Il bacio della contessa Savina - 12

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esalazioni gastronomiche che ci accarezzavano l'olfatto erano larghe di
promesse. Quel dolce tepore, quel crepitare del fuoco, messi a raffronto
colla temperatura esterna e il desolante spettacolo dell'inverno, ci
confortavano le membra. Quella luce calda che inondava la cucina, che
brillava sugli alari e sui rami lucenti ond'erano ornate le pareti,
rischiarava una scena d'interna felicità. Intorno a quel focolare si
raccoglievano le gioie facili e positive d'una buona famiglia. In
quell'ambiente calmo e sereno io mi sentivo rinascere ad una vita nuova.
Come alcuni animali che, giunti ad un certo punto del loro sviluppo,
mutano la pelle, così io credo che l'uomo, passato l'ardore della prima
gioventù, subisca una crisi che ne modifica l'organismo. Sembra ch'io
fossi giunto a quel punto, perchè sentivo di subire una trasformazione
importante. Ed è forse in quell'epoca della vita che le malattie
ereditarie incominciano a manifestare i loro importanti sintomi
insidiosi. Difatti, a misura che mi cadevano le spoglie dell'età
giovanile, mi sentivo circolare nel sangue i gusti di mio zio
canonico:--l'amore della pace.... una stanza calda, una buona cucina,
una cantina ben fornita.... e una buona moglie!... aggiungevo io.
Le mie aspirazioni mutavano indirizzo, l'idealismo svaporava ed
incominciavo ad apprezzare i gusti moderni, a diventare seguace del
realismo; e andavo rimuginando come fosse possibile di mettere insieme
una famigliuola come quella che mi stava davanti: semplice, agiata,
tranquilla, onesta, felice! Ripensando agli amori elevati ai quali avevo
aspirato, mi ritornavano alla mente gli abiti da festa di Martino, che
appena indossati gli apparecchiavano un disinganno, e dicevo fra me
stesso:--Chi sa?... forse sarebbe stata la mia sorte!... e chi cade
dall'alto s'ammazza. Sarebbe meglio contentarsi del poco, ma sicuro. Ora
sarei contento d'una vita ragionevole, confacente ai miei casi, senza
lusso nè sfarzo, senza pernici coi tartufi.... Una moglie modesta, una
cucina calda, e un tacchino arrosto!... ecco i miei nuovi desiderii.
Pur troppo anche col realismo io ricadevo nei sogni... perchè per me era
un sogno tutto quello che oltrepassava il valore d'un modico stipendio,
e il ricavato di poca terra. La base del realismo è il denaro, quindi
mancandomi la base del nuovo sistema, tornavo mio malgrado idealista.
Tuttavia per quel giorno l'arrosto non era un sogno!... e la cucina
calda nemmeno... per la moglie ci penserò dopo pranzo: dissi fra me.
Intanto non mi stancavo mai di contemplare quel quadro che mi stava
davanti, palpitante di vita nelle persone e nelle cose; tutto si muoveva
in quello spazio fortunato, dall'uomo allo spiedo, e s'udiva un lieto e
confuso mormorio di voci umane e di marmitte.
E mi figuravo se fossi io il sor Nicola!... Egli mi rappresentava l'uomo
felice. Riscaldato dalle fiamme della sua legna, consolato dalle
emanazioni della sua cucina, amato da sua moglie, da sua figlia,
circondato da' suoi amici, dissetato a tavola dai suoi vini, egli non
aveva nulla a desiderare sulla terra che non fosse suo!... e tutte le
cose sue cooperavano alla sua felicità.... Io non avevo nulla di mio, la
casa era di mio zio, la scuola del Comune, e quando ero innamorato non
era mia nemmeno la donna! nè poteva divenirla. Erano mie le noie
dell'insegnamento... i miei debiti... i miei difetti... e il mio
cane!... Sì, questi era proprio mio, per l'affetto scambievole che ci
legava. Un cane sembra poca cosa, ma io ero più soddisfatto di dire: «il
mio cane,» che certe mogli di dire «mio marito,» certi ministri «il mio
ministero,» certi sovrani «il mio trono!»
--Signori, la minestra è in tavola,--annunziò la Menica.
Caddi come al solito dalle nuvole, ove mi aveva trasportato la fantasia,
per recarmi al posto che mi venne destinato.
Il salottino da pranzo faceva voglia a vederlo. La tovaglia e i
tovaglioli sentivano il bucato, i cristalli limpidissimi brillavano alla
luce delle candele; piattini d'acciughe, di prosciutto, di butirro
fresco e di sedani ornavano il servito, mentre sui palchi della credenza
le frutta di tutti i colori facevano corteggio ad un magnifico panettone
di Milano, che pareva pavoneggiarsi della sua obesità, fra la mostarda e
il torrone, come il Figlio del cielo chinese fra i Mandarini.
Io sedevo dirimpetto al signor Nicola, fra l'Agata e la signora
Giovanna; la Rosa ci serviva, mentre in cucina la Menica e Martino
approntavano le vivande, e Bitto passava in rivista i piatti di ritorno
aspettando la sua parte.
La trasformazione morale apparecchiata dal tempo e dai disinganni e
compiuta all'aspetto della pace domestica intorno d'un focolare
lautamente ornato, mi aveva eccitato l'appetito. Come il baco da seta
che dopo cambiata la pelle mangia con voracità, io faceva onore al
banchetto, d'accordo con mio zio, che la coscienza tranquilla ci fa
sentire lo stomaco vuoto e ci predispone favorevolmente al nobile
ufficio di riparare le perdite della natura.
I fumi delle vivande e del vino rendono la conversazione vivace, lo
spirito pronto, l'animo espansivo ed allegro. Quell'agape fortunata fu
lieta dal principio alla fine, ed io me ne ricordo i più minuti
particolari, perchè segna nella mia vita un punto memorabile.
Quel giorno, cadendomi un velo dagli occhi, ho potuto scoprire ciò che
prima m'era sempre sfuggito alla vista.
Conversando con l'Agata m'avvidi per la prima volta che la bionda
fanciulla aveva lo sguardo d'una soavità affascinante, una luce viva
illuminava la sua pupilla, azzurra e profonda come le acque d'un lago.
Sentivo dentro di me la sublime emozione del cieco che ritrova la vista,
l'entusiasmo di Colombo davanti una terra ignota, la soddisfazione di
Galileo che scopre i tesori del cielo.
La fede illumina i credenti, io mi sentivo convertito all'adorazione...
delle donne bionde! Come mai non avevo ancora veduto quelle fossette
impresse dalle Grazie su quella pelle di roseo candore? Come mai m'erano
sfuggiti all'ammirazione quei lineamenti delicati, quella mobilità del
volto che indica tutti i moti dell'animo? Come mai non ero rimasto
colpito da quel raggio penetrante che brillava nel suo sguardo?... Come
potevo guardarla senza vederla, avvicinarmi a lei senza provare quel
senso arcano che rivela la bellezza, sfiorare le sue vesti senza sentire
un fremito al contatto della sua persona?... Misteri del magnetismo e
dell'amore!... Forse le impressioni ricevute dagli occhi non sono che
superficiali qualora un'immagine fissa nel cuore non permette l'ingresso
a nuovi oggetti; o forse le emanazioni dell'animo offuscano la vista,
come i vapori appannano i vetri?... Fatto sta che nelle mie lunghe
conversazioni con l'Agata io non aveva veduto i pregi di lei, e m'era
sfuggita la bellezza di quegli occhi, che finalmente mi si rivelava con
grata sorpresa.
Così senza aspettare gli aliti primaverili, proprio nel mezzo del verno,
il mio cuore si schiudeva in serra calda, come una pianta forzata ad
arte, come la semente dei bachi messa a prova, e da tale schiudimento
nasceva un nuovo amore... quel tale antropofago destinato a mangiare il
suo simile... già quasi morto di fame.
Passai qualche ora deliziosa e troppo rapida, in adorazione davanti alla
mia scoperta, chiudendo dentro di me le sensazioni e i pensieri
tumultuosi che succedevano ai loro antecessori, coll'inevitabile
scompiglio d'un cambiamento di guarigione; e prima d'incominciare una
nuova lotta sentivo il bisogno di riorganizzare la truppa.
I nostri dialoghi sulle cose più comuni mi giovarono ad apparecchiare il
terreno, e furono come una prefazione in prosa davanti un nuovo volume
di poesia.
Parlando degli incomodi della stagione, l'Agata mi domandò:
--Come passate le sere di queste lunghe notti d'inverno?
--Nel tedio della solitudine,--io risposi,--solo col mio cane!...
--E perchè non venite da noi a farci un po' di lettura?
--Volete che venga a leggervi l'_Ortolano dirozzato_?
--No, no,--mi rispose ridendo,--quello dovete leggerlo voi solo, come
eccitante al lavoro dei campi... come calmante di certe passioni....
--E come sonnifero,--io soggiunsi,--più potente dell'oppio!
--Quanto ne avete letto finora?
--Cinque pagine.
--Cinque pagine in più d'un anno!...
--Che volete!... non mi entra nel cervello.
--Avete dunque la testa dura?
--Sì,--risposi,--ma il cuore no....
E le piantai uno sguardo negli occhi come una lancia. Ne rimase
sorpresa, confusa e ferita, perchè il sangue le salì al volto e si fece
tutta rossa. Non era avvezza a quelle occhiate, abbassò le pupille,
tacque per qualche istante, poi riprese il discorso.
--Vi assicuro che noi passiamo delle serate deliziose, in eccellente
compagnia....
--Del dottore, del farmacista e del parroco?
--No, abbiamo abolito il tarocco; e i vecchi amici, fedeli alle loro
affezioni per le carte da gioco, seguirono i re, i fanti e i cavalli, e
portarono altrove le loro tende. Adesso vengono a farci qualche visita
di complimento, alla sfuggita e di giorno, lasciando libera la sera alla
nuova compagnia.
--Ma che razza di compagnia avete trovato al villaggio?... Forse la
rustica progenie dei montanari colle loro ubbie in testa e gli zoccoli
ai piedi.
--V'ingannate. Godiamo d'una scelta società. Chiusi in salotto, con la
stufa ben calda, una eccellente lucerna con un cappelletto che concentra
la luce sul tavolo rotondo, noi evochiamo le ombre degli uomini illustri
di tutti i tempi e di tutte le nazioni. Essi compariscono e spariscono
ai nostri ordini senza cerimonie. Ci raccontano i loro viaggi, la loro
storia, i romanzi, le poesie, le memorie che destarono il più vivo
interesse nei paesi più colti del mondo.... E le notti d'inverno ci
sembrano brevi, perchè si va lontano da casa senza muoversi, e dalle
steppe della Russia, dai pampas d'America, dai deserti africani si fa
una scala e si trova il proprio letto.
--Benissimo!... ho pensato sovente alle delizie della lettura in comune,
in condizioni gradevoli; ma anche questo diletto, come tanti altri, è
rimasto per me un vano desiderio.... E che cosa leggete?
--Ve l'ho detto, ogni sorta di buoni libri... esclusi soltanto i noiosi!
--Come l'_Ortolano dirozzato_.
--Sicuro, perchè ci sono libri noiosi che possono tornar utili a chi li
studia, ma non hanno diritto d'essere ammessi alle riunioni serali del
circolo di famiglia. Essi devono limitarsi alla cattedra ed allo
scrittoio dello studioso, ma per entrare in società bisogna deporre la
toga dottorale, e vestire l'abito del gentiluomo, il quale si fa
scrupolo d'annoiare gli amici, di far dormire le donne e i fanciulli
--E dove trovate i libri?..
--A Milano, a Firenze, a Torino, a Parigi. Ritornata dal collegio, ove
una direttrice intelligente mi aveva fatto intendere che alla scuola
s'impara soltanto a studiare, ma che in casa bisogna completare
l'istruzione con una scelta lettura, ho voluto che mio padre mi
promettesse d'introdurre nel bilancio domestico una somma annua per il
pane intellettuale, necessario quanto il pane di farina. A che cosa
serve la scuola, se l'educazione non continua? Forse che nei pochi anni
di studio s'impara lo scibile? S'imparano appena appena gli elementi
delle scienze più necessarie. Dunque la lettura è il complemento
indispensabile d'una buona educazione, ed è strano che ogni famiglia non
spenda ogni anno nei libri una somma proporzionata alle sue rendite.
Eppure queste idee così naturali sembrarono strane a mio padre, che non
aveva mai provato il bisogno di acquistare un libro, e leggeva appena un
cattivo giornale... e il lunario. Essendo figlia unica e amata dai miei
genitori più che non merito, mio padre accondiscese alla mia domanda,
chiese ai librai i loro cataloghi, ed ogni mese acquistiamo le novità
che c'interessano. Mio padre mi diceva l'altro giorno, che adesso gli
sembra impossibile d'aver potuto vivere tanti anni senza libri, e senza
sentirne il bisogno. La privazione dei libri sarebbe ora per lui il
maggiore dei sagrifizii. La lettura serale forma la sua delizia, poi
legge anche solo nella sua camera e sotto la pergola del giardino.
Questo sistema è necessario per tutti, ma per chi abita la campagna è
indispensabile quanto il lume a chi cammina di notte.
--Verissimo... avete sempre delle idee giuste che mi colpiscono... ed
eccitano la mia ammirazione pel vostro buon senso, in età così
giovanile. Ah! la lettura dei buoni libri, ecco la spiegazione
dell'enigma. Ora non mi sorprenderò più udendo dalla vostra bocca
opinioni, consigli, parole che non si possono intendere da certe donne
mature, le quali dopo uscite di collegio non hanno letto che il giornale
delle mode!... Così in un villaggio deserto voi siete più colta di molte
signore cittadine, che vivono in società come i fiori in un mazzo, cioè
senza sostanziale alimento, corolle variopinte sopra un fusto di fil di
ferro, belle una sera al ballo e al teatro, poi all'indomani avvizzite.
Agata m'ascoltava senza falsa modestia, continuando a mostrarmi i
piaceri e i vantaggi della lettura, ed eccitandomi a far parte del loro
circolo delle letture serali.
--Verrò di certo,--le risposi con riconoscenza,--e sono sicuro che le
notti di quest'inverno saranno per me più belle dei giorni estivi, più
utili di qualunque altro studio, più care d'ogni diletto cittadino.
Mi ringraziò con uno sguardo grazioso; io corrisposi con uno sguardo
affettuoso, lungo, eloquente. I nostri occhi si scontrarono, e rimasero
qualche tempo come legati fra loro da una forza irresistibile.
Ed io, che in amore non conoscevo altro linguaggio che quello degli
occhi, rimproveravo a me stesso di non aver mai saputo leggere, prima
d'allora, in quelle vaghe pupille.
Era quasi mezzanotte quando uscii di casa Bruni colla Rosa e con Bitto.
Spirava una di quelle brezze che arrestano l'acqua delle cascate
cambiandole in cristallo, eppure io non sentivo il freddo, tanto era
elevata la temperatura del mio cuore.
Strada facendo la Rosa mi raccontò che Beppo stava meglio e lo aveva
saputo dalla moglie di lui che era venuta durante il pranzo a prendersi
un cesto apparecchiato dall'Agata, nel quale c'era del brodo, del pane,
del manzo, del vino e dei dolciumi pei bimbi. Così anche il povero
convalescente e la sua famiglia avranno celebrato lietamente il Natale:
e i miei ospiti avevano resa completa la loro letizia con un atto
benefico, non essendo che gli egoisti che possano godere del loro bene
senza farne parte a chi manca di tutto. A compiere la felicità d'ogni
animo bennato è necessaria la soddisfazione d'aver alleviate le pene
degli infelici.
A quella buona giornata tenne dietro una notte tranquilla, e al mattino
mi svegliai col dolce presagio di giorni migliori.
I miei scolari mi trovarono ilare, indulgente, e ne approfittarono
subito mostrandosi indisciplinati e tumultuosi. Ma quando il cuore è
contento anche le scabrosità sembrano liscie, e pare che sorridano
perfino gli sberleffi.
Alla sera accorsi in casa Bruni, e ritornandovi ogni giorno non tardai
ad acquistare la più cara abitudine. Se c'era gente io ne approfittava
per conversare con l'Agata, se la famiglia era sola si faceva la lettura
in comune.
Allora incominciai ad interessarmi a nuove ed importanti scoperte. E in
primo luogo, osservando l'Agata quando rideva, vidi che schiudendo le
labbra fresche come rose, mostrava due file di candidi denti, che mi
parvero un portento della natura; quando un raggio di luce batteva sui
suoi capelli si vedevano brillare dei riflessi dorati, come in un campo
di spiche mature; quando alzava il libro per avvicinarsi alla lucerna le
dita delle sue piccole mani parevano trasparenti, tanta era la
delicatezza della sua pelle; quando s'alzava per prendere qualche
oggetto, il suo corpo flessibile si piegava colla grazia d'un fiore
agitato dalla brezza, e il suo piedino snello camminava con tale
leggerezza che appena toccava il pavimento. Quando leggeva delle pagine
commoventi, degli atti generosi, delle azioni che onorano l'umanità,
tutti i muscoli del suo viso si atteggiavano alle emozioni dell'animo
con tale espressione, che io deploravo di non essere fotografo per poter
fissare sulla carta con una riproduzione istantanea quelle sfuggevoli
oscillazioni dei suoi lineamenti.
Quale stupenda immagine dell'anima sensibile sotto quella pelle agitata
da un delizioso movimento nervoso, da una contrazione di muscoli
ravvivata da un lampo degli occhi, o stemperata in una lagrima!...
Guardandola, io paragonava il suo viso a quei poemi che ci rivelano
sempre nuove bellezze ad ogni lettura, e mi sorprendevo meno di non
averla capita prima. Tornandomi poi alla mente tutto il suo contegno
verso di me, la sua pietosa vigilanza, il buon senso, le virtù che
ornavano il suo nobile carattere sotto il velo d'una apparente
semplicità, lo spirito senza pretesa, l'umore uniforme e benevolo, io
incominciavo a sentirmi preso da una seria ammirazione, da un affetto
rispettoso, e andavo alimentando desiderii e speranze superiori alla mia
povera condizione.
I Bruni non erano certo da paragonarsi ai Brisnago, non avevano nè
milioni nè lusso; ma vivendo in campagna in agiata semplicità, con
ordine ed economia, se la passavano egregiamente, e l'Agata, essendo
figlia unica, assai bella, molto colta, e in pari tempo ottima massaia,
aveva diritto di trovare un marito, se non superiore per ricchezza,
almeno pari, e certo in posizione più elevata d'un povero maestro
rurale, alloggiato per carità in casa d'uno zio canonico.
Questa volta il mio amore ragionava e faceva i suoi conti.
--Ahimè!... cattivo segno,--dirà taluno.
--Niente affatto... io rispondo.
L'amore fantastico a diciott'anni conduce alle stelle, l'amore
ragionevole dopo i venti conduce al matrimonio. Sovente il primo non è
che un sogno, un'orchidea che vegeta e fiorisce in aria, il secondo è un
fatto positivo, che ha per legittima conseguenza la moltiplicazione
della specie, ed entra nei dominii del realismo.
E un misero maestro rurale incaricato d'istruire gli ignoranti non deve
ignorare che il suo meschino stipendio lo condanna al celibato perpetuo
se non trova una moglie più ricca di lui, o che almeno si guadagni il
pane. L'associazione della miseria gli viene interdetta dal buon senso,
che lo consiglia a non accrescere il numero degli spiantati che
ingombrano la terra per loro disgrazia e a grande noia e desolazione del
corpo sociale.
Tali ragionamenti mi conducevano ad apparecchiare il mio avvenire con
qualche criterio; e valutando la mia educazione come un fondo
produttivo, la mia professione come una rendita, e mio zio canonico come
un capitale messo a mutuo, mi pareva d'aver diritto d'esigere una dote
corrispondente dalla moglie.
Ah, questa volta la mia speranza non era un'orchidea!... Io non aspiravo
a voli pindarici, nè mi esponevo a precipizi. Deponevo la mia semente
sulla terra e coltivandola secondo le norme dell'_Ortolano dirozzato_
avevo motivo d'aspettarmi che germogliasse.
Che cosa nascerà?... io chiedeva a me stesso... una quercia o una
carota?... Voglia il cielo salvarmi dalle risa sardoniche dei canonici.


XVIII.

Una sera, appoggiato al balcone della mia stanza, contemplavo la
campagna, fantasticando sul nuovo amore e sulle nuove speranze, e
pensavo all'oro dei suoi capelli, e, senza pregiudizio della passione,
anche all'oro della borsa del babbo, che accompagnato ai pregi materiali
e morali della figliuola poteva comporre una famigliuola felice. Mi
compiacevo nell'idea d'essere finalmente riuscito a mettere d'accordo il
cuore e la ragione, quando vidi passare da lontano i coniugi Bruni senza
la figlia.--L'Agata sarà sola in casa, pensai subito; prendiamo
l'occasione pei capelli! E corsi difilato in casa Bruni. Infatti l'Agata
era sola, ma non mi ricevette più nel salotto come soleva fare in
passato, e invece mi trattenne in cucina con Martino e la Menica. O
perchè dunque non mi riceveva più come le altre volte, coll'intimità di
un fratello?... A tale domanda, che io facevo a me stesso, rispose
subito la mia coscienza: Ecco, essa mi diceva, i tuoi sguardi amorosi le
hanno rivelata la tua passione. Hai perduto i diritti acquisiti, per
acquistarne altri, con altro titolo ed altre condizioni.
Il concittadino che diventa pretendente esce dalla legge, deve
apparecchiarsi alla corona o all'esiglio e rinunziare alla vita comune.
Mi rassegnai al mio destino, e soddisfatto del suo onesto contegno,
procurai d'apparecchiarmi.... alla corona.
Per fortuna, la Menica andava e veniva senza darsi pensiero dei nostri
discorsi, Martino intendeva il senso delle parole assai meno di Bitto,
chè il suo dizionario non aveva che poche pagine, e per lui tutto ciò
che non era volgare era arabo. Poco dopo la Menica scomparve, Martino la
seguì e restammo soli. Io mi sedetti al focolare, scaldandomi le mani,
parlando di cose indifferenti, e guardando l'Agata con affettuosa
attenzione, mentre essa in piedi raccoglieva i tizzoni colla molle, e
disegnava dei geroglifici sulla cenere.
Come era bella!... le morbide treccie le cingevano la fronte serena,
come un diadema; l'occhio limpido e profondo brillava d'una luce
tranquilla fra i molli contorni del volto, che colla dolcezza del
sorriso rivelava la soavità del sentire. Le movenze delle sue membra
snelle e flessibili non accusavano artifizi, ma una naturale mollezza le
rendeva eleganti.
Confrontando i pregi di lei colla mia tempra e colla riputazione di
cervello balzano confermata dai miei stravizi, mi mancava affatto il
coraggio di esprimerle colle parole quello che le avevo già detto cogli
occhi.
Dopo qualche esitanza, pensai che prima d'espormi con una dichiarazione
imprudente era meglio mi assicurassi della sua opinione sul mio conto, e
tremando per la risposta, rivoltomi a lei con uno sguardo supplichevole,
la interrogai in questi termini:
--Agata... ditemi francamente che cosa pensate di me....
--Che siete un galantuomo... quantunque un poco fantastico; un uomo
intelligente, quantunque poco studioso... ecco tutto.
--Riconosco la vostra indulgenza... siete buona come siete bella, vorrei
aprirvi il mio cuore... dirvi che mi foste sempre simpatica... ma che da
qualche tempo questa simpatia minaccia di far progressi... e di
trascinarmi... Infatti temo di perdere la vostra stima... non oso
sperare... nè dirvi di più.
Essa alzando gli occhi, e guardandomi in faccia apertamente, mi
incoraggiò con uno sguardo che voleva dire:--Vi amo!
Io le risposi con una di quelle occhiate che non lasciano dubbio, che si
leggono a prima vista anche dagli analfabeti, e che significano
chiaramente:--Vi adoro!
I nostri occhi scambiarono lungamente i loro raggi, fino a tanto che io
mi sentii affascinato da quella luce; essa abbassò le pupille facendosi
rossa come una bella rosa di maggio. Allora, esaltato dall'entusiasmo,
esclamai:
--Agata... vi ringrazio... ora sono felice!
--Felice di che cosa?...--mi chiese con un'aria che mi fece
rabbrividire,--e di quale favore mi ringraziate?
Mi sentii vacillare... mi pareva di guardare nel fondo d'un
precipizio... mi sentivo attratto dal vuoto... i capelli mi si
drizzavano sulla fronte... Credo che essa abbia avuto paura, perchè mi
posò una mano sul ginocchio, chiedendomi con inquietudine:
--Che cosa avete?
--Mi sento morire!...--risposi.
--Mio Dio!... come passate rapidamente dalla felicità... alla morte! Su
via... fatevi animo... qual è il motivo di tali eccessi?
--Voi... voi sola.
--Io?... Ma che cosa vi ho fatto io?
--M'avete detto: vi amo! e poi avete finto d'ignorarlo.
--Ma io non ho mai pronunciate quelle parole!
--È vero... non me lo avete detto colle parole, ma cogli occhi... quelle
possono mentire, questi non mentono mai... io so leggere negli occhi
meglio che nei libri... e con essi mi avete detto: vi amo!... Potete
negarlo?...
Sorrise graziosamente, rinnovò la dolce espressione degli occhi, e mi
disse:
--Come siete esperto nella conoscenza del linguaggio arcano
dell'anima!... lo avete dunque studiato lungamente?...
--Domanda insidiosa!...--io soggiunsi.--Risponderò sinceramente a suo
tempo, ma ora m'interessa di più conchiudere la quistione che mi tiene
sospeso tra la vita e la morte. Ditemi, ve ne prego: quando io ho
tradotto nel linguaggio volgare l'espressione dei vostri occhi, mi sono
ingannato?...
--Siete un traduttore traditore,--mi rispose ridendo.
--Ma vivaddio!... vi costa dunque tanto una spiegazione sincera? temete
forse di qualche cosa?...
--Avete indovinato anche questa volta. Sì, temo mille cose. Vi sono
parole che dette una volta segnano il destino della vita, e non si
possono pronunziare senza esitanza. Bisogna pensarci seriamente; da una
sillaba dipende talvolta la nostra sorte: sì o no, possono significare
talvolta una lunga serie d'anni felici o dolorosi, è il dado gettato che
decide delle gioie o delle sventure non d'una persona, ma d'una famiglia
e forse d'una lunga generazione! Bisogna pensarci seriamente.
--Ma il cuore?...
--Ah il cuore!... ebbene è appunto il cuore leggiero che più pesa
gravemente su tutto e su tutti!... È il cuore leggiero che si lascia
trascinare troppo facilmente dalle sue inclinazioni subitanee, senza dar
tempo alla mente di ponderarle, che poi trascina alle gemonie i suoi
seguaci, e li precipita con sè stesso negli abissi di sventure che fanno
della vita domestica un inferno... macchiano d'infamia i nomi più
onorati... e talvolta spingono alla disperazione e al delitto!... Vi par
facile a voi dire sì o no sulla strada da seguire nel pellegrinaggio
terreno; eppure è la decisione più grave della vita!...
--Ma l'amore è cieco,--io osservai.
--Bisogna guarirlo,--mi rispose.
--Oh sta a vedere,--io soggiunsi,--che voi proponete di mandar l'amore
in un istituto oftalmico, oppure all'istituto dei ciechi per fargli
insegnare a leggere sulla scrittura in rilievo, e imparare un mestiere.
--Sicuro, l'amore moderno deve essere ragionevole, ponderato, prudente.
--Agata,--io esclamai,--per una ragazza siete troppo positiva.
--Vi piacerebbe meglio che fossi più fantastica?... più accessibile alle
illusioni, più facile alle lusinghe... che cercassi l'uomo ideale?!...
--No, per carità, Agata... gli uomini e le donne ideali non si trovano
che nei romanzi.
--Ebbene siamo dunque d'accordo: l'amore degli antichi non è più dei
nostri tempi. Noi gli abbiamo tagliato le ali, è vero, ma lo abbiamo
anche guarito dalla cecità. Ora egli va per la sua strada in costume
moderno, e non è più pericoloso. Per questo ogni ragazza onesta può
viaggiare sola e sicura attraverso l'Europa, frequentare le Università e
le Accademie, rispettata da tutti. Anticamente non era così. Cupido si
cacciava dovunque. Quel fanciullo colle ali e la benda agli occhi,
munito d'arco, freccie e faretra, tirava a caso sui passanti, e metteva
tutti in pericolo. Se lo vedete ancora ai nostri tempi raggirarsi nella
società, penetrare di soppiatto nelle case coll'astuzia raffinata del
contrabbandiere, dite pure francamente che è un malfattore... o un
imbecille. E guai alle sue vittime!...
--Avete ragione... anche nelle affezioni bisogna dar luogo alla ragione,
e mettere d'accordo il cuore e il buon senso. Io ho fatto anche questo,
e offrendovi un amor cordiale e profondo, credo in pari tempo di potervi
assicurare che ho consultato anche la ragione e le convenienze. A meno
che voi e i vostri parenti non mi troviate troppo povero per aspirare
alla vostra mano. Questo dubbio mi ritenne di manifestarvi prima d'ora
la mia affezione.
--I miei genitori vi stimano e vi vogliono bene, e non intendono certo
di vendermi al maggior offerente, ed io credo che veramente poveri non
sieno che gli oziosi... e gl'ignoranti. Chi studia e lavora ed ha un
buon capitale nel cervello, non è mai povero.
--Dunque voi non sarete contraria ai miei voti e non mi stimate indegno
d'aspirare alla vostra mano?
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