Castel Gavone: Storia del secolo XV - 14

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la vita, non avesse anche risicato di non portare più niente
all'orecchio degli assediati. Ci voleva dunque giudizio ed audacia,
audacia e giudizio, due cose che tra gli uomini, come tra i popoli,
sogliono andare così poco d'accordo.
Il Maso ci si provò. Quello che l'esperienza il più delle volte non
dà, lo aspettava egli dalla fortuna. Era giovine, e la fortuna li ama,
questi benedetti giovani. Suvvia, dunque; il Maso si tolse di dietro
al carro, non senza aver dato una prudente sbirciata per mezzo alle
ruote, e con passo leggiero, ma in apparenza sbadato, colle mani in
tasca e gli occhi in guardia, andò incontro al pericolo.
Mai volpe vecchia s'accostò più guardinga al pollaio insidiato, di
quello che il ragazzo dall'Altino a quella baracca di legno, in cui si
patteggiavano le sorti del suo luogo natale. Egli voleva esser pronto
ad apparire in atto di chi torni da una passeggiata, e per moto di
prudenza istintiva tenea corrugate le labbra e dondolava la testa per
zufolare in cadenza; ma il fiato lo chiudeva per bene tra i denti,
poichè, se gli venia fatto, voleva udire, non essere udito.
Così infatti gli avvenne. Non ho detto che la fortuna ama i giovani?
Anselmo Campora data la sua scorsa nei pressi della capanna, aveva
bandito per allora ogni sospetto e la conversazione proseguiva più
calda che mai.
--Già,--diceva il Sangonetto, quando il Maso riuscì a metter
l'orecchio da un altro lato del tramezzo,--la condizione sarebbe di
ucciderlo. Egli non consentirà a questi patti, se non gli si leva
d'innanzi quel terzo incomodo.
--Ucciderlo!--notò il Maso tra sè,--Diavolo! Chi sarà costui che si
condanna in tal modo, senza fargli il processo?--
Intanto il Picchiasodo rispondeva.
--Ah, quanto a ciò, non lo sperate, Messer Pietro è un gentil
cavaliere e non vi accetterà mai un tal patto.
--Manco male!--ripigliò il Maso, sempre tra sè,--Chiunque sia l'uomo
che si vuol morto, questo messer Pietro Fregoso incomincia a piacermi.

--Non lo accetterà;--proseguiva il Picchiasodo.--Tanto e tanto si
verrà a capo della vostra resistenza, o, per dir meglio, della
resistenza del marchese. Ci ho il mio disegno anch'io e messer Pietro
lo approva. Il vostro è più spicciativo, non nego; ma abbiatelo per
fermo, io conosco il capitano generale come il fondo delle mie tasche;
egli non vi venderà in compenso la vita di nessuno.
--Ma...--si provò a dire il Sangonetto.
--Ma infine, o non siete buoni voi altri, a far le vostre vendette?
Voi pratici dei luoghi; voi più al caso d'ogni altro di cavar profitto
da un'ora di trambusto; noi non ci avremo nulla a vedere. Del resto,
sarà buio, a quell'ora. Ma intendiamoci, non parlate di ciò a messer
Pietro; e' sarebbe capace di non volerne sapere, e allora, addio fave;
piuttosto, si potrebbe domandare un duello, e messer Pietro, che ama
questi combattimenti come un tordo la ginepra, ve lo consentirebbe
senza fallo. Proponete questo; è il partito migliore.
--Lo proporrò;--disse il Sangonetto, chinando il capo in atto di
assenso.
--Andiamo dunque;--soggiunse il Campora,--Messer Pietro sentirà e
risolverà secondo il suo savio consiglio. C'intenderemo, non dubitate;
io l'ho tanto per negozio conchiuso, che piglio per via un mio vecchio
compare, Giovanni di Trezzo, il più arrischiato capitano di tutto
l'esercito, a cui simili imprese vanno a sangue, come ai tordi... Ah
scusate, il paragone l'ho adoperato poc'anzi; dirò invece: come ad
Anselmo Campora il vostro vino di Calice.--
Il Maso non volle saperne altro, e mentre i due si alzavano da sedere,
corse difilato, come già avea fatto una volta, ad appiattarsi dietro
il suo carro.
E là, fingendo di dormir della grossa, il povero Maso s'immerse nelle
più profonde meditazioni intorno al modo di uscire di mano ai nemici e
di avvisare il Borgo del tradimento ordito a suo danno.
Ma questa gretola era più difficile a trovare che non sembrasse a
tutta prima. Osservare la forma dello steccato, le consuetudini delle
scolte, e quelle del Campora, trar profitto delle occasioni, avere un
occhio al cane e l'altro alla macchia; queste erano tutte cose
bellissime, che il Maso si disponeva a fare, ma colle quali non cavò
quel giorno, nè il giorno seguente, un ragno da un buco.
Bene andava egli mattina e sera col paggio del Picchiasodo ad attinger
acqua in un pozzo, che era in una certa forra a tramontana, poco lunge
dello steccato. Ma egli lavorava, e il paggio colla balestra stava a
fargli la guardia, come fa l'aguzzino alla ciurma. Anselmo Campora,
che non lo aveva veduto nella occasione del suo colloquio col
Sangonetto, saputo com'egli fosse andato da solo a pisolare in un
canto, aveva sgridato il paggio, ordinando che d'allora in poi non lo
perdesse più d'occhio. Ospite sì, ma prigioniero, e certi riguardi non
si dovevano smettere. Così fu tenuto alla lunga il falconetto
dell'Altino; ed ebbe un bel beccarsi i geti e dar l'anima al diavolo;
la sua inquietudine non gli fruttò che una vigilanza più stretta.
Il Sangonetto dopo essere andato dal capitano generale, non si era più
visto nella baracca del Campora. Certo era rimasto in custodia della
compagnia che lo aveva fatto prigione. Ma il terzo giorno ci fu gran
novità nel campo, per dare un altro grattacapo al nostro povero Maso.
Una scorribanda di cavalieri menava prigione entro il battifolle
messer Giacomo Pico.
Pallido in volto come un cencio lavato, gli occhi stravolti e i
capegli più rabbuffati del solito, messer Giacomo Pico avea l'aria
d'un uomo a cui grandemente cuocesse di quella umiliazione, assai
comune del resto agli uomini di guerra, la cui sorte è pur troppo di
dare e di ricevere.
--O come è egli possibile che costui sia un traditore?-- dimandò a sè
stesso il Maso, vedendolo a passare, colla fronte china e livida di
vergogna e di rabbia, in mezzo a un drappello di nemici.--Egli mi
sembra un cavallo generoso che morde il freno e sbuffa e si ribella
allo sprone.--
Intanto, si spargeva tra i crocchi la voce che il Bardineto, il
braccio destro del marchese Galeotto, era stato preso, mentre, con un
pugno di arditi cavalieri, tentava di attraversare la cerchia degli
assediati, per riuscire sulla via di San Giacomo. L'imboscata in cui
egli doveva cadere, era comandata da Giovanni di Trezzo.
Questo nome risvegliò i sospetti del Maso.
Giovanni di Trezzo! Ma questi era l'amico del Campora; l'uomo che egli
volea condurre dal Fregoso, due giorni addietro, come capitano
d'audacissime imprese, dopo la conversazione avuta col Sangonetto. E
poi, che volea dire questa sequenza di prigionieri? Prima il
Sangonetto; indi il Pico. Questa di certo non era l'opera del caso,
bensì la conseguenza d'un patto fermato tra loro; che anzi, o non
poteva il capitano generale, prima di pigliare per evangelio le parole
del Sangonetto, aver voluto alla sua presenza il più ragguardevole tra
tutti i congiurati?
Ma come? Il Sangonetto avea dunque potuto da lunge comunicare coi
sozi? mandare un messaggio al Borgo, anzi a castel Gavone, dove
abitava il Bardineto?
E a lui, Maso, non sarebbe riuscito di fare altrettanto? di fuggire
dal campo genovese e portare in tempo un salutare avviso al castello?
Quel pensiero s'impadronì di lui, mentre, con una bigoncia in bilico
sulla cervice, se n'andava per acqua al pozzo, accompagnato dal paggio
aguzzino. Avviandosi per quella forra, che, come ho detto, era poco
lunge dello steccato, il Maso guardava con desiderio infinito le
sovrastanti colline, di cui conosceva, meglio delle capre, ogni
sentieruolo, ogni ciglione, ogni solco. Quante volte non le aveva egli
corse e ricorse da bambino, per cogliervi le viole mammole, o per
tagliarsi un arco ne' pieghevoli rami dei frassini! E adesso, che
brutto divario! Una bigoncia sul capo e una balestra minacciosa alle
spalle.
Fattosi, alla bocca del pozzo, cavò di dentro alla bigoncia una
secchia e cominciò ad attingere, secondo il costume di tutti i dì. Ma
il povero Maso doveva quel giorno esser molto distratto, poichè, alla
terza calata, gli scivolò di mano la corda, e tuffete, secchia e corda
piombarono nell'acqua.
Il Maso, disperato, si messe le mani nei capegli, guardando con occhi
lagrimosi ora nel pozzo, ora in volto al custode.
--Lasagnone!--gridò costui, a mala pena si accorse dal guaio.
--Scusate, Falamonica, non l'ho fatto a posta;-- disse il Maso
umilmente.
--Eh, non ci mancherebbe altro che tu l'avessi fatto a posta!--replicò
il Falamonica, che così avea nome il paggio.--Va là, buono a nulla;
per colpa tua si perderà un'ora di tempo, e le ripassate toccheranno a
me.--
Frattanto si accostava al murello e guardava a sua volta nel pozzo.
--Ah, manco male!--soggiunse.--La secchia non ha bevuto e galleggia.
Ora dimmi, bertuccione; come faresti tu a cavarla dell'acqua?
--To'! disse il Maso.--La bocca del pozzo non è troppo larga; mi calo
dentro, aiutandomi colle mani e coi piedi...
--E dai un tuffo anche tu, babuasso!--interruppe il Falamonica.--Il
guaio non sarebbe dei grossi, per verità; ma tu potresti,
nell'affogare, mandarmi al fondo la secchia. Per fortuna, il mio
diavolo la sa più lunga del tuo. Stammi a vedere ed impara.--
Così dicendo, il Falamonica trasse di tasca la corda di ricambio della
sua balestra; l'annodò con quell'altra, che aveva avuto cura di
spiccare dai due capi del suo strumento di guerra, e v'adattò in fondo
il crocco, che era il gancio del martinello con cui si caricavano le
balestre, e serviva a tender la corda fino a quel punto del fusto, o
teniere, che dir si voglia, dove s'incoccava la freccia.
Il pozzo non era molto profondo, e il Falamonica, così ad occhio,
aveva misurato lo spazio che gli bisognava percorrere con quella
ságola posticcia. Le due corde annodate bastavano, solo che egli si
curvasse un pochino sull'orlo del pozzo, per calare il crocco fin
sotto l'anello della secchia, che si dondolava beatamente sul pelo
dell'acqua.
--Ripesco io?--disse il Maso, offrendosi a quella fatica.
--Sì, per gittarmi anche il crocco nel pozzo! Tirati in là, scimunito,
e tienmi piuttosto la balestra, ella non mi si sciupi nel fango.
--Dite bene, Falamonica; sono uno scimunito;-- borbottò il Maso,
crollando il capo e tirandosi col sommo delle dita un sentore, anzi
una voglia, di baffi.--Sono uno scimunito,--aggiunse poscia in cuor
suo,--se non cavo i piedi di qua.--
Il Falamonica intanto a calar la sua fune. Tutto andò com'egli aveva
immaginato. Il crocco dondolava, faceva le giravolte a due o tre
spanne dalla secchia. Bisognava dunque spenzolarsi sull'orlo del pozzo
e allungare il braccio, perchè il gancio arrivasse; pel resto, non si
trattava che di cogliere il punto buono e infilare il dente
nell'anello insidiato.
Il Maso guardava, e guardando pensava.
--Faccio, o non faccio?--chiese egli perplesso a sè medesimo.
La tentazione c'era; l'occhiata sospettosa in giro l'aveva già data, e
si vedeva solo nella forra, solo col suo aguzzino, il cui capo spariva
dietro le spalle, incurvate sulla bocca del pozzo.
--Animo, a te, lanternone senza moccolo!--disse il Falamonica,
sporgendo un braccio dietro di sè.--Dammi una mano, che son per
toccare.--
Il Maso alzò gli occhi al cielo, donde si fanno venire le cattive
ispirazioni, come le buone.
--Eccomi qua! diss'egli di rimando.
E poste le palme contro le reni al nemico, gli dette un spianta
gagliarda, che lo fe' andare a capo fitto nel pozzo.
--Tocca ora la secchia!--soggiunse.--Io tocco il cavallo.--
E lo toccò daddovero e lo fe' parere l'ippogrifo di Ruggero,
quantunque e' non foss'altro che il modesto cavalluccio di san
Francesco. Avea l'ali alle piante; saliva su per la collina, veloce
come un ramarro, e non c'era pericolo che si voltasse indietro, per
dare uno sguardo allo steccato di Pertica, e un saluto a quella
baracca, nella quale aveva mangiato e bevuto per quattro.
--Gratitudine di ventre satollo!--doveva dire il Picchiasodo, più
tardi.


CAPITOLO XIII.
Del giro che fece un segreto prima di uscire ad utile di qualcheduno.

L'ho detto; il Maso correva, volava come il dio Mercurio portalettere,
o come Iride, messaggiera d'Olimpo. Se egli pare soverchio ardimento
rassomigliarlo agli Dei, fo un passo indietro e lo imbranco tra gli
eroi, rassomigliandolo ad Ettore, quando scappò davanti all'ira di
Achille e prese più volte a tondo la misura di Troia. E se neppur
questo vi torna, lo paragonerò... Ma, Dio buono, che grattacapi mi
piglio? e che bisogno c'è egli di paragonarlo a qualcuno? Scappava, e
basta.
Così dandola a gambe, giunse alle viste dell'erta su cui torreggiava
il castello. Per altro, n'era ancora lontano un bel tratto, e gli
bisognava passare sotto il tiro dello beltresche, e delle bicocche,
guardiole di legno, rizzate su pali, donde le scolte avanzate
velettavano il nemico.
Il suo apparire sull'erta fu prontamente notato, e un verettone,
scagliato da mano maestra venne a fischiargli all'orecchio. Se in quel
punto e' non avesse dovuto cansarsi da un sasso che attraversava il
sentiero e perciò non si fosse tirato da banda, povero Maso! il suo
segreto era morto con lui.
--Canchero!--esclamò egli, fermandosi tosto e guardando la beltresca
più vicina, donde gli era venuto l'avviso.
E siccome la sua esclamazione ionadattica non gli sarebbe servita a
nulla col soldato in vedetta, che probabilmente incoccava un secondo
verrettone, il nostro Maso si affrettò ad alzar le mani e a
raccomandarsi coi gesti, gridando con quanto fiato aveva in
corpo:--San Giorgio e Carretto! Carretto e San Giorgio! Ohè, Finarino,
così ricevi gli amici?--
Il soldato lo udì, e per fermo lo riconobbe eziandio, poichè fu
sollecito a scendere la sua scaletta a piuoli.
Intanto il Maso si avvicinava di buon passo alla beltresca.
--Amici, perdio!--seguitava a gridare.--Sono il paggio di messer
Antonello da Montefalco, scampato or ora dalle ugne dei genovesi.
--Sì, ti ho riconosciuto, buona lana! Vien qua e ringrazia il cielo
che la mia mano non ha più venticinque anni.
--Ah, siete voi, mastro Bernardo? Vedete un po' il tiro che avete
risicato di fare! La m'è passata a una spanna dall'orecchio. Altro che
venticinque anni! Per fortuna io m'ero gittato da una banda; se no,
addio roba mia!
--Ma sì, ma sì, la mano mi serve ancora;--disse mastro Bernardo
ridendo,--Credevo di averti fallato per colpa mia, e tu mi consoli,
adesso. Vien qua, abbraccia il tuo vecchio principale, e raccontami,
come hai potuto cavartela dalle granfie di quei figli di cani?
--Eh, potaste chiamarli cani addirittura, senza tanti rigiri!--notò il
Maso, che voleva sempre dire la sua.--Tanto, non ci sentono, e
l'ultimo di loro, con cui ho avuto a discorrere è troppo occupato a
ber vino celeste.--
Qui il Maso, più brevemente che gli venne fatto, raccontò al suo
vecchio principale il perchè e il percome della sua fuga dal
battifolle di Pertica, cercando di ricordarsi tutte le frasi, chiare
ed oscure, del Sangonetto, nel suo segreto abboccamento col Campora.
Allorquando udì della caduta di Giacomo Pico in balìa de' nemici,
mastro Bernardo, che la vedeva in cotesto come il suo antico ragazzo
d'osteria, perdette proprio il lume degli occhi.
--Ah, l'avrei giurato!--gridò, serrando rabbiosamente le pugna.--Io
l'ho conosciuto da bel principio, quel villano rifatto! Serpicina
riscaldata, per amor di Dio, in seno ai nostri signori! Ed ecco ora
com'ei li rimerita!
--Oh, per questo, non dubitate;--disse il Maso a lui di rimando.--E
potrebbe darsi ancora che il Bardineto avesse fatto male i suoi conti.
Io me ne vo difilato da messere Antonello e gli spiffero ogni cosa.
Mastro Bernardo rimase un tratto sovra pensiero.
--No, no,--rispose egli poscia,--non lo fare! Chi è, dopo tutto,
questo messere Antonello? Un buon capitano, dicono; ma che altre
imprese ha egli fatto finora? Un giorno, te ne ricordi? se non ci
mettevano mano le nostre donne, e' si faceva pigliar prigioniero
insieme col cugino del nostro marchese, col magnifico Spinetta del
Carretto. Quell'uomo non mi quadra, affediddio, non mi quadra! Viene
dall'esercito genovese, ch'egli ha abbandonato per una differenza di
pochi fiorini; e chi ti dice ora?... No, no, ragazzo mio; fidarsi è
bene e non fidarsi è meglio. Già, vedi, se qui tradiscono i finarini,
saranno più saldi i forastieri?
--Ma... e come fareste voi?--disse il Maso perplesso.
--Io? Me ne andrei diritto diritto a parlare col marchese. Capisco, tu
non ci hai dimestichezza. Ma a questo c'è rimedio; ci vado io. Anzi,
vedi, ci corro. To' la balestra; piglia il mio posto alla vedetta; in
due salti son là, e se occorrono altri ragguagli, il marchese ti farà
chiamare.--
Il Maso fu scavalcato, così, alla sprovvista, e non s'addiede del tiro
che allorquando fu in terra. Borbottò un poco, sicuramente, poichè
l'atto gli parve mancino; ma in fondo in fondo, non si poteva negare
che nei sospetti di mastro Bernardo ci fosse una parte di vero, e si
chetò, da quel ragazzo dabbene ch'egli era. Al postutto, i suoi
sopraccapi per quel giorno li aveva avuti, e mentre egli ci guadagnava
un'ora di riposo, il suo vecchio principale, andando al castello, non
poteva mica tacere la fonte delle sue preziose notizie.
Perciò non disse altro, e, presa l'arma dalle mani di mastro Bernardo,
e datogli senza troppo corruccio il buon giorno, s'inerpicò sulla
beltresca.
Mastro Bernardo, dal canto suo, grave nel portamento come ogni uomo
che ci abbia le grandi cose in testa, s'avviò verso il castello.
Vi giunse, distribuendo in giro un saluto di protezione alle scolte, e
commise la sua gravità sul ponte levatoio che cavalcava il fosso, in
cospetto di due barbacani, muniti di feritoie, che proteggevano la
porta, sfondata nel muro di fronte, in mezzo a due delle quattro torri
che già i lettori conoscono. Varcata la soglia e l'androne, dove gli
parve che i suoi passi rimbombassero meglio di prima, entrò sotto la
saracinesca, altra porta piombante che difendeva l'ingresso del
castello, e finalmente pose il piede nelle scale, salutato da tutti i
soldati di guardia, che lo conoscevano come un vecchio camerata, ma
che dovevano (così gli bisbigliava la sua ambizione) vedere in lui un
pezzo più grosso del solito.
Se lo avessero fermato, chiedendogli dove andava, oh come ci avrebbe
avuto gusto a sfolgorarli con quattro parole: «porto gravi notizie al
marchese!» Ma nossignori, quella zotica soldatesca non capiva una
maledetta; lo vedeva passare accigliato e chiuso come una cornacchia
di campanile, e non si attendeva di dargli l'assaggio.
Privo di quella consolazione, mastro Bernardo volle procacciarsene
un'altra, andando a far pompa delle sue gravi notizie colla nipote. La
cosa era del resto naturalissima, imperocchè, senza mettere in conto i
riguardi dovuti alla Gilda, per cui intercessione aveva allogato la
sua famigliola fra i servi del castello, il nostro messaggiero pensava
di farsi introdurre dalla nipote presso il marchese Galeotto, col
quale, come v'immaginate, non ci aveva tutta quella dimestichezza che
aveva lasciato intendere al Maso.
Applaudendosi in cuor suo di quella profonda pensata, mastro Bernardo
salì prontamente le scale, e scambio di fermarsi alla gran sala, in
cui tenea corte e riceveva i suoi visitatori il marchese, proseguì
fino al piano superiore, dove, poco lunge dalle stanze di madonna
Nicolosina, era la cameretta della Gilda.
La bella nipote di mastra Bernardo appariva grandemente mutata da
quella vispa e rosea fanciulla che i lettori hanno conosciuta nei
primi capitoli di questo racconto. Una pallidezza estrema regnava su
quel volto, i cui grati contorni s'erano fatti più severi e ricisi,
come di statua; gli occhi scintillavano di luce più viva sotto l'arco
delle ciglia, ma si vedevano altresì più infossati nelle orbite, se
non per avventura dal piangere, certo da un'assidua cura che fosse
venuta struggendo quella sua giovinezza beata. Era bella sempre; forse
più di prima, per molti; ma non più come prima, e s'indovinava al solo
vederla che il dolore era passato sul fronte della povera Gilda. Così
l'ostro nemico, scaldato sulle arene dei deserti africani, brucia i
teneri germogli delle piante, alidisce le splendide corolle dei fiori.
Quali fossero da parecchio tempo i pensieri di Gilda, il savio lettore
ha già inteso. Si aggiunga a tante cagioni di tristezza, che ella
aveva avuto pur dianzi la nuova della prigionia di Giacomo Pico.
--Anche tu,--le disse mastro Bernardo, vedendola in quello
stato,--anche tu, mia povera ragazza, ti struggi di questi malanni che
sono piombati su casa nostra? Brutti giorni, figliuola! E anch'io
dovevo vederli a conforto della vecchiaia!
--Che farci, buon zio? Ci vorrà pazienza. Iddio è misericordioso, e
quando avremo patito abbastanza...
--Eh, mi pare che il tempo sarebbe venuto! Ma via, non mormoriamo;
forse son io l'umile strumento di cui la Provvidenza si serve per
metter fine alle sue prove.--
La Gilda guardò meravigliata suo zio, per sincerarsi a' suoi atti se
parlasse da senno, o non avesse per avventura dato il cervello a
pigione. L'aria d'importanza ond'era impresso il volto di mastro
Bernardo, faceva somigliare il bravo ostiere soldato ad uno del suoi
tacchini, ingrassati pel Natale, quando gli faceano la ruota sull'aia.
--Sai?--proseguì mastro Bernardo, rispondendo ad una domanda che Gilda
gli avea fatta cogli occhi.--C'è del nuovo. Notizie gravi! Non
tremare. Uomo avvisato, mezzo salvato; ed io vengo a salvare il
magnifico signor marchese. Ho pensato di parlarne prima con te, perchè
sei una buona figliuola ed hai fatto del bene alla mia Rosa, tua
povera zia, e a quattro ragazzi, che la guerra fa rimanere senza
l'aiuto del padre.
--Ho fatto il debito mio;--disse brevemente la Gilda.--Ma parlate, per
carità; che c'è egli di così grave, e qual è questo avviso di salvezza
che portate al castello?
--Chetati, e te le dico in poche parole. Bada; ti parrà strano, come
lo parrà al nostro magnifico signore. E se non fosse ch'io l'ho di
buon luogo... Ma via, non vo' tenerti sulla corda. Il Pico tradisce;
il Sangonetto tradisce; tutti tradiscono qui.
--Che dite voi mai?--gridò la Gilda, non badando che al nome del
Bardineto.--Giacomo?... Giacomo Pico un traditore? Ma lo pensate voi?
E potete voi aggiustar fede a chi gli vuol male? No, non può essere
altrimenti;--soggiunse ella, notando un atto di diniego dello
zio;--solo un nemico suo ha potuto calunniarlo in tal guisa. Ma dite,
ditelo voi, come potrebb'essere un traditore l'uomo che appunto
stamane, combattendo da valoroso, è stato colto in una imboscata dai
genovesi?
--Sì, si, l'imboscata!--ripetè mastro Bernardo scrollando il capo e
battendo le labbra.--Parliamone, dell'imboscata! Anche il Sangonetto,
il suo grande amico, è prigioniero dei genovesi da tre giorni, ed io
ne so quanto occorre, della loro prigionia.--
Qui, stretto, incalzato dalle domande di sua nipote, mastro Bernardo,
che non domandava altro, si fece a raccontarle tutto, per filo e per
segno, quello che aveva risaputo dal Maso; come il Sangonetto, datosi
spontaneamente prigione al battifolle di Pertica, si fosse abboccato
col Campora, proponendogli un colpo che dovea porre il Finaro in balìa
degli assediati; come dapprima il Campora e poscia il capitano
generale dell'esercito genovese volessero assicurarsi della sincerità
dell'offerta avendo prigioniero anche il capo della congiura; come
difatti il Pico cadesse due giorni dopo in una imboscata, a cui era
andato incontro con pochissimi uomini, certo per levarsi ogni obbligo
di resistenza; come tra i patti richiesti dal Pico ci fosse la morte
di un tale, di cui non s'era potuto intendere il nome, e il capitano
generale non avesse voluto saperne, proponendo in quella vece che il
Pico se ne potesse spacciare con un duello, dopo la presa della terra
assediata. Ora qual colpo si meditasse, e qual fosse il nemico di cui
si patteggiava l'uccisione, bisognava cercare; quanto al disegno e ai
patti fermati e alla imminenza del pericolo, non ci cascava più
dubbio.
A cosiffatte notule, che lasciamo immaginare ai lettori come le
tornassero dolorose, la Gilda non seppe più che rispondere. I commenti
che v'aggiungeva lo zio, commenti crudeli che le andavano come tante
pugnalate al cuore, rischiaravano a' suoi occhi un triste vero che da
lunga pezza ella sospettava, e che, paurosa o magnanima, non aveva
voluto vedere, accagionando del dubbio la sua gelosia irrequieta.
Giacomo Pico aveva sguainato la spada contro il Fregoso, credendo di
averla a dire col conte di Osasco. Il fatto e l'errore erano ricordati
in buon punto da mastro Bernardo. Il marito di Nicolosina del Carretto
era dunque il nemico di cui si chiedeva la morte. E la rabbia contro
un fortunato rivale, e il rancore contro una superba che lo avea
dispregiato, erano dunque le cagioni del tradimento di Giacomo?
Questo pensava la Gilda, e lo sdegno le traluceva dagli occhi, le
usciva in rotte parole dal labbro. Mastro Bernardo, che pure l'aveva a
morte col Bardineto, non intendeva perchè la sua cara nipote ci si
riscaldasse poi tanto.
--Orvia, chètati, figliuola; non mi far pentire di averti detto ogni
cosa. Sono un chiacchierone; ma già, chi l'ha nell'ossa, lo porta alla
fossa. Avrei dovuto andarmene difilato dal magnifico nostro marchese,
ed eccomi invece a dar molestia a te, che poverina, non ci hai nulla a
vedere.
--No, no, zio! avete fatto benissimo;--gridò la Gilda sollecita.--Dal
padrone ci vado io. Sapete? egli è quest'oggi di pessimo umore, e
potrebbe farvi una brutta accoglienza.
--Dici da senno?--chiese mastro Bernardo, con piglio scontento.--Mi
pare che chi porta notizie utili....
--Ma cattive come queste!--interruppe la Gilda.--Credete a me, zio, vi
accoglie male; non andate. Io sono di casa e con me non c'è pericolo
che si metta in collera.
--Ma io...--si provò a dire mastro Bernardo, sperando di rimettersi in
sella,--io posso dir cose che una donna, una ragazza senza esperienza,
non potrà mai mettere in chiaro come si bisogna. Io poi ci ho le
notizie di prima mano e tu...
--Mi fate pensare ad un altro pericolo;--interruppe la nipote.--Che
dirà dei fatti vostri il marchese, quando gli porterete voi le notizie
date da un altro? Il Maso le ha in prima mano, non voi. E se il
marchese vi chiedesse perchè non avete lasciato andare da lui il Maso
in persona, che cosa potreste rispondergli?
--Ma....--balbettò il povero ostiere.--Lì per lì non saprei.... Ci
penserò.
--No, bisognerebbe averci pensato. Vedrò io, farò io. Voi farete una
cosa più utile, di cui vi si darà lode e ricompensa domani.
--Che cosa? Parla, dilla su, poichè vuoi fare a tuo modo;--soggiunse
rassegnato lo zio.
--Ecco; stanotte, con quanti uomini potete, trovatevi sotto il
castello. Ci potrebb'essere bisogno di voi, e, mi capite? l'esserci
venuto spontaneamente vi tornerà a grandissimo onore.
--Che cosa prevedi già tu, nella tua testolina? Credi che ardiranno
salire al castello?
--Non credo niente, non prevedo niente. Venite, e basta. Domani
saprete ogni cosa.
--E sia; prenderò meco tutti gli amici che troverò. Quanti abbiamo ad
essere?
--Che so io? Venti, trenta, sessanta. Più numerosi sarete, tanto
meglio per tutti.
--Oh, per questo, se non vuoi altro, ti porto tutta la compagnia di
santa Caterina, il cui caporale è Antonio Cappa, mio buonissimo amico
e compare.
--Sta bene, venite e tenetevi pronti alla chiamata, qui sotto, nella
macchia delle roveri.
--Perchè da questa banda e non dall'altra?--domandò mastro Bernardo,
che voleva scoprir terreno.
--Perchè.... perchè.... volete saper troppo.
--Ma, non so niente, mi pare.
--Meglio per voi. Andate, buon zio, e fate com'io v'ho detto. Il
magnifico nostro signore e tutta la famiglia vi sapranno grado di
tutto, non dubitate.
--Basta, mi fido di te. Hai una certa testolina, che, sto per dire, se
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