Castel Gavone: Storia del secolo XV - 02

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--Che io mi sappia, non ci ha mai posto piede anima nata. E' bisogna
vedere la roccia alle spalle, là dalla parte di Calice. Gesummaria! Se
un negromante non ci scava i gradini nel vivo, gli è come volersi
aggrappare ad uno specchio.
--Uhm!--borbottò il Picchiasodo.--E quell'altro cocuzzolo sulla
Caprazoppa?
--È la roccia dall'Aurèra.
--Mi pare di vederci un segno di strade.
--Strada romèa, messere; ma ora la è guasta per modo che nessuno più
se ne giova. Per altro, a che servirebbe, lassù?
--Adagio a' ma' passi!--gridò il Picchiasodo.--Qui ti vien meno il tuo
senno, degnissimo ostiere. Non mi dir male de' romani! Non c'eran che
loro, per capir certe cose. Vedi; una strada su quel monte la ci
voleva, come un bicchier di vino su questo boccone. Strade sui monti,
dico io; in pianura, quasi quasi se ne potrebbe far senza; uomo, o
macchina, o bestia da soma, tutto ci passa a bell'agio; ma su per
l'erta d'un monte, sul fianco d'una costiera, e va dicendo, s'ha a far
come Annibale, lavorar coll'aceto. Ne hai tu dell'aceto?
--Padrone,---entrò a dire il Maso,--c'è quella botte di vinello
fiorito, che potrebbe....--
Così disse il ragazzo, ma non continuò il discorso, poichè mastro
Bernardo con una occhiata furibonda gli troncò le parole, e con una
pedata non meno espressiva gli fe' prendere il volo verso l'abbaìno.
--Ne avrete fatto, di strada;--disse l'ostiere, tornando a' suoi
ospiti e cercando di ravviare la conversazione;--ne avrete fatto
molta, messeri, pervenire fin qua!
--Molta;--rispose il Picchiasodo, colla bocca impacciata da un boccone
più grosso degli altri.
--E.... se è lecito il chiedervi....
--Ostiere!--interruppe quell'altro, con piglio tra il burbero e il
faceto.--Che diavol ti piglia, di voler sapere il nostro itinerario?
--Scusate, magnifico messere.... volevo dire.... Siccome so che il
nostro Marchese aspetta per l'appunto qualcuno....--
Il Picchiasodo era per dirgli dell'altro in quella medesima chiave; ma
messer Pietro, più accorto, indovinò il profitto che si poteva
ritrarre da quelle mezze parole dell'oste, e vogò destramente sul remo
al compagno.
--E chi aspetta, di grazia?--domandò egli a mastro Bernardo.--Ne hai
già imbroccata una, dicendo che siamo venuti per fare una sorpresa al
tuo nobilissimo signore; vediamo dunque; indovina quest'altra!
--Ma....--disse l'ostiere, gonfiandosi a quella lode (e se avesse
avuto un cencio di coda, si sarebbe provato a fare la ruota)--si parla
in paese d'un certo matrimonio....
--E di chi? Va innanzi!--prosegui messer Pietro, ugnendogli le
carrucole.
--Eh, meglio di me lo saprete voi, magnifico messere. Io non lo
conosco, ma dicono sia un uomo d'assai, che ha terra e castella ed
ogni ben di Dio, là dalle parti di Torino....
--E la sposa? Che ne dici tu?
--Madonna Nicolosina? Ah, quella è un occhio di sole.... un bottoncino
di rosa!... Diecisette anni, messere, diecisette anni a san Nicola,
che casca tra dieci dì, salvo errore, ed è già una meraviglia di
bellezza, che vengono già da tutte le parti, solo per vederla a
passare per via. E buona, per giunta, come il pane, e costumata, poi,
e dotta, che nemmanco il parroco di san Biagio ne sa quanto lei.
Insomma, una perla, messere, una perla, come madonna Bannina, sua
madre, che Iddio conservi lungamente alla casa dei nostri signori.

--Godo che un suo vassallo me la lodi così!--esclamò messer Pietro,
con aria tra umile e contenta.
--È lui! è lui! non c'è dubbio;--disse mastro Bernardo tra se.--Non
sono io il solo a lodarla,--ripigliò quindi, per dar la giunta alla
derrata,--ma tutti i ventimila abitanti del Marchesato l'hanno in quel
conto che ella si merita, per la sua bellezza e per la sua virtù, che
non han la compagna. E come le son fioccati i partiti! Ce n'è uno che
la voleva ad ogni costo, e seguita a volerla.... messer lo Doge di
Genova.... Ma sì, gli ha da appiccar la voglia all'arpione, costui!
Madonna Nicolosina non è boccone pei Fregosi....
--Ah sì? e perchè mò?--interruppe messer Pietro, facendo bocca da
ridere.--Perchè son genovesi?
--Non già per questo;--rispose l'ostiere, con un certo
sussiego.--Parliamo suppergiù la medesima lingua e si potrebbe vivere,
sto per dire, da buoni fratelli, se qualche volta non ci avessero il
ruzzo di spadronare in casa d'altri. Ma vedete, messeri; su quella
gente là non ci si può far conto. Potevano essere, sia detto con
vostra licenza, il primo popolo del mondo, stimati da per tutto e
temuti la parte loro.... Ma no; con mille discordie si sono guastati
il sangue, e non possono durarla tre mesi in pace con sè medesimi. Va
via di lì, ci vo' star io, è la regola di tutti que' maggiorenti, che
dovrebbero invece adoperarsi per la tranquillità e per la grandezza
del popolo. E si bisticciano sempre, non so da quanti anni, e fanno a
rubarsi il comando; oggi Adorno, domani Fregoso, posdimani Adorno da
capo, sempre su e giù, si arrabbattano come fagiuoli in pentola. Erano
padroni in casa loro, che non li comandava nemmeno l'imperatore; e
adesso, vedete, son roba di tutti, che la è una miseria a pensarci. E
ancora s'impuntano a dar molestia ai vicini; e vogliono far l'omo
addosso a noi altri! Si mettano in pace tra loro, si mettano; comandi
chi può e obbedisca chi deve. Che ve ne sembra, messere?
--Mi sembra che tu abbia ragioni da vendere!--rispose messer Pietro,
aggrottando le ciglia.
In quella che mastro Bernardo, ringalluzzito del suo trionfo oratorio,
si disponeva a meritarsene un altro, ricomparve il Maso sull'altana.
--Padrone!--gridò egli ansimante--Venite giù subito!
--Che c'è egli di nuovo?--dimandò stizzito l'ostiere.
--C'è messer Giacomino che ha mestieri di voi.
--Aspetti; or ora ci andrò.
--Ha premura;--incalzò il ragazzo,
--Se ne vada, allora; potevi dirgli che ci ho forastieri.
--Se gliel ho detto! Ma egli vi vuole ad ogni costo.
--Ha da essere un pezzo grosso, il vostro messer Giacomo!--notò il
Picchiasodo.--Va dunque e vedi di contentarlo.
--Oh, gli è un giovinotto, mezzo villano e mezzo soldato, che si crede
dappiù di chi si sia, perchè il nostro Marchese lo vede di buon
occhio; un superbioso, che va sempre col capo nelle nuvole, e qui non
ha mai bevuto un bicchiere.
--Ragione di più per scendere; vedrai che stavolta ti asciuga la
cantina.
--Del resto,--soggiunse messer Pietro.--oramai siamo satolli e si
parte. Fa intanto stringer le cinghie ai cavalli.
--Sarete serviti, magnifici messeri; e caverò fuori un fiaschetto di
malvasia, che vien proprio da Candia, pel bicchier della staffa.
--Sta bene; e tu piglia questo per l'opera tua; credo che basterà.--
Così dicendo, messer Pietro gli pose in mano un genovino d'oro.
--Corbezzoli, se basta!--gridò l'ostiere, facendo tanto d'occhi a quel
lucicchìo.--Tornateci domani, sul conto, e doman l'altro, se vi piace;
l'Altino è vostro, messere.
--Se non ci avesse a costare che questo,--borbottò il Picchiasodo,--e'
sarebbe a straccia mercato.--
Il genovino d'oro, valeva allora quindici grossi, che erano intorno a
tredici lire della nostra moneta presente, ma che, fatto il conto dei
tempi diversi e dei mutati prezzi delle derrate, potrebbero
ragguagliarsi al doppio di questa valuta. E ciò spieghi la meraviglia
della contentezza di mastro Bernardo; il quale si avviò gongolante
all'abbaino, per dove era già scomparso il ragazzo.
--Che matrimonio ha da essere!--andava dicendo l'ostiere tra sè.--Non
è più di primo pelo, ma e' ci ha un'ariona da principe, questo
messere.... A proposito; la Rosa mi aveva pur detto il suo nome!
Tamburlano? No. Canterano? Nemmeno. Certo comincia in _ca_.... Vediamo
un poco!
Messer Pietro si era mosso dalla tavola, alla volta del murello, e
pareva volesse dare un'ultima occhiata al paese. Picchiasodo, da uomo
più materiale, era ancora al suo posto, e mostrava cogli atti di voler
vedere il fondo all'orciuolo del vino.
--Scusate, messere;--disse mastro Bernardo, avvicinandosi a lui;--il
nome del vostro compagno?
--Perchè?--dimandò il Picchiasodo, inarcando le ciglia.
--L'ho sulla punta della lingua;--prosegui mastro Bernardo, senza
badare al piglio scontento di quell'altro.--Vedete, messere; sono un
povero diavolo d'oste, ma ci ho entratura al castello. Mia moglie è
sorella della madre di Gilda, la cameriera di madonna Bannina, e il
nome dello sposo io l'ho risaputo. Ca.... Casche.... Aiutatemi a dire!
--Casche....--ripetè il Picchiasodo, per contentarlo.
--Sicuro, Casche.... Ma se non mi date voi una mano...
--Ti cascherà l'asino, lo capisco.
--Ah, bravo! Cascherà.... Ci sono; Cascherano, Grazie tante! Messer lo
conte di Cascherano,--soggiunse allora mastro Bernardo, volgendosi a
messer Pietro e sprofondandosi fino a terra,--la grazia vostra!
--Per chi vi piglia costui?--chiese il Picchiasodo a messer Pietro,
mentre quell'altro si allontanava.
--Lascialo dire;--rispose messer Pietro.--Egli è venuto quassù per
farci cantare, ed ha cantato lui per tutti, il baggèo!--


CAPITOLO II.
Dove messer Giacomo Pico impara che il torto è degli assenti.

Stropicciandosi le mani in segno di contentezza, tronfio, invanito di
quel colloquio, in cui aveva fatto prova di tanta penetrazione, mastro
Bernardo scese le scale; indi, comandato al ragazzo che stringesse le
cinghie alle cavalcature dei due forastieri, e alla Rosa che pigliasse
in cantina un fiaschetto di malvasia, entrò in cucina, dove stava il
nuovo venuto impaziente ad attenderlo.
Era costui un giovinotto di forse venticinque anni, che tale lo
dinotava l'aspetto, fiorente della prima virilità, alto della persona,
di membra robusto e di belle sembianze, quantunque infoscate un tal
poco dalla torbida guardatura degli occhi cilestri e dallo
aggrovigliarsi della chioma rossigna in ciocche scompigliate sul
fronte. Semplice era la foggia del vestire; portava calze di lana
divisata e scarpe di cuoio ruvido, alla guisa dei montanari; in capo
aveva un'umil berretta e sulle spalle una cappa di bigello, alla
borghigiana; ma il farsetto di cordovano e l'impugnatura d'una brava
misericordia, che facean capolino dallo sparato, insieme colla punta
d'una spada che usciva fuori ad una rispettabile lunghezza dal lembo
della cappa, lo chiarivano un uomo d'armi, per allora fuor di
servizio, ma non al tutto fuori d'arnese.
Il suo nome era Giacomo Pico, figliuol d'Antonio, della terra di
Bardineto. Lo si chiamava dimesticamente messer Giacomino, sendo egli
venuto in tenera età alla corte del Marchese; ancora lo dicevano il
Bardineto, senz'altro, dal suo luogo natale, posto a forse dodici
miglia di là, in mezzo ai monti, presso le scaturigini del Bormida.
Bardineto apparteneva ai signori Del Carretto, e ad essi molto
affezionata era la famiglia dei Pico; singolarmente caro a Galeotto il
loro ultimo rampollo, che dapprima eragli stato donzello, indi
compagno nelle aspre fatiche di guerra e salvator della vita. Però
Galeotto lo teneva sempre al suo fianco, più amico assai che vassallo,
e lo adoperava in ogni faccenda che richiedesse fedeltà e segretezza a
tutta prova.
Ragioni queste perchè mastro Bernardo avesse a fargli servitù. Ma,
oltrechè non gli sapea menar buono quel suo fare fantastico e il non
essersi mai seduto davanti a' suoi fiaschi, quel giorno a mastro
Bernardo pareva di aver piantato l'insegna accanto a più gran
personaggio che non fosse messer Giacomo Pico.
Epperò, mentre questi, vedutolo entrare in cucina, si muoveva ansioso
verso di lui, quel vanaglorioso d'un oste gli fece a mala pena di
berretta.
--Ve ne prego messer Giacomino, spicciatevi;--soggiunse egli tosto,
dopo quell'atto un po' sbrigativo;--ho da offrire il bicchier della
staffa a due cavalieri.
--Erano da te!--sclamò il Bardineto.--Ed io che li cerco da
un'ora!....
--Eh, eh, capisco;--ripigliò mastro Bernardo, con aria di chi sa e
vuol lasciarsi scorgere;--il nostro magnifico Marchese li aspetterà.
--Se li aspetterà! Lo credo io! Sono annunciati certamente da due ore.
Io era appunto in volta verso Calvisio,... A mala pena arrivato
stanotte!...
--A proposito, siete stato in viaggio....
--E lungo; e ho avuto appena il tempo di far la mia relazione al
Marchese, ch'egli mi ha mandato fino a Pia per vedere la nuova
compagnia di balestrieri che ha presa in condotta testè. Ero salito a
Calvisio per dare un'occhiata alla guardia; torno al passo della
fiumana e mi dicono che due cavalieri sono discesi verso Castelfranco,
avviati pel Borgo. Mi metto sulle loro pedate e non li trovo; alla
porta di San Biagio nessuno li ha visti. Rifò la strada, piglio
lingua, e sento che si erano fermati all'Altino. Che è ciò? A due
passi dal borgo, perchè smontano essi da te?
--Eh, l'ho detto ancor io; perchè smontare da me? Ma che volete,
messer Giacomino? Avran veduto l'insegna: _Fermatavi all'Altino, c'è
buona l'accoglienza e meglio il vino_. E l'han trovato buono,
credetemi, quantunque non l'abbiate mai assaggiato. Dopo tutto, o che?
dovevano presentarsi al castello a stomaco digiuno, come due
pellegrini affamati?
--Che uomini sono?--dimandò il Bardineto, per metter fine a quella
intemerata dell'oste.
--Non lo indovinate?
--Eh, forse; due genovesi, dei soliti, che vengono qua, sotto colore
d'ambasceria, per curiosare, scoprir terreno e macchinar tradimenti in
casa nostra.
--Che!--sclamò mastro Bernardo, facendo le cocche colle dita,--Più su
sta monna Luna!
--Come? e che altro hanno ad essere?
--Due pezzi grossi, vi dico io. Cioè, no, dico male; uno grosso
soltanto di corporatura, e gli ha da essere lo scudiere, o alcun che
di somigliante; ma l'altro....
--L'altro?
--Eh, un uomo per la quale, che è aspettato dal Marchese e gli farà
molto piacere il vederlo capitare al castello.
--Non genovese?--ripicchiò il Bardineto, stringendosi nelle spalle.
--Non genovese; piemontese.
--Capitano di ventura?
--Altro ci è; signore di terre e castella. Ma scusatemi, messer
Giacomino; e' son qua che scendono le scale.--
E senza aspettar altro, l'ostiere si mosse, per andare incontro a'
suoi ospiti.
IL Bardineto, rimasto solo in cucina, si accostò alla finestra, che
dava sull'aia, ov'erano già i due cavalli, tenuti per le redini dal
Maso, e vide poco stante i due forastieri che salivano in arcione.
Uno, il più vecchio e il più tarchiato, gli parve per l'appunto uno
scudiere, o un famiglio. L'altro, era un bell'uomo tra i trenta e i
quaranta, biondo di capegli, dal volto un po' arsiccio, ma bianco di
carnagione, di leggiadre fattezze e di nobilissimo aspetto. Anche a
non voler badare alla sua cappa di scarlatto verde foderata di vaio e
al suo cavallo palafreno, la cui gualdrappa e gli altri arnesi erano
filettati d'argento, si capiva ch'egli era un uomo di grande affare, e
che mastro Bernardo aveva ragione a notare in lui un'ariona da
principe.
--Chi diamine sarà costui?--andava almanaccando tra sè il
Bardineto.--Non genovese, perciò non nemico; capitano di ventura
nemmanco. Fosse uno del parentado! Ma io li conosco tutti, i signori
della lega, e questi mi giunge affatto nuovo alla vista.
Intanto, mastro Bernardo s'era fatto innanzi col suo fiaschetto di vin
prelibato e profferiva ai due viaggiatori il bicchier della staffa.
--Grazie!--disse il più giovine accettando il bicchiere e rendendolo
dopo avervi a mala pena intinte le labbra.
Non così il Picchiasodo, che, recatosi il bicchiere all'altezza degli
occhi, ne contemplò amorosamente il liquido topazio, indi lo accostò
alle labbra, ne assaporò un sorso, tornò da capo a guardare, mentre,
alla maniera de' buongustai, batteva la lingua contro il palato, e
finalmente, arrovesciando gli occhi in segno di beatitudine, mandò giù
l'abbeverato e succiò l'orlo del bicchiere per giunta.
--Se tu cominciavi da questo,--diss'egli all'oste nell'atto di
restituire il bicchiere,--non si andava più via dall'Altino.
--Eh eh!--rispose mastro Bernardo ridendo.--Per altro, a messer lo
conte non è piaciuto.
--A me?--dimandò messer Pietro, vedendo che l'oste accennava a
lui.--Anzi, gli è nettare, non vino; ma con quest'amicone non bisogna
far troppo a fidanza.
--Con vostra licenza, messere, berrò io le vostre bellezze. Alla
salute degli sposi.
E mastro Bernardo, contento di metter le labbra al bicchiere del suo
ospite, tracannò il rimanente d'un fiato.
Messer Pietro sorrise, salutò e spinse il cavallo fuori del portone.
Il Picchiasodo spronò a sua volta, e lo seguì sulla strada.
--Costui vi vuol vedovo, messer Pietro;--gli disse frattanto a mezza
voce.--Povera madonna Bartolomea!--
A mala pena furono sulla strada i due viaggiatori, il Bardineto si
serrò addosso a mastro Bernardo.
--E adesso mi dirai.... Prima di tutto, che andavi tu novellando di
sposi?
--Non avete capito?--disse l'ostiere, mentre, levato di pugno al Maso
il fiaschetto prezioso, lo andava a riporre nell'armadio.--C'è un
matrimonio in aria e quello è lo sposo; il magnifico conte di
Cascherano, che si è degnato, bontà sua....
--Sposo! di chi?--interruppe il Bardineto, facendosi bianco nel viso
come un cencio lavato.
--Eh, non già di madonna Bannina, nè della mia Rosa, che hanno i loro
uomini vivi e sani!
--Ma, alla croce di Dio, parla; di chi?
--Di madonna Nicolosina, perdinci! O che, venite dal mondo della
luna?--
A messer Giacomo Pico venian meno le forze, e si offuscava la vista.
--Impossibile!--esclamò egli, con voce soffocata dalla
commozione.--Impossibile!
--E perchè mo'? A San Nicola fa i diecisette, quantunque, a dir vero,
mi paia che la sia nata ier l'altro. Ma, pur troppo, i giorni passano
e gli anni van di conserva. O che? l'avrebbe da starsene a spulciare
il gatto? È bella, è savia, è di nobil casato; e qui, con nostra buona
pace, non c'è nessuno per lei. Al Fregoso, quantunque doge, non
l'hanno voluta mostrare nemmeno dal buco della toppa; e' bisognava
dunque far capo più lunge; a Cascherano, verbi grazia. Cascherano! bel
nome! E lo sposo n'ha un altro, per giunta alla derrata; ma ora e' non
mi vien sulle dita.--
Il Bardineto sudava freddo, e per un tratto non aveva potuto aprir
bocca.
--Ma come sai tutto ciò, che io ignoro affatto?....
--Eh, lo capisco? se voi andate a fare l'ambasciatore! Da quanto tempo
mancate?
--Da due settimane; cioè a dire, da quando è partito l'ultimo oratore
dei Genovesi, messere Ambrosio Senarega. Sono stato a Cosseria, a
Millesimo, a Cortemiglia, a Ponzone; ho dato infine una scorsa a tutte
le castella delle Langhe.
--Orbene, e in questo mezzo s'è accozzato il negozio. Io sono stato il
primo ad averne fumo, in paese. Sapete pure, messer Giacomino; madonna
Bannina, che Iddio la prosperi sempre, n'ha fatto un cenno alla Gilda.
La Gilda l'ha rifischiato a sua zia; e sua zia, che è poi nostra
moglie, indegnamente, l'ha rapportato a me, com'era debito suo. Ma ora
che ci penso, badate, gli era un segreto da tener sotto chiave, e voi
da me non sapete nulla, intendiamoci; io non ho fiatato, acqua in
bocca! me lo promettete?--
Messer Giacomo Pico non gli dava più retta; uscito in sull'aia, aveva
infilato il portone, e via come una saetta.
--Ehi, dico, messer Giacomino, vi prego, non mi fate pasticci!--andava
gridando l'ostiere.--Che diamine! ci ha il fuoco alle calcagna. E
perchè mo'? Quella notizia l'ha messo fuori dei gangheri. Egli
forse.... cotto di madonna Nicolosina? Eh, non mi farebbe meraviglia;
la donna è un certo guaio! Quando t'ha fatto perdere il lume degli
occhi, non badi più se la è imperatrice o villana. Orvia, se la è
così, un bel malanno l'ho fatto! Ma già, maledetta lingua! La Rosa me
lo dice spesso, che non so tenermela a freno! E poi? che male c'è?
Tanto e tanto s'aveva a sapere. Il Cascherano non è forse arrivato? E
come l'avranno a battezzare, quando capiterà al castello e farà il su'
inchino alla sposa? Andiamo, via; delle mie ragazzate, non è questa la
peggio.--
Con questo po' di sollievo, mastro Bernardo si ritirò nella sua tenda,
dove noi lo lasceremo ad aspettare gli avventori quotidiani, men
nobili o meno degni della nostra attenzione.
Il Bardineto, con quel passo che ho detto, s'era avviato verso il
Borgo. Giunto alla porta di san Biagio, varcò il ponte levatoio
gittato sul torrente dell'Aquila, ed entrò sotto l'androne, dov'era
scolpito in marmo il carretto, tirato da due leoni aggiogati, con
suvvi lo scudo listato a fascie diagonali d'argento in campo rosso.
Per la prima volta, guardando quella insegna de' suoi signori,
l'occhiata fu torva. Egli per fermo non se ne addiede, non n'ebbe
coscienza; ma fu torva la sua guardatura, piena di stizza, se non
forse di mal talento e di rabbia.
Ah! diceva quell'occhiata; sposa Nicolosina ad un altro! Era forse
quella la ricompensa che egli si riprometteva de' suoi fedeli servigi?
Non già che l'attendesse; non già che l'avesse per suo certo diritto!
Ma egli, adolescente, quasi fanciullo, era venuto alla corte del
Finaro, come donzello del marchese Galeotto, e da lui tenuto in conto
di figlio. Vassalli erano i Pico, ma pur sempre i primi di Bardineto;
questo sentivano di sè medesimi, e l'onesta alterezza del casato erasi
accresciuta nell'animo del giovinetto, per quel suo lungo vivere in
corte, dimestico ai grandi, per modo da parergli non pure di essere
uno dei loro, ma di non essere stato mai altro. E un bel giorno i
vincoli della consuetudine s'erano ristretti anche più, per aver egli
campato il marchese dalle mani dei genovesi, che in uno scontro di
pochi anni addietro già l'avean posto a mal partito, sui monti alle
spalle di Albenga.
E al suo ritorno in corte, che era egli mai avvenuto? Lui audacissimo
tra i migliori del Finaro, lui salvator suo e primo sostegno della sua
casa, celebrava il marchese; però, tra le lodi e i plausi universali,
madonna Bannina, la virtuosa castellana, o la sua lieta figliuolanza,
gli aveano fatto gran festa. Nicolosina, l'ultima nata, ricciutella
innocente, gli si era sospesa al collo e gli aveva coperto di baci il
volto abbronzato dal sole dei campi. Bambinesco era l'atto, e naturale
in quel punto; pure l'aveva commosso più che ogni altra dimostrazione
d'affetto e di gratitudine de' suoi signori più innoltrati negli anni.
Nè quelle infantili carezze erano state le sole. Da quel dì, la bionda
fanciullina non ebbe amico più caro del suo Giacomo; lui aspettava
ansiosa; lui sgridava, se tardo a giungere per aver parte a' suoi
giuochi; lui abbracciava; a lui scompigliava con vezzo fanciullesco le
chiome, più che non avessero fatto le aure dell'Appennino; e i parenti
a ridere, a compiacersi di quelle tenerezze, in cui non pure vedevano,
ma eziandio caldeggiavano una testimonianza del loro animo grato e del
loro affetto paterno per lui.
Senonchè, un giorno (e' doveva pur giungere!) la fanciulla non gli era
più corsa incontro come soleva; non gli si era gettata al collo, non
lo aveva più baciato; nemmanco gli aveva profferta con soave atto la
fronte, come usava co' suoi genitori. Lo aveva in quella vece accolto
con una certa gravità impacciata, che la faceva due cotanti più bella;
lo aveva salutato con un «buon dì, messer Giacomo» profferito a mezza
voce, ed aveva arrossito dal sommo della fronte fino alla radice del
collo.
Ed egli si era inchinato, come solea fare colla madre di lei; nè aveva
trovato cosa a ridire intorno alla novità delle sue accoglienze; ma
quel riguardoso saluto e quel rossore, che tradiva i casti segreti
della pubertà nascente, gli avevano recato arcane commozioni nel
sangue, dischiuso un mondo ignoto allo spirito.
Da quel giorno aveva pensato; più del bisognevole e del ragionevole
aveva pensato al nuovo aspetto di quella fanciulla, de' cui baci
infantili erano calde tuttavia le sue guance. E una gran sete di quei
baci improvvisamente cessati gli riardeva le labbra. Ma non erano più
i baci della fanciulla, non erano più i casti baci fraterni, che egli
ripensava in quel punto.
Da quel giorno si fece più grave; da quel giorno il suo volto, gli
atti, i pensieri, i modi del suo vivere, assunsero quel non so che di
bizzarro e di fantastico, donde la gente volgare toglieva indizio di
alterigia, non dicevole punto al suo umile stato di vassallo. Presso i
famigliari del marchese dicevasi in quella vece che la guerra avea
fatto del giovine un uomo, del donzello un capitano. Ed uomo e
capitano, messer Giacomo Pico era più bambino che mai. Del suo futuro
non aveva un concetto, un proponimento formato; viveva alla giornata;
lieto quando gli fosse dato vedere il suo conforto, triste ed uggioso
quando ne fosse lontano.
La corte dei marchesi del Finaro aveva nelle sue consuetudini alcun
che della vita patriarcale. Però, in quella beata intrinsichezza della
famiglia, le occasioni di vedere Nicolosina e di starle accanto eran
molte e frequenti. Per altro, erano anche in buon dato le occasioni di
lontananza. Il marchese Galeotto, pari in cotesto a tutti gli animi
grandi, quando aveva messo l'amor suo in alcune, non conosceva misura.
E grato al Bardineto della conservata libertà, fors'anco della vita,
in lui aveva riposto ogni sua fede, con lui si consigliava in ogni più
grave bisogna, lui, come suo messo fidato, o come un altro sè stesso,
mandava di sovente d'una in altra villata a recarvi i suoi ordini, a
chieder ragguaglio d'ogni novità che occorresse. Conosciuto dovunque
come il più caro amico del marchese, messer Giacomino (così
dimesticamente lo chiamavano i terrazzani) era ossequiato ed obbedito
da tutti.
Così viveva il Bardineto, senza por mente al domani. Amava, senza
proporsi una meta, senza sperar nulla di certo; amava, ecco tutto, e
fidava alle onde tranquille il fragile schifo della sua giovanile
fortuna. Però, quando Giano Fregoso, fattosi pur dianzi signore e doge
di Genova, ebbe mandato Bartolomeo Cecere a dimandar la mano di
Nicolosina, per la prima volta il povero Bardineto tremò, sentì come
una mano di ferro che gli agguantasse il cuore. E non cessò lo spasimo
suo, fino a tanto non ebbe udite dal labbro del marchese queste
consolanti parole:
--«A Giano, prestantissimo uomo, rendo, o messere, le grazie che per
me si posson maggiori, che in ciò liberale si mostra ed amicissimo
mio. Senonchè, la figliuola mia è troppo giovine per andarne a marito,
e in cosiffatti negozi occorre maturità di consiglio. Ben so a qual
patto vecchi nemici possano raccostarsi; però consentite, messere, che
di cotesto io m'abbia a dare più lunga e meditata risposta in
iscritto».
Così era bellamente pagato il Fregoso. Ma egli, inteso l'animo
dell'avversario, tosto aveva adunato il Consiglio e messo mano a più
saldi argomenti. E poco dopo l'ambasciata del Cecere, andavano alla
corte di Galeotto, oratori non più di Giano Fregoso, privato
cittadino, bensì del Doge e del Consiglio, un Giacomo di Leone e un
Galeazzo Pinello.
--«Marchese Galeotto,--avean detto costoro,--i Genovesi, quanto è in
poter loro, detestano le inimicizie e meglio in pace coi vicini amano
vivere, che in guerra. Esortano te a volere il medesimo, e a mostrarne
il desiderio, ritenendo ciò che è tuo, restituendo l'altrui. Possiedi
Castelfranco, già da essi murato e ad essi appartenente quasi per gius
di dominio. Sai una terza parte del Finaro doversi ai Genovesi, e come
soggetta e come venduta. Sai esser Giustenice loro dominio del pari.
Tutto ciò, dunque, ripetono essi da te, e ti pregano ad amar meglio di
concederlo pacificamente, anzichè di doverlo rendere per forza di
guerra. Inoltre, sarebbe fuori dalle consuetudini d'amicizia e di pace
che presso te rimanesse ospite più a lungo messer Barnaba Adorno, già
doge, oggi nimico della Repubblica. A te il vedere che cosa ti
convenga di fare; se mandarlo a Genova, o voler guerra da lei».
Vivaddio, era questo un alzar la visiera, e di nozze non si facea più
discorso. Giacomo Pico aveva dato un respiro di consolazione. Non era
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