Il bacio della contessa Savina - 02

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cura della sua salute e rimasi fermo sulla via, rispondendo a' suoi
saluti, ed ai suoi cenni fino a che la vettura scomparve. Allora mi
avvidi che volevo bene a quel povero vecchio, sentendo come un groppo
che mi strozzava la gola. Talvolta io lo trovava noioso, ed anche
ridicolo; ma tali passeggiere impressioni non mi rendevano ingrato verso
colui che mi aveva raccolto come un figliuolo, e mi colmava di benefizi.
La vita comune ci avvezza all'affetto, ma le separazioni lo rivelano.
Ritornando sui miei passi io faceva caldi voti per la sua salute, e
pregava il cielo di rimeritarlo del bene che mi aveva prodigato.
La casa mi parve deserta senza di lui, e la Veronica ed io non eravamo i
soli a provare quel vuoto prodotto dall'assenza; anche il suo gatto
prediletto lo andava cercando per le stanze, miagolando con affannosa
insistenza. Povera bestia! io che prima non lo guardava nemmeno, sentivo
il bisogno di carezzarlo, e di dargli qualche bocconcino in ricompensa
dell'affezione che dimostrava pel suo buon padrone.
Oh! la vita è tutta un intreccio d'affezioni e di distacchi, di legami e
di lacerazioni, di conquiste e di sconfitte, e il cuore invecchia, come
il veterano che ha perduto le gambe sui campi di battaglia.
Ho passato l'estate studiando ed apparecchiandomi agli ultimi esami, che
ebbi la fortuna di compiere felicemente procurandomi la soddisfazione di
annunziare con una lettera a mio zio, che avevo ottenuta la patente di
maestro, con attestati di lode.
Finite le occupazioni scolastiche, ripresi con grande alacrità la mia
tragedia, per dare qualche sfogo alla passione che mi esaltava.
L'espressione d'un amore represso mi faceva sgorgare dei versi ispirati,
e quantunque il palazzo Brisnago fosse sempre chiuso, la divina mia musa
mi appariva come in celeste visione; la lontananza aveva idealizzato il
mio amore, io la vedeva coll'immaginazione, circondata da un'aureola di
luce, mandarmi un pensiero, che attraversando rapidamente lo spazio
giungeva nella mia cameretta come un raggio vivificante.
Un giorno divagavo la mente in quel modo fantastico che sorrideva alla
mia solitudine come un preludio di gloria e d'amore, quando la Veronica,
spalancata violentemente la porta, mi annunziò il ritorno dello zio,
correndo precipitosamente giù dalla scala per incontrarlo. Scosso
dall'ebbrezza de' miei pensieri, come un uomo destato improvvisamente
dal sonno, gli corsi incontro barcollando. Egli si gettò nelle mie
braccia e mi strinse affettuosamente sul cuore. Mostrava un aspetto
floridissimo. Il dottore aveva avuto ragione, il viaggio e i bagni gli
tornarono utilissimi. Mi disse che da principio ebbe a soffrire qualche
incomodo per le mutate abitudini, ma poi l'aria dei monti, l'esercizio,
il buon regime e la lieta compagnia lo ristabilirono perfettamente in
salute.
Finiti i reciproci abbracciamenti, e soddisfatta pienamente la curiosità
di Veronica intorno ai minimi incidenti dell'assenza e del viaggio, mio
zio mi prese per mano con insolita gravità, mi condusse nello studio,
chiuse la porta, si sedette sulla sua vecchia e prediletta poltrona di
pelle, mi fece sedere vicino a lui, e con accento affettuoso incominciò
a parlarmi in questi termini:
--La lettera che mi annunziava il risultato finale de' tuoi studi mi ha
portato somma consolazione, e desideravo vivamente di tornarmene a casa
per farti a voce le mie congratulazioni. Hai finito lodevolmente la
prima parte della vita, quella che apparecchia l'avvenire, quella dalla
quale dipende in gran parte tutta la nostra esistenza. L'età matura e la
vecchiaia possono considerarsi come legittime conseguenze della
gioventù. Le prime impressioni riescono più durevoli; appunto perchè
sono le prime esse trovano il campo libero e fresco, la natura ingenua,
l'età opportuna a ricevere ogni forma. Nella quiete e nella solitudine
di questa casa, tu non hai ricevuto che buone impressioni, e le hai
coltivate collo studio assiduo; le lunghe ore passate nella tua
cameretta daranno i loro risultati, ne sono sicuro. Ora è giunto il
tempo che devi entrare coraggiosamente nella vita sociale, e prendere il
posto che ti è destinato dalla Provvidenza. Ci hai tu pensato,
Daniele?...
--Ci ho pensato sovente,--io risposi,--e spero, caro zio, che un giorno
non avrà a pentirsi di avermi raccolto in casa, permettendomi
d'attendere agli studi.
--Ne sono sicuro e spero bene tanto della tua condotta morale, quanto
della tua cultura. Ma per giungere ad una meta bisogna mettersi in
istrada, e compiere il dovere che il Signore prescrisse ad Adamo:
«mediante il sudore della tua faccia, mangerai il tuo pane.»
--Sono pronto,--risposi,--a dimostrarle la mia buona volontà alla prima
occasione....
--L'occasione si presenta opportuna,--egli soggiunse,--e appunto la tua
lettera ti aperse la porta....
--Come mai?...
--Io la comunicai ad alcune persone influenti, che mi accordarono la
loro benevolenza, vivendo in rapporti quotidiani nello stabilimento
balneare di Bormio, e mi promisero il posto di maestro appunto nel
villaggio di X**, ove andresti ad abitare la mia casetta....
--In Valtellina?...
--In Valtellina! Il vecchio maestro mio locatario ha ottenuta una
pensione dal Comune, e si ritira a Sondrio coi suoi parenti. Io pongo a
tua disposizione la mia casetta e i pochi campi, una sommetta di denaro
pei necessari ristauri, ti raccomando al mio buon amico il parroco don
Vincenzo Liserio, ed all'ottima famiglia Bruni, che conosco da tanti
anni, e te ne vai a vivere beato e felice in quell'aria elastica delle
montagne che stuzzica l'appetito e conserva la salute.... Ecco quanto mi
premeva di comunicarti, e credo che sarai contento di così bella
notizia!...
Rimasi sbalordito, e senza parole. Pensando alla finestra del palazzo
Brisnago, che si sarebbe fra poco riaperta, alla riapparizione della
divina fanciulla, alla felicità di rivederla e di riprendere quelle
soavi contemplazioni, tanto indispensabili alla mia anima, quanto l'aria
ai miei polmoni, Milano mi appariva in tutta la sua bellezza. Io vedevo
come in un sogno rapido, intenso, tutti gli splendori della città, il
lusso, i corsi, i teatri, una scena spettacolosa irradiata da uno
sguardo che animava ogni cosa, mentre le parole dello zio m'indicavano
confusamente e lontano un povero villaggio deserto al piede delle Alpi,
con un orizzonte di montagne nevose nel fondo.
Mio zio mi guardava in silenzio, aspettando tranquillamente la mia
risposta. Io sentiva tutto l'orrore della mia posizione, ed una lotta
terribile si agitava nel mio animo. Finalmente, vedendomi esitante, egli
soggiunse:
--Io confesso che aspettavo tutt'altra accoglienza alla mia proposta, e
mi sorprendo assai della tua esitazione.
--Caro zio... l'idea di abbandonare Milano mi opprime talmente, che
forse mi sfuggono i vantaggi della proposta che mi fa. Un collocamento
che mi permettesse di continuare a vivere presso di lei sarebbe il mio
più ardente desiderio, ma allontanarmi dalla sua casa, e da Milano, io
solo, per recarmi in un ignoto villaggio, è un progetto che mi
spaventa... le confesso ingenuamente la verità....
--Ma come vuoi che un giovane appena ottenuta la patente di maestro
trovi il modo di collocarsi a Milano? questa è davvero una strana
pretesa! Bisogna che ciascheduno percorra la propria strada,
incominciando dai primi passi; quando avrai acquistati dei titoli
maggiori potrai ottenere degli avanzamenti, e coi meriti e il tempo
ritornare anche a Milano. Ma dovendo incominciare con un posto modesto,
dimmi ove potresti essere più felice che in un villaggio, nel quale
trovi una casa e dei campi che ti vengono ceduti gratuitamente, e dei
vecchi amici della nostra famiglia disposti ad accoglierti colle braccia
aperte, come un'antica conoscenza?... Tutti non hanno di queste
fortune... ma nessuno sarebbe così difficile di contentare... e devo
dirtelo francamente, nessuno tanto ingrato verso la sorte!...
Il malcontento di mio zio era evidente, e d'altronde l'obbligo di
lasciare Milano mi sembrava che corrispondesse ad una sentenza di morte.
Tuttavia per rinunciare ad un impiego, con l'aggiunta di eccezionali
vantaggi, ci volevano delle ragioni importanti. Diventava inevitabile la
necessità di manifestare il vero motivo che metteva ostacolo alla mia
riconoscenza per questo nuovo benefizio offerto con tanta cordialità. E
mi parve che l'amore irresistibile che accendeva il mio cuore dovesse
giustificare pienamente la mia condotta, e spiegare la fede che animava
i miei lavori letterari, i soli che potessero aprirmi la strada della
fortuna. Pensai dunque che fosse giunto il momento d'aprire sinceramente
il cuore a chi mi teneva luogo di padre, pensai che la mia ingenua
confessione l'avrebbe commosso e convinto, e che avrei trovato nel suo
cuore generoso un consiglio e un aiuto. Deciso a tale rivelazione, ruppi
il silenzio colle seguenti parole:
--Zio!.. la mia gratitudine per tutte le bontà che mi ha prodigato avrà
fine colla vita.... Ma io non posso lasciare Milano; la mia partenza è
impossibile. Un vincolo superiore alla volontà decide del mio
destino!... Io non sono più padrone di me stesso!...
Il povero canonico cogli occhi spalancati dalla sorpresa, colla bocca
semichiusa, mi fissava in volto attentamente senza pronunziare parola,
ma il suo sguardo doloroso e severo m'interrogava con ansiosa
inquietudine. Sentii la necessità di abbreviare le sue pene, e
soggiunsi:
--Non tema nulla per la mia onestà, non ho commesso veruna azione
malvagia, la coscienza non mi rimprovera alcuna colpa... ma io amo, amo
teneramente una fanciulla, e tutte le mie aspirazioni tendono a
meritarmi la sua affezione.... abbia pietà del mio cuore....
Mio zio si alzò in piedi, e fece un giro per la stanza, come se volesse
acquetare l'animo esagitato, prima di rispondermi. Io pure m'ero alzato
da sedere, e diritto in un angolo della stanza, rivolto verso il mio
giudice, colle mani giunte e con voce commossa, andavo ripetendo queste
parole:
--Abbia pietà del mio cuore.
Dopo alcuni giri, egli mi si arrestò dirimpetto, esclamando con parole
interrotte:
--Non me l'aspettavo... così presto!... Ah gioventù, gioventù! che non
sa mettere freno alle sue passioni, che si lascia trasportare facilmente
in balìa del pericolo... che non diffida dei precipizii!... mah!..
fragilità dell'umana natura!...
E continuava i suoi giri. Dopo qualche sospiro che parve sollevarlo da
un peso, raddolcendo a poco a poco la voce, come un uomo rassegnato che
ha preso una determinazione decisiva, soggiunse:
--Ebbene... pazienza!... pazienza!... vedremo di accomodare anche
questa.... Sei molto giovane... ma privo di famiglia... e talvolta una
buona compagna può salvare un giovane da pericoli gravi... Iddio
benedice le buone famiglie... e il mio desiderio è di vederti contento.
A tanta bontà caddi ginocchioni ai suoi piedi, io sentiva la
riconoscenza fino all'entusiasmo, la vita mi sorrideva, presi le mani di
mio zio e le ricopersi di baci, e vidi due grosse lagrime che scendevano
sulle guance rugose del povero vecchio, commosso dalle mie dimostrazioni
affettuose. Io mi sentiva rinascere.
Poi dopo breve sosta, guardandomi con occhio benevolo,
--Su via,--mi disse,--ora puoi completare la confessione, e dirmi senza
altre ambagi il nome della tua innamorata!
Mi alzai, e sorrisi ingenuamente, ma esitavo a pronunziare il suo nome.
Egli mi fece coraggio dicendomi:
--Su via, sbrigati... andiamo alla fine.
Allora io dissi balbettando:
--È la contessa Savina Brisnago....
Non mi è possibile descrivere l'effetto prodotto sullo zio dalle mie
parole.
Dapprima rimase come istupidito dall'impreveduta sorpresa, poi diede in
uno scroscio così impetuoso e violento di risa, che temetti per un
istante che gli avesse dato di volta il cervello. Furono tre assalti
successivi, così clamorosi, così sbardellati, e irresistibili, che lo
facevano evidentemente soffrire, ma non poteva calmarsi. Si contorceva
sopra una sedia, convulso; pareva che si calmasse un istante, soffiava e
ansava, e poi già un altro assalto più sganasciato del primo,
accompagnato da singhiozzi e da lagrime... una vera tortura.
Ritto, immobile, insensato, io era rimasto al mio posto, e un brivido mi
percorreva le membra, come se mi fosse caduta addosso una doccia d'acqua
gelata.
--Mio Dio!... non ne posso più...--furono le prime parole di mio zio...
poi il pover'uomo mi domandava scusa, voleva riprendere la sua serietà,
ma ricadeva nelle risa. Dopo una lunga vicenda di soste e di ricadute,
finalmente giunse a calmarsi intieramente, e mi disse:
--Vedi, Daniele, non è per offenderti, ma la tua ingenua rivelazione mi
riuscì così impreveduta, così strana, così esorbitante, che ne rimasi
colpito, e poi una convulsione irresistibile mi assalì con tale
violenza, che credevo morire. Che vuoi?... se tu fossi uno sciocco, non
mi sarei sorpreso di nulla, ma colla tua intelligenza, col tuo buon
senso, colla tua modestia e moderazione in ogni cosa, vederti così
tranquillamente annunziarmi il nome della contessa Savina come la cosa
più naturale del mondo... ne sono rimasto colpito... e mi hai fatto
terribilmente soffrire.... Ora che è passata, ti prego di dirmi, come
mai ti è entrata in testa una simile dabbenaggine!... Tu non ignori
certamente il numero di milioni attribuiti alla famiglia Brisnago?...
--Non ci ho mai pensato....
--Non hai mai veduto i dodici cavalli delle scuderie, il lusso degli
equipaggi, lo sfarzo signorile della casa, i numerosi domestici....
--Ho veduto... e non ho veduto... ho veduto materialmente cogli occhi,
ma non ci ho mai arrestato il pensiero. Non ho mai pensato nè
all'ineguaglianza sociale che ci divide... nè alla mia miseria... nè
alla loro opulenza... ho amato! ho adorato con entusiasmo... ecco tutto!
Allora raccontai distesamente a mio zio i più minuti particolari della
mia cieca passione, gli sguardi modesti di lei, ma perseveranti che mi
colpirono, tutti gli atti che interpretai in mio vantaggio ed agitarono
il mio cuore, l'evidente gelosia dei fiori appassiti, il mazzetto
raccolto in giardino, la mestizia manifestata la vigilia della partenza,
l'addio misterioso della sera... la mia disperazione... e le mie
speranze.
Egli mi ascoltò con profonda attenzione, e poi mi disse:
--Pur troppo nei giovani l'amore nasce da un nonnulla, vive di tutto,
e non ragiona mai. Le fanciulle hanno l'istinto innato di farsi
ammirare. Si fanno belle, vogliono piacere a tutti indistintamente, e
credono che uno sguardo non dica nulla; poi, quando travedono d'aver
colpito, provano una soddisfazione che le spinge a rinnovare la prova e
ignorando le conseguenze della replica, a poco a poco si avanzano con
leggerezza nella via pericolosa spinte da sentimenti diversi di
simpatia, d'ambizione, di riconoscenza; animate al giuoco fatale dalla
voluttà del mistero.... In vero non cercano altri trofei che quelli
dell'orgoglio soddisfatto, e per ottenerli slanciano delle freccie;
queste possono colpire gravemente, ma i feriti non hanno altro vantaggio
che di passare all'ambulanza, e soffrirne con rassegnazione i dolori,
mentre un eroe predestinato dalla sorte trionfa senza aver combattuto.
Talvolta avviene che qualche audace assalitrice rimane vittima della
propria imprudenza, ed allora porta per tutta la vita la cicatrice d'una
ferita ricevuta scherzando nei ludi giovanili. Per questo il candore
dell'anima è tanto raro e prezioso, e la prudenza è una delle prime
virtù che le madri dovrebbero insegnare alle fanciulle. Tu sei rimasto
vittima, povero Daniele, d'uno di questi filtri sociali tanto diffusi, e
tanto pericolosi, dai quali si guarisce però colla ragione e col tempo.
Ma quando si rimane feriti sul campo di battaglia, bisogna ritirarsi,
per evitare inutilmente nuovi pericoli. Questa tua disgrazia aggiunge
nuovi e più forti argomenti alla tua partenza. Non tarderai molto, io
spero, ad aprire gli occhi; intanto ritirati tranquillamente, riposa il
tuo spirito, richiama il senso comune al suo ufficio... un altro giorno
parleremo con calma del resto.
Uscii dallo studio di mio zio vergognoso e confuso della triste figura
che avevo fatto; e non avendo più forza da sostenere una seconda
diatriba, non dissi una parola sulle mie speranze letterarie; il modo
col quale era stato accolto il mio amore non m'incoraggiava a parlare
della gloria con un canonico che non poteva conoscere nè una cosa, nè
l'altra.
Ritirato nella mia stanza, mi gettai sul canapè, piansi dirottamente, e
mi addormentai oppresso dalla stanchezza.


III.

Mio zio ebbe la delicatezza di non ritornare a parlarmi nè de' suoi
progetti, nè de' miei amori, lasciando al tempo ed alla riflessione
l'incarico di accomodare ogni cosa. Intanto io passava giorni
malinconici e notti irrequiete, rotolandomi nel letto senza trovare
riposo. Mi sarebbe impossibile raccapezzare tutti i torbidi pensieri di
quelle notti insonni, che inauguravano la mia gioventù come le nuvole
burrascose dell'aprile annunziano la primavera. Ma il pensiero dominante
era questo:--mi ama o non mi ama?... Il dileggio e le riflessioni di mio
zio non avevano ottenuto altro risultato.
L'amore è sempre stato uguale sulla terra, ce lo dimostra l'adolescente
degli antichi, che porta le ali sul dorso, e la benda sugli occhi.
L'innamorato continua sempre i suoi voli senza saper ove vada; esso non
conosce gli ostacoli che quando vi batta sopra col capo, come le vespe
alle invetriate. L'amore non conosce ineguaglianze prodotte dalle
vicende o dalle leggi sociali: esso è un impulso della natura, è
un'aspirazione dell'anima che cerca il complemento di cui manca.
Io dunque non pensava più di prima nè alle mie tasche vuote, nè ai
milioni di casa Brisnago; io pensava semplicemente a questo:--mi ama o
non mi ama?--E sentivo dentro di me che mi amava, me lo diceva una voce
arcana, un senso inesplicabile, un fremito irresistibile che ricercava
tutte le mie fibre, non solo alla sua comparsa, ma semplicemente
all'udire il suo nome, o nel vedere un oggetto qualunque che le
appartenesse. Ma per convincere i profani, come mio zio, io sentiva il
bisogno d'una prova materiale, evidente, sicura. Uno sguardo, un
sospiro, un sorriso, una lagrima, sono prove sufficienti per
l'innamorato; ma il mondo? Il mondo domanda di più.--E il mazzetto di
fiori raccolto?--potrebbe essere un tratto di cortesia, di stima, di
deferenza, mettiamo anche di simpatia e d'amicizia... ma d'amore?
Nessuno potrebbe asserirlo. Ci vorrebbe qualche cosa di preciso, per
persuadere mio zio dell'amore di Savina, qualche cosa di decisivo anche
per me.
E se alla prova essa negasse l'amore... se osasse confermare l'accusa di
civetteria che le venne slanciata da mio zio!... I sospetti sono
contagiosi, ed io incominciava a dubitare di lei, di me stesso, d'ogni
cosa. Se mi fossi ingannato! Se si burlasse di me!--quale atroce
derisione! Eppure una ricca e bella signora può essa amare sinceramente,
candidamente un povero diavolo! un povero orfano senza pane!--E poi, se
ancora mi amasse, che cosa ne penserebbero i suoi parenti?--Forse
potrebbero sospettare che io fossi un ambizioso, spinto dall'avidità,
innamorato dei milioni!... Quale umiliazione! Ci avrà essa pensato!..
quali possono essere i suoi progetti? O mi ama come io l'amai sempre...
senza pensare ad altro che ad amare?... Quali dubbi, quali incertezze,
quanti sospetti mi entrarono nell'anima!... E se tali sospetti dovessero
mutarsi in realtà!.. partirei da Milano all'istante.--Ma se all'opposto
il suo amore fosse puro ed ingenuo come il mio, se avesse fiducia nella
mia fede, nel mio disinteresse, nel mio ingegno, che può offrirmi i
mezzi d'innalzarmi sino a lei, potrei io abbandonarla, tradire le sue
speranze, partire, lacerando la sua anima!.. no, mai!--Un'ultima prova è
dunque necessaria, deve essere franca e decisiva.
Con tale determinazione io aspettava ansiosamente il suo ritorno,
discutendo in me stesso i diversi progetti che si presentavano al mio
spirito come i più opportuni alla prova fissata. Ma ogni piano
incontrava insormontabili ostacoli. Impossibile parlarle, difficile
farle pervenire uno scritto; e poi provavo un'insormontabile ripugnanza
a confidarmi ai domestici, e a comprometterla. Volevo qualche cosa che
non lasciasse traccia, un cenno davanti a Dio, senza altri testimoni.
Ho deciso finalmente, dopo maturo esame, di attendere il suo ritorno, e
di mandarle un bacio appena si presentasse alla finestra. E pensava: se
mi renderà il bacio, nessuno a questo mondo potrà mettere in dubbio il
suo amore. Allora il mio dovere sarà fissato,--meritare la sua
affezione, ed esserle fedele ad ogni costo. Siamo giovani entrambi e
possiamo aspettare; e col tempo e col lavoro si possono fare miracoli.
Si videro tanti poveri che coll'ingegno e col pertinace volere
raggiunsero le più cospicue posizioni sociali, che il ritentarne la
prova non può dirsi pazzia. Se mi ama davvero, ho trovato il punto
d'appoggio che domandava Archimede, e posso muovere il mondo!...
Se non mi ama, avrò almeno la forza di partire, e di secondare i
progetti di mio zio. Se non mi ama, che m'importa in quale angolo devo
portare le mie ossa?--Contessa Savina Brisnago, ecco un uomo in vostra
balìa; potete salvarmi od uccidermi. Se i vostri occhi non mi hanno
ingannato, voi mi amate. Se mi amate, vi domando un bacio a dieci metri
di distanza... ma un vostro bacio darebbe la vita anche attraverso
l'Oceano! Ritornate dunque alla vostra finestra, e decidete della mia
vita.
Alla mattina seguente mi affacciai al balcone, ma le imposte del palazzo
Brisnago erano sempre chiuse e le mie invocazioni disperse al vento.
Così passarono molti giorni. Mio zio mi osservava e taceva, io
dissimulava i miei pensieri, e si tirava avanti, egli per lasciarmi agio
a riflettere ai miei casi, io aspettando nell'ansia dei timori e delle
speranze il momento fatale che doveva decidere del mio avvenire.
Finalmente una mattina essendomi alzato per tempo, vidi molte finestre
aperte nel palazzo Brisnago. I domestici mettevano in ordine gli
appartamenti, e tutto annunziava il prossimo arrivo.
Quella giornata mi parve un lungo periodo di secoli, ogni minuto durava
un anno, un anno di pensieri, di sogni, di progetti, d'entusiasmo e di
pene! Guardavo l'orologio, e pensavo: forse ella sarà qui fra due ore, e
sentendo al pari di me gli impeti di una passione che trabocca, che dopo
lunga compressione domanda imperiosamente di espandersi, risponderà al
mio bacio ardente con un bacio modesto, ma soave come il profumo d'un
fiore suscitato dagli aliti estivi. Sentivo che quel rapido istante
avrebbe bastato ad infondere il genio nell'anima più fredda, era il
soffio creatore che dava vita alla mia creta, m'innalzava al disopra
degli altri mortali, m'illuminava di quella luce divina che eguagliando
l'uomo agli Dei, lo rese talvolta capace di creare di quelle opere che
eccitano la meraviglia dei secoli. E progredendo su questa scala, colla
accesa fantasia salivo fra le nuvole ove dopo i più strani pellegrinaggi
finivo all'apoteosi!.. compiuto il sogno riguardavo l'orologio, e non
erano passati che pochi minuti!.. ma dunque le lancette non
camminavano?... sì, camminavano come i cavalli da nolo, mentre il mio
cervello volava colla rapidità dell'elettrico.
Se fossi morto quella sera mi sarebbe parso di aver vissuto una lunga
esistenza. Dunque tutto è relativo nella vita, il tempo e lo spazio, la
miseria e la ricchezza, le tenebre e la luce.
Finalmente uno scalpito di cavalli, un rumore di carrozze che si
arrestarono mi scossero dal letargo. Mi slanciai alla finestra, e vidi i
grandi cancelli del palazzo Brisnago che si aprivano, e gli equipaggi
che entravano. Risoluto all'atto solenne, mi appoggio al balcone ed
aspetto. Pochi istanti dopo odo un rumore di porte, e vedo un'ombra
lontana che si avanza... era lei!...--Ancora col cappellino sul capo
veniva sorridente alla finestra, a darmi il saluto del ritorno. Ebbe
appena il tempo di vedermi, che io deponendo un bacio ardente sulle
estremità delle dita della mano diritta raccolta davanti le labbra,
glielo gettava in faccia, come un oggetto che potesse realmente caderle
sul viso. Essa spalancò gli occhi sbalordita, e fuggì....
La sua repentina scomparsa mi rese immobile per qualche tempo, e quasi
asfissiato nel vuoto, e cieco come un uomo, che abbagliato dalla luce
istantanea, rientra immediatamente nelle tenebre.
Illusioni, speranze, amore, tutto era svanito: la vita mi sembrava
un'ironia atroce, un inganno, un supplizio!
Mi trascinai fino ad una sedia, caddi colla testa sul tavolino e le
braccie penzoloni. Non so quanto tempo rimanessi in quella posizione, ma
quando alzai la testa era notte.
Presi una risoluzione assoluta, corsi dallo zio, gli annunziai l'arrivo
della famiglia Brisnago e la mia partenza per l'indomani.
Mi applaudì, e s'accinse subito ad apparecchiarmi le lettere di
raccomandazione, mentre io corsi ad assicurarmi la vettura, ed a
prendere le necessarie disposizioni.
Alla sera tutto era pronto, Veronica aveva fatto la mia valigia, e
collocato in un baule i libri, le carte, i vestiti e quanto mi
apparteneva. Mio zio mi consegnò il denaro necessario al viaggio ed al
mio assetto, con le lettere pel parroco, don Vincenzo Liserio, ed il
signor Nicola Bruni, aggiungendo istruzioni e raccomandazioni infinite,
sugli affari della casa e dei campi, e sulla mia condotta morale. Poi
colle lagrime agli occhi mi diede la sua benedizione e mi congedò, non
volendo alla mattina alzarsi prima dell'alba, per non rompere tutto
l'ordine della giornata.
Io gli baciai la mano teneramente, assicurandolo della mia riconoscenza
per tutti i benefizi ricevuti, della mia ferma volontà di camminare
sulla via dell'onore, e lo lasciai balbettando le ultime parole
strozzate dall'emozione.
Mi coricai colla testa sconvolta, e piansi tutta la notte. Alle quattro
del mattino accesi il lume e mi alzai. Presi la medaglia che stava da
tanti anni appesa al mio letto, le diedi un bacio, e mi parve di sentire
la benedizione di mia madre. Mi posi in tasca quella santa reliquia con
religioso rispetto. Era il solo retaggio di famiglia del povero orfano,
che ritornava a trovarsi solo sulla terra!...
Apersi il balcone quando le stelle incominciavano ad impallidire alla
luce del crepuscolo. La finestra dicontro era chiusa; la contemplai
lungamente, e sentivo di non poter distaccare qualche cosa di me stesso,
forse un lembo dell'anima che rimaneva attaccato a quel palazzo.
Intanto ella dormiva certamente d'un sonno tranquillo sotto le candide
cortine del suo letto, e mentre nell'alcova elegante aleggiavano dei
sogni color di rosa, il povero orfano, ferito mortalmente, abbandonava
il tetto ospitale, e andava incontro all'ignoto, disingannato di quegli
sguardi fatali che gli promettevano il cielo, e poi lo abbandonavano
ramingo sulla terra.
Veronica entrò nella stanza, portandomi del caffè e latte caldo, del
pane abbrustolato e del burro, volendo che non partissi digiuno. Cure
affettuose d'una povera donna che non mi doveva nulla, e che pure ebbe
sempre tanti delicati riguardi per me.
Non poteva staccarmi dalla mia cameretta, muto testimonio di tanti
sogni, e girava gli occhi intorno, quasi salutando quelle pareti che per
tanti anni mi avevano ricoverato, e veduto crescere, amare, soffrire e
vivere d'illusioni.
Ma essendo giunta da un pezzo la vettura, dovetti risolvermi, e scendere
le scale, accompagnato dalla Veronica che singhiozzava. Giunto alla
porta, mi fu impossibile dirle alcuna cosa, le strinsi la mano, essa mi
gettò le braccia al collo.... ci siamo baciati piangendo e partii.
Attraversando le vie di Milano, sentivo di amare teneramente tutte le
case, i selciati, gli alberi, i banchi di pietra della mia città; li
conosceva tutti, mi ricordavo di averli veduti tante volte e mi pareva
impossibile di poterli lasciare; ma ero trascinato dal destino,
rappresentato da una vetturaccia da nolo e da un rozzone coi sonagli.
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