Castel Gavone: Storia del secolo XV - 15

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comandassi io, ti metterei subito al posto di messere Antonello da
Montefalco. Ora, addio; vo a salutare la Rosa....
--No, no, la vedrete domani. Andate, è già tardi, e se avete da
cercare gli amici, non ci sarà tempo da perdere. Ma badate, giudizio,
e non una parola ad alcuno!
--Che! nemmen per sogno. Tu mi conosci, nipotina. Sono un po'
chiacchierone, l'ho detto, ma nelle cose di meno importanza. Qui poi,
acqua in bocca!
--Sì, dunque, andate. Io corro dal padrone.--
Con queste parole fu congedato mastro Bernardo, che uscì poco stante
dal castello, scavalcato a sua volta dalla Gilda, com'egli avea
scavalcato il Maso, e senza capire una maledetta dei disegni della sua
bella nipote.
La quale, poichè fu partito lo zio, non si mosse altrimenti dalla sua
camera. Muta, immobile, attonita, come chi, per malvagità di possenti
e implacati nemici, o per cieco volere del caso, si veda di balzo
gettato nel fondo di ogni miseria e sappia pur troppo che ogni scampo
gli è chiuso, la misera donna rimase là, contro la finestra della sua
camera, a cui s'era affacciata per veder scendere lo zio giù dai
tortuosi sentieri del castello. Rimase là, coi gomiti appoggiati sul
davanzale di pietra, il volto nelle palme, gli occhi torbidi e fisi di
rincontro a sè, sulla roccia dell'Aurera, salutata allora dagli ultimi
raggi pallidi d'un sole di febbraio, non curando il freddo rovaio che
già cominciava a soffiare dalle gole di Rialto, addensando in aria
negri e minacciosi drappelli di nuvole.
Niente guardava la Gilda, di niente si avvedeva, niente sentiva da
fuori; le forze tutte dell'anima sua s'erano concentrate in un
pensiero, l'infamia di Giacomo Pico. Imperocchè, ella avea pure inteso
il disegno di lui, per mezzo ai pochi cenni recati da suo zio. Il
colpo che si tentava era di dare il castello in mano ai nemici,
d'impadronirsi di madonna Nicolosina, di uccidere il Cascherano.
Quest'ultima parte del disegno di Giacomo Pico doveva andargli
fallita, poichè il conte di Osasco, quel giorno medesimo era disceso
nel Borgo, per custodire co' suoi uomini la porta di san Biagio; ma
questa assenza non tornava forse a vantaggio del Bardineto, caso mai
gli venisse fatto di penetrare nel castello in compagnia dei nemici?
Vitupero! Ed ella lo amava, quel traditore! E s'era data a lui, col
più sublime sagrifizio dalla sua alterezza, nel più generoso oblìo
d'una offesa recente! Ah, come s'era egli mostrato degno di quel
magnanimo affetto! E non era piuttosto meritevole di mille morti? Non
si doveva punirlo, avvisando i difensori del castello e cogliendolo al
laccio che egli stesso avea teso?
Sì, questo era il meglio; ma questo potea fare ogni altra donna, non
Gilda. Avrebbe ella venduto in tal guisa l'uomo a cui la legava il più
soave, o il più doloroso, ma certamente il più intimo dei vincoli?
Imperocchè, forse, tra breve ella non avrebbe potuto nasconder più
oltre lo stato suo. Egli, ancora il giorno addietro, la aveva
promesso, giurato, di condurla seco, a guerra finita. E poichè il
tempo stringeva, e l'assedio accennava a durare un bel pezzo, la
congiura di Giacomo non poteva essere un modo da lui immaginato per
farla finita d'un colpo?
Queste erano vane speranze, illusioni, chimere; lo sentiva anche lei.
Ma allora, qual vendetta efficace e condegna a tanta viltà sarebbe mai
stata quella di avvisare il marchese? Essa, essa, dovea vendicarsi,
non altri; essa, in quella casa, e per quella casa giunta a tale di
miseria o di vergogna oramai!
Tra queste incertezze, tra queste contraddizioni d'uno spirito
abbattuto, giunse rapidamente la notte. Le scolte si ricambiarono per
la prima volta il grido di vigilanza dalle loro beltresche, e quelle
grida si udivano al castello fioche e interrotte, come che di voci
lontane, tanto le soverchiava la furia del vento. Era una notte
minacciosa; il mare mugghiava al lido, il tuono rumoreggiava nella
gole dei monti.
Madonna Nicolosina, all'ora consueta delle altre sere, si ritirò nelle
sue stanze. La Gilda, come portava l'ufficio, era andata a servirla
nel suo spogliatoio, ma più rigida e più taciturna a gran pezza che le
altre volte non fosse stata colla sua giovin signora.
Il broncio dell'ancella (quasi sarebbe inutile di dirlo) era
cominciato dalla scoperta di una rivale, triste scoperta che ella avea
fatta nella torre dell'Alfiere. Madonna Nicolosina, dal canto suo,
vedendola così piena di cruccio, era stata in contegno, nè aveva
cercato occasione di rompere il ghiaccio. Anche trovata da lei a
colloquio col Bardineto, madonna Nicolosina si sentiva innocente e non
voleva scendere alle prove colla sua cameriera. Così erano rimaste
ambedue coll'amaro, l'una servendo a puntino, l'altra comandando con
garbo, ambedue fredde e guardinghe.
Tale la Gilda all'aspetto; ma il cuore avea gonfio di sospiri e di
lagrime. E s'era fatta innanzi, con un tal poco di sostenutezza, a
vestir la padrona. Ma quando fu al punto di toglierle la sopravveste,
la sua anima candida non seppe più contenersi, e la poveretta diede in
uno scoppio di pianto.
--Madonna!--gridò tra i singhiozzi che le facean nodo alla
gola,--Madonna, ve ne prego, concedetemi una grazia!
--Che cosa?--domandò Nicolosina, voltandosi stupefatta a guardare
l'ancella.
--Non dormite in questa camera!--proseguì con accento supplichevole la
Gilda.
--Perchè?
--Perchè...--(e qui la povera ancella si trovò molto
impacciata)--perchè temo non vi colga alcun male.. perchè io ve ne
scongiuro... infine, perchè vi amo.--
Madonna Nicolosina stette un tratto a guardarla in silenzio.
--Gilda,--la disse poscia con piglio grave, ma impresso di dolce
malinconia,--è questa la prima volta, da lunga pezza, che non mi
parlate così. Io vi ho perdonato ogni cosa, perchè vi ho creduta
infelice.
--Oh, grandemente, signora, senza fine infelice!--
E cadde, stemprandosi in lagrime, ai piedi della sua giovine signora.
--Suvvia, buona Gilda, parlate; che volete da me?--disse madonna
Nicolosina, rialzandola affettuosamente tra le sue braccia.
--Fatemi questa grazia, signora; non me la negate!-- soggiunse
l'ancella.--Non dormite qui; ritiratevi per questa notte nella camera
della vostra povera Gilda. Ho un triste presentimento...
--Ah!--sclamò Nicolosina.--Come mio padre!
--Che dite voi mai?--gridò la Gilda atterrita.
--Sì, così pure mi parlava stassera il mio povero padre. Una vecchia
donna è venuta a bella posta da Savona per dirgli che l'uomo, in cui
egli si affida di più, si disponeva a tradirlo.
--Ed egli?
--Ed egli ha risposto che la sua fede non si scema per le ciancie
delle donnicciuole; che ella, se sapeva alcun che di più certo intorno
alla infedeltà di Giacomo Pico...
--Ah!--interruppe la Gilda.--Di Giacomo Pico ella disse? Egli fu
dunque scoperto?
--Scoperto!--esclamò Nicolosina.--È egli dunque un traditore? Che ne
sapete voi, Gilda? Parlate; ve lo comando.--
L'ancella si pentì di aver troppo parlato.
--Signora, perdonatemi!--ripigliò, giungendo le palme.--Ho io detto
scoperto? Volevo domandare se si sospetta per avventura di lui. Sono
una povera fanciulla; non so parlare a modo. Abbiate compassione,
madonna. Io non ho che un presentimento di sventura; forse un'ubbìa di
donnicciuola, come quella che mi avete detta poc'anzi. Ma ve ne
supplico, mia dolce signora, non ridete de' miei timori; dormite
questa notte nella mia camera... È un luogo più sicuro, e nessuno
penserà ad andare là entro.
--C'è dunque qualcuno che può pensare a venir qua?--replicò madonna
Nicolosina con accento di collera.--Ogni vostra parola vi tradisce; e
sta bene. È forse nella vostra confusione un avvertimento del cielo.
Mio padre non ha creduto alla vecchia di Savona; eppure, anche
giudicandola pazza, non ha saputo vincere un senso di dubbio e di
sgomento. Lasciatemi, Gilda; io vado da lui e dalla mia povera
madre...
--Signora mia!
--Lasciatemi, vi dico! Già troppo male avete fatto a parlar così
tardi.--
Così dicendo, respinse la Gilda che le si era aggrappata alle vesti, e
andò verso l'uscio.
Ma, appunto in quel mentre, si udì nella sala del piano inferiore uno
strepito, come di armi percosse. Madonna Nicolosina ristette,
coll'orecchio teso e cogli occhi sbarrati dallo spavento. Non v'era
più dubbio; ignoti assalitori aveano scalate le mura del castello, si
spandeano per le sale.
La Gilda raccolse tutte le virtù dell'anima sua in uno sforzo supremo.
--Ah, non v'è più tempo, madonna! Nella mia camera, vi prego,
ritiratevi nella mia camera. E badate, ci sono i nostri finarini
appiattati nella macchia dei roveri. Chiamateli tosto... ho preparato
le lenzuola annodate... Ma andate, per la salute vostra, andate!--
Spinta dall'ancella, madonna Nicolosina uscì dalle sue stanze, corse a
rifugio nella camera di Gilda.
E Gilda, poichè l'ebbe veduta sparire per quella fuga di sale, si
ritrasse nella camera della sua signora, dove rimase, ansante e
spaventata, in ascolto.


CAPITOLO XIV.
Dove si vede che la notte non è sempre fatta per dormire.

Che era egli avvenuto?
Per chiarire aggiustatamente la cosa, ci bisognerà saltare indietro
un'ora ed un miglio, o giù di lì; non volendo io (e probabilmente
neanco i lettori) far cammino a ritroso, fino alla tenda di messer
Pietro Fregoso a' suoi abboccamenti, da prima col Sangonetto, indi con
Giacomo Pico.
Intorno ai quali, basterà il dire che la Gilda, guidata dal filo della
sua gelosia, aveva indovinato il loro disegno. Il Bardineto, per
vendicarsi delle ripulse di madonna Nicolosina, vendeva ai genovesi il
castello. Messer Pietro Fregoso, da buon capitano, profittava d'ogni
occasione che gli venisse profferta; e questa del Pico, che gli
agevolava di tanto il conquisto della terra assediata, doveva parergli
la man di Dio, senza più.
Il castel Gavone, murato in alto, come ho già detto, a cavaliere del
Borgo, su d'un contrafforte della roccia di Pertica, era un
validissimo arnese che ai nemici non poteva neppur girare per la
fantasia di pigliare d'assalto, almeno, fino a tanto non fossero
padroni del Borgo e liberi di voltargli contro tutto lo sforzo delle
loro soldatesche e dei loro ingegni di guerra. Anche dopo esser venuti
a stringer l'assedio del Finaro dalla parte dell'Appennino, dovevano
essi contentarsi di vedere da lungi quella mole solitaria e superba,
poichè la roccia di Pertica, che si rizzava alle sue spalle, era
inaccessibile ad un esercito; e quanto poi allo inerpicarsi sul greppo
del castello medesimo, per dare a questo una brava scalata, le
necessità quotidiane dell'assedio intorno alla città sottoposta, non
ne concedevano loro il tempo, nè il modo.
E ciò senza mettere in conto che un assalto a quelle mura di granito,
contro quelle torri di pietre sfaccettate a punta di diamante, non
sarebbe servito a nulla. Soltanto una sorpresa notturna avrebbe
approdato; ma questa richiedeva intelligenze segrete, amici, o a dirla
più veramente, traditori nel castello.
Ora, da questo lato, il marchese Galeotto dormiva tranquillo i suoi
sonni. E se non era che Santino da Riva, prigioniero dei finarini in
castel Gavone, avesse fiutato nel Sangonetto una schiuma di ribaldo,
se non era che Giacomo Pico, meditando del continuo vendetta, avesse
dato facile ascolto alle suggestioni del sozio, e tutti poi avessero
pigliato a pretesto della loro perfidia il malcontento di parecchi
cittadini del Borgo, a cui pesava la lunghezza dell'assedio, chi sa?
il marchese Galeotto avrebbe potuto ancor dire per mesi parecchi del
suo dominio, ciò che disse Enea della sua patria a Didone:
_Troiaque nunc stares, Priamique arx alta maneres!_
Ma pur troppo il castel Gavone, che non doveva avere un Virgilio a
cantare la sua misera fine, ebbe in quella vece il suo Sinone, come
Troia; anzi peggio di Troia, poichè esso ebbe un Sinone domestico, non
forastiero, a tradirlo. Vorrei qui proseguire il parallelo,
confrontando l'Elena del Finaro a quell'altra dell'antichità; ma oltre
a non essere Virgilio, siccome ho già detto, e come tutti sapevano,
prima della mia confessione, non sono neanche Plutarco (e ci corre!);
però, con quella discrezione, che dovrebb'essere la dote dei poveri
ingegni, mi tiro in disparte e lascio operare a lor posta i miei
personaggi.
Or dunque avvenne che l'accordo dei traditori con messer Pietro
Fregoso fosse compiuto la mattina del 5 febbraio, cioè a dire quando
Giacomo Pico si diede prigioniero, in pegno di sicurezza, ai nemici.
Il capitano generale credette allora che si potesse tentare l'impresa;
e Giovanni di Trezzo accettò di condurla.
Il Picchiasodo voleva pur dire qualcosa della fuga del Maso, che lo
metteva in sospetto. Ma già, il dado era gittato, e pel solo dubbio
che al castello fossero avvisati della trama, non si poteva mica
rimandarne l'esito a più tarda occasione. Del resto, ogni indugio non
avrebbe fatto altro che peggiorare le sorti dell'impresa. E poi, e
poi, se il Maso aveva potuto cogliere a volo qualche indizio e andarlo
a rifischiare al castello, la colpa non era tutta di lui, Anselmo
Campora, che, cedendo a un moto compassionevole della sua ruvida ma
schietta indole soldatesca, aveva pigliato a proteggere quel mariuolo
del Maso? La conseguenza di questo ragionamento si fu che il
Picchiasodo non rifiatò de' suoi dubbi ad alcuno, ma che egli promise
a sè stesso di partecipare ai pericoli di quella notturna sorpresa.

Ora, siccome il nostro bravo Campora solea mettere in tutte le cose
sue poco intervallo tra il pensare ed il fare, a mala pena ebbe
pigliata questa risoluzione, uscì dalla sua baracca per andarne a
chieder licenza a messer Pietro, padron suo riverito.
S'aspettava qualche po' di contrasto; ma, con sua gran meraviglia, non
ci fu nulla.
--Bravo!--gli rispose il capitano generale.--Stavo appunto per
mandarti a cercare e chiederti se volevi farmi compagnia.
--Che? come?--farfugliò il Picchiasodo, inarcando le ciglia.--Voi,
magnifico messere?
--Sì, io. Che ci trovi di strano?
--Eh, mi sembra che ce ne sia la sua parte. Gli è un colpo ardito,
quello che si tenta, con questi furfanti di tre cotte. E se ci andasse
a male? Se quei di lassù stessero in guardia? Se fossero stati
avvisati?
--Baie! Chi vuoi tu che li abbia avvisati? E fosse pur vero, che vuoi
tu che s'aspettino proprio stanotte da noi? E poi, vedi, Anselmo; chi
non risica... Lo conosci, il proverbio?
--Non rosica; lo capisco;--soggiunse il Picchiasodo, chinando la
fronte.
--Orbene,--proseguì messer Pietro,--ce n'è anche un altro che fa al
caso nostro. Dal farle tardi Cristo ti guardi! Ora, questa s'ha da far
subito, o mai. Genovese aguzzo, piglialo caldo.--
A queste parole il Picchiasodo non potè ritenersi dal ridere.
--Scusate, messer Pietro;--diss'egli, con piglio di rispettosa
dimestichezza;--siete tutto proverbi, stassera.
--Sì mio vecchio compare; perchè il cuore mi promette bene di questo
negozio; perchè sono in vena d'allegria. Ah, credi tu che, dopo un
anno di sopraccapi, di molestie d'ogni fatta, io non debba veder di
buon occhio questa congiuntura propizia? E poichè la si profferisce a
noi, e noi la cogliamo, non dovrei venirci io in persona, all'impresa,
per ispingerla avanti, se c'è modo di venirne a capo, per rimetterla
in sesto, se si fa un buco nell'acqua?
--È vero ciò che dite;--rispose il Picchiasodo;--ma dopo tutto, il
vostro risico...
--Che!--sclamò messer Pietro, scuotendo alteramente la testa.--Ci ho
la mia stella. Non ti rammenti di Gavi? Eppure, se non me l'hai
cantato e ricantato le mille volte: «messer Pierino, badate, noi ci
faremo impiccare come tanti assassini di strada!» Il che non
toglieva,--soggiunse messer Pietro ridendo,--che in ogni occasione tu
fossi il primo a seguirmi e negli scontri picchiassi più sodo degli
altri, come non tolse che io fossi restituito alla patria, reintegrato
in tutti gli onori della mia casa e fatto capitano generale della
repubblica. Statti dunque di buon animo, Anselmo, mio vecchio
compagno; il ferro che mi ha da colpire non è ancora entrato in
magona.--
A intendere per suo verso l'allusione di messer Pietro Fregoso,
bisognerà ricordare che egli, cinque anni addietro, essendo la sua
fazione sbandeggiata da Genova ed eletto doge Raffaele Adorno, era
stato dichiarato ribelle contro la repubblica. E allora, ridottosi
nella terra di Gavi, la quale aveva dianzi ottenuta dal duca Filippo
Maria Visconti, messer Pierino (come lo chiamavano ancora, a cagione
della sua giovinezza) radunò partigiani, corse il vicinato a sua
posta, recando alla repubblica quante più molestie potè. Monsignor
Giustiniani, che non lo ebbe in troppo buon concetto, narra di lui
negli Annali che «essendo di gran spirito e bisognoso di molte cose,
quasi che si mise alla strada e faceva de' mali assai. Tra i quali,
detenne cento venti some di mercanzia di gran valuta, che mulattieri
portavano in Francia; e fra l'altre cose vi erano alquante arme per la
persona del Re. Del qual fatto il duce Raffaello si risentì assai e ne
scrisse lettera a Sua Maestà».
La qual cosa, m'affretto a dirlo, non tolse che fosse un compìto
cavalliere, e che, il 3 di febbraio del 1447, tornata la fazione
Fregosa al governo della repubblica nella persona di Giano, messer
Pietro fosse restituito alla patria e fatto capitano generale della
città, indi deputato all'impresa del Finaro, e da ultimo eletto doge a
sua volta.
Ma non ci dilunghiamo dal nostro argomento. La notte è calata, notte
buia e fredda, siccome si è detto, e gravida di tempesta. Giovanni di
Trezzo e i suoi trecento fanti escono silenziosi dal battifolle di
Pertica, sfilano leggieri a guisa di ombre davanti a quel pozzo, in
cui, la mattina di quel medesimo giorno, aveva pigliato un bagno
freddo il povero Falamonica. Spartiti in dieci bandiere, ognuna delle
quali constava di trenta uomini, cioè a dire dieci balestre, dieci
picche e dieci pavesi, i soldati di Don Giovanni di Trezzo (la
dominazione aragonese nel reame di Napoli aveva già sparso l'uso del
titolo di _Don_ nella maggior parte dei condottieri italiani) si
avviarono per l'erta, seguendo il sentiero indicato loro da Giacomo
Pico e da Tommaso Sangonetto. Il quale, a dir vero, non ci andava di
buone gambe; ma oramai, volere o volare, bisognava uscirne con manco
disdoro e non esser nemmeno degli ultimi sulle mura, poichè il
Bardineto gli aveva promesso la sua parte di preda! Tommaso Sangonetto
se ne sentiva già correre l'acquolina alla bocca.
Il vento, che scendeva impetuoso dalle gole dei monti, cogliendo di
fianco i notturni viandanti, non consentiva loro di correre così
spediti come avrebbe desiderato messer Pietro; il quale venia dietro
alle schiere, col Campora a lato, e tutto chiuso nel suo mantello, per
non dar nell'occhio ai soldati, che dovevano vederlo soltanto ove ciò
fosse stato mestieri. Per altro, se il vento rallentava il corso della
gente, toglieva altresì che si potesse dall'alto udire il rumore dei
passi e lo strepito delle armature.
Le prime ordinanze giunsero per tal guisa sotto alla beltresca che
comandava il sentiero, deludendo la vigilanza del soldato di guardia,
il quale fu colto nel suo aereo covo, prima che avesse potuto dare ai
lontani compagni il grido di sveglia.
Povero Maso! Imperocchè gli era lui, proprio lui, piantato là, come
Olimpia sullo scoglio, dal suo vecchio principale. Mastro Bernardo,
tutto all'incarico che gli aveva commesso la sua bella nipote, nonchè
andarlo a rilevare, non si era più ricordato di lui.
--Povero a me!--disse il Maso in cor suo.
E crebbe la sua giusta paura, allorquando, dietro a quella lunga
processione di ombre che gli sfilava da vicino, gli parve di udire la
voce del Campora, che sollecitava i più tardi.
--Son fritto!--soggiunse egli, a mo' di conchiusione, mentre due di
quei manigoldi lo veniano legando per bene, come già avevano fatto tre
giorni addietro il Tanaglino e il Vernazza.
La masnada frattanto si accostava con passo guardingo alle mura.
Nessun rumore, nessun filo di luce, davano indizio di vigilanza nel
castello. Don Giovanni di Trezzo incominciava a meravigliarsi della
fortuna, che gli faceva guadagnare così agevolmente un premio di
trecento scudi d'oro del sole, a lui promesso dal capitano generale se
avesse condotta a buon fine l'impresa.
Il castel Gavone, lo rammenteranno i lettori, era munito di fosso da
due lati soltanto, cioè da fronte e da tergo, dove perciò era
stagliata ad arte la cresta del monte; laddove i fianchi, perchè
fondati a scarpa sul masso o abbastanza forti di lor natura, non
avevano alcuna di simiglianti difese.
Ad uno di questi fianchi, quello che guarda a levante, i soldati
genovesi accostarono le scale. Giacomo Pico fu il primo ad appoggiarne
una contro il davanzale di una finestra che metteva al secondo
pianerottolo dello scalone interno.
--Che fai?--gli domandò il Sangonetto all'orecchio.--La finestra è
chiusa, e a romperla daremo la sveglia.
--No;--rispose l'amico;--lascia fare. La notte scorsa ho tagliato una
lista di piombo nella intelaiatura dei vetri.--
Poscia, voltandosi verso Giovanni di Trezzo, che gli stava sempre alle
costole, soggiunse:
--Voi, messere, dovreste mandare una parte dei vostri uomini alle
spalle del castello, là, dietro la torre della Polvere. Io stesso,
appena entrato, andrò ad aprir loro la postierla.
--Sì, sì, non dubitate, compare!--gli rispose Giovanni di Trezzo.--Io
salirò con voi e v'accompagnerò io stesso alla porta. Ma prima di
tutto, aspettate; vo' fare un po' di rumore.
--Perchè?
--Il perchè va lo dico subito, A Venezia, dove ho servito qualche
anno, ci ho imparato una gran massima, che credo l'abbiano trovata in
Grecia, nella tomba dei sette Sapienti. «Da chi mi fido mi guardi
Iddio; da chi non mi fido mi guarderò io.» Ora, vedete, messer Pico;
io non vo' dar molestie a nostro Signore, e non mi fido mai di
nessuno.--
Così dicendo, l'astuto condottiero col pomo della spada venia battendo
sui muri del castello. Nessun rumore di dentro accennò che il suono
dell'arme fosse stato udito dagli abitatori del luogo. Del resto, a
quell'ora, null'altro si sarebbe potuto udire che il mugghio continuo
del vento nelle gole e il baturlo del tuono sulle montagne vicine.
--Sta bene; ed ora insegnatemi la strada;--disse Giovanni di Trezzo.
Il Bardineto ascese prontamente la scala; Giovanni, presa la spada tra
i denti, gli venne alle calcagna.
Frattanto un'altra scala era rizzata poco lunge da Tommaso Sangonetto.
I suoi capi poggiavano sul davanzale di una finestra, che Giacomo Pico
doveva aprirgli, a mala pena entrato nel castello.
L'ascensione fu compiuta senza ostacoli. Dietro al Bardineto e a
Giovanni di Trezzo s'erano inerpicati quattordici soldati. Poco stante
si udì un lieve scricchiolio. Giacomo Pico aveva potuto, mercè la sua
precauzione della notte antecedente, togliere una lastra di vetro dai
margini di piombo e giungere colla mano al paletto. L'imposta girò
lenta sui cardini, e il Bardineto e Giovanni di Trezzo, afferrando il
davanzale, sparivano prontamente nel vano. I quattordici soldati che
li seguivano su per la scala, ad uno ad uno, lesti come scoiattoli,
guizzarono dentro.
Il medesimo avvenne dei loro compagni che erano sull'altra scala,
poichè il Bardineto ebbe aperta la finestra all'amico. E tutto questo
in brevissimo spazio di tempo, senza strepito, o con pochissimo, che
il vento non lasciò giungere fino alla sala di guardia; la quale era
sulla fronte del castello, tra la saracinesca e il ponte levatoio,
secondo il costume d'allora.
Messer Pietro mandò allora una parte degli uomini rasente il muro, fin
dietro alla torre della polvere, in agguato alla postierla che doveva
esser loro aperta da Giacomo Pico.
Ogni cosa procedette a seconda. Ma se non si aveva ad udire lo
strepito di fuori, ben si ebbe ad udirlo quando fu dentro le mura e
pe' corridoi del castello. E fu appunto il saltar degli uomini dal
davanzale della finestra sul pianerottolo e il loro spandersi su e giù
per le scale, che diè nell'orecchio alle due donne su in alto.
Lo strano rumore fu udito altresì in una camera appartata del primo
piano, dov'era il più ragguardevole abitatore del castello e il più
interessato in quella bisogna, poichè il colpo degli assalitori
notturni era rivolto contro di lui.
Il marchese Galeotto si era da forse un'ora ridotto nelle sue stanze,
per prendere un po' di riposo da tante fatiche e sopraccapi del
giorno. Madonna Bannina, la fida compagna della sua giovinezza, ancora
travagliata dalla sua ferita, dormiva accanto a lui d'un sonno
leggiero, come soglion le donne e gl'infermi. In una cameretta poco
lunge da essi, riposava lo scudiero del marchese e suo consanguineo,
Antonio Porro, giovine robusto e valente, che molto amava Galeotto e
in cui questi a ragione riponeva ogni fede.
Era triste in quell'ora, il marchese Galeotto, e i neri presentimenti,
di cui aveva pur dianzi toccato madonna Nicolosina alla Gilda, gli
giravano per la fantasia, disviandogli il sonno. Sopra tutto, e con
una pertinacia di cui non poteva farsi ragione, gli tornavano in mente
le parole della vecchia di Savona, Giacomo traditore? Giacomo, il suo
antico scudiero, cresciuto al suo fianco, il suo compagno d'armi, il
suo salvatore, tradirlo? e perchè? Come poi l'avviso salutare doveva
egli venirgli così da lontano? Certo, taluno a cui sapea male di
quella sua fede in un semplice vassallo, non osando assalirlo da
vicino e di fronte, aveva soffiata quella calunnia negli orecchi alla
vecchia pazza; ed ella, pur di parere illuminata da uno spirito, era
corsa a recargli la malaugurata novella. E in mal punto, davvero;
poichè Giacomo Pico, l'uomo contro cui si muovevano così nefandi
sospetti, quel medesimo giorno, in servizio del suo signore,
combattendo da valoroso, era caduto nelle insidie nemiche.
Questo diceva la fede, dall'animo di Galeotto. Eppure, bisbigliava il
dubbio, eppure....
In quel mentre gli venne udito un insolito rumore, come d'uomini che
cautamente, ma senza, poter spegnere affatto il suono dei passi e il
tintinnio delle armi, battessero de' piedi sll'impiantito d'un
corridoio lontano.
Si rizzò tosto fuor delle coltri e stette coll'orecchio teso in
ascolto. Quello strepito continuava, anzi venia sempre crescendo;
laonde egli fu pronto a balzare da letto, per correre alla volta
dell'uscio.
Madonna Bannina si svegliò in soprassalto.
--Che è?--dimandò ella sbigottita, vedendo in quell'ansia il marito.
--Bannina mia, siamo traditi!--gridò egli, con voce tremante dallo
sdegno.
E uscito dalle sue stanze, s'imbattè in Antonio Porro, il quale, non
avendo ancora potuto pigliar sonno, stava al pari di lui in ascolto
sull'uscio della sua camera.
Antonio vide il marchese, e i loro occhi si ricambiarono i comuni
sospetti.
--Il nemico?--chiese Galeotto sommessamente ad Antonio.
--Chetatevi, mio signore! Vado a vedere.
--No, no! Ti faresti ammazzare senza alcun frutto. Non senti? Son già
nella gran sala.--
Antonio, che già era persuaso della inutilità dell'andare, e soltanto
si era profferto per divozione al marchese, si affrettò a sbarrare la
porta.
--Fuggite, dunque, messere! fuggite!--diceva egli frattanto.
--Fuggire! e come? e lascierò i miei.... la mia casa?
--Provvedete alla salvezza vostra, Galeotto!--disse madonna Bannina,
che lo aveva seguito.--Voi libero, niente è perduto. Accogliete il
consiglio di Antonio e la mia preghiera.--
Il marchese non sapeva risolversi. Darla vinta del tutto ai traditori
gli cuoceva; cadere in balìa dei genovesi gli parea troppo grande
vergogna. E in tal contrasto esitava.
--Orsù, egli non c'è tempo da perdere;--disse Antonio Porro.--Madonna,
vi prego, annodate le lenzuola del letto, il copertoio, quanto vi
capita alle mani. Io faccio la via.--
E si volse alla finestra dell'anticamera di Galeotto, nella quale si
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