Il bacio della contessa Savina - 04

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La signora Giovanna alzava gli occhi al cielo, confermando coi moti del
capo e delle spalle le asserzioni di suo marito; la signora Agata
rideva.
Agata era una ragazza bionda cogli occhi chiari, ma per me una bionda
non era una donna, od era una donna incompleta ed incolore. Avevo sempre
presente come unico modello di bellezza femminea la contessa Savina, co'
suoi capelli neri, cogli occhi e i sopraccigli corvini. L'Agata non
poteva piacermi, e per giunta era vestita come una bambola di
Norimberga, senza grazia nè moda, e non poteva reggere al confronto
delle signorine eleganti di Milano, alle quali erano avvezzi i miei
occhi.
Essendosi fatta notte, la vecchia Menica venne a deporre sul tavolo
un'antica lucerna d'ottone che mandava una luce rossastra, ed avendo
fatto cenno alla padrona, questa la seguì accompagnata da sua figlia.
Bitto uscì egli pure dalla stanza, attirato forse dall'odore della
cucina, ed io rimasi solo col signor Nicola, che mi mise al corrente di
quanto poteva interessarmi.
Il signor Nicola Bruni, antico amico di mio zio, che desso pure era
oriundo di Valtellina, era diventato da tanti anni l'amministratore
onorario del piccolo patrimonio del Canonico, consistente nella casetta
appigionata al maestro, con poca terra annessa, e l'aggiunta d'un altro
ettaro di terreno diviso in sei appezzamenti sparsi per la montagna.
Pagate le imposte e gli ordinari ristauri della casa, la terra rendeva
circa l'uno e mezzo per cento del suo valore. Per altro quell'ettaro di
terra così frazionato si sarebbe venduto senza la casa, un quattordici o
quindicimila lire sonanti, tanto si apprezza in quelle montagne il
diritto di proprietà. La terra era data a mezzeria, e produceva
castagne, patate, legna, fieno, fagioli, e un po' di vino. Potevo
calcolare in media sopra una rendita di circa dugento lire l'anno. Lo
stipendio al maestro essendo fissato a lire settecento, e non mancando
gl'incerti, consistenti nei regali dei parenti degli scolari, e qualche
gratificazione comunale, poteva contare sopra una rendita fissa di
novecento lire annue, e l'abitazione gratuita.
--Da vivere onestamente....--conchiuse il signor Nicola.
Io pensava in quel punto ai milioni di casa Brisnago, ed alla mia
intenzione di ritornare una volta o l'altra a Milano a rinnovare il
tentativo del bacio. Intanto col mio ingegno doveva studiare il modo di
pareggiare la differenza fra le mie rendite e quelle della contessa
Savina!.. ma ero innamorato stracotto e la parola _impossibile_ non si
trova nel dizionario degli innamorati. E poi avevo sul telaio il mio
_Lucchino Visconti_, e nessuno poteva indovinare ove mi avrebbe condotto
una tragedia.
--La casa,--continuò il signor Nicola dopo una breve pausa,--la casa ha
bisogno di qualche ristauro, ma l'annata è stata buona, ed io ho fatto
dei risparmi che il vostro buon zio mi ha autorizzato di spendere per
mettere in assetto conveniente la vostra dimora.
--Non basta,--io soggiunsi,--tengo anche un gruzzoletto d'oro che il
povero vecchio mi ha consegnato al momento della partenza, per il
viaggio, i primi bisogni e gli arredi di casa.
--Allora siete un signore addirittura,--disse il signor Nicola,--e con
un po' di economia e di giudizio, in queste montagne si vive da papi.
Tutto sta nel non avere delle idee superiori alle forze, contentarsi del
proprio stato, non aspirare a quelle grandezze che non si possono
raggiungere....
Voltai la testa, tirai fuori il fazzoletto, e mi soffiai il naso tanto
da nascondere la mia confusione; perchè mi pareva proprio che il signor
Nicola mi leggesse i pensieri sul viso. Per buona fortuna entrò la
Menica, che si mise a distendere sulla tavola una bianca tovaglia di
bucato, poi distribuì i tovagliuoli, i piatti, le posate, e apparecchiò
in ordine ogni cosa. Il signor Nicola tirò fuori da un armadio parecchie
bottiglie, dicendomi:
--Ecco il vino di Sassella, onore della nostra Valtellina; ed
assaggerete anche degli altri vini dei nostri monti che non sono privi
di merito.
Poco dopo entrarono le signore portando ciascheduna qualche cosa.
Osservai che Bitto, il quale non aveva idee preventive riguardo alle
donne, seguiva la signora Agata con qualche dimostrazione di simpatia,
ed essendomi venuto vicino continuava ad osservare i movimenti di lei,
poi mi guardava in un certo modo che pareva volesse dire:
--Sta attento, se hai fame, questa è una buona ragazza; e si leccava i
baffi.
Finalmente la Menica venne a portare in mezzo alla tavola una famosa
zuppa di polli, fumante, che spandeva un odore appetitoso.
Ci sedemmo tutti in circolo intorno la tavola: alla zuppa seguì un
arrosto eccellente di beccaccie, del prosciutto, del formaggio, della
frutta, e con quest'agape domestica venne lautamente celebrato il mio
arrivo. Il signor Nicola mi versava continuamente da bere, l'Agata
accarezzava Bitto e gli dava dei buoni bocconi, egli divorava ogni cosa,
e continuava a guardarmi con gioconda espressione, quasi volesse dirmi:
--Bravo Daniele, hai trovato una casa ove si fanno le cose per bene.
Dopo cena il discorso si fece animato. Io raccontai gli episodi del mio
viaggio, omettendo od aggiungendo quello che mi pareva opportuno, od
interessante per gli ospiti. La mia ammirazione per le montagne produsse
un effetto eccellente.
--Vedrete... vedrete tutto a suo tempo,--mi ripeteva gongolando il
signor Nicola,--in genere di montagne abbiamo delle meraviglie; dalle
più ridenti alle più orride, dal pingue pascolo agli arridi burroni,
alle nude roccie, erte, diritte, scoscese, coperte d'eterne nevi!
Vedrete le nostre mandre, le nostre vigne, i nostri boschi di castagni e
d'abeti: e pareva ch'egli fosse felice d'aver trovato un ammiratore del
suo paese.
Narrai anche il mio incontro con Bitto, e la gioia reciproca dei due
poveri vagabondi che si fecero buona compagnia, consolandosi a vicenda
della solitudine, ma dovetti tagliar corto al racconto, perchè mi parve
di scorgere sul volto della ragazza dei segni non equivoci d'emozione,
ed io non intendeva d'intorbidire la festa facendo versare delle
lagrime. Mi sorprese però che una donna incolore potesse mostrarsi
sensibile per così poco.
Non tardai parimente ad avvedermi che l'Agata era la delizia di tutti:
sua madre la contemplava con tenerezza, suo padre le sceglieva i
bocconcini più ghiotti, e glieli offriva con compiacenza, la Menica
girando intorno la tavola l'ammiccava con un sorriso, Martino la serviva
con diligenza e premura, Bitto non si distaccava più dal suo fianco, ed
era cane di buon naso. Io solo non sapevo trovarle veruna attrattiva. I
miei occhi non vedevano che una bruna fanciulla, resa eterea dalla
distanza; il mio cuore aveva sete d'un bacio non restituito, del quale
sentivo d'essere in credito. Quella sera la veglia fu prolungata da
mille discorsi animati da copiose libazioni che mi diedero un alto
concetto enologico della Valtellina. Io che a Milano m'immaginava queste
montagne come le gelide regioni del polo nord e del mar glaciale, fui
ben sorpreso la prima sera del mio arrivo di trovare la temperatura del
Senegal, andando a letto tanto caldo che soffiavo come un mantice, e non
potevo sopportare le coltri.
Il mattino seguente, che era una domenica, mi alzai per tempo, apersi la
finestra, e respirai a pieni polmoni la brezza mattutina, contemplando
lo stupendo panorama delle Alpi che mi stava davanti, e volando colla
fantasia attraverso la strada percorsa da Tirano a Sondrio, per
Morbegno, Colico, Como e Milano. Vedevo come in sogno lo zio canonico
che andava a dir messa, il gatto di casa che miagolava fregandosi alle
sottane di Veronica, mentre essa apparecchiava la colazione, entravo
nella mia cameretta deserta, aprivo il balcone, e stavo aspettando che
la contessa Savina comparisse alla finestra dirimpetto, per pagare il
suo debito, restituendomi il bacio.
A farmi cadere dalle nuvole non ci voleva altro che il confuso pigolìo
che saliva dal sottoposto cortile. Abbassai gli occhi e vidi l'Agata
accoccolata che sminuzzava della polenta chiamando i polli. Alla sua
voce il gallo, le galline, le chioccie e i pulcini accorrevano da tutte
le parti saltellando, svolazzando e cantando, le saltavano d'intorno
festosi, rubandosi i bocconi dalle mani. Essa parlava con loro,
incoraggiando i timidi, sgridando gli sfrontati, correggendo
gl'indiscreti; ed io la guardava dall'alto con sorpresa, senza farmi
vedere. Poco dopo comparve la Menica colle sottane rilevate fino al
ginocchio, le gambe nude, gli zoccoli di legno, e le maniche della
camicia rimboccate fino al gomito, portando un mastello di lavature,
dentro le quali gettò una manata di crusca, e poi aperse il porcile.
Allora ne uscì un mostruoso maiale, che saltellando goffamente mandava
grugniti nervosi, e immergendo il grugno in quella poltiglia lo tirava
fuori tutto imbrattato e gocciolante, ne spandeva da ogni parte, e
pareva che se ne ridesse, quell'imbecille....
Ahimè! come ero lontano da Milano, dal corso, da quelle strade pulite,
da quella vita elegante!... Sentivo una profonda tristezza, e in pari
tempo un certo orgoglio della mia patria, e della nobile missione che
andavo ad intraprendere, apportando la civiltà a quelle rozze
popolazioni di montanari. Immaginarsi una ragazza che s'alzava
mattiniera per dedicarsi a quelle occupazioni scurrili!... I polli mi
facevano ridere, il maiale mi faceva ribrezzo. Io non ne aveva mai
veduto, o solamente qualche testa pulita, rasa, incoronata di mortella,
nelle vetrine dei nostri salumai, e non mi sarei immaginato l'immondo
animale che mi stava davanti, servito da due donne, come un signore.
Agata consigliava la Menica, entrava ed usciva; finalmente si mise a
chiamare Martino. Alla sua voce, Bitto, che dormiva saporitamente ai
piedi del letto, alzò la testa, e ascoltò attentamente.
--Martino.... Martino....--essa ripeteva.
Bitto diede un guizzo, saltò a terra, si mise a gemere presso la porta,
raspando colle zampe, guardandomi, ed abbaiando. Gli apersi, ed egli in
due salti fu abbasso. Bisognava vedere le smorfie che quel vile
adulatore faceva alla ragazza! L'attaccamento, l'affezione, la
riconoscenza verso chi dà da mangiare sono le virtù delle bestie, e
specialmente dei cani. L'uomo invece conserva la sua indipendenza,
dimentica il beneficio, e mostra la dignità dell'ingratitudine.


V.

Scendendo incontrai il signor Nicola che mi strinse la mano come ad un
vecchio amico di casa. Dopo colazione mi condusse a visitare i miei
possessi dispersi in tutti gli angoli del paese. Mi parvero siti
selvaggi, e li avrei ceduti per un sorriso della mia lontana divinità,
che avrebbe riso sicuramente se avesse veduto i miei feudi in dose
omeopatica.
La casa si componeva di due piani ed era circondata da un appezzamento
di terra mal coltivata, ove crescevano liberamente i cardi e le ortiche.
Il vecchio maestro mi venne incontro, come collega e vassallo ad un
tempo, lamentando le miserie dei maestri e quelle dei coltivatori. Il
signor Nicola per consolarmi mi parlava di riforme, di piantagioni, di
concimi, e di raddoppiati prodotti mediante le cure necessarie.
Introdotto nella mia futura dimora, mi parve scombussolata, rovinosa,
sporca, mi metteva tristezza. Il signor Nicola la trovava comoda, facile
a ripararsi con poca spesa; buone stanze ariose. Era cosa naturale:
quasi tutti i vetri erano rotti, e l'aria campeggiava liberamente. La
cucina appariva tutta adorna di casseruole.... dipinte sul muro col
carbone. Il salotto mostrava delle teste di guerrieri colla pipa in
bocca, opere tutte alla maniera dei tempi preistorici della pietra, che
rivelavano un artista primitivo. I pavimenti solcati, le pareti
bucherate e sparse di chiodi, i soffitti facevano ventre da per tutto; i
ragni s'erano impadroniti degli angoli, e le scope erano state bandite
con sentenza inesorabile.
E mentre il signor Nicola parlava col mio onorevole antecessore, io
girava per quelle stanze, pensando fra me stesso:--quale splendido
appartamento sarebbe questo per la contessa Savina Brisnago, e quale
giardino! e mi metteva le mani nei capelli.
In poche parole fummo d'accordo sulle condizioni dello sgombro, che era
assai facile; se ne usciva il vecchio maestro e le spazzature, la casa
poteva consegnarsi subito agli operai affinchè la rendessero abitabile
pel nuovo maestro e il suo cane. Ma per tale sgombero mi chiesero
quattro giorni, che gli vennero concessi. Allora credette opportuno di
farmi conoscere il sistema scolastico e le sue abitudini domestiche. Gli
scolari per turno gli tenevano in ordine la casa (come abbiamo veduto!),
lavoravano l'orto e andavano ad attinger l'acqua alla fontana. Pel vitto
s'era accomodato colla vicina famiglia dell'organista, uomo gioviale ed
onesto. Forse l'organista avrebbe accondisceso a continuare le sue
prestazioni, qualora ci fossimo intesi sulla relativa contribuzione.
--Va benissimo, parleremo di tutto questo con quiete, alle mie
donne,--disse il signor Nicola.
Ma quando il maestro si mise a parlare dell'insegnamento, del metodo,
della severità dei precetti, dei testi impiegati, il mio compagno
incominciò a tirarmi per le falde del vestito, e vedendo che s'annoiava,
feci i miei saluti a quell'uomo dabbene e ringraziandolo delle sue
informazioni ci congedavamo, per andare alla messa parrocchiale.
Le campane suonavano a festa, e l'eco si ripeteva confusamente intorno
la valle, riempiendo l'aria di onde sonore. I montanari scendevano dalle
alture, accompagnati dalle loro donne, vestite a varii colori. Era una
bella giornata d'autunno, e la popolazione raccolta sul sagrato della
chiesa dava un aspetto allegro al villaggio. Tutti mi guardavano con
curiosità, e salutavano rispettosamente il signor Nicola.
Agli ultimi tocchi comparve la signora Giovanna con l'Agata, ed al loro
passaggio tutti si levavano il cappello, e si vedeva chiaramente dalla
franca cordialità dei saluti che tutti volevano bene a quella famiglia.
Dopo messa andammo a far visita in Canonica, e venni presentato a don
Vincenzo Liserio parroco del villaggio, al quale consegnai la lettera di
mio zio. M'accolse cortesemente, come maestro e nipote d'un canonico, ma
con una certa solennità, da uomo che misura le parole per non
compromettere l'avvenire, guardandomi sott'occhio per istudiare la
fisonomia.
Mi fece tutte quelle offerte generiche che sono dell'occasione, ma non
incoraggiano a recare disturbi, perchè si capisce subito ciò che
valgono.
Ritornati in casa Bruni, entrammo nel salotto, e dopo breve
conversazione in famiglia, la Menica chiamò la signora Giovanna; e
Martino si presentò sulla porta.
--Che cosa vuoi?--gli chiese Nicola.
--C'è qui Giacomo che aspetta i vostri ordini.... fino da questa
mattina.
--Giacomo, chi?
--Giacomo, fratello di Perina, moglie di Pietro cognato di Battista....
quello che ha un figlio soldato.... e un altro che ha emigrato in
Germania il giorno che si andava a....
--Non lo conosco.
--Non si ricorda, che ieri sera mi ha ordinato di farlo venire con degli
uccelli?
--Ah! è l'uccellatore?
--Sicuro.
Il signor Nicola alzò i pugni stretti, ed aveva un volto da far paura.
L'Agata, che entrava in quel momento, dando un colpo d'occhio a suo
padre, gli fece mutare l'espressione della collera in uno sberleffo.
Uscì precipitoso dando uno spintone violento alla porta. Martino era
svignato. Il signor Nicola aveva un carattere impetuoso, e sul primo
momento avrebbe schiacciato un uomo come una mosca; ma per buona fortuna
il suo furore non durava che due minuti. Martino, che conosceva bene il
padrone, quando vedeva negli occhi di lui i primi lampi che annunziavano
l'uragano, spariva sul momento, e restava assente per cinque minuti. Il
padrone si gettava contro i muri, le porte, le sedie e quanto gli stava
davanti, e slanciava dei calci, che quegli oggetti inanimati non
sentivano.... e il domestico non li sentiva nemmeno....--E poi dicevano
che era un imbecille! Allora l'Agata mi spiegò che il signor Nicola,
nella sera antecedente, avendo ordinati degli uccelli per il pranzo,
l'uccellatore li aveva portati per tempo; ma Martino lo tenne varie ore
nella stalla ad attendere gli ordini del padrone che era uscito con me.
Intanto le signore aspettavano con impazienza l'arrivo del futuro
arrosto, il quale aspettava per essere apparecchiato chi non doveva
arrivare che per mangiarlo.
Si dovette ritardare il pranzo d'un'ora, richiamare il fuggitivo che
almeno venisse a spennare il corpo del suo delitto, e mentre il signor
Nicola e sua moglie erano occupati in altre faccende, l'Agata venne a
farmi compagnia nel salotto. Mi domandò con interesse molte cose di
Milano, ed io le descrissi le feste, i corsi, gli spettacoli della
città, l'eleganza delle signore, il lusso delle carrozze....
Essa mostrò di conoscere non solo i principali monumenti, ma bensì la
vita intellettuale ed artistica, e mi sorprendeva assai che una
fanciulla che si occupava de' suoi polli, parlasse di cose elevate con
non volgare giudizio. Mi disse che i suoi genitori l'avevano condotta a
Milano, quando era uscita dal collegio di Como, ove era stata in
educazione. Io arrossivo pensando d'essere stato a Como senza vederlo.
Poi per farmi passare il tempo aspettando l'ora del pranzo mi condusse a
visitare l'orto e il giardino. Nell'orto la mia ignoranza fece la sua
prima comparsa. Io non distingueva le piante delle patate dai pomidoro,
le carote dal prezzemolo, confondeva il rosmarino colla lavanda, le
zucche coi poponi. Essa rideva di cuore, e mi diceva:
--Eppure a Milano si trovano ogni sorta d'erbaggi; ne vidi di bellissimi
sul mercato.
--È vero, ma io non li conosco che quando li vedo cotti....
Allora mi svelò l'estetica degli erbaggi facendomi osservare minutamente
l'eleganza e la varietà dei loro portamenti, l'increspatura, i
frastagli, le tinte differenti delle foglie, la bizzarria delle forme,
la singolarità dei profumi; mi faceva odorare il timo, la salvia, il
ramerino, il finocchio, il cerfoglio, il targone, la rucola, la
maggiorana, la menta, e mi diceva:--Vedete la grande varietà di aromi
indigeni coi quali possiamo condire le vivande senza il soccorso delle
droghe che andiamo a prendere alle Indie. Vi prego di considerare la
grazia d'un fiore di borragine, ma guardate se può darsi un turchino più
limpido, un bianco più puro, un nero più spiccato: e il frutto del
peperone, e la leggerezza dello sparagio quando si adorna delle sue
sementi rosse come coralli. Guardate le foglie glabre e frastagliate dei
carcioffi come sono ornamentali!... e il frutto? non ha esso servito
mille volte alle arti ed alle industrie? Le zucche e i meloni non sono
forse piante e frutti magnifici, e i fiori di tutti i legumi non sono
forse i più vezzosi?... Guardate i ceci, i fagiuoli, i piselli!
Credetemi, signore, chi non vede la bellezza della natura in un orto,
non la vede intieramente nemmeno sul lago di Como.... Nella natura come
nelle arti non basta apprezzare l'insieme, ma bisogna saper conoscere
anche i pregi d'ogni singola parte. Chi non ama che il frastuono d'una
sinfonia, e non gusta un motivo melodico, non può dire d'intendere la
musica; chi non ammira che la sublimità delle montagne e non ha mai
contemplato il fiorellino che cresce sui loro crepacci, non conosce la
natura. Le scene grandiose le vedono tutti, la musica rumorosa colpisce
tutte le orecchie, ma le anime delicate soltanto sanno scoprire il bello
nelle cose minute, e godere le delizie della natura e dell'arte davanti
gli oggetti impercettibili agli sguardi volgari.
Rimasi maravigliato de' suoi discorsi!... Passammo in giardino, e quivi
mi rinnovò la lezione, mostrandomi tutto quello che io ignorava delle
bellezze delle piante. Quivi, credendo opportuno di svelare finalmente
qualche cognizione, le dissi:
--Sono sicuro che conoscete il linguaggio dei fiori.
--Lo conosco,--mi rispose,--ma lo trovo puerile.
--E perchè?
--Perchè i fiori parlano un linguaggio che si intende da chi ama la
natura e vive nella sua intimità, senza bisogno di chiedere le loro
espressioni ad emblemi convenzionali. Un fiore qualunque, il più modesto
fiore del prato, parla al nostro cuore se ci rammenta un istante
memorabile della nostra esistenza, un paese, un amico, una parola, se la
sua vista risveglia la memoria assopita d'una persona lontana, o d'un
giorno felice.
Tali discorsi portavano naturalmente il mio pensiero al mazzetto gettato
alla contessa Savina, e pensavo: chi sa, se vedendo una rosa, delle
violette e degli eliotropi, essa rivolgerà la mente al povero esule che
non vede al mondo che lei!... e camminavo mesto e silenzioso per quel
giardino, seguito dall'Agata; avevamo l'aspetto di due ombre che vanno
vagando pei Campi Elisi. Quella conversazione e que' fiori che ci
stavano d'intorno m'aveano rapito in un'estasi poetica, quando Martino
venne ad annunziarci che il pranzo era servito. A questo mondo tutto
finisce in prosa!
Durante il desinare venne in campo il discorso del mio prossimo sgombero
e del sistema di vita che mi sarebbe convenuto. Il signor Nicola accennò
al consiglio che mi venne dato dal vecchio maestro, di accomodarmi
coll'organista pel vitto, e rivolto all'Agata le disse:
--Che te ne pare?
--Il vecchio maestro,--essa rispose,--si trovava in condizioni diverse;
la defunta sua moglie era sorella di Tobia l'organista, i legami di
famiglia facilitavano le loro relazioni; ma non so se ciò che conveniva
a due vecchi cognati di Valtellina possa offrire gli stessi vantaggi ad
un giovane milanese avvezzo ad altro sistema. Poi il signor Daniele non
conosce Tobia, non l'ha ancora veduto... è un buon diavolo, ma
originale.... ed ha la lingua un po' troppo lunga. I due cognati
andavano d'accordo in molti punti, per esempio nel giudicare l'ordine e
la nettezza come cose di lusso; ne sia prova l'abitudine del maestro di
farsi servire dagli scolari, che gli mettevano la casa a soqquadro e ne
facevano un letamaio.
--Allora,--soggiungeva il signor Nicola,--bisogna pensare ad altro. Ci
permettete, non è vero, Daniele, di trattarvi in amicizia e di occuparci
dei vostri affari?...
--È il massimo favore che possiate farmi....
--Orbene, che ne pensi, Agata?
--Mi pare,--ella soggiunse,--che si potrebbe trovare una buona donna di
servizio pel maestro, che gli tenesse in ordine la casa, e che sapesse
fargli da pranzo e il bucato. In fine dei conti la spesa sarà eguale, se
non minore, la salute se ne troverà meglio, e in caso che fosse
indisposto non sarà solo.
Mi pareva strano che una persona che si occupava di polli e dell'orto
potesse avere tanto buon senso. Io approvai intieramente il suo piano e
tutti i consigli che vi aggiunsero i genitori, tanto solleciti del mio
bene.
--E chi potrà trovare facilmente una donna che mi convenga?--io chiesi.
--La troverò io,--soggiunse l'Agata, e mi mostrò tanta bontà premurosa,
e mi spiegò con tanta grazia che cosa dovessi fare, e come contenermi
per i miei piccoli interessi di casa, che davvero, se non fosse stata
troppo bionda, l'avrei forse trovata anche bella.
Essendo giorno festivo, non fu possibile mandare a Tirano a prendere i
miei bagagli, ma quell'ottima famiglia non mi lasciò mancar nulla che mi
fosse necessario, mettendo a mia disposizione la più bella biancheria
del signor Nicola. Una sola cosa mi faceva difetto: un libro per la
sera. Essendo avvezzo da lunghi anni a leggere a letto, e privo da tanti
giorni d'un tal piacere, ne sentivo vivamente il bisogno; onde mi feci
animo, e dissi all'Agata:
--Siete tanto buona, che vorrei domandarvi un nuovo favore da aggiungere
agli altri.
--Tutto quello che abbiamo è a vostra disposizione.
--Come siete gentile!... vorrei pregarvi di favorirmi un libro da
leggere.
--Ben volentieri.... Volete storia, romanzi, viaggi, drammi, poesie?...
--Ve ne lascio la scelta... ben sicuro che mi darete il libro che mi
conviene di più.
--Benissimo... farò il possibile per scegliervi una lettura utile e
piacevole.
--E di vostro gusto.
--E di mio gusto.
Alla sera dopo cena mi consegnò il libro; io la ringraziai caldamente, e
salii tutto contento nella mia stanza. Appena entrato mi avvicinai al
lume per guardare il frontispizio del volume, e ne rimasi sorpreso e
pensieroso. Era sincerità od ironia?... era un atto d'ingenuo interesse
od una lezione arguta?... Profondo mistero!... Il fatto sta che quel
libro era _l'Ortolano dirozzato di Filippo Re_.


VI.

All'indomani Martino andò a Tirano a prendere il mio bagaglio,
dimenticandosi nell'ufficio della diligenza l'ombrello, che ho potuto
ricuperare qualche giorno dopo col mezzo d'un amico del signor Nicola.
Sono incalcolabili le noie e gl'imbarazzi causatici dagli imbecilli fra
le vicende della vita. Siccome non possono essere occupati che in cose
da nulla, e le fanno male, così ci obbligano a rifarle, annoiandoci in
frivole cure per le quali li avevamo pagati. Ma in tutte le condizioni
sociali siamo pur troppo condannati ad attraversare il pelago dell'umana
imbecillità, e questa navigazione desolante ci ruba delle ore preziose,
e quindi ci accorcia la vita. Maledetti gli imbecilli!...
Io ero capitato al villaggio appunto per distruggere l'ignoranza e
l'imbecillità, e mi ripromettevo grandi vantaggi da questa nobile e
santa missione, ed aspettavo l'apertura della scuola per gettarmi a
corpo perduto nelle cure della pubblica istruzione.
Intanto la prosa dell'_Ortolano dirozzato_ mi produceva ogni sera il suo
effetto infallibile, addormentandomi d'un sonno denso, tenace, profondo,
e talvolta facendomi vedere in sogno una testa bionda di donna col
sogghigno dell'ironia, fra un cavolo navone e un cavolo rapa.
Non mi ero degnato mostrarmi offeso della scelta del libro, e tacqui
fino a che un giorno l'Agata mi domandò se io facessi progressi
nell'orticoltura.
Allora gli dissi un po' risentito che non mi sentivo davvero chiamato a
quel genere di studi.
--Avete torto,--mi rispose.
--Che volete!... se preferisco Monti, Foscolo, Alfieri a Filippo Re, la
traduzione d'Omero, i Sepolcri e le tragedie ai poponi ed alle zucche,
non è mia colpa... i gusti son gusti.
--Non si tratta di preferenze,--essa insisteva--ma di assoluta
necessità. Ogni persona di buon gusto, dopo pranzo, preferisce un mazzo
di fiori ad un pezzo di pane; ma se i fiori sono vaghi, profumati e
deliziosi, non sono necessari come il pane. Per coltivare dei fiori
bisogna vivere, e per vivere bisogna mangiare, dunque il necessario deve
passare prima del dilettevole, i campi prima dei giardini, l'orto prima
della poesia. La poesia è cosa sublime, è un ornamento della vita, ma
per vivere bisogna lavorare sul positivo e sul sodo. La vita è cosa
seria, ha doveri e necessità dalle quali non si sfugge senza grave
danno. Sapete di quell'astronomo che camminando assorto nella
contemplazione degli astri è caduto in un pozzo. Sta bene guardare in
alto, ma non bisogna cadere nei pozzi, e ce ne sono tanti sulla terra.
Ci sono poi certi poeti che cercano le ispirazioni in aria, e rapiti dai
loro voli pindarici non vedono il bello che li circonda, non sanno
ammirare i pregi della natura che passa davanti i loro occhi, disdegnano
come volgarità la semplice poesia della vita. Io invece trovo la poesia
anche nel cortile e nell'orto, ove osservo tanti doni della natura che
crescono a beneficio dell'uomo, e mi rammentano i piaceri della mensa,
che, raccogliendo la famiglia e ristorando le forze, procura anche i
piaceri morali che provengono dallo scambio dei pensieri e degli
affetti.
Tali discorsi mi conducevano a serie riflessioni; io le chiedeva scusa
del mio sussiego, mi desolava delle mie idee storte, vane e confuse, e
mi battevo la fronte. Allora essa rideva, e lodando i miei gusti
letterari, incoraggiava i miei studi; e mi consigliava a ripartire il
mio tempo fra la prosa e la poesia, fra le cose positive e le amenità.
--Se dovete vivere in campagna,--essa aggiungeva,--avete bisogno d'un
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