Il bacio della contessa Savina - 03

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Pochi momenti dopo, essendo uscito dalla città ed avviato per la strada
postale da Milano a Como, mi nicchiai nell'infausto veicolo, e chiusi
gli occhi per meditare con pieno raccoglimento sulle mie sventure.
Non conosco l'intensità del dolore che accompagna il viaggio degli
esiliati in Siberia, ma non posso persuadermi che le loro ambascie
giungano a superare gli affanni che ho provati in quel giorno. Al pari
di loro io perdeva la patria, la famiglia, le affezioni e le speranze
della vita, e mi avanzava verso le fredde regioni dell'esilio e della
solitudine.
Era il mio primo viaggio, non essendo mai uscito da Milano che a piedi e
per poche miglia. Altre volte l'idea d'un viaggio mi avrebbe acceso
d'entusiasmo, allora invece mi metteva spavento; le montagne della
Valtellina mi si presentavano alla mente come l'estremo lembo del mondo;
chiuso nel mio dolore io non sentiva nemmeno il bisogno di osservare le
campagne che fiancheggiavano la via, e i vari paesi che si
attraversavano. Il vetturale si arrestava ad ogni osteria, il cavallo
non andava mai avanti, e arrivammo a Como dopo la partenza dei battelli
a vapore.
Essendo costretto di attendere l'indomani per continuare il viaggio,
avrei potuto visitare la città e i suoi monumenti, e percorrere quei
deliziosi contorni che attirano l'ammirazione dei viaggiatori. Invece mi
chiusi in una stanza d'albergo coi miei pensieri.
Il primo disinganno è forse il massimo dei dolori, perchè non siamo
ancora avvezzi a soffrire. Le tinte rosee che abbellano l'orizzonte
all'aurora della vita, come il firmamento all'alba d'un giorno sereno,
se si mutano all'improvviso nelle tetre nubi d'un temporale, incutono lo
spavento che presentano tutti i disordini della natura. Però tanto nella
primavera quanto nella gioventù l'orizzonte cambia sovente d'aspetto, e
talvolta un raggio di sole attraversa le nuvole dell'uragano. Questo
raggio di sole comparve al mio spirito sotto la forma d'un
dubbio!...--Se ella non avesse osato corrispondere al mio bacio?... Io
mi era preparato con lunga premeditazione a quell'atto decisivo; ma essa
fu colta improvvisamente dalla sorpresa. È naturale che la mia audacia
insolita ed inaspettata l'abbia gettata nello sgomento. E poi chi sa
quale aspetto presentava il mio volto agitato e sconvolto da
un'esaltazione febbrile sopportata per varie ore!... forse le ho fatto
paura.... E poi una fanciulla che non s'adombra ad un tale atto ha
oramai perduto il fiore più soave della gioventù.... Essa ignorava
completamente le varie peripezie che mi trascinarono a tale tentativo,
essa giungeva calma e tranquilla dalla campagna, desiderosa di vedermi,
e me ne dava una prova presentandosi immediatamente alla finestra.
Dapprima io doveva mostrarmi grato alla sua bontà, riconoscente della
sua cortesia, e poi a poco a poco condurla, trascinarla per gradi a
quella dimostrazione decisiva. Invece con un atto brusco ed acerbo ho
precipitato la catastrofe, ho commesso un'azione grossolana e volgare,
ingiustificabile, che doveva produrre un effetto contrario al
desiderato. Che cosa prova dunque la sua fuga?... poteva essa fare
altrimenti?... Io non sono che uno sciocco, ho scalzato le fondamenta
d'un edifizio, e poi mi sorprendo che la fabbrica crolli. Io sono un
imbecille.... ecco la verità! Quella simpatia irresistibile, alimentata
dalle assidue contemplazioni che andava sempre maggiormente prendendo
l'aspetto d'una passione sincera, rivelata da lunghi e profondi sguardi,
e da mille prove che non isfuggono al giudizio acuto di chi ama, quella
passione che progrediva lenta, ma tenace nel suo cammino, e già
dimostrava d'avere resistito alla lontananza ed alle varie distrazioni
di un'intiera stagione, quella passione soave io l'ho troncata con un
atto violento, imprudente, inesplicabile, io stesso l'ho obbligata ad
arrestarsi, a misurare il pericolo, a fuggire spaventata!...
Imbecille!... ed ho disertato il mio posto al primo rovescio, senza
riparare il mio fallo, senza tentare una nuova prova! All'indomani avrei
potuto dimostrare il mio pentimento, e mi avrebbe perdonato. Calmata la
prima impressione, ella stessa forse pensa di riparare la troppo brusca
ripulsa, forse il suo cuore le spiega l'arcano, ed essa mi attende alla
finestra, per consolarmi con uno sguardo divino del suo rifiuto!...
Oh! non è possibile esitare un istante di più, io devo ripartire
immediatamente per Milano, e riparare il torto della mia fuga
precipitosa, una risoluzione insensata non deve decidere la sorte di
tutta la vita.... Con tali pensieri uscii dall'albergo per correre in
traccia d'una vettura.
Vagai lungamente per le vie senza sapere ove andassi, lottando fra gli
opposti pensieri. Che cosa avrei detto a mio zio per giustificare il mio
ritorno? Come mi avrebbe egli accolto? aveva io il diritto di
scialacquare il denaro ch'egli aveva destinato al mio viaggio ed alla
mia dimora mostrandomi leggiero, capriccioso, vano, insensato? Una volta
entrato nella via delle riflessioni non mi mancarono argomenti per
persuadermi che era tempo di finirla colle pazze fantasticherie, e di
pensare in sul sodo. D'altronde, ritornandomi in mente le savie
osservazioni del mio benefattore, coll'accompagnamento delle risa
convulse, mi si risvegliava quel senso di dignità che l'amore aveva
assopito. Pensai che i grandi favori della fortuna non bisogna
chiederli, ma meritarli, pensai che nella solitudine che mi attendeva
avrei forse trovato nuove forze per tentare la prova letteraria che mi
restava ancora come un filo di speranza per l'avvenire. Allora mi parve
nuovamente che il mio _Lucchino Visconti_ rivelasse tale novità e
altezza di concetti da aprirmi l'adito ad una splendida vita letteraria.
Tale fiducia nell'avvenire mi spinse a tentare nuove prove, e decise
della mia sorte.--Partirò per la Valtellina, dissi fra me; alcuni mesi
di lavoro basteranno a completare la mia tragedia ed a perfezionarla.
Ritornerò a Milano col mio tesoro nel sacco; e quando avrò raccolto la
palma del trionfo, quando tutti i giornali avranno proclamato l'immenso
successo del _Lucchino Visconti_.... mi presenterò alla finestra....
rinnoverò la prova.... allora la gloria mi darà diritto all'amore....
forse potrò sperare d'aver meritato un bacio dalla contessa Savina.


IV.

Dopo lungo girovagare, avvicinandosi la notte e sentendomi stanco,
sfinito, rientrai nell'albergo. Nella gioventù le passioni più violente
tolgono l'appetito ed il sonno fino ad un certo punto, oltre al quale la
natura si rivolta e reclama i suoi diritti. Chiesi da pranzo, e subito
da bere, chè mi sentivo la gola inaridita. Mi servirono un vinetto
bianco che mi parve il néttare degli Dei, c'era qualche cosa in quel
vino che calmava l'anima agitata, esilarava lo spirito, sorrideva alle
illusioni, rinfrancava le speranze. Mangiai con sufficiente appetito per
un innamorato cotto, e mi sentii rinfrancato lo stomaco, ma oppresso
dalla stanchezza. Rientrato nella stanza mi coricai. La veglia della
notte antecedente, il viaggio mattinale, la fatica del lungo passeggio,
il cibo sostanzioso e il vino eccellente m'immersero in un sonno così
intenso, che non mi risvegliai che all'aurora. Era una deliziosa mattina
d'autunno, io mi sentiva rinvigorito dal riposo, consolato da una
speranza di gloria, e predisposto dall'amore a sentire le bellezze della
natura. A vent'anni non si possono trovare migliori condizioni per
godere quello stupendo spettacolo del lago di Como. Salito sul ponte del
battello a vapore io non sapeva ove arrestare gli sguardi, e quando
uscii dal porto la mia sorpresa sorpassò ogni aspettativa, e concentrò
tutta la mia attenzione.
Un cielo perfettamente sereno, un'aria leggera e trasparente
permettevano all'occhio di distinguere con precisione i monti più
lontani colle vette acuminate tinte in violetto dai raggi del sole, le
colline boscose che scendono fino al lago e si specchiano nelle acque,
colle loro ville sontuose e coi paesetti pittoreschi che torreggiano
sulle rive. Alcune barchette pavesate vagavano sulle acque calme, che
apparivano verdi o turchine secondo la luce del cielo o le ombre delle
rive.
Io osservava estatico quel delizioso paesaggio che varia lo spettacolo a
misura che si avanza, e sentivo che l'aspetto di una bella natura è
benefico agli afflitti, e infonde la rassegnazione e la calma. La
mestizia dei pensieri mi rendeva più attraente l'incanto di quelle
delizie che sembrano un sorriso di promesse e di gioia. La fantasia mi
riportava sovente a colei che stava in cima dei miei pensieri, e
l'immaginazione giovanile si piaceva dipingermi la vita al suo fianco in
una di quelle villette circondate da ombre misteriose di fitte piante, e
abbellite di fiori che eccitavano la mia ammirazione. E talvolta sognavo
che ella fosse divenuta la mia compagna, ch'io l'avessi lasciata per
qualche giorno e ritornassi alla nostra villa; e mi sembrava vederla
appoggiata ad una terrazza aspettando il mio arrivo, e mi sentivo il
bisogno di annunziarle la mia presenza, sventolando il fazzoletto.
Ma ciò che per me era un sogno, per altri era realtà. In ogni paesello,
ad ogni approdo, si vedevano dei volti sorridenti accogliere gli ospiti,
gli amici, i congiunti, o salutare i passaggeri. Io solo non avevo una
mano che si stendesse per mandarmi un saluto, io povero orfano andavo a
guadagnarmi il pane in un deserto villaggio delle montagne, e fuggivo
lontano da colei che avrebbe potuto fare la felicità della mia vita.
Fantasticando in tal modo sugli umani destini, il mio sguardo si
arrestava sopra le povere casupole dei pescatori, e pareva che una mano
misteriosa mi additasse quelle catapecchie per mostrarmi che dovunque si
vada la miseria sta al fianco della ricchezza, e talvolta si avvicendano
sulla ruota della fortuna; la miseria è sovente il prodotto
dell'ignoranza, come le ricchezze sono il frutto del lavoro e
dell'ingegno, e appunto molti di quei caseggiati sul lago rappresentano
il guadagno di grandi artisti che col loro genio seppero raggiungere la
celebrità e la fortuna.
Allora mi parve nuovamente che il _Lucchino Visconti_ dovesse aprirmi la
strada a lucrosi guadagni, che mi avrebbero permesso un giorno di
acquistare uno di quei deliziosi villini e di condurvi la contessa
Savina.
A poco a poco il lago si faceva più solitario e più grave. Alle villette
signorili succedevano i paeselli laboriosi e le nude roccie. È sempre
così nella vita: ai sorrisi della gioventù succedono i pensieri dell'età
matura, alla poesia che apre lo spettacolo dell'esistenza seguono le
gravi cure degli affari; la vita procede meno bella, ma più seria e più
utile; voltandoci indietro vediamo il cammino percorso, e guardando
avanti possiamo calcolare la breve distanza che ancora ci divide dal
porto.... infatti poco dopo il battello giunto davanti Colico si
arrestava, terminando così le mie divagazioni poetiche e il viaggio.
Ogni poeta diventa positivo davanti i fatti volgari della vita, ed io ho
dovuto abbandonare i miei sogni per correr dietro al mio bagaglio; ma
quando mi accorsi che bisognava scendere a terra, il ponte del battello
era già sgombro, e i viaggiatori s'erano precipitati sulla riva. Non
potevo staccare il mio sguardo da quel panorama del lago, e mentre il
mio occhio saliva dalle colline ai boschi, dai boschi alle nude roccie,
ed alle cime imbiancate dalla neve, i miei compagni di viaggio entravano
nel paese. L'ultimo facchino mi offrì i suoi servigi che accettai,
sbarcando colle mie valigie quando gli altri passeggieri erano già molto
lontani.
Fra le raccomandazioni di mio zio c'era anche quella di non fermarmi a
Colico per evitare il pericolo delle febbri palustri. Chiesi dunque
immediatamente un mezzo di trasporto.
--La diligenza parte in coincidenza col battello a vapore,--mi rispose
il facchino.
--Benissimo. Conducetemi alla diligenza.
--Ci siamo in due passi.
Mi fece camminare un quarto d'ora, e vi giungemmo che l'imperiale era
già carico; e i viaggiatori più accorti di me erano corsi ad assicurarsi
i posti migliori. Il _coupé_ era completo, e non restava che un solo
posto all'interno. Mi affaccio allo sportello e vedo cinque persone
stipate, che aspettavano l'ultimo compagno di sventura, come il ceppo
aspetta il cuneo che deve spezzarlo. Un'enorme matrona raccoglieva le
pieghe monumentali delle sue vesti per apparecchiarmi una tomba al suo
fianco. Retrocessi inorridito; la morte non mi spaventa, ma l'idea di
trovarmi sepolto vivo mi fa orrore!...
Lasciai partire la diligenza senza di me, e ne ebbi le benedizioni dei
viaggiatori, a me più grate della loro compagnia in condizioni
inaccettabili. Non mi restavano altri mezzi di trasporto che le mie
gambe, le quali a vent'anni sono ancora il migliore di tutti,
specialmente nelle regioni montuose ove l'aspetto della natura compensa
largamente la fatica. Consegnai all'ufficio della diligenza il mio
bagaglio da spedirsi l'indomani a Tirano, ove lo avrei fatto ricuperare
a mio comodo. Feci colazione da un trattore, e partii.
Mi ricorderò fin che vivo quel viaggio pedestre veramente meraviglioso
per un milanese che non era mai uscito dal nido. L'aspetto del lago di
Como aveva attirato la mia attenzione, come il soave preludio che apre
una sinfonia.
Io entrava per la prima volta nelle regioni sublimi delle montagne, a
passi lenti, e con rispettoso raccoglimento, come un devoto che penetra
nel tempio di Dio. Le valli ondulate chiuse fra eccelse rupi, i boschi
d'abeti che s'arrampicano sulle roccie fra i precipizii, le acque
rumoreggianti che saltavano di balzo in balzo fino al profondo torrente
arrestarono lungamente i miei sguardi incantati.
Solitario in quel sublime deserto, io restava colpito da voci e da suoni
ignoti, che mi eccitavano sorpresa e venerazione. Il vento aveva dei
sibili umani fra le chiome di quei boschi, le acque imitavano il fragore
del tuono, e gli uccelletti associavano i gorgheggi e le variazioni dei
loro canti a quei cupi fragori. Tutto eccitava la mia curiosità,
dall'orrido precipizio che si sprofondava negli abissi, al grazioso
fiorellino delle Alpi che smaltava le rive. E sentivo in me stesso che
la mestizia d'un amore infelice predispone l'anima soavemente
all'ammirazione della natura.
In un sito incantevole presso Morbegno mi sedetti sulle sponde del
torrente Bitto, e rimasi lungo tempo in contemplazione. All'aspetto di
quei monti sormontati da altri monti lontani, più alti e scoscesi, in
quella solitudine completa io sentiva la piccolezza dell'uomo, e la
coscienza del mio isolamento attristava il mio cuore. Ignoto ai mortali,
lontano dalla società e dalle sue agitazioni, un solo filo mi teneva
legato alla terra, un filo invisibile che mi univa ad una lontana
finestra di Milano ove una fanciulla attendeva il mio ritorno, guardava
furtivamente il balcone della mia cameretta deserta, pensava tristamente
al mio abbandono, si avvedeva della mia partenza, e nascondeva una
lagrima. Quel filo invisibile era però tanto potente da tener legati due
pensieri lontani, da far battere all'unisono due cuori separati
violentemente da condizioni fatali; alle due estremità di quel filo
cadevano due lagrime per uno stesso dolore, prodotto dalla lacerazione
di due anime che la natura voleva congiunte, e che la società condannava
al distacco. Io non potevo sapere ciò che pensava in quel punto la
contessa Savina; eppure avrei messo pegno la vita, che essa pensava a
me, come io pensava a lei; la grande distanza non poneva ostacolo alla
nostra arcana corrispondenza, io la sentiva con una certezza che non
ammetteva dubbio. I presentimenti d'amore non sono che rivelazioni
profetiche. E mentre la mia stella mi attirava co' suoi raggi nell'unico
angolo dell'universo ove io poteva essere felice, io invece vagava
solitario per monti e per valli, in opposta direzione, abbandonando il
sicuro, per andare in traccia dell'ignoto!... Pur troppo, questo è
sovente l'umano destino. La mia compagna, quella che la natura mi aveva
destinato, mi attendeva invano; io era smarrito in un deserto, solo,
poveretto... solo al mondo!...
Questi erano precisamente i miei pensieri quando un lieve calpestio
sulle foglie secche cadute dagli alberi mi fece voltare la testa. Un
cane nero mi guardava con occhi pietosi dimenando la coda. L'osservai
dapprima con diffidenza, poi con simpatia. Egli s'avvide del
cambiamento, e mi si avvicinò lentamente, quasi interrogandomi sulle mie
intenzioni. Lo accarezzai, ed egli appoggiando le sue gambe anteriori
sui miei ginocchi, allungò il muso e si mise a lambirmi il viso, poi
seduto sulle gambe posteriori continuava a guardarmi. Allora pensando
che forse il suo padrone lo cercava, m'alzai e ripresi la strada, ed
egli mi seguì da vicino. Guardai lontano a diritta ed a sinistra, sui
dirupi del monte e sul pendìo della vallata, e non vidi nessuno. Allora,
additandogli il cammino verso Colico, gli dissi:
--Va', cerca il padrone, va' via.
Il cane, vedendo che lo minacciavo per farlo partire, si gettò a terra
sul dorso, colle gambe in aria, guardandomi con uno sguardo pietoso.
Dunque, dissi fra me, se non vuole andare verso Colico, è segno che il
suo padrone ha preso la direzione di Sondrio; dovendo io fare la stessa
strada, lo troveremo; e ripresi il viaggio. Il cane mi seguiva
tranquillamente. Ad una svolta della via m'incontrai in uno stradino che
acciottolava la strada e gli chiesi:
--Conoscete questo cane?
Egli lo guardò con indifferenza e mi rispose:
--Non l'ho mai veduto.
Allora mi decisi di abbandonarlo sulla via per non distrarlo dalla
ricerca del suo padrone, e presi un sentiero che salendo in fianco alla
strada s'inerpicava sulla montagna; ma egli mi seguì tranquillamente; mi
arrestai a contemplarlo, e pensai: esso è solo al mondo, povero cane, e
il suo istinto lo spinge a trovarsi un compagno. Era più brutto che
bello, ma aveva due occhi umani pieni di bontà, e guardandomi con
tenerezza pareva mi dicesse:
--Siamo soli tutti e due, non mi abbandonate, possiamo vivere in
compagnia.
Mi ricordai d'aver udito varie volte a raccontare che due uomini
essendosi incontrati per caso, ed entrati in intimità senza conoscersi,
ne derivarono poi gravi disordini, ruberie e disgrazie; ma non avendo
mai udito che simili conseguenze fossero derivate dall'intimità
dell'uomo col cane, mi decisi di conservare il mio compagno, almeno fino
a che avesse ritrovato il padrone. E supponendo possibile che fosse
digiuno da varie ore, m'arrestai davanti l'osteria di un villaggio che
aveva una baracca rizzata sulla via, coperta di paglia, con sotto al
rustico tetto un tavolo e sedili di rozze assi inchiodate sopra quattro
pali. Domandai pane, vino e dell'acqua.
Povera bestia, con quale ingordigia addentava i primi bocconi! Mangiammo
insieme pacificamente, poi gli diedi dell'acqua nel piatto, e bevette
con avidità. La più viva riconoscenza brillava nel suo occhio, nei suoi
movimenti, nel suo dimenar di coda.
Rifocillati per bene riprendemmo la via, e passammo l'intiera giornata,
camminando per la strada maestra, con alquante diversioni per boschi e
frane ove mi attirava o il bisogno di riposo, o il desiderio di
osservare una cascata, o un punto di vista pittoresco. All'ora del
tramonto giungemmo a Sondrio, ove avevo deciso di passare la notte.
Entrai in un albergo ove una folla di gente ingombrava il pianterreno e
il cortile, e in quella confusione non vidi più il cane. Pensai che
avesse trovato il suo padrone, e ne provai vero rammarico;--tanto è
facile a risvegliarsi l'affetto nelle anime solitarie, che sentono il
bisogno di un compagno nella vita.
Il cameriere mi serviva da cena nell'angolo d'una stanza, quando vidi il
cane nella sala vicina, inquieto ed ansante, che andava fiutando la
terra percorrendo il cammino che io aveva percorso. Esso cercava di me,
mi raggiunse poco dopo, e non potendo frenare la sua letizia mi saltò
addosso leccandomi le mani, e mugolando con acuti guaiti che esprimevano
il dolore d'avermi smarrito, e la gioia immensa d'avermi finalmente
ritrovato. Confesso la mia debolezza: la sua perdita mi aveva fortemente
attristato, il suo ritorno mi consolava come una felice ventura. Io
sentiva di non essere più solo al mondo, poichè avevo guadagnato
l'amicizia d'un cane.
Dopo d'aver cenato in compagnia, dormimmo nello stesso letto, essendosi
egli coricato ai miei piedi, come se fosse una vecchia abitudine.
Risvegliandomi al mattino, osservai ch'egli non dormiva più, ma mi
guardava immobile, per non disturbare il mio sonno. Quando vide che mi
mossi venne a darmi un saluto affettuoso. Io mi vestii e suonai il
campanello per chiedere il conto. Ma quando udì il cameriere che batteva
alla porta, il cane si mise ad abbaiare come un disperato, volendosi
anche dimostrare capace di difendermi.
Dopo una piccola refezione siamo usciti da Sondrio entrando in quella
strada pittoresca fiancheggiata dall'Adda, che conduce a Tirano. Questa
seconda giornata fu più felice della prima, a motivo della compagnia del
mio cane. Egli andava e veniva allegramente per la via. Talvolta saliva
sopra un sasso, ed osservava con attenzione gli oggetti sottoposti, poi
ritornava indietro facendomi ogni sorta di dimostrazioni affettuose, e
si vedeva chiaramente ch'egli era contento al pari di me d'aver trovato
un amico.
Una volta adottato il mio compagno, sentii la necessità di mettergli un
nome, e cercai lungamente. Sulle prime non mi sarei immaginato la
difficoltà che s'incontra a trovare il nome d'un cane, quando si voglia
evitare in pari tempo la volgarità e la pretesa. Per un cristiano il
lunario ci aiuta, e poi il nome dell'uomo non indica mai nulla, nè si
trova inconveniente che si chiami Candido un furbo, Amadio un ateo,
Leone un timido, Adone uno sciancato, Fedele un ladro e Felice un
ministro. L'uomo si classifica dalla sua condotta, dalla moralità,
dall'intelligenza, da tutti gli atti della vita, il suo nome è un caso;
ma per il cane non è così. Provate a chiamar Lesbino un molosso, o Turco
il cagnolino d'una signora. In esitanza mi sedetti sulle rive dell'Adda,
e chiesi al mio cane:
--Come devo chiamarti, caro amico?... Egli mi guardava
tranquillamente.--Fido?.. è troppo comune. Falco?.. non significa
niente.--Azor?... non mi piace. Egli stesso si mostrava insensibile a
questi nomi. Vorrei un nome che ci ricordasse il nostro felice incontro
sulle rive del torrente Bitto. Se ti chiamassi Bitto?... Bitto... Bitto,
gli dissi con voce carezzevole, vuoi che ti chiami il mio Bitto?...
Egli scodinzolava in segno di assentimento, io gli feci una carezza
affettuosa, egli venne a lambirmi la mano, e così gli diedi, ed egli
accettò cordialmente il nome di Bitto.
Quel giorno pranzammo lietamente a Tirano, e usciti dal paese, prendemmo
un'oretta di riposo sull'erba all'ombra d'antiche piante sui confini
d'un bosco.
Il villaggio di X** al quale io era diretto trovandosi fra Tirano e
Bormio, mi mancavano poche miglia per arrivarvi, ed avevo deciso di
giungervi sull'imbrunire per evitare la noia dei curiosi che mi
avrebbero molestato coi loro sguardi indiscreti.
Ripresa la via, e sentendo avvicinarsi il luogo destinato al mio esilio,
io provava quell'inquietudine che nasce dall'ignoto, e mi doleva
d'essere al termine di un viaggio pittoresco. Colla sola compagnia del
mio cane e dei miei pensieri non mi sarei stancato di percorrere il
mondo. Ma ogni viaggio che incomincia deve in qualche maniera finire.
Pur troppo è così, ed ogni viaggio ci rammenta la vita umana. Una volta
incominciato il pellegrinaggio, ogni ora che passa ci avvicina alla
meta....
Con tali pensieri malinconici vidi per la prima volta da lontano il
campanile acuminato, le casupole e le capanne di X**. Entrai nel
villaggio quando il sole scendeva dietro i monti tingendo in rosa le
nuvolette spezzate.
Le mandre rientravano dai pascoli salutando la sera con lunghi muggiti.
I passeri si raccoglievano sugli alberi cinguettando, e raccontandosi i
loro pettegolezzi del giorno.
I camini fumavano, le famiglie si raccoglievano per la cena. Tirai fuori
dal mio portafogli la lettera di raccomandazione di mio zio all'egregio
signor Nicola Bruni, e domandai della sua dimora al primo venuto.
--È quel palazzino bianco, isolato, sulla collina a diritta con molte
adiacenze e varie cataste di legna intorno.
--Vi ringrazio.
Presi la strada indicata sulla salita, e giunto all'uscio picchiai. Un
ragazzotto mi aperse la porta.
--È in casa il signor Nicola Bruni?
--Che cosa dice?
--Se il signor Nicola Bruni è in casa?
--Signor no... non è in casa... se fosse in casa non sarebbe in
cortile... ma è in cortile....
Una voce tonante interruppe il dialogo.
--Imbecille... perchè tieni la gente sulla porta?
--Ecco il signor Nicola che mi chiama,--disse il ragazzo,--è dunque
entrato in cucina... se vuole parlargli, eccolo qui.
In quel momento vidi un uomo ben tarchiato che veniva verso di noi, con
un cappello a larghe falde, una giubba di fustagno e calzoni simili che
entravano negli stivali. Mi venne incontro con faccia aperta dicendomi:
--Di chi domanda?
--Del signor Nicola Bruni.
--Sono io.... Venga avanti.
--Io sono Daniele Carletti, nipote di Monsignor Giusep....
Non mi lasciò finire, ma gettandomi le braccia al collo mi baciò sulle
due gote, colla più cordiale espansione.
--Bravo per Dio!... Caro signor Daniele... benissimo; venga avanti, e si
accomodi... ma non sarà solo forse?
--No, signore, sono in compagnia del mio cane.
--Ma vengano avanti tutti due... ma dov'è il bagaglio?... La vettura, il
cavallo?--Martino, su via, presto, corri ad aprire il cancello del
cortile, fa entrare la vettura che ha condotto il signore... animo,
corri....
Non era possibile interromperlo, e Martino era già corso ad aprire,
quando ho potuto dirgli ch'ero venuto a piedi, spiegandogli il motivo.
--Oh per Bacco!... quale fatalità! Se mi avesse scritto, avrei mandato a
prenderlo coi nostri cavalli. Io pure, veda, non posso soffrire le
diligenze.
Lo assicurai che mi ero divertito moltissimo, e che quel viaggio era
stato per me un sommo piacere.
--Benissimo.... Benissimo... bravo da senno.--Andò poi a' piedi della
scala e gridò a piena gola:--Giovanna.... Agata.... Marta... venite
subito abbasso, ma presto.
Eravamo entrati in un salotto terreno. Bitto s'era accovacciato in un
angolo, e ansava colla lingua pendente. Il signor Nicola mi fece sedere
sul canapè, e incominciò a chiedermi notizie della salute dello zio, e
degli effetti provati dopo la cura dei bagni. Quando entrò la signora
Giovanna seguita dall'Agata, egli si alzò per le presentazioni, e mi
disse:
--Mia moglie... mia figlia...--poi rivolto a loro,--il signor Daniele
Carletti, nipote di monsignor Canonico, e futuro maestro del nostro
villaggio.
Io feci le mie riverenze, e le signore i soliti complimenti; e sedemmo
tutti in circolo a parlare di mille cose.
Il signor Nicola aperse la finestra che guardava sul cortile, e chiamò:
--Martino?
--Eccolo....--rispose il domestico avvicinandosi.
--Che cosa fai?
--Ho aperto il cancello.
--E non hai veduto che non ci sono vetture?
--Ho veduto.
--Ebbene, ora che fai?
--Aspetto la vettura....
--Come?... Vuoi che le vetture che conducono i viaggiatori arrivino dopo
di loro?... Chiudi il cancello... chiama la Menica... accendi il
fuoco... corri... imbecille!...
--Sì, signore!...
Il signor Nicola chiuse la finestra e mi disse:
--Caro signor Daniele, non dovete giudicare il paese dal campione che
vedeste. Abbiamo una popolazione intelligente e laboriosa, il mio
domestico è un asino, ma non ne ho trovati di migliori. I nostri
montanari sono pronti e svegliati, ma preferiscono la vita avventurosa
dell'emigrazione alle cure servili ed alle meschine risorse del
villaggio. Tutti gli uomini validi se ne vanno a cercar fortuna, la
coscrizione porta via la gioventù, e non ci restano che gl'imbecilli per
farci servire. Non si trovano più buoni domestici!...
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