolate
d'armenti vaganti sui pingui pascoli.
Nei deliziosi pellegrinaggi pei monti e per le valli, la natura alpina
lussureggiante eccitava la nostra ammirazione fino all'entusiasmo.
Quando un sito incantevole ci attirava gli sguardi, volevamo
raggiungerlo ad ogni costo, «quali colombe dal desio chiamate,» si
saliva, e si arrivava trafelati, ma contenti, alla meta. Seduti
sull'erba al rezzo d'un antico albero scapigliato, in qualche sito
aprico, davanti allo stupendo panorama delle Alpi, si dimenticava la
vita mortale, si respirava in un etere superiore alle umane miserie, lo
spazio ci appariva infinito come il firmamento, il tempo non aveva più
misura, e il sole soltanto, scendendo dietro le rupi, ci annunziava la
prossima fine d'un giorno felice, e ci avvertiva di ritornare fra gli
uomini, per non smarrirci di notte tempo fra i precipizi.
Un giorno fra gli altri, uscimmo a passeggiare lungo la riva sinistra
del lago di Zurigo. Graziose villette suburbane fiancheggiano la strada
adorne di aristolochie, di bignonie, di glicini, che salgono sulle
colonnette delle loggie, corrono sui ballatoi, circondano di festoni i
terrazzini, e tappezzano i muri fino alle cornici. I giardini spiegano
gran lusso di fiori in eleganti canestri che spiccano sul verde smeraldo
dei prati e sul fondo cupo degli alberi, sotto alle cui ombre si perdono
tortuosi sentieri.
Ammirando quelle dimore campestri, e le acque cerulee del lago, e le
punte acuminate dei campanili sul fondo violetto delle montagne, e
quelle gradazioni infinite di colori e di tinte armoniose, ci siamo
allontanati assai dalla città e siam giunti stanchi, sfiniti, in un
piccolo paesello che si specchiava nell'acqua.
Seduti sotto un rustico pergolato, che sorgeva davanti un'osteria, si
fece colazione all'aperto, con cibi semplici, ma con appetito
complicato.
Non si vedeva degli abitanti del villaggio che la nostra ostessa e il
suo gatto, che faceva il chilo sopra un tavolo. Tuttavia ci parve che il
luogo fosse ancora troppo popolato, e finita la refezione ci siamo
allontanati per cercare la solitudine completa. L'abbiamo trovata sotto
un salice piangente, in un angolo romito, ove l'acqua lambiva i ciottoli
ai nostri piedi. Il sole era splendido, l'aria olezzante, la natura
incantevole; il silenzio non era interrotto che dal lieve mormorio delle
onde che si frangevano sulla riva, e dallo stormir delle foglie agitate
dalla brezza. Gli uccelli svolazzavano sui cespugli vicini senza timore,
pascolavano sui greti saltellando d'intorno, mandando qualche allegro
garrito a mezza voce, mentre il capinero solfeggiava sugli alberi e
l'allodola intuonava un a solo melodioso innalzandosi sull'orizzonte.
Le acque erano limpide come l'aria, azzurre come il cielo, dolcemente
agitate come le anime che contemplavano quello spettacolo. Una sublime
armonia univa i nostri sensi alla natura esterna; i nostri pensieri, la
nostra anima rispondevano unisoni al creato. Non potevamo rompere quella
malìa, nè abbandonare quel posto. Io manifestava alla mia giovane sposa
la pienezza delle emozioni: essa mi rispose:
--Tu mi esprimi benissimo tutto quello che sente il tuo cuore e che
pensa la tua mente; se la tua anima potesse custodire come un tesoro le
impressioni di questo giorno, la mia felicità sarebbe assicurata....
E ritornando verso Zurigo, osservò:
La vita sarebbe troppo bella se potesse scorrere sempre così, a
contemplare le meraviglie della natura, ad amare teneramente, ad essere
amati ardentemente, davanti a questo lago, a questi monti in un'eterna
verdura, senza nuvole, senza uragani, e senza inverno. Tuttavia si può
essere felici anche in condizioni assai più semplici e modeste. La
felicità nasce in noi, si espande nel mondo esterno, e lo abbella co'
suoi raggi; ma la natura più splendida non ha il potere di riscaldare il
nostro entusiasmo se la felicità si è spenta nel suo focolare. Il
sorriso della natura fa oltraggio alle lagrime degli infelici, esso non
può trovare ricambio che nelle anime soddisfatte, le quali però,
quantunque predisposte favorevolmente ad ammirare gli spettacoli più
sublimi, sanno anche contentarsi delle cose più schiette. Un breve
angolo di terra abbellito dalle nostre mani può bastare alla felicità,
se l'affezione costante ci conserva la serenità dell'anima. A tale patto
si soffrono con rassegnazione anche le disgrazie; senza di ciò tornano
vane tutte le delizie del mondo.
A Friburgo passammo trepidando sul ponte di fil di ferro sospeso fra due
montagne; io le dissi:
--Guarda... fa raccappriccio a pensare che la rottura d'una corda ci
potrebbe precipitare nell'abisso!...
--Pensa,--mi rispose,--che anche la felicità non è attaccata che a un
filo!...
Nel viaggio da Losanna a Ginevra, passando vicino a Coppet, siamo venuti
naturalmente in discorso di Madama di Staël. Io manifestavo la mia
ammirazione per questa donna insigne, che sotto al giogo napoleonico
fece vergognare gli uomini della loro bassa servilità ed ebbe il
coraggio virile di protestare contro la tirannide, spronando le nazioni
alla libertà.
Agata mi ascoltava in silenzio, non osando contraddire ai miei
sentimenti; ma, eccitata a dirmi francamente la sua opinione, rispose:
--Riconosco il genio di Madama di Staël, ma come donna mi è antipatica.
Essa amava il rumore e gli splendori della gloria, io il silenzio e
l'ombra del focolare domestico. Non ho stolti pregiudizi sulle
letterate, non nego alle donne il diritto d'avere dell'ingegno e
d'impiegarlo in onore della patria; i soli letterati gelosi possono dire
il contrario: ove il genio risplende è un delitto il mettere lo
spegnitoio. Non trovo strano che ogni rosa d'odore esali il suo profumo,
ma come il fiore olezza al suo posto, così penso debba fare la donna.
Abbiamo esempi d'illustri poetesse, che furono ottime madri di famiglia
e mogli affettuose. Madama di Staël mise per condizione del suo
matrimonio l'obbligo del marito svedese di non costringere la moglie a
seguirlo in Isvezia. Vedi che non è la letterata che mi sciupa la donna,
è la moglie bizzarra che mi disgusta della letterata.
A Ginevra nuove discussioni intorno Rousseau. D'accordo entrambi
nell'ammirare il profondo sentimento della natura del filosofo, non
potevamo intenderci sulle altre qualità. L'Agata mi diceva:
--Un uomo che mette all'ospizio dei trovatelli i propri figli non ha
cuore.
Io, deplorando questa macchia della sua vita, difendevo il cuore di lui,
citando le sue passioni amorose.
--Troppe donne!...--essa mi rispondeva,--troppe donne!... Rousseau fu un
giovane leggiero... e divenne un vecchio pazzo. È sempre così!... ogni
causa ha i suoi effetti: l'uomo non è altro che la continuazione del
giovane, la vita è una catena, il primo anello trascina all'ultimo, le
abitudini della vecchiaia sono la legittima conseguenza delle abitudini
giovanili; il giovane è il fiore, il vecchio è il frutto; l'uomo rimane
sempre quello che è: il serpe resta serpe, e così l'uccello; chi ha
volato in gioventù continua a svolazzare fino alla fine!...
Dovetti tacere, e ripiegarmi sopra me stesso meditando sulla mia sorte.
Attraverso il Lago Maggiore, siamo passati a Como e arrestandoci qualche
giorno in Tremezzina, andavamo vagando nei paesi più pittoreschi del
Lario. La nostra vita era un sogno delizioso nel paradiso terrestre.
Finalmente il bisogno di riposo ci spingeva verso il nido, ed avendo
annunziato il nostro ritorno, siamo giunti al villaggio una bella sera
al tramonto del sole.
I parenti, che ci aspettavano sulla porta del Casino, si gettarono nelle
nostre braccia, mentre Bitto, esaltato da parossismo di gioia, mugolava
correndo su e giù per le scale, le stanze e la strada, saltando addosso
ai passanti, ed entrando dai vicini con latrati convulsi per manifestare
la sua immensa gioia del nostro felice ritorno. Poi si slanciava sopra
di noi dimostrandoci in mille modi la sua irrefrenabile contentezza.
La Rosa mi raccontò che i primi giorni della nostra partenza egli
rifiutava gli alimenti, vagava continuamente dal casino a casa Bruni, e
sulla sera si gettava sulla soglia collo sguardo fisso dalla parte dalla
quale eravamo partiti e ci aspettava tristamente mandando qualche gemito
che faceva pietà.
Dopo il nostro arrivo non abbandonò più la casa all'ora del mezzogiorno;
egli vedeva i suoi amici riuniti sotto un medesimo tetto, e viveva
contento.
Quell'autunno fu impiegato dall'Agata a completare l'assetto del nostro
nido, e a far lavorare la terra circostante, secondo i suoi disegni.
Beppo, il povero emigrato, era guarito, e per dargli lavoro vicino alla
sua famiglia, lo prendemmo a giornata, e veniva occupato tutto il giorno
con Martino a saccheggiare gli orti e il giardino de' miei suoceri. Mia
moglie voleva abbellire la nostra dimora con piante robuste che
producessero pronto effetto, e prendeva quelle che aveva educate con
tanta cura nella terra paterna. Era un viavai di carriole cariche
d'alberi, di cespugli, di fiori, di terricci, di concime, di vasi e
d'innaffiatoi, ed io stesso dovevo prestarmi aiutando a trapiantare e
lavorare colla vanga e colle mani, quantunque fossi ancora un ortolano
assai poco dirozzato.
Quando l'inverno ci chiuse in casa, trovai la mia piccola dimora piena
di vita. Agata vi aveva trasportato i suoi canarini che cantavano a
squarciagola, un gatto che faceva le fusa e si lisciava il capo colla
zampa o stava in contemplazione sui balconi, e de' bei colombi che
beccavano le briciole sul pavimento o tubavano sulle porte. Aveva fatto
un cuscino ben soffice per Bitto, che se lo godeva in santa pace
russando tutto il giorno e svegliandosi soltanto per esprimere la sua
soddisfazione alla padrona con occhiate piene d'affetto, ogni volta che
gli passava dappresso.
Tutto era lindo, pulito, elegante, tiepido. Alcuni vasi di tulipani e
giacinti vegetavano sulla stufa del salotto e mentre di fuori nevicava
ed infuriavano gli aquiloni, la cucina ben riparata offriva un asilo
gradevole, ove si alzava la fiamma viva e crepitante di ginepri, e i
fornelli esalavano odori appetitosi. Gli scaffali della libreria s'erano
arricchiti di nuovi libri acquistati in viaggio, che ci deliziavano
nelle ore tranquille della sera.
Qualche buon giornale ci teneva in comunicazione col resto del mondo, e
ci convinceva sempre più coi fatti diversi che la società è piena di
trappole e di miserie, che le gioie strepitose non valgono le gioie
della vita tranquilla, che le ambizioni smodate costano care e sovente
si risolvono in disinganni, che la vera felicità rifugge dalla folla, e
si nasconde di preferenza in luoghi romiti.
Al Carnevale si rideva leggendo le relazioni dei baccanali popolari e
delle feste ufficiali, ove la diplomazia banchettava, faceva brindisi e
alzava le gambe in cadenza musicale al suono di violini, viole e
violoncelli, nell'interesse dei popoli... i quali intanto correvano per
le vie in maschera da pantaloni, meneghini, gianduie, stenterelli,
brighelli, pulcinelli, arlecchini e pagliacci. I più moderati col naso
posticcio, per ridere, e far ridere. E noi ridevamo infatti!... di
pietà.
I bagordi carnevaleschi, colla ciurmaglia che li accompagna, ci
passavano danzando davanti gli sguardi, come i ballerini sulla scena
davanti il Re e la Regina. I racconti di quei sollazzi letti davanti il
severo aspetto delle Alpi, in un villaggio silenzioso, coperto di neve,
producono l'effetto preciso d'una relazione medica sull'alienazione
mentale, colla descrizione di tutti i sintomi della demenza, e di tutte
le stranezze dei matti.
Alla primavera mi fu dato d'ammirare gli effetti dei lavori autunnali
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