Il bacio della contessa Savina - 05

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orto; se sapete coltivarlo ne caverete degli utili, e poi imparerete
anche a coltivare i fiori.
Le promettevo di occuparmene seriamente... ma quando aprivo il mio
_Ortolano dirozzato_, e leggevo quelle elucubrazioni sulla cultura dei
cavoli, il libro mi cadeva dalle mani, e contro mia volontà mi
addormentavo.
Il vecchio maestro era partito, il mio casino era in ristauro. Il signor
Nicola lo aveva consegnato ai muratori, falegnami, fabbri-ferrai, ed
ogni giorno andavamo insieme a visitarne i lavori. Io non vedeva che
martelli che battevano, seghe ed accette che dividevano e sgrossavano
legnami, pialle che spianavano tavole, lime, raspe, tanaglie che
rodevano e sconficcavano, cazzuole che muravano, pennelli che
imbiancavano, tutto ad onore della mia persona. Ma il signor Nicola
vedeva meglio di me che una screpolatura richiedeva un arpese, che un
muro faceva corpo, che le assi del solaio non erano ben commesse, e
raccomandava ai muratori l'economia della calce, ai manovali di
sgomberare i pavimenti dai rovinacci, di spazzare i trucioli che
volavano giù dalle scale. Esaminava l'intonaco, e le varie opere del
legnaiuolo, e faceva le sue osservazioni. Il giorno dopo si tornava a
vedere se i suoi ordini erano stati eseguiti, e se tutto procedeva
secondo le convenzioni stipulate cogli operai.
Poi facevamo lunghe escursioni visitando i boschi, i pascoli e le
cascine; il signor Nicola mi parlava di migliorie da introdursi, e dei
redditi aumentabili, ed io lo ascoltava guardando le belle vedute che si
stendevano davanti i nostri sguardi. Bitto ci seguiva dappertutto, e
andava avanti ad esplorare il terreno.
Una sera passeggiando con tutta la famiglia Bruni alle falde d'una
collina, io osservava attentamente il mio cane che correva dietro agli
uccelli svolazzanti sulle siepi, abbaiando furiosamente perchè non si
lasciavano prendere.
--L'ingenuità di Bitto vi sorprende....--mi disse Agata,--ma molti
uomini fanno come lui: vorrebbero volare senza ali e si lamentano di non
poter raggiungere coloro che s'innalzano perchè hanno forze superiori.
La guardai in faccia sospettoso, perchè mi parve alludesse al mio caso,
ma vidi che la sua fisonomia non indicava alcuna malizia, e pensando
d'altronde ch'essa non poteva conoscere le mie aspirazioni mi tacqui, e
meditai lungamente sulla rassomiglianza dei miei gusti con quelli del
mio cane.
Quando il mio casinetto mi parve in ordine, pregai le signore Bruni di
volerlo onorare d'una visita, anche per favorirmi i loro consigli sulle
ultime disposizioni. Accettarono con piacere la mia proposta, e
v'andammo insieme; ma mentre mi aspettava dei complimenti sul mio buon
gusto, dovetti invece subire le giuste critiche dell'Agata. Infatti fui
forzato di riconoscere che mi ero dimenticato le cose più indispensabili
agli usi domestici.
--Ecco i poeti!...--mi disse sorridendo la ragazza,--più fortunati di
Bitto hanno le ali per volare al disopra delle cose terrene, ma però,
meno positivi degli uccelli, si dimenticano gli agi del nido, che hanno
pur tanta parte nella poesia della vita.
L'Agata era troppo buona per aver l'intenzione di pungermi sul vivo,
tuttavia ogni qual volta mi metteva al confronto cogli altri animali, io
figurava sempre al di sotto della bestia... Non potevo sopportare in
pace ogni attacco, nè dissimulare la mia stizza, ed essa, invece di
mostrarsi dolente del mio dispetto, pareva si godesse. Alla fine,
convinto dalle sue dimostrazioni che gli uomini hanno meno attitudine
delle donne per mettere in ordine una casa, la pregai di volermi
assistere come una buona sorella, incaricandosi di completare le mie
disposizioni e di compiere l'opera che sembrava troppo superiore alla
mia capacità. Avendo accettato cordialmente l'incarico col consenso dei
genitori, le consegnai il denaro che restava disponibile facendole ampia
procura di spenderlo secondo i suoi gusti e il suo giudizio. Due giorni
dopo essa partì per Sondrio, accompagnata dal padre, per fare le spese
necessarie, ed al suo ritorno venne spedito un carro a prendere gli
oggetti acquistati che giunsero in buon ordine, certo a motivo che
Martino non faceva parte della spedizione.
Allora l'Agata accordò la Rosa al mio servizio, e volle stipulata una
convenzione fra noi, cioè ch'io non entrassi più nella mia futura dimora
fino a che l'opera non fosse compiuta. Così, mentre l'Agata e la Rosa,
accompagnate dal signor Nicola, dalla signora Giovanna e da Martino,
andavano a lavorare a mio vantaggio, e si affaticavano a mettere a posto
ogni cosa, io non aveva altro incarico che di passeggiare dalla parte
opposta del paese col sigaro in bocca, come un vero sibarita.
In pochi giorni tutto fu messo in assetto, e finalmente ottenni il
permesso di visitare la casa. La trovai trasformata, e ne rimasi
sbalordito. Essa respirava una modesta agiatezza, piena d'attrattive. Si
vedeva dappertutto la mano della donna, si sentiva la sua influenza e il
suo intento. Ogni stanza aveva le sue tende, i mobili opportuni, puliti,
e collocati a dovere. Al pianterreno un allegro salottino, con un bel
tappeto davanti al canapè, un tavolo rotondo nel mezzo; uno studiolo
colla stufa, e gli scaffali pei libri, un tinello colla sua credenza a
invetriate ove si vedevano le stoviglie, le tazze, i cristalli che
brillavano per nitidezza; ed una cucina ben fornita di pentole e
pentolini, casseruole e girarrosto. Sugli scaffali si vedevano tutti gli
oggetti destinati agli usi domestici, ch'io aveva dimenticati, dal
macinino del caffè allo scaldaletto, dalle caffettiere alle lucerne, dai
piatti alle scodelle. Davanti al focolare due alti seggioloni a
bracciuoli invitavano a sedersi al fuoco. La catena e gli alari lucenti
stavano al loro posto. Dopo la cucina si entrava in una piccola dispensa
collocata a settentrione, fresca e ventilata per conservare le carni,
poi c'era un magazzino ad uso di legnaia e cantina, provveduto
dell'occorrente.
Al primo piano due belle stanze da letto, una per me, un'altra a
disposizione dello zio quando volesse arrestarsi andando ai bagni di
Bormio. Una stanzuccia per la Rosa, un'altra ad uso di guardaroba,
un'altra ancora disponibile e vuota.
Tutte le stanze avevano l'occorrente, ma quello che mi colpì di più
furono i quadretti appesi ai muri, e i vasi di fiori sui tavoli, e vari
altri piccoli oggetti da collocare i sigari e i fiammiferi. Nel
gabinetto da studio figuravano le più belle vedute di Milano, che mi
arrestai a contemplare con uno stringimento di cuore. Il tinello aveva
due bei panorami del lago di Como, e le pareti del salotto portavano i
ritratti di alcuni fra i più grandi benefattori del genere umano.
Sulla porta della cucina stava affisso il lunario, e un calendario
dell'ortolano, nel quale si leggevano i lavori e le semine da farsi ogni
mese.
Quella buona ragazza così sensata e positiva, visti i miei piccoli
mezzi, mi aveva dichiarato non occuparsi che del solo necessario; essa
aveva dunque trovato necessario coprire la nudità delle pareti, riposare
i miei sguardi sulle care memorie della patria, ricondurre il mio
spirito di quando in quando per le vie della mia cara Milano,
rammentando l'aspetto ridente della natura coi più bei siti contemplati
sul lago, e richiamandomi alla mente le grandi virtù dagli uomini che
onorano l'umanità.
Di quella povera casa, così deserta, tacita, e nuda, essa aveva fatto
una dimora piacevole, comoda, popolata di ricordi, eloquente
d'insegnamenti, fornita di graziose opere d'arte, un rifugio tranquillo
e sereno, che invitava alla pace ed allo studio.
Commosso e riconoscente, non sapevo in qual modo dimostrarle la mia
gratitudine. Essa aveva apparecchiato il nido al povero esule, s'era
studiata di rendergli meno squallida la vita solitaria. Come una buona
sorella aveva prodigate le cure più affettuose nell'allestimento d'ogni
stanza, usando gli accorgimenti più delicati, le previsioni più sottili.
Io andava pensando a qualche regaluccio che le provasse la mia piena
soddisfazione, ma mi trovavo nell'impossibilità di poter acquistare un
oggetto qualunque al villaggio.
Mi si presentò il pensiero di offrirle la medaglia di mia madre.
Era quanto io possedessi di più prezioso, e vi tenevo tanto che dapprima
respinsi tale idea come una tentazione. Non sapevo risolvermi a privarmi
di quella santa memoria; respingevo il progetto, e lo riprendevo
esitante e sconvolto da mille diversi pensieri, quando la Rosa venne a
dirmi che l'Agata mi attendeva ansiosa di conoscere l'effetto prodotto
dalle sue disposizioni.
Dovetti risolvermi a partire colla medaglia o colle mani vuote; o quella
o niente!... In tale dolorosa alternativa, piuttosto di passare per un
ingrato ho preferito lacerarmi le fibre del cuore, presi la medaglia
deciso e rassegnato al dolore di privarmi dell'ultimo residuo della
famiglia, dell'unico segno che mi rammentasse mia madre, e corsi a casa
Bruni.
L'Agata era nel suo giardinetto aspettando il mio ritorno, quando io le
comparvi dinanzi tutto sconvolto dall'interna lotta delle mie
sensazioni. Vedendomi ne rimase confusa, temendo di non avere incontrato
il mio gradimento. La rassicurai piuttosto coi gesti che colle parole,
perchè mi mancava la voce. Poi le presentai la medaglia dicendole:
--Questo è l'oggetto più prezioso che posseggo, è l'unico ricordo che mi
rimane della mia povera madre; vogliate accettarlo come un pegno della
mia viva riconoscenza.
Fece un moto di sorpresa e rifiutò: una grossa lagrima scese sulle sue
guancie, indi mi rispose:
--La vostra soddisfazione mi ricompensa largamente del poco che ho
fatto. L'allestimento della casetta è stato per me un vero divertimento,
il dono che vorreste farmi mi prova che sono riuscita al di là delle mie
speranze, io ne sono contentissima e non desidero altro.
--Non rifiutate, vi supplico, di accettare questo piccolo segno della
mia gratitudine.
--Ma nemmeno per sogno, caro Daniele, io sarei ben crudele se vi
privassi d'una tale santa memoria!
--Eppure, Agata, sento dentro di me una ispirazione che mi spinge ad
insistere, sento come la voce di mia madre che mi ordina di mettere
questa medaglia nelle vostre mani, come un sacro deposito....
rifiuterete la preghiera di una povera madre morta?
Allora, vedendomi umiliato e dolente della sua esitanza, stese la mano
dicendomi:
--Come semplice deposito l'accetto.--Prese la medaglia, la guardò
attentamente, le diede un bacio, se la pose in seno, ed aggiunse:--Essa
mi darà il diritto di trattarvi come fratello.... fin che saremo vicini.
--Mia madre vi ascolta a vi benedirà,--risposi.
Le baciai la mano con affetto fraterno, mi ritirai nella mia stanza,
perchè sentivo bisogno di trovarmi solo, per piangere in libertà.


VII.

Il giorno seguente presi possesso della mia nuova dimora, dopo di aver
dimostrato come seppi meglio tutta la profonda riconoscenza per la
cordiale ospitalità ricevuta in quell'eccellente famiglia. La partenza
da casa Bruni mi riuscì dolorosa come se vi avessi vissuto degli anni.
Vi sono a questo mondo luoghi ai quali non ci avvezziamo nemmeno dopo
una lunga dimora; ve ne sono altri nei quali si sta bene fin dal primo
giorno, e che non si vorrebbero lasciare. Generalmente in questi si è
destinati a passare rapidamente, e negli altri a consumare la vita! ecco
il nostro destino!
Pregai quei buoni signori di continuarmi la loro amicizia.
--Nulla è cambiato,--mi rispose il signor Nicola,--avete due case invece
d'una sola, ecco tutto!...
Volevo baciargli la mano, ed egli si è rifiutato, dandomi due grossi
baci sul volto. Mi accompagnarono fino alla porta della loro casa, mi
strinsero le mani affettuosamente. Martino portava il mio sacco da
notte, le signore mi dicevano:
--A rivederci.... a rivederci.
--A rivederci.... questa sera,--io risposi,--e partii salutando colla
mano, seguito da Bitto, che, colla coda bassa, dimostrava non essere più
contento del suo padrone.
La Rosa m'aspettava sulla porta della casa, mi venne incontro per alcuni
passi, prese il sacco dalle mani di Martino, e m'introdusse nel mio
nuovo possesso.
Salii il primo piano seguito dalla fantesca, ed affacciandomi alla
finestra che guardava sul cortile vidi un bel gallo a penne variopinte,
il quale scuoteva la cresta orgogliosa, sorvegliando quattro belle
galline che razzolavano in terra.
--Ove avete trovato quei bei polli?--chiesi alla Rosa.
--È un dono della signora Agata, che volle piantarvi il pollaio co' suoi
allievi. Rammentandosi gli elogi fatti a colazione sulla freschezza
delle uova, desiderò che continuaste a trovarne d'eguali sulla vostra
tavola.
--Eccellente creatura!... cuor d'oro!...
--E testa fina!...--soggiunse la Rosa.
--Sicuro!... sicuro!... ma.... ma.... e ripeteva dentro di me: ma
peccato che sia bionda!
Io era sempre perdutamente innamorato della contessa Savina, alla quale
non avevo mai parlato, e che aveva rifiutato di restituirmi il bacio.
Ma.... ma!... e andavo girellando per le camere come un uomo che cerca
qualche cosa. Cercavo infatti lo scioglimento d'un problema:--date due
donne giovani, ed amabili entrambe, una lontana e inaccessibile per la
distanza, la nobiltà, la ricchezza, le condizioni sociali, e l'altra
vicina, accessibile per relazioni di famiglia e opportunità d'ogni
genere, un giovane s'innamora della prima e disdegna la seconda. Qual è
la forza che lo spinge di preferenza verso l'impossibile?... ecco
l'incognita.... Ho passato il primo giorno nel mio nuovo domicilio
occupato esclusivamente di questo problema, che mi pareva un'equazione
algebrica fra le più complicate e difficili. Chiuso nel mio studio, coi
gomiti appoggiati allo scrittoio, e le mani nei capelli, io meditava le
condizioni della vita e delle umane passioni, inesplicabili. Udivo al di
fuori della gente che domandava alla Rosa:
--È in casa il signor maestro?--ed essa rispondeva:
--Sì, è in casa, ma non posso disturbarlo. Sapete che i maestri hanno
delle occupazioni.... degli studi seri.... ritornate più tardi.
Io lasciava che andassero; infatti che cosa al mondo poteva interessarmi
di più dello scioglimento del mio problema? non era esso il mistero
della mia vita?... La contessa Savina era per me la più bella, la più
seducente, l'unica donna!... L'Agata era una sorella. Il suo volto? io
non lo vedeva! Il viso della contessa Savina mi stava impresso nel cuore
con indelebili tracce. Per vederla viva e presente io non aveva che a
chiudere gli occhi.... Essa era lì, alla sua finestra, coi suoi bruni
capelli rilevati sulla fronte, con quello sguardo penetrante.... con
quella scintilla che accende e consuma!... Ma e gli ostacoli?... Nel
dizionario d'amore, ostacolo significa eccitamento, stimolo, sprone,
prestigio. Tuttavia la ragione, il buon senso?... Che ragione! l'amore è
una pazzia.... lo sento nei lucidi intervalli, che non mi servono a
nulla. Dopo qualche breve sosta, la demenza riprende il suo dominio, e
mi fa vedere le cose a rovescio. L'impossibile mi sembra facile.... e
sento che in certi momenti posso diventare un eroe.... o un imbecille!
Il fatto sta, che quando il cuore è saturo d'un amore non ci sta altro,
gli occhi non vedono più, il cervello è tutto occupato dai fumi del
cuore; che possano allignare insieme due amori, è credere
all'impossibile, all'assurdo. Chi s'illudesse di amare due donne in una
volta, può essere sicuro che non ne ama nessuna. Io amo la contessa
Savina, l'amo perchè l'amo, perchè è stata il primo raggio di luce della
mia vita, il primo palpito del mio cuore, l'amo....
--Signor maestro, il pranzo è servito....--mi disse la Rosa picchiando
leggermente all'uscio....--mi dispiace incomodarlo, ma è l'ora precisa
che mi ha fissata.
--Vengo subito,--risposi, ed aggiunsi fra me:--maledetta prosa della
vita!... Massaie indiavolate, siete tutte uguali! dalla Veronica alla
Menica, dalla Menica alla Rosa, dalla Rosa alle sue pari! ogni giorno vi
fanno discendere il pensiero sulla tavola, vi abbassano i vostri sogni
al livello del loro focolare!...
--Il falegname ha portato l'ultima polizza,--mi disse la Rosa quando
sedetti a mensa.--Anche il calzolaio voleva consegnarle questa nota, ma
non ho voluto disturbarla. Tobia l'organista m'ha detto che i maestri
sono come i santi apostoli.... bisogna lasciarli in pace, che si
preparino ad insegnare agli altri.... Va bene di sale?
--Benissimo, benissimo.... ma dov'è Bitto?...
--Bitto?... Ah! se sapesse come ho avuto paura di perderlo. Si figuri
che non si poteva trovarlo. Ma dopo averlo cercato in tutto il villaggio
finalmente l'ho trovato.
--Ove l'avete trovato?
--In casa Bruni, si sa; mentre il maestro studiava, egli si è ricordato
che era l'ora del pranzo in casa Bruni, e vedendo che qui il fuoco era
ancora spento, è andato a chiedere da pranzo alla signora Agata. Essa mi
ha detto:--lasciatelo qui fin che ha mangiato, povera bestia, mi vuol
bene, si ricorda di me, gliene sono grata, e non posso rimandarlo a
digiuno. Bisognava vedere come la guardava, che feste, che scodinzoli;
pareva che intendesse le sue parole, e gli dicesse:--vi ringrazio.
Poco dopo ecco Bitto che ritorna a casa contento, abbaiando e saltandomi
addosso come se volesse rendermi conto de' fatti suoi.
Da quel giorno prese il suo partito, andando regolarmente a pranzo in
casa Bruni, colla scrupolosa esattezza che metteva mio zio canonico per
andare a vespero. Io era destinato ad avere sempre sotto gli occhi
l'esempio dell'ordine, dagli uomini o dalle bestie, senza approfittarne.
Dopo pranzo Bitto se ne tornava a casa, a fare la sua guardia alla
porta, e guai se qualcuno s'avvicinava. Egli dapprima abbaiava
francamente, poi incominciava a latrare, e finiva con un certo ringhio
che metteva tutti in riguardo. La mia voce lo calmava. Egli lasciava
passare i visitatori che venivano invitati ad entrare, ma non permetteva
che nessuno entrasse senza essere invitato.
Quando andavo al passeggio mi accompagnava, e se ero diretto a casa
Bruni lo indovinava a mezza strada, giungeva prima di me, e mi aspettava
sulla porta; alla notte dormiva sempre ai piedi del mio letto: alla
mattina divideva la mia colazione, ma ripartiva regolarmente pel pranzo,
e pareva che mi volesse dire:--la mia fedele amicizia non ti sarà troppo
a carico, povero maestro; tu pensi che il cuore non può contenere che un
amore solo, io ti mostrerò che l'amicizia è meno esigente, e può vivere
benissimo in compagnia.
Appena presa residenza stabile in paese, il signor Nicola mi condusse a
fare le visite di dovere alle autorità municipali, che dimoravano nel
capoluogo del comune, a poche miglia dalla nostra frazione. Tutti mi
accolsero cortesemente, e mi venne consegnato l'atto di nomina a
maestro, già deliberato dal Consiglio Comunale fino dai primi giorni del
mio arrivo.
Durando tuttora le vacanze mi misi a lavorare assiduamente intorno alla
mia tragedia. Nel rileggere le pagine scritte a Milano, trovai
necessarie alcune correzioni e di rifare introducendo nuovi incidenti e
nuove scene. Fuggivo l'imitazione servile, volevo riuscire poeta
originale, i personaggi d'Alfieri mi parevano convenzionali, io sentiva
il bisogno di studiare l'uomo dal vero, ma temevo di non trovare in un
piccolo villaggio di Valtellina i modelli necessari alle mie scene del
medio evo. Tuttavia, pensando che il cuore umano è sempre lo stesso
malgrado la diversità dei tempi, mi decisi di studiare le umane passioni
nei soggetti che mi stavano intorno tenendo conto delle proporzioni. La
distanza era immensa, formidabile! ma l'anatomico che studia l'uomo sul
cadavere mi pareva in condizioni peggiori di me. Difatti due uomini
vivi, anche distanti di qualche secolo, devono rassomigliarsi fra loro
assai più d'un uomo vivo ad un cadavere. I tempi modificano le passioni,
ma la morte le annulla addirittura. Il morto non è più che un misero
avanzo inanimato dell'uomo. Dall'uomo vivo al cadavere la distanza è
assai maggiore di quella che passa fra Giacobbe che inganna suo padre
colle pelli d'agnello, e sor Isacchetto, mercante d'abiti fatti, che
inganna il suo avventore.
Tali considerazioni mi spinsero a far conoscenza coi maggiorenti del
villaggio, che visitai e ricevetti in casa, coll'interesse d'un
professore di storia naturale che si circonda d'ogni sorta d'animali
necessari a' suoi studii. Io studiava attentamente i miei interlocutori,
scrutavo la loro indole, le loro inclinazioni, analizzavo minutamente i
loro istinti, la depravazione, i vizii delle loro nature, e li
classificavo esattamente, secondo un sistema adottato per mia
istruzione. Ogni individuo che manifestasse delle tendenze virtuose o
perverse corrispondenti ad un personaggio della mia tragedia, riceveva
il suo nome relativo e veniva sottoposto ad attento esame.
Assorto nell'intensità della mia osservazione, è naturale che io
rispondessi talvolta sbadatamente alle loro frivole cicalate, e ciò mi
valse la riputazione d'uomo superficiale, leggiero e distratto; ma
invece, mentre mi credevano colla testa in aria, io era entrato nel loro
cervello e nel loro cuore. Con questo sistema penetrante pervenni a
trovare nel villaggio tutti i modelli viventi dei miei personaggi.
Il signor Marco Canziani mi servì di modello pel _Lucchino Visconti_, e
offrì tratti magnifici al mio marito tiranno. La signora Pasquetta,
moglie del dottore, divenne un'Isabella Fieschi impareggiabile. Essa
amava segretamente Ugolino Gonzaga, parte rappresentata al naturale dal
giovane farmacista signor Gaspare Zapolini. I caratteri degli amanti, le
loro ansietà, l'ardore dei loro sguardi, le insidie tese al marito, le
inquietudini della donna colpevole, le aspirazioni impazienti del
seduttore, si presentavano alla mia osservazione nelle varie circostanze
che mi mettevano in presenza de' miei modelli. La loro ingenuità me li
abbandonava in piena balìa; ben lontani dal sospettare il particolare
interesse della mia inchiesta, essi non avevano altra mira che fuggire i
pericoli che li minacciavano direttamente, e così, schivando il marito,
cadevano nelle braccia del tragico. Il povero don Vincenzo Liserio,
studiato a rovescio, divenne Giovanni Visconti arcivescovo di Milano. Il
signor Nicola Bruni, che si trova spesso in opposizione col medico,
specialmente nelle gravi disquisizioni del tarocco ove cercava di
sbancarlo, conveniva benissimo coll'indole del congiurato Francesco
Pusterla. Ma il più bello di tutti era il mio vicino Tobia, piccolo
possidente, ma grande filosofo ed organista. Egli passava in paese per
una lingua malefica, un maldicente velenoso, ma per me era un perfetto
modello di ghibellino, sempre in lotta col parroco, colla camarilla, coi
seguaci, pronto a battere in breccia la canonica, il campanile, la
sacrestia e tutti i ridotti del clero. Egli s'incarnava a meraviglia nel
mio Uguccione della Fagiuola, e mi si mostrava, senza sospetto, un tipo
originale e degno di figurare fra i migliori della tragedia. Aveva il
portamento bellicoso, quando ritto della persona teneva le braccia a
semicerchio, e alzando la testa in segno di provocazione, faceva far la
ruota al randello, mosso dalle sue mani scarne e nodose. Capelli radi,
sopraccigli incrociati, orecchie larghe e staccate in alto presentavano
i segni caratteristici del suo volto. Aveva il naso lungo e diritto come
un dardo, le labbra tumide, le guancie scarne, i zigomi spiccati, la
barba rasa. La sua parola era sentenziosa, i suoi movimenti rapidi,
decisivi, taglienti; e l'occhio iniettato di sangue gli rendeva lo
sguardo feroce.
È certo che ci voleva un grande sforzo d'immaginazione a trasformare il
cappello a cilindro diritto, lungo, a tese strette, rosso, spelato,
unto, contuso di Tobia coll'elmetto a piume di Uguccione; la giubba
corta e i larghi calzoni di fustagno dell'organista colla corazza, i
cosciali e le gambiere del guerriero, ma le vesti non sono che la scorza
dell'uomo, ed io trovava sotto quelle spoglie miserande un magnifico
Uguccione della Fagiuola, con un'anima piena d'ardori velenosi, e d'odio
profondo pel partito avverso.
Così io m'ero formato un medio evo artificiale e travestito nel quale
vivevo, studiando e meditando le umane passioni e traendone ispirazioni
al mio lavoro. Era una specie di carnevalone di Milano trasportato in
Valtellina per mio uso e consumo, che mi rendeva il clima meno uggioso,
mentre se ne avvantaggiavano i miei studi sull'uomo, e i versi della mia
tragedia.
La scuola comunale era collocata a piccola distanza dalla mia casa. Io
l'aveva aperta all'epoca indicata dal regolamento, e mi vi recavo
esattamente ogni mattina. Poco prima di mezzogiorno, Bitto passava per
andare a pranzo a casa Bruni, e al suo passaggio gli scolari si
apparecchiavano alla partenza; alla comparsa del maestro si aprivano le
lezioni, a quella del cane si chiudevano; il comune era servito a
meraviglia da due individui, e non ne pagava che uno solo.
Io rientrava in casa, pranzavo, facevo un giro pel paese fumando un
sigaro, poi mi chiudevo nel mio studio per raccogliere le ispirazioni,
prender nota, e architettare i versi della tragedia. Passavo la sera in
casa Bruni o alla farmacia, e scoprivo sempre dalle mie osservazioni che
le medesime passioni agitavano gli uomini, cambiando forma ed
importanza, ma restando sempre eguali nel fondo.
Dall'epoca della mia tragedia ai nostri giorni erano passati circa
cinque secoli, e mutata anche la scena dalla città di Milano ad un
piccolo villaggio della Valtellina, io trovava gli stessi uomini.
Però uomini e passioni erano ridotti a dose omeopatica. L'amante Ugolino
Gonzaga, invece di correre le giostre colla lancia in resta, imbrandiva
tranquillamente la spatola e faceva pillole; ma il suo amore colpevole
aveva le stesse tendenze, le medesime astuzie, gli eguali ardori. Il
Duca di Milano faceva il medico condotto, ma cavava sangue e denaro dai
suoi soggetti, e condannava a morte gl'innocenti, come nel medio evo. La
natura tollerante dell'arcivescovo Giovanni trovava il suo riscontro
nella rassegnazione di Don Vincenzo Liserio, che cedeva ai fabbricieri
il diritto d'amministrare la parrocchia, limitando la sua autorità alle
cose ecclesiastiche. Uguccione della Fagiuola, abbandonato il suono
dell'armi, si contentava di quello dell'organo, ma continuava la guerra
ai guelfi, e li feriva colla lingua.
Pusterla congiurava sempre contro Lucchino celando accuratamente le
spade, i bastoni, le coppe e i denari che dovevano abbatterlo.
L'autorità del potere era contrastata da mille insidie, e minacciata da
impreveduti stratagemmi che concentravano tutta l'attenzione del
tiranno. Uguccione della Fagiuola sosteneva i ghibellini, l'Arcivescovo
secondava il fratello; la lotta dei partiti era accanita, e il tarocco
contrastato fino all'ultima carta. Frattanto Ugolino Gonzaga,
approfittando dell'ardore della mischia, si allontanava dal campo,
chiudeva lentamente la porta del suo laboratorio farmaceutico, e correva
sotto ai balconi d'Isabella Fieschi!... Io lo seguiva da lontano con
prudenza: e lo udivo confabulare colla sua bella:
--Ove sono?
--Tutti intenti al tarocco!... apri.... siamo sicuri!...
Isabella chiudeva il verone, scendeva precipitosa, e nel buio della
notte si vedeva il lumicino che percorreva le scale. L'uscio veniva
aperto, e Ugolino entrava di soppiatto nel covo del tiranno.
Io ritornava tranquillamente in farmacia, Lucchino si dibatteva
invano.... la partita era perduta!...
O mondaccio perverso! è stato sempre così!... una partita di tarocco!
Epoca del ferro o della carta, c'entrarono sempre le coppe e le spade, e
i mariti dabbene, e le notti buie, e i capitani di ventura, e gli
speziali. Da Eva alla sora Pasquetta le donne furono sempre tentate dal
serpente e dal pomo. La virtù della resistenza è il prezioso prestigio
della donna onesta, e beati i tiranni, i medici condotti e tutti i
giuocatori di tarocco, le cui mogli non possono servir di modello nè
alla commedia, nè alla tragedia.
Io studiava coscienziosamente i miei modelli, e ne traevo partito.
Quando il medico condotto mi compariva davanti col suo aspetto grave ed
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