Castel Gavone: Storia del secolo XV - 04

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domando in quella vece che cosa speri adesso, poi che ella ti ha
richiamato alla tua condizione di vassallo.
--Non ella,--gridò il Bardineto,--non ella, il destino. Vedi,
Sangonetto, tu ti sei giudicato da te. V'hanno cose che tu non
intendi, nè verresti a capo d'intendere. Sì, io l'ho amata; ma potevo
io forse operare diverso? Fanciullo mi han tratto al castello; è
cresciuta sotto i miei occhi; la vedevo ogni giorno suo padre mi è
debitor della vita; ella mi ha abbracciato...
--E baciato; storia antica!--interruppe Tommaso.--E tu, povero amico,
hai pigliato i bisantini per oro di coppella. Bacio di bocca cuore non
tocca, o non dovrebbe toccare. Comunque sia,--aggiunse il Sangonetto a
mo' di correzione,--pensa che la era una bambina, o giù di lì. Ma più
tardi, ti ha ella mai incuorato a sperare?
--Che ne so io? Si può egli mai dir d'una donna, anche alla vigilia di
farla tua, o di perderla per sempre, ch'ella t'abbia incuorato ad
amarla?
--Eh, per un pazzo, non ragioni poi male! A me, per esempio, la Nena
di Verezzi, che non è una Luccrezia romana, non ha forse data la più
rustica gomitata, proprio un momento prima di andar ruzzoloni? Ah, ah!
Ma, torniamo al caso: tu se' in male acque, mio povero Giacomo! Ma che
diamine, dico io, t'è saltato in mente di andar così in alto coi
desiderii? Meglio sarebbe stato per te d'inerpicarti sull'ultima balza
della Caprazoppa, là dalla parte del mare, per cogliervi i falchi nel
nido. Vedi, siamo vassalli. Il notaio David, lo sputasentenze, nel cui
studio ho passato i begli anni della mia giovinezza, te le dirà lui
per filo e per segno, le nostre delizie. Censuarii, aldioni, coloni,
servi della gleba, soggetti a taglia e soggetti a prestazione, la è
tutta una beva, e non c'è altra differenza che del più o del meno.
--Io sono libero uomo!--ripiccò alteramente il Bardineto.
--Uhm!--disse Tommaso.--Libero! e chi lo è? Tu appartieni alla classe
dei commendati. I tuoi vecchi erano _boni homines_, i quali, per
custodire da ogni insidia di potenti il tranquillo possesso del loro
lembo di terra, lo proffersero in podestà del signore, ne riconobbero
da lui l'investitura e diventarono censuarii, come il primo _quidam_
che da lui avesse ottenuto un poveretto a livello. La terra è serva, e
chi v'ha stanza, del pari. Non c'è modo di uscirne; qui l'aria rende
servi coloro che la respirano. Commendati, ligii, o censuarii
(chiamali con quel nome che vorrai) e' son tutti soggetti a
prestazioni e a tributi, e non hanno un'ora di bene. Una volta e' sono
richiesti di riparare le fortificazioni del castello; un'altra volta
di battere il grano e di trasportare il vino del padrone; un'altra
sono chiamati per la guardia notturna; un'altra ancora per ferrare i
cavalli. Un dì si paga censo di grani, di farina, di miele, di vino;
un altro di capponi, un altro di pane, carni e prosciutti. Ottieni
un'esenzione? Paghi. Un diritto di pascolo? Paghi. Un diritto di
pesca? Paghi. Dimori in una borgata e ci capita il marchese colla sua
masnada? Devi dargli l'alloggio e fargli la spesa, uno o più giorni
dell'anno, o pagarne in moneta il riscatto. Il marchese marita sua
figlia? C'è taglia sopra i vassalli. È preso in guerra? C'è taglia.
Arma cavaliere il figliuolo, o cavalca fuori del marchesato? Taglia,
sempre taglia. A te muore il padre? Paghi, per potergli succedere. Ti
ammogli? Devi dare al marchese un presente, perchè consenta alle
nozze, e riscattarti con una somma non lieve da un certo diritto
fastidioso, ch'egli ha, di levar le primizie.--
Qui il Sangonetto si fermò per pigliar fiato e per vedere che senso
facevano le sue argomentazioni sul suo malinconico sozio. Ma Giacomo
Pico, o non gli desse retta, o non credesse di doverlo contraddire,
taceva. E allora Tommaso, con quell'aria di trionfo che già s'è
notata, proseguì l'invettiva.
--Questo è il caso nostro; eccoti la sorte serbata a noi, _boni
homines_, uomini liberi, sotto la signoria dei nobili discendenti di
Aleramo. Non entro in tutte le miserie, a gran pezza più gravi, dei
servi della gleba a delle mani morte, taglieggiabili a misericordia,
cioè, a dire, fin dove piace ai nostri magnifici signori di aggravare
il _summum jus_ del loro talento. E servi, come siamo, tenteremmo di
pareggiarci ai nostri padroni, di entrare, puta caso, in parentado con
essi? Alla men trista, se siamo giovani, di bell'aspetto e di buona
voglia, possiamo riuscire donzelli, o scudieri, meritarci le grazie
segrete d'una annoiata castellana e le segrete prigioni e i
trabocchetti d'un castellano rabbioso. Ora, io non son bello, nè
giovane, e non ho voglia di mettermi in questi ginepreti. Il mio
esempio t'insegni; la mia filosofia ti persuada, o Giacomo Pico, e ti
basti l'essere meglio accetto di me, ma sempre come soggetto, ai
signori del luogo. A noi tocca di obbedire, e gran mercè se si può
farlo men che si può. I nostri diritti di signori esercitiamoli sui
casolari; non c'impuntiamo a voler l'impossibile. Di belle ragazze, e
meglio in apparenza che non sia la giovine castellana, è pieno il
Finaro. Vedi, a me piace due cotanti di più la Gilda, la nipote di
mastro Bernardo; e se non fossa che le buone grazie di madonna Bannina
e della sua smancerosa figliuola l'hanno fatta montare in superbia....
--Anche su quella avevi posto gli occhi?--dimandò Giacomo Pico,
meravigliato di tanta facilità amatoria del suo faceto compagno.
--Sicuro; e perchè no?--disse a lui di rimando il Sangonetto.--Sono
uomo libero in ciò, e dove mi vien fatto darla ad intendere, pianto a
dirittura le insegne.
--Sta bene; notò Giacomo Pico, stringendosi nella spalle;--ma se
madonna Bannina avesse mai fumo de' tuoi disegni--che certo non
saranno fior d'innocenza....
--Oh, potresti giurarlo, nol sono;--interruppe Tommaso, ridendo
sgangheratamente.--E perciò, vedi, mi tengo alla larga. Il castello mi
dà noia, e i begli occhi della Gilda non mi faranno mai perdere la
tramontana; la selvaggina mi piace, e se la mi capita a tiro
d'archibugio, povera a lei, le scatto un colpo; se no, no, Che
diamine! Non amo le frustate, io; e quei di lassù sarebbero capaci di
farmi pigliar la misura delle spalle. Questo, io lo intendo, ti parrà
un ragionar da filosofo; ma, mio caro, per un'ora di sollazzo non è da
comperarsi un monte di guai. Si ha una vita sola, a questo mondo;
perchè farla arrangolata e tapina? Io non vo' grattacapi. Pur troppo
ne avremo, e non cercati da noi. Che te ne pare di questa burrasca che
è in aria? Non è forse ella il colpo di grazia? Ed anche questa ci
bisognerà parare; ma alla croce di Dio, non vo' pigliarmi fastidi
oltre il bisogno.
--Che dici tu mai?--esclamò il Bardineto, con un accento da cui
trasparivano lo stupore e lo sdegno.--Si combatte per casa nostra.
--Ah sì, casa nostra!--replicò sogghignando quell'altro.--Casa dei
Carretti, vuoi dire! Bada a me, Giacomo Pico; noi siamo quei leoni
aggiogati che ci ha sulla insegna il marchese. Si rode il freno
d'acciaio, e, spinte o sponte, si tira il carro simbolico, lo scudo e
l'elmo coronato dei nostri amati signori. Questa è la nostra sorte, e
non vedo che possa farsi migliore. Da un pezzo io la vengo
rimuginando, questa bellissima sorte, e la paragono a quella di Noli e
di Savona, città vicine, città marinare, che un tempo rodevano il
freno come noi, tiravano il carro simbolico come noi, e più avvedute,
più audaci e per conseguenza più fortunate di noi, hanno rotto il
freno, e piantato il carro in mezzo alla strada. Son liberi, i nostri
compagni di servitù; fanno essi le leggi loro, provvedono di per sè ai
loro bisogni; soli noi la duriamo con questo ignobil giogo sul collo.
E sia pure, dacchè non si ardisce di scuoterlo; ma perchè ci
scalderemmo il sangue? perchè ci metteremmo noi ad ogni sbaraglio, per
chi ci vuol servi? perchè faremmo nostri i suoi litigi con questo
quello de' suoi particolari nemici?--
Il Bardineto era stato ad udirlo con molta attenzione. E come Tommaso
ebbe finito, così prese a rispondergli:
--Sai che t'ho a dire?
--Di' su!
--Che quando si pensa come tu pensi, e' bisogna far altro da quel che
tu fai. La si rompe col suo signore e si muove a tumulto il popolo
contro di lui; ma non si aspetta che egli abbia guerra con altri, per
venir meno al debito di vassalli verso di lui, di cittadini verso la
patria.
--Gli è questo un sentire nobilmente,--replicò il Sangonetto con
piglio sarcastico,--e il tuo signore e nimico te ne ricambia a misura
di carbone, facendoti trar calci all'aria, penzoloni dai merli della
torre più alta del suo castello, che tu non hai potuto pigliare
d'assalto. La non m'entra, sai, la non m'entra, questa tua nobilissima
temerità, e preferisco il mio prudente consiglio. Di nulla io mi tengo
debitore ai nostri padroni; taglia e prestazione, tributo di borsa e
tributo di persona, tutto io pago per forza, e il meno che mi vien
fatto. Anch'io, vedi, sono stato al pari di te alle impresa di guerra;
ma in quella che tu, cavaliere audacissimo, facevi prodezze e menavi
strage entro le file di Baldazzo, io, bandieraio della salmeria,
serbavo la pancia pe' fichi. Brutta cosa, dirai. Ma tu, che ci hai
guadagnato a fare il paladino, e correre il rischio d'un verrettone
nel cuore, o d'una mazzata sul capo?
--Oh, fosse venuta allora!--sclamò il Bardineto chinando gli occhi a
terra e mettendo un sospiro.
--Affediddio, non ci mancherebbe altro che aver dato la vita a chi te
la stima sì poco! E invero, perchè dici tu questo? Perchè ti hanno
pagato di quella buona moneta che sai. La fiducia del marchese! Grazie
infinite; che è dessa? Leviamo la buccia, e consideriamola ignuda.
T'hanno sperimentato di buona pasta, ti adoprano, ti spendono in ogni
loro bisogno, come si spende un castaldo, un procuratore, un ser
faccenda, un ceccosuda. Tu se' un arnese del castello. Giovi? ti si
leva dal dimenticatoio. Non giovi più? ti si mette in disparte. È
questo il tuo stato; non sperare di più. Ma tu sei uomo, hai occhi per
vedere, cuore per desiderare, servigi da metter fuori, a fondamento
delle tue ambizioni. Orbene, la è finita per te. Ami la figlia del tuo
signore; chi non se n'era avveduto? e chi, guardando alla sostanza,
non t'avrebbe riputato un buon partito? Tu fedel servitore della casa,
tu valoroso cavaliere, tu messaggiero accorto e sicuro, tu anima
d'ogni più malagevole impresa, che non dovevi riprometterti, in
ricompensa dell'opere tue? Ma no; tu eri e resti un vassallo e la
donna che desideri, che credi di aver meritato, te la ruba il primo
venuto, perchè gli è nobile e signor di castella.
--Ah, tu sai?....
--Certamente; un Cascherano, conte di Osasco, che è un borgo di là da
Torino. Questo matrimonio è una sorta di rifugio, e il marchese
Galeotto, alla disperata, l'ha scelto. Poteva dare la figliuola ad uno
di questi Adorni, che, cacciati da Genova, sono venuti ad appoggiar la
labarda da noi e a congiurare contro la patria loro. Ma questo era il
peggio dei peggi. L'ha negata a un Fregoso, che è doge, ma che
potrebbe essere rovesciato da oggi a domani; non poteva pensare a un
Adorno, che, anco tornando in alto posdimani, potrebbe dar la capata a
sua volta. Quella è gente instabile e non c'è da far conto sovr'essa;
meglio un nobile di là dai monti, che ha meno grandezza di nome e più
sicurezza di stato. E ad un di costoro, che niuno sapeva chi fosse, si
sacrifica il valore, la divozione, l'amore infinito di Giacomo Pico.
Donde tu devi vedere che sorte di virtù siano queste tue, e come ben
collocate!
--Ah, io ne morrò!--prorruppe il Bardineto, cacciandosi a furia le
mani nei capegli.
--E dàlli,--soggiunse Tommaso.--O non ci hai proprio nient'altro da
fare? Ma sai che mi faresti uscire dai gangheri? Infine, che cosa
desideri? per che cosa ti arrovelli? Per una donna che ti piace.
Orbene, da Adamo in poi ciò è capitato a più d'uno, e non so che
alcuno abbia perso il lume degli occhi, prima di averne l'intiero.
Pensaci un tratto; o le piaci tu pure, o non le piaci. Se non le vai a
genio, ci hai il tuo conto saldato; puoi mandarla a quel paese, o
aspettarla al varco e far vendetta allegra; ad ogni modo, egli non c'è
da desiderarsi la morte per una donna che non ti abbada. Se in quella
vece la ti vede di buon occhio, aspetta, perdiana; il tuo giorno
verrà. O che credi, perchè la diventa contessa d'Osasco, t'abbia a
fare il viso dell'arme? Il non esser buono per marito, non vuol già
dire.... che anzi!.... In questi casi, un rifiuto io l'avrei per
grazia profumata. La donna, amico mio, è una gran bella cosa e ci ha i
suoi dolci momenti, che la getteresti sopra ogni altra delizia del
mondo; ma guai a chi l'avesse sospesa al braccio tutte le
ventiquattr'ore del giorno; e' ci sarebbe da pregarsi il fistolo! Or
dunque, Giacomo Pico, sta di buon animo, e non ti lasciar scolorire le
ultime rose sul volto, che non abbia a parer meglio di te il
Cascherano, quando verrà a fare il mogliazzo.
--È già venuto;--mugghiò il Bardineto.
--Ah, ah! non si perde tempo? E sia pure e ci resti, in sua malora! Tu
non mi fare il poeta; che saresti ridicolo, e chi fa ridere ha perso
la causa. Ti piace la donna! tienti sull'orma e aspetta il buon punto.
Chi sa? Non t'eri accorto, e forse la tua stella è già apparsa
sull'orizzonte. Ma sopratutto, bada, non ti guastare il sangue, non
pigliar nulla a scesa di testa; è l'essenziale. A proposito di scesa,
o che, si sta qui fino a notte? Io ho fame, e tu non devi rimanere
quassù, a far l'uomo salvatico. Si scende, dunque?
--No, Tommaso; non per di qua!--disse Giacomo Pico, torcendo gli occhi
in atto supplichevole.
--No? Orbene, come ti pare. Largo ai canti e scendiamo alla Marina.--

Ciò detto, e per mandare i fatti di costa alla parole, il Sangonetto,
che già s'era alzato da sedere, diè di piglio al suo archibugio e se
lo gittò in spalla; con un colpo della palma distesa si acciaccò la
berretta sul capo e, per uno di que' sentieruoli che serpeggiavano
lunghesso i fianchi della montagna, s'avviò alla discesa.
Giacomo Pico si mosse dietro di lui, non rassegnato affatto, nè
affatto sconsolato, bensì pieno di maltalento contro di sè, contro di
tutti, pronto ad affogare la sua rabbia nel vino, come a sfogarla in
una mareggiata di sangue.
Accadeva al Bardineto ciò che spesso accade a molti infelici suoi
pari, che la compagnia e i conforti d'un uomo volgare mutano indirizzo
al loro tormento. Sia che un intimo senso li ritenga dal commettere un
alto dolore in piena balìa di chi non è nato ad intenderlo, o sia che
la medesima volgarità del compagno pigli il sopravvento sulla fibra
umana (già, per istinto, volgare, e non mai delicata, nè nobile, se
non per eccesso, che non è naturale nell'uomo), o sia finalmente che
la vostra vanità messa al punto, s'inalberi e comandi agli atti nostri
una apparenza di fortezza, egli è un fatto che il dolore, almeno fino
a tanto che duri quella nuova maniera di contrasto, non pure fa le
viste di cedere, ma veramente si scema, o si addorme nel profondo
dell'anima. Ripiglierà forse vigore, crescerà d'intensione più tardi,
troverà le occasioni a romper fuori, tanto più impetuoso, quanto più è
rimasto compresso ed inerte; ma tace, frattanto, e qualche volta, fra
mezzo alle cento cure svariate del vivere, agli aspetti diversi delle
cose, ai ragionari delle liete e noncuranti brigate, lascia libero il
campo alle più discordi sensazioni, financo a quella che ci sforza di
ridere. Cose che non si spiegherebbero altrimenti, senza questa
mobilità somma detta umana natura.
Del resto, è anche vera un'altra cosa, ed accade agli animi deboli,
che sono poi il maggior numero della figliolanza di Adamo. Ci si apre
con un gentile ascoltatore, con un virtuoso consigliere, e si piange o
si è sconfortati, ed è nobile sfogo che ci eleva lo spirito ad altezze
o non prima vedute, o non reputate accessibili all'uomo. Si commettono
i proprii dolori ad orecchio volgare; da labbro volgare si aspettano i
conforti e i consigli; ma gli uni e gli altri ci affondano nel pantano
dei sensi ingenerosi; crassi vapori c'involgono e ci nascondono il
sereno de' cieli; il dolore, fatto ira e bestemmia, bramosia di
vendetta, di mal per male, non ci affina lo spirito, lo ingombra, lo
accieca, vi attossica le sacre fonti del bene.
I due amici scendevano, come si è detto, lungo la costa del monte.
Giacomo Pico era taciturno e grave; ma tratto tratto scuoteva il capo
e sbuffava a guisa di toro ferito. Il Sangonetto taceva del pari, e
certo non facea bocca da ridere; ma chi gli fosse stato dinanzi e lo
avesse veduto a dondolare il capo e ad aggrinzare di tanto in tanto le
labbra, avrebbe detto che il consolatore di Giacomo Pico se la rideva
dentro di sè, di quel riso tacito e profondo che fa tanto buon sangue.
Gongolava, il Sangonetto; e perchè? Perchè la era finita una volta,
quella cuccagna del Bardineto; perchè gli era finalmente caduto, quel
superbioso, che si struggeva di salire tant'alto; perchè sprofondava
nella mota comune, quel sognatore, quel pazzo, che cavalcava così
alteramente le nuvole.
E non era crudele, il nostro Tommaso; non odiava già il Bardineto; che
anzi lo amava, come poteva egli amare qualcuno, per consuetudine
antica, e perchè non gli era venuta mai occasione di scontro. Sì,
certo, gli era parso qualche volta noioso, con quel suo starsene in
dimestichezza coi grandi, così felice in apparenza tra le bellezza del
castello Gavone, libero di profferire i suoi omaggi a madonna Bannina,
bellezza matura, o a madonna Nicolosina, bellezza nascente, o alla
Gilda, bellezze di mezzo, ma più franca, secondo lui, e più
attrattiva. Per altro, pensandoci su, il Bardineto non corteggiava la
Gilda; era cotto, per sua disgrazia, della giovine castellana; gli era
un uomo spacciato; non era da invidiarsi poi troppo. Lo amava dunque,
sì lo amava; ma ora, poi, dieci cotanti di più, sapendolo giù d'ogni
speranza e d'ogni superbia. Donde quel giubilo interno, quel gongolo,
che gli facea dimenare il capo e aggrinzare le labbra. Anima umana!
In questi pensieri, i due compagni, erano giunti ai piedi del monte,
e, valicato il Pora su certi passatoi disposti a giuste distanze sul
pelo dell'acqua corrente, entravano in una viottola, che risaliva
verso levante, ad incontrare la strada maestra dalla Marina al Borgo.
E pochi passi avevano fatti in quella stretta, allorquando venne loro
udito un calpestìo, insolito per que' luoghi e in quell'ora.
Giacomo Pico, che era stato il primo a notarlo, affrettò il passo,
stese la mano sul braccio del Sangonetto, come per trattenerlo, e
stette coll'orecchio teso in ascolto.
--Cavalli!--soggiunse egli, rispondendo ad un gesto del compagno, che
si era voltato stupefatto a guardarlo.
--Cavalli, sicuro;--disse di rimando Tommaso;--e poi?
--Non hai indovinato? Son essi.
--Essi? Pronome, e nient'altro;--ripigliò il Sangonetto;--io non
t'intendo.
Giacomo Pico crollò le spalle in atto d'impazienza.
--I cavalieri di questa mane;--aggiunse egli poscia;--il conte
d'Osasco e il suo amico, o famiglio che sia.
--Ah, ah!--sclamò il Sangonetto, mettendosi finalmente
sull'orma.--Buon viaggio a loro! Ma ora che ci penso, o come vuoi che,
giunti a mala pena, già se ne tornino via dal castello? Il tratto, in
fede mia, non sarebbe cortese.
--Ma! che ne so io?--rispose Giacomo Pico.--D'una cosa son certo; che
sono costoro. Me lo dice il cuore....--aggiunse con accento di
profonda amarezza.--Seguimi; or ora vedrai.
E senz'altro aspettare si mosse con rapido passo alla svolta. Il
Sangonetto fu pronto a seguirlo.
Il cuore del Bardineto non si era ingannato. Erano proprio loro,
messer Pietro e il Picchiasodo, che venivano di buon trotto per la
strada maestra, con quel fare spigliato e contento di chi s'è sciolto
d'ogni molestia e non ha più a darsi pensiero che di arrivare alla
posta.
A Giacomo Pico la vista del più giovine dei due cavalieri diede una
scossa fortissima al cuore. Era quegli il suo fortunato rivale, il suo
nimico giurato. E gli prese in quel punto una maledetta voglia di
buttarsi al pettorale del palafreno, di rovesciare il cavaliere e di
finirlo d'un colpo.
La via era stretta, e, per andar oltre, con quell'intoppo dei due
sopraggiunti, a messer Pietro convenne di spronare il cavallo e farsi
innanzi da solo.
Il Bardineto lo divorava degli occhi. Era bello, messer Pietro, ed
ilare in volto; due cose che lo rendevano uggioso a quell'altro.
Senza por mente all'effetto che cagionava la sua presenza, messer
Pietro, cortese per consuetudine di gentiluomo e più ancora per la
contentezza del momento, nell'atto di cansarsi col suo palafreno dai
due viandanti, fece un gesto a mo' di saluto, che certo credeva gli
fosse ricambiato in quel punto.
Frattanto, Giacomo Pico, innanzi che il Sangonetto potesse indovinare
le sue intenzioni e trattenerlo, si faceva in mezzo alla strada e,
afferrando lo redini del cavallo, salutava il suo avversario con
queste parole:
--Messer cavaliere, mi consentite voi pochi istanti di colloquio?--


CAPITOLO IV.
Nel quale si veda messer Pietro perdere la pazienza, il Sangonetto la
ciarla, il Picchiasodo l'occasione, Giacomo Pico il tempo e mastro
Bernardo la scrima.

All'atto insolito e inaspettato, il primo pensiero di messer Pietro fu
di metter mano alla spada e di castigar l'arrogante che ardiva
afferrare le redini del suo palafreno.
Senonchè, a lui, come un giorno ad Achille, la sapiente Minerva
dovette susurrar qualche cosa nell'orecchio. O piuttosto, senza andare
a scomodare gli Dei dell'Olimpo, che dormono da mille cinquecent'anni
il gran sonno, è da credere che messer Pietro fosse di animo pronto a
vedere per ogni lato le cose, come audace di mano ad operarle. E in
quel punto egli certamente pensò che quei due sopraggiunti non erano
assassini di strada, che alla più trista si era a numero pari, e che,
finalmente, in paese nuovo e nemico, la prudenza non era mai troppa,
nè mai gli avrebbe nociuto un pochino di calma. Dopo tutto, che ne
sapeva egli? Poteva anch'essere usanza patriarcale di quei popoli, di
trattare con tanta dimestichezza la gente.
E messer Pietro ristette, spianò le sopracciglia, che s'erano a tutta
prima aggrondate; fe' un gesto da fianco per chetare il Picchiasodo,
che egli colla coda dell'occhio avea visto dare un sobbalzo in arcione
e spronare avanti il cavallo; quindi componendo le labbra ad un
risolino tra cortese ed ironico, disse a Giacomo Pico:
--Parlate, messere, quantunque non sia luogo nè momento da ciò; son
tutto orecchi ad udirvi.--
Parlare! era presto detto; ma il farlo non era la più agevole impresa.
Il Bardineto ci aveva bensì avuto la forza del primo impeto; ma lì sui
due piedi, senza aver meditata la possibilità d'una conversazione
tranquilla, tirato in sul falso da quella urbana risposta, non trovò
più il filo. E balbettando un poco, e stizzito con sè medesimo di non
averci pensato prima, uscì in questa dimanda:
--Come va che tornate via così presto? Il castello non ha avuto potere
di trattenervi?--
Messer Pietro lo guardò stupefatto; ma non uscì di misura.
--Che dite mai?--ripigliò, col medesimo accento di prima.--È luogo
stupendo, il castello, e fo conto di tornarci prestissimo.
--Ah!--sclamò il Bardineto, fremendo di rabbia,--E quando si faranno
le nozze?--
Messer Pietro fu ad un pelo di uscire dai gangheri. Per altro, gli
venne il sospetto di aver da fare con un pazzo, e si volse, con aria
trasognata, al Picchiasodo. Il suo vecchio compagno rideva.
--Messere,--disse il Picchiasodo, affrettandosi a commentare il suo
riso,--la notizia si è sparsa, non c'è più verso di tenerla celata.
L'oste dell'Altino ha cantato.--
L'altro ricordò allora le supposizioni di mastro Bernardo, e un
sorriso venne a sfiorargli le labbra; ma fu pronto a reprimerlo. Non
era più un pazzo, bensì un insolente, colui che lo aveva fermato per
via e lo interrogava in tal guisa.
--Via, per l'andata, poteva correre; pel ritorno, non già!--rispose
egli, facendosi grave.
Indi, rivolto a Giacomo Pico, gli parlò asciuttamente così:
--Messere, io fo nozze quando mi torna, e non dò ragguagli per via al
primo che capita.
--Avete fatto il conto senza di me!--soggiunse Giacomo Pico,
digrignando i denti, e facendo l'atto di afferrare da capo le redini.
--Giù quelle mani!--tuonò messer Pietro, in quella che facea dare
indietro due passi al suo palafreno.--E spulezzami tosto, o ch'io
lascio al mio cavallo di tritarti come paglia, villano!--
Giacomo Pico, che il pronto inalberarsi del cavallo avea fatto
desistere dal suo tentativo, si morse le labbra all'udire quelle
superbe parole, ma non diede già indietro d'un passo. Incrociò in
quella vece le braccia sul petto; rispose con una crollata di spalle
al Sangonetto che gli raccomandava di non far ragazzate e di pigliare
dal consiglio d'un nemico quel che c'era di buono; indi, misurando ad
una ad una le frasi, che gli uscivan sibilando dalle labbra contratte,
così rimbeccò il suo avversario:
--Non son villano, e le opere mie, in attesa di altre prove, potranno
chiarircene largamente. Voi, a cavallo, messere, potete sbarattarci
d'un salto e darvi alla fuga; lo vedo, e lo temo. Ma dove sarebbe
allora la differenza tra voi, conte di Osasco, e il più vile de'
vostri vassalli? e quale rimarrebbe la vostra fama agli occhi dalla
donna che amate?
--Conte di Osasco!--ripetè messer Pietro, voltandosi al
Picchiasodo.--Ah, mi ricordo;--soggiunse a bassa voce,--lo sono, a
quel che pare, e non posso disdirmi.--
Indi, rivolto il discorso a Giacomo Pico, gli chiese, con quel suo
piglio sarcastico:
--E chi sei tu? Forse il duca Namo di Baviera, tornato tra i vivi? O
forse Guerrino il Meschino, cercator d'avventure?
--Rattenete la lingua, per utile vostro!--replicò il Bardineto,
impallidendo dallo sdegno.--Son tale che ha diritto sopra un tesoro, e
non consentirà che altri glielo rubi. Son tale che desidera di vedere
alla prova se la vostra spada è degna della vostra arroganza.
--Per san Giorgio, gli è questo un audace linguaggio,--disse a lui di
rimando quell'altro,--e per la prima volta ch'io l'odo, mi piace.
--Vi piaccia, o no, gli è il mio, e lo udrete più d'una volta al
Finaro, se vi piglierà il ruzzo di tornarci.
--Per Dio, se ci tornerò! Non foss'altro, per vedere di quanti palmi
t'avranno scavato profonda la fossa!
--Di ciò parleremo;--borbottò Giacomo Pico.--Vi piaccia intanto
calarvi d'arcione.
--Volentieri, se m'indicherete un luogo dove possiamo sbrigare i fatti
nostri meglio che sulla strada maestra.
--Qui presso, nei greti della fiumana.
--Ottimamente; insegnate la strada.--
E così dicendo, messer Pietro, sempre ilare e disposto alla celia,
spronò il cavallo per tener dietro a Giacomo Pico. Ma la faccenda non
garbava punto al Picchiasodo, a cui era balenato un pensiero più
vasto.
--Non già!--entrò egli a dire sollecito.--Con vostra licenza, messer
Pietro, padron mio colendissime, abborro l'acqua, e ricordo in buon
punto che siamo lontani appena un cento di passi dall'insegna
dell'Altino. Questi degni messeri lo sapranno benissimo, che sono del
paese; c'è buona l'accoglienza....
--E meglio il vino!--rincalzò, chiudendo la frase, il Sangonetto.
--Ah, bravo!--ripigliò il Picchiasodo.--Veniteci in aiuto anche voi,
messere dell'archibugio. Siamo dunque intesi; si va a sbrigar la
faccenda all'Altino. L'aia è piana e lucente come uno specchio, e sul
battuto c'è posto pel giuoco di quattro lame. Che ve ne pare? Voi
certo avete pratica del luogo. Non ci si è abbastanza liberi in
quattro?--
Tommaso Sangonetto lo guardò con aria melensa. La proposta di quel
vecchio barbone, che ci avea un paio di spalle e un torace da fare
alle forze con Ercole, non gli andava a fagiuolo. Chinò la testa in
atto di chi vuol dire e non dire; ma dentro di sè fece atto di
contrizione per la sua lingua, che era stata un po' troppo latina.
--Andiamo dunque laggiù!--disse il Bardineto, avviandosi primo.
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