Castel Gavone: Storia del secolo XV - 10

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tormentatrice di Francesco Petrarca, non vi è egli mai girato per la
fantasia di bisbigliarle all'orecchio: fermati, angelo, o demonio, io
ti amo?
Io, per me, tengo che questo giuoco lo abbiano in tasca un po' tutti.
Senonchè, soltanto gli sciocchi ardiscono spiattellarlo sul volto ad
una sconosciuta che passa, col pretesto che ad ogni donna torni
gradita la giaculatoria, anche buttata là, a bruciapelo, come si
direbbe un'ingiuria. Gli assennati, in quella vece, guardano e
tacciono, pensando che, se la donna è di alto grado, sarebbe offesa un
omaggio così audacemente reso, e se non lo è, parrebbe atto di poca
stima, o nessuna, trattarla diversamente da una di quelle che vanno
per la maggiore.
Tutt'altro da questi che ho detto, appariva il caso del giovine
forastiero. Egli non era per istrada, ma in casa, e, secondo tutte le
più ragionevoli apparenze, in casa di lei. Colà, una parola sola
poteva considerarsi come appiglio ad una onesta dimanda. Avesse anche
detto dell'altro, poteva soggiungere il perchè e il percome della sua
ammirazione per lei. E poi, e poi, bisognava saper le cagioni della
sua venuta al castello; bisognava intendere che dubbi gli avesse fatti
nascere in mente l'apparizione di quella divina creatura; bisognava
capire come gli fosse mestieri di chiarirli senza indugio; indi, se
proprio era il caso, dargli biasimo del suo ardimento.
Imperocchè, già s'indovina, il giovinotto si disponeva a fare qualche
cosa d'insolito. Era stato in forse, aveva titubato un istante; ma il
desiderio aveva soverchiato la ragione, e si era mosso per tener
dietro a madonna. Ella forse dal canto suo si aspettava cotesto; senza
volerlo, senza avvedersene, aveva rallentato il passo. Arcani del
cuore!
--Perdonate!--disse il giovine, inoltrandosi verso di lei.
La fanciulla si volse, cortese in atto, a guardarlo, aspettando che
proseguisse. E così fece egli, dopo un istante di pausa, mettendo
nelle sue parole tutto il dolce che seppe.
--Madonna, è audacia senza pari la mia; fo male a trattenervi in tal
guisa; ma siete così bella!--
Un amabile rossore tinse d'improvviso le guancie della giovinetta, che
fu confusa, non adontata, da quelle inaspettate parole. Tanto è vero,
dopo tutto, tanto è vero quello che dicon gli sciocchi, che certi
omaggi non tornano mai sgraditi alle donne! ma intendiamoci, purchè
non siano buttati là da uno sciocco, e con sguaiata maniera.
--Non vi offendete, vi prego;--incalzò il giovine tendendo le mani in
atto supplichevole.--Ho a chiedervi cosa che troppo mi preme, ed una
vostra umana risposta mi è necessaria. Infine.... ecco lo stato
dell'anima mia. O voi siete madonna Nicolosina del Carretto, o ch'io
sono il più sventurato degli uomini.--
Queste parole furono dette con tanto candore e insieme con tanta foga
giovanile, che ella aperse, in uno scoppio d'ilarità involontaria, le
labbra e mostrò le trentadue perle orientali, legate nel solito
corallo da quei gioiellieri bizzarri, che sono sempre stati i
romanzieri e i poeti. Rise, a farla più spiccia; e in verità, a quelle
parole, e dette a quel modo, non potea dicevolmente far altro che
ridere.
Lo scoppio, dopo tutto, fu breve, come si conveniva a costumata
fanciulla, e si tramutò in un sorriso benevolo, come portava la
gentilezza dell'indole sua, e come richiedeva quell'aria malinconica,
ond'era impresso il volto del giovane forastiero.
--Sì, diffatti.--rispose ella, chetandosi,--mi chiamo Nicolosina del
Carretto. E in che poss'io tornarvi utile, messere?
--Ah, basta, se forse non ho detto già troppo;--ripigliò il cavaliere
arrossendo.--Grazie, madonna; grazie! A me non resta che di andare da
vostro padre, dal magnifico marchese del Finaro.
--Egli non è qui, ora;--soggiunse Nicolosina;--ma poco indugierà a
ritornare. Siate il benvenuto tra noi. Nella gran sala troverete
alcuno dei gentiluomini della sua corte, che vi farà compagnia.--
Così dicendo, gli additava la porta dond'ella era uscita pur dianzi.
Ma il giovine non si muoveva. Si sarebbe detto, a vederlo, che il
pavimento sotto di lui fosse tutto una pania. Senonchè, a guardare
madonna Nicolosina o que' suoi occhi divini, si capiva subito che la
pania non era per terra e che egli non era invescato dai piedi.
Il dialogo, per altro era lì lì sulle ventitrè ore, e di certo moriva,
se non giungeva un terzo interlocutore in aiuto. Era questi il
Picchiasodo, ma da lontano, con un colpo di bombarda, che fece
tremare, nella loro intelaiatura di piombo, i vetri onde pigliava luce
la scala. Traeva egli dal poggio di Maria contro le mura e le torri
del borgo sottostante. E cinque o sei di questi saluti erano mandati
ogni giorno dal ferreo labbro della signora Ninetta.
--Triste cosa la guerra!--esclamò il forastiero, notando un atto di
sgomento che ella non aveva potuto reprimere.
--Ah sì, messere, triste cosa!--rispose la giovinetta sospirando.--Il
Finaro, pur troppo, non fa lieta accoglienza a' suoi visitatori
cortesi.
--Madonna, e perchè?--diss'egli di rimando.--Ognuno di costoro si
recherebbe a ventura di partecipare ai pericoli e ai danni di questa
nobile terra, come ho fede che presto dovrebbe partecipare al trionfo
e alle gioie del vostro gloriosissimo padre. Inoltre, perchè tacerlo?
con voi, madonna, anche assalito da tutte le armi della potente
repubblica genovese, il castel Gavone sarebbe un luogo di delizie per
esso. Vi parlo liberamente, come vogliono i casi che qui mi hanno
condotto; non ve ne adontate! Che più? posso io dirvi tutto, aprirvi
il mio cuore?--
E la guardava, così dicendo, con occhi tanto amorevoli, che la povera
Nicolosina fu sul punto di lasciarlo proseguire. Un sentimento di
verecondia la rattenne.
--No, ve ne prego, messere;--rispose ella nobilmente.--E vi dirò cosa,
a mia volta, che parrà imitata dalle vostre parole di poco
fa;--soggiunse poscia, con un certo sorriso leggiadramente
malizioso;--o voi siete il conte d'Osasco, o ch'io vi ho già troppo
ascoltato.
--Lo sono;--diss'egli, arrossendo al pari di lei in quel punto;--e
come lo avete voi indovinato?--
Ingenua domanda! E come gli uomini più accorti, messi al cospetto
d'una semplice donna, tornano spesso fanciulli! Nicolosina avrebbe
potuto rispondergli che, ottocento sessant'anni prima di lei, un'altra
donna, la bella figliuola del duca di Baviera, aveva riconosciuto
Autari, il re dei Longobardi, tra que' medesimi ambasciatori che egli
mandava a chiederla in moglie; questo argomentando dal fatto, che il
mentito messaggiero aveva osato stringerle la mano, mentre ella gli
profferiva la coppa ospitale. Chi altri, se non il suo futuro sposo,
avrebbe ardito diportarsi seco lei in quel modo?
Nicolosina non gli rispose colla storia alla mano, che a dir vero non
l'aveva presente. Per altro, come era simile il caso, doveva riuscire
simigliante il concetto.
--Chi altri,--domandò ella per contro,--chi altri, se non il conte di
Osasco m'avrebbe parlato in tal guisa? Ma dite, messere, come siete
voi qui? Non avete ricevuto la lettera che v'ha mandata mio padre?
--L'ho avuta;--rispose egli inchinandosi,--ma potevo io accettare la
libertà che il marchese Galeotto così nobilmente mi offriva! Vi avevo
chiesta, o madonna, sulla fede della vostra bellezza ed ero grato ai
vostri di avere accolto con benevolenza la domanda di tale che non è
imperatore, pur troppo, nè principe, per reputarsi degno di voi. Sono
venuto a chiedervi ancora una volta, e sono felice, dopo avervi
veduta, che il mio cuore e il mio debito di gentiluomo non si trovino
oggi a contrasto, come sarebbero stati veramente, e con grave danno
del cuore, se la divina che ho incontrato pur dianzi non fosse stata
madonna Nicolosina del Carretto. Voi sorridete? È bello ora il vostro
sorridere e mi dà argomento a sperare. Or dunque, io porto la sua
lettera al marchese vostro padre e venti lancie, che spero non gli
torneranno sgradite. Anch'io combatterò pel Finaro; non mi concederete
voi il premio della vostra mano?--
Nicolosina stette un momento sovra pensieri. Le sovvenne del colloquio
avuto poc'anzi lassù, nella torre dell'Alfiere, e una nube di
tristezza scese ad offuscarle lo spirito. Ma ella era donna di sensi
gagliardi e si riebbe tosto di quello sgomento. Dopo tutto, che
avrebbe mai osato Giacomo Pico? E non avrebbe ella saputo custodire la
sua felicità contro ogni insidia, o minaccia?
--Conte di Osasco,--diss'ella, porgendogli la sua bella mano, su cui
egli fu pronto ad imprimere il più ardente dei baci,--se mio padre
accetta la vostra generosa profferta, anche domani, nella chiesa di
san Biagio, sotto i colpi delle artiglierie nemiche.--
Ed ecco per qual modo s'aguzza lo spirito alle ragazze da marito. I
grandi casi e le forti commozioni sono la più pronta e la più efficace
delle scuole.
Il conte d'Osasco, dal canto suo, aveva ragione a reputarsi felice. E
non sapeva tutto, ancora; non sapeva, verbigrazia, d'esser giunto dopo
un altro e di averlo al primo lancio superato. Del resto si giunga
prima, o poi, l'essenziale è di giungere in tempo. E Carlo di
Cascherano, conte di Osasco, giungeva in tempo altresì per
conquistarsi il cuore di Galeotto, a cui la sua venuta, dopo la
lettera che lo liberava dalla parola data, doveva parer generosa oltre
ogni dire.
Questi, che stava allora fuor del castello, a disporre la sua gente
per l'impresa di Noli, com'ebbe udito delle venti lancie che erano
venute al borgo per la strada di Cova, pensò che fossero un nuovo
presente del re di Francia, o d'alcuno de' suoi generi, che ne aveva
parecchi, e in alto stato; tra gli altri Onorato Lascaris, signore di
Ventimiglia e di Tenda, e Alberto Pio, principe di Carpi, allora in
Torino a' servigi del duca di Savoia. E per sincerarsi della cosa,
tornò subitamente al castello, dove gli venne veduto il conte
d'Osasco, un altro genero, sul quale egli non faceva assegnamento
veruno.
L'ebbe per augurio felice, e si compiacque eziandio con paterna
allegrezza del leggiadro aspetto del giovine, la cui bell'anima si
dipingeva sul bellissimo volto.
Una gioia mite, ma profonda, regnava in tutta la corte del Finaro. I
radi ma sicuri colpi della signora Ninetta non ottennero quel dì tutta
l'attenzione che il nostro infaticabile Anselmo Campora poteva con
giusto orgoglio ripromettersi. Barnaba Adorno, cogli altri fuorusciti
del suo casato, e i signori del Carretto, tra i quali Giovanni,
fratello a Galeotto, e madonna Bannina, festeggiavano tutti il giovine
Carlo, il leggiadro cherubino di Osasco. La gran sala del castello era
piena di tutti i gentiluomini che ufficio di guerra non trattenesse
alle mura, e le nobili dame gustavano in quell'ora di geniale convegno
un fugace riflesso dei loro trionfi cessati, degli ozi antichi e delle
memori splendidezze dal castello Gavone.
A un tratto, con alto stupore di tutti, non escluso Tommaso
Sangonetto, il quale, nella sua qualità d'ambasciatore posticcio, avea
creduto di potersi imbrancare co' grandi, comparve nella sala Giacomo
Pico.
La faccia del Bardineto era scura, aggrondato il sopracciglio, il
labbro chiuso, il portamento più contegnoso che l'occasione non
dimandasse, o che a lui vassallo non fosse consentito lassù. Ma il suo
pallore, che ricordava la pugna sostenuta e facea fede d'una lunga
malattia, non lasciava por mente a cotesto, e gli occhi della nobile
comitiva si volsero a lui, schiettamente amorevoli.
Primo, il marchese Galeotto lo salutò con un grido di lieta
meraviglia, e, andatogli incontro, lo prese per mano, facendogli le
più oneste accoglienze e congratulandosi seco lui del risanamento
ottenuto. E il Bardineto ne tolse appiglio a soggiungere che troppo
oramai era egli rimasto inoperoso e più di quello che veramente gli
bisognasse; però, con licenza del marchese, avrebbe ripigliato il suo
uffizio di soldato. Sapeva della partenza disegnata alla volta di
Noli; laonde, non avea voluto lasciarsi sfuggire la buona occasione e
domandava di entrare nel numero degli eletti, che stava per condurre
il suo signore a quella impresa, così piena di rischi e di gloria.

--Ed io pure, padre mio, che tale ben posso chiamarvi;--soggiunse il
Cascherano, con impeto di onesta baldanza.--Per aver parte a' vostri
pericoli sono appunto venuto, e, sebbene giunto l'ultimo tra questi
degni e fedeli gentiluomini vostri, mi dorrebbe di non essere il primo
a seguirvi.--
Giacomo Pico, diede un'occhiata sospettosa a colui che parlava in tal
guisa, chiamando il marchese Galeotto col nome di padre. Nicolosina,
che spiava attentamente, quantunque in aria di noncuranza, ogni atto
del Bardineto, notò quell'occhiata e il cuore le diede un sobbalzo.
--Gran giorno per me!--diceva frattanto il marchese, a cui splendevano
d'inusata luce i grandi occhi azzurri, che dovevano andar famosi nella
storia del suo tempo.--Giacomo Pico, il nostro valoroso compagno
d'armi, torna oggi a brandire la spada, e il conte di Osasco viene a
chiedermi la sua parte, non pure nelle allegrezze, ma altresì nei
pericoli della mia casa. Sì, Giacomo, tu verrai con me a questa
impresa, in cui la tua avvedutezza e il tuo braccio non saranno
soverchi. A voi, conte e figliuol mio, presento Giacomo Pico di
Bardineto, il più fedele dei miei servitori.--
Il sospetto di Giacomo si mutava per quelle parole in certezza. Per
altro, non fu molto sorpreso da quella improvvisa venuta. Respinto da
Nicolosina, tutto doveva egli aspettarsi, e niente aveva a recargli
stupore. Infine, e non era meglio così? In un giorno solo aveva udito
la sua sentenza da lei e veduto il suo fortunato rivale. Tristi cose
ambedue; ma almeno, ogni vana speranza andava in dileguo; ogni dubbio
svaniva. Soltanto chi vede intiero il suo danno può degnamente
provvedere a' suoi casi. E Giacomo Pico avea provveduto.
Carlo di Osasco fece un passo verso di lui e gli sporse amichevolmente
la mano. Giacomo fremeva un pochino e forse sarebbe rimasto freddo,
rispondendo al cortese invito con un mezzo inchino che non dicesse
nulla. Ma proprio in quel punto gli venne veduta madonna Nicolosina,
tranquilla in apparenza o noncurante di lui. Se l'avesse veduta in
atto supplichevole, chi sa? Il cuore umano è così bizzarro nei suoi
moti, che egli forse avrebbe vacillato ne' fieri propositi. Quella
apparente freddezza, quella inflessibilità marmorea della donna a cui
s'era umiliato poche ore prima nell'espansione dell'affetto e della
preghiera, lo raffermarono ne' suoi biechi disegni. E si avanzò allora
verso il conte d'Osasco, gli prese la mano e la strinse, la strinse
così forte, come se volesse stritolarla.
Parve quello al conte un saluto di soldato, ruvido sì, ma sincero. La
pallidezza del volto e l'aria contegnosa parvero agli altri effetto
della perdita del sangue e dell'impiccio di trovarsi in così numerosa
brigata, dopo esser rimasto forse due mesi nella solitudine della sua
cameretta. E nessuno pose più mente a lui, salvo chi aveva argomento a
temere di qualche sua sfuriata, e salvo Tommaso Sangonetto, che
conosceva il segreto dell'amor suo e s'aspettava anch'egli qualche
frutto della sua stravaganza.
Avvicinatosi a quest'ultimo, e col sorriso sul labbro, Pico gli parlò
sottovoce, mentre faceva le mostre di salutarlo.
--Stanotte saremo a Noli;--diceva.--Farò di salire con questo bel
forastiero sui merli. Chi sa che ad ambedue non tocchi la medesima
scala? La sorte e così capricciosa!
--Ah, Giacomo, non far ragazzate, ti prego!--rispose il Sangonetto,
con una ansietà, la cui espressione subitanea non isfuggì al vigile
sguardo di madonna Nicolosina.
--Non temere;--soggiunse Pico.--Vedrai!
--Già, non vedrò niente, io!--ripigliò Il Sangonetto.--Sono
ambasciatore, non uomo d'armi, e le scale a piuoli mi darebbero il
capogiro. Ho preso il tuo posto; non te ne lagnare. Io non sono
ambizioso; finita, bene o male, la guerra, torno ciliegia e tu sarai
da capo il fico dell'orto.
--Ah sì!--sclamò il Bardineto, digrignando i denti.--Se tu aspetti
ch'io serva ancora questa razza d'ingrati!...--
Mentre egli così parlava, Nicolosina aveva tratto in disparte suo
padre e gli venìa favellando, con aria d'affettuosa preghiera.
--Capisco;--rispose Galeotto ridendo;--tu non vuoi che il tuo
leggiadro sposo, appena giunto tra noi, vada a correre il rischio
d'una piombatura sul capo. E sia, lo pregherò; ma vorrà egli
accettare?
--Se tu glielo domandi, padre mio, perchè no? Non è egli uffizio
ragguardevole, e non l'hai tu fin qui lasciato, certo per mancanza di
uomini da ciò, a men degne persone?
--Per san Giorgio, figliuola mia, questo è un biasimo che mi date. E
invero, l'ho anche un po' meritato!--soggiunse Galeotto, accarezzando
con tenerezza paterna i biondi capegli di madonna Nicolosina.
E voltosi poscia al Cascherano, gli disse:
--Cavaliere, tra pochi momenti si parte. Ma se io ora vi chiedessi un
sacrifizio?
--Quale?--dimandò ansiosamente il Cascherano.
--Ho mestieri di un prode cavaliero,--soggiunse il marchese,--che
corra speditamente infino ad Asti, e con eloquente parola induca il
balìvo di Tresnay a venire colle sue genti in aiuto del Finaro, come
mi fu promesso dal buon re Carlo di Francia e ancora testè
dall'illustrissimo signor duca di Orleans, giunto a mala pena di qua
dalle Alpi. Per lo passato, in simiglianti negozi, mi fu utilissima
l'opera diligente e sollecita di Giacomo Pico. Lui ferito e costretto
al riposo, adoperai il nostro bravo Sangonetto; ma oramai colla buona
volontà di lui ho fatto già troppo a fidanza....
--Magnifico messere,--disse allora il conte d'Osasco,--se è cosa che
vi preme....
--Assaissimo;--interruppe il marchese;--e subito, se ci amate, dovrete
salire in arcione.--
Madonna Nicolosina respirò, vedendo l'atto di consentimento del
giovine. Giacomo Pico, in quella vece, si morse le labbra. Nel tardo
mutar di consiglio del marchese Galeotto egli scorgeva la mano di
Nicolosina e i sospetti che certo l'avevano guidata a chiedere
l'allontanamento del conte.
--Non ho io forse una maschera al volto?--diss'egli tra sè.--E deve
ella credere che io mi strugga d'amore e di rabbia per lei?--
La deliberazione improvvisa del marchese Galeotto non poteva piacere
nemmanco al nostro Tommaso, che vedeva andarsene in fumo tutte le sue
ambizioni. Imperocchè egli non era sincero col Bardineto, quando gli
diceva di dover tornare ciliegia.
--Magnifico messere....--balbettò egli, ingrullito;--ed io?
--Con me e col tuo valoroso amico all'impresa di Noli;--rispose
amorevole il marchese Galeotto.--È giusto che io non tolga ai miei
buoni vassalli l'occasione d'illustrarsi con qualche atto di singolare
prodezza. E tu, mio buon Tommaso, n'hai certo una voglia spasimata.
--Se l'ho, magnifico messere!... Certo, che l'ho; l'hanno
tutti!--farfugliò il Sangonetto, che non sapeva a qual santo
votarsi.--Ringrazio il mio illustre signore e la fortuna che mi ha
destinato ad accompagnarlo sul campo della gloria.--
Cotesto ad alta voce e cercando di dare nella rotondità della frase un
concetto della sua eloquenza d'ambasciatore fallito.
Ma dentro di sè, il prode Tommaso Sangonetto masticava ben altro.
--Ah per l'anima di.... L'ha a contare, le mie prodezze, il marchese!
Già, o come vuol fare? Dopo l'Avemaria, tant'è la tua come la mia, ed
egli non vedrà proprio un bel niente. Io le conosco, le mura di Noli;
ritte, puntigliose, accigliate, su quei loro greppi impraticabili, con
quelle torri che escon fuori di riga ad ogni cinquanta passi e vi
mandan giù l'ira di Dio!... No, no, l'appoggi un altro, la mia scala;
io sto a vedere chi casca. Dopo tutto, o che? io l'amo, quella
repubblica; si governano da sè; non ci hanno marchesi, nè conti; non
pigliano gatte a pelare; non domandano che di pescare tranquilli le
più saporite triglie di tutta l'Italia. Ottimi cittadini! Li piglio a
proteggere.--


CAPITOLO IX.
Qui si racconta di un nibbio, che rincorrendo una colomba s'abbattè in
una tortora.

Messer Galeotto, per celato cammino alle spalle di Verzi, conduce
l'eletta de' suoi fanti su Noli. Grande e mirabile impresa era questa,
di andare, egli assediato nella sua terra, a tentare l'assalto d'una
terra nemica. Per altro, anche i suoi luogotenenti si segnalavano in
simili atti d'incredibile audacia, e pochi giorni addietro un Enrico
da Calvisio, con un pugno di Finarini era piombato così alla
sprovveduta sul Borghetto, luogo murato sulla spiaggia del mare a
ponente del marchesato, che i terrazzani, fedeli allora alla signorìa
genovese, avevano avuto a mala pena il tempo di chiuder le porte. Il
Calvisio, non potendo altro, s'impadronì d'una galeotta che que' del
Borghetto tenevano ormeggiata alla riva, e preso il largo, avvistò
otto feluche genovesi, le quali portavano vettovaglie all'esercito.
Qui, senza darsi un carico al mondo della galèa nimica che incrociava
su que' paraggi e che doveva essere in quel mentre nelle acque
d'Albenga, navigò incontro ai nuovi venuti, e, fingendosi mandato dal
sopracòmito della anzidetta galèa, li condusse a pigliar terra
dov'egli voleva; così impossessandosi delle vettovaglie destinate al
nemico e introducendole, per la via di Verezzi, nel Borgo Della qual
cosa non è a dire come gli fosse grato e gli dèsse lode il marchese
Galeotto, prode tanto egli stesso e largo di encomio coi prodi.
Ora, innanzi di seguire quest'ultimo, vediamo Giacomo Pico che quel
cicalone di Tommaso Sangonetto s'ingegna di consolare a modo suo dei
rigori della sorte.
--Così è, Giacomo mio, siamo vassalli e bisogna recarsela in pace. Son
essi i padroni, noi gli umilissimi arnesi. Serviamo al caso loro? Ci
adoprano e ci hanno anche talvolta per la man di Dio, nel più forte
delle loro necessità. Non serviamo più a nulla? Ci buttano in
disparte, o si ricordano di noi, com'io delle prime calze che ho
smesso. Che forse c'è mestieri di gratitudine con noi? Che importa a
lui del tuo valore, a lei dello tue smanie amorose? Egli è il tuo
signore, intendi uccel di rapina; ed è suo, tutto suo, quanto egli
vede dall'alto di questa rupe allo intorno; ella, poi, nasce dal
padre; uccel di rapina anche lei, e uno spicchio di cuore
sanguinolento è il pasto più gradito a questa cara aquilina. Ah sì,
gente da volergli bene, cotesta, e da pigliarcisi una scarmana, come
ho risicato di far io nell'ultimo viaggio di Francia! Vedi un po' come
hanno trattato con me! Tu eri inchiodato in un letto, mio povero
Giacomo, ed io subito diventavo buono a qualcosa. Mi mandano
messaggiero alla Lega, e li servo di coppa e di coltello; sono
contenti di me, non c'è che dire, e me lo provano, mandandomi in
Francia. Vo come il vento; ritorno come il terremoto; porto loro gli
aiuti e le buone promesse del re. Che si voleva di più? Non ti par
egli che io dovessi credere la mia sorte assicurata? Ma no. Si tratta
ora di raccogliere i frutti della mia ambasceria, di mandare una
persona fidata incontro al balìvo di Tresnay. Chi dovrebbe andarci, se
non io? Chi ha da compier l'opera, se non chi l'ha cominciata? Ed
eccoti in cambio il cherubino, capitato tardi, ma sempre a tempo per
vogarti sul remo. Abbia lui la fanciulla meritata da Giacomo Pico;
vada lui frattanto per quel negozio che doveva toccare al Sangonetto.
Già, vedi carità pelosa! Sangonetto sarà stanco d'ambascierie, il
poverino; mandiamo questo bel chiavacuori in sua vece, ed egli invece
abbia l'onore di seguire all'impresa di Noli quel pazzo da catena d'un
marchese Galeotto, che va a cercare il male come i medici; si buschi
un verrettone, o una piombata sul _nomine patris_, quel caro Tommaso;
se no, povero a lui, lo fa colla voglia. Accidenti alla compassione!
--Va;--disse il Bardineto, masticando la stizza;--il tuo ladro è il
mio; fo due vendette in un colpo.
--In che modo?
--È il mio segreto; lascia fare e vedrai.--
Ora il segreto di Giacomo Pico era di correr dietro al Cascherano e di
freddarlo senz'altro. Questo egli aveva pensato, a mala pena lo
stratagemma di madonna Nicolosina era venuto a guastargli il suo primo
disegno. Senonchè, per mandare ad effetto quest'altro, gli bisognava
allontanarsi con qualche pretesto dal marchese Galeotto e trovare,
subito dopo, un cavallo. Ma anco a pescare la scusa per non
accompagnarsi col marchese Galeotto e la cavalcatura per andar
difilato sulla via di Melogno, che avea presa il Cascherano pur
dianzi, o non avrebbe quella sua fuga dal Borgo dato negli occhi alla
gente? E morto il rivale, non sarebbe stata attribuita a lui
l'uccisione? Grama vendetta, che gli avrebbe impedito di tornare al
castello, dove oramai teneva altre fila sicure, come a momenti dirò.
Smesse adunque il pensiero d'inseguire il rivale, e, divorando la sua
rabbia, andò col marchese Galeotto sulla via delle Magne.
Il Sangonetto aveva ragione. Noli era un osso duro da rodere, con quel
suo castello in vetta del monte e una lunga scesa di mura e di
torrioni per infino alla valle. Come un nido di aquilastri, piantato
nel fianco d'una rupe a sottosquadro, non teme insidia di cacciatori
quantunque animosi e valenti, Noli potea viver sicura dalla terra e
dal mare. Di lassù, dove le sue mura comandavano i serpeggiamenti
della via più faticosa che fosse mai, tornava impossibile un assedio,
e una sorpresa soltanto avrebbe potuto dare la città in balìa de'
nemici; di giù, alla marina, in mezzo a due ripide balze, si stendeva
una spiaggia irta di vele. I migliori marinai di Liguria nascevano
appunto colà. Noli aveva armato due galere per la prima crociata, e in
quella occasione s'erano stretti coi Genovesi i primi vincoli di
quella amicizia che aveva a durare inalterata pel corso di sette
secoli, cioè fino all'ultimo giorno di vita della serenissima
repubblica.
Giunsero a notte alta sotto le mura. Il marchese Galeotto aveva
sollecitato per modo il passo de' suoi, da poter loro concedere un
lungo riposo in prossimità della meta; e qui, poi, pena la morte,
aveva comandato il più stretto silenzio. Insomma, niente era stato da
lui pretermesso di ciò che deve curare in simili congiunture un buon
capitano; e, quantunque non lo reputasse necessario con uomini della
tempra de' suoi, più d'una volta era corso avanti e indietro, ed anche
rimasto un tratto in disparte ad osservare, perchè tutti ad un modo e
ordinati procedessero all'assalto.
Così e non altrimenti avvenne che il Sangonetto non potesse
svignarsela, come avea disegnato di fare. Il nostro Tommaso doveva
quella notte esser valoroso per forza. Tanto è vero che di notte ogni
gatto è bigio. Il che va inteso con discrezione e per l'apparenza
soltanto, da cui si cavano i giudizi umani e le storie; che quanto al
cuore, gli è un altro paio di maniche.
Ogni cosa fino al pie' delle mura andò secondo i desiderii del
marchese. E già erano rizzate le scale e chetamente appoggiate ai
merli. Il Sangonetto, adocchiatane una più lunga dell'altre, comandò
di appoggiarla a dirittura contro lo sporto di un torrione, e con atto
d'insigne temerità volle essere il primo a tentar la salita. Ora
siffatti onori si lasciano volentieri a cui piacciono, e i compagni
suoi non ci trovarono niente a ridire. Così saliva animoso, o gli
altri dietro a lui, ma alla distanza di due o tre piuoli, quasi per
ossequio a tanto valore. Ora mentre si tirano a fatica in alto, coi
loro palvesi imbracciati sul capo, ecco ad un tratto la scala
traballa, gira sopra uno dei pie'; chi è in tempo s'aggrappa al legno
malfido e si trattiene sospeso; chi stava in quel mentre colla mano
levata, a cercare il piuolo più alto, brancica l'aria e cade riverso
nel fitto dei compagni che erano pronti a seguirlo; grida involontarie
rompono dal petto di chi cade e di chi riceve il colpo inatteso, e più
delle grida torna molesto all'orecchio del capitano lo strepito delle
armature percosse.
--Sant'Eugenio!--gridò in soprassalto una voce dai
merli.--Sant'Eugenio e Noli! Cittadini, alle mura; il nemico, il
nemico!--
A questa voce un'altra rispose e un'altra ancora più lunge. In breve
gridarono accorr'uomo tutte le scolte e fu messo il castello a romore.
Ben volle Galeotto profittare dell'oscurità e dell'incertezza dei
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