Castel Gavone: Storia del secolo XV - 05

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I due cavalieri incontanente lo seguirono. Tommaso, quantunque di mala
voglia, si messe al suo fianco.
--Ah, Giacomo! Giacomo!--gli andava intanto bisbigliando
all'orecchio.--L'hai fatta grossa!
--Che!--rispose il Bardineto, crollando superbamente le spalle.--Mi
sfogo, perdio!
--Ma pensa al poi, te ne prego! E che dirà il marchese, quando verrà a
risaperlo?
--Dirà.... dirà quel che gli parrà meglio di dire. Già, sentimi,
Tommaso; o morto io, o morto quest'altro, s'è sciolto finalmente ogni
nodo.
--Uhm! Mi pare che tu ne aggiunga, di nodi; e guai se vengono al
pettine.
--Vattene, allora!--ripiccò spazientito il Bardineto.
--Ma.... lasciarti così solo?... Un testimone ti sarà pur
necessario!--entrò a dire accortamente Tommaso.
--Un testimone! E per che farne?
--Eh, quel che si fa d'un testimone, perdiana! Il testimone vede e può
all'occorrenza far fede. Inoltre, la sua presenza può tenere in
soggezione gli avversarii. Capisco che non s'ha da appiccar zuffa in
quattro, essendo voi due soli alle prese, e che io, pure volendo, non
lo potrei, per non tirarmi addosso lo sdegno del castello, a cui non
sono in grazia, come tu sai; ma infine, un amico presente....
--Capisco anch'io; non dirmene altro!--interruppe il Bardineto, che
vedeva l'amico inteso a fermar chiaramente i patti della sua
accompagnatura all'Altino.--Io non ho bisogno d'aiuto; la quistione è
mia, tutta mia; tu non c'entri. E adesso, se ti piace venir testimone
allo scontro, fa come t'aggrada; io non ci ho nulla a vedere.--
Il Sangonetto chinò la testa, in atto di chi si rassegna, suo
malgrado, ai voleri d'un amico. E col cuor più tranquillo, e per
conseguenza col passo più spedito di prima, si fece innanzi alla
comitiva.
In quelle chiacchiere, erano giunti presso all'Altino. Lo scalpitar
dei cavalli avea fatto correre il ragazzo dell'osteria sull'uscio di
strada.
--Padrone! ohè, padrone!--aveva egli gridato.--Presto, fatevi innanzi;
son qua di ritorno i gentiluomini di questa mattina.
--Che diavol dici?--esclamò mastro Bernardo, uscendo sull'aia.--O che
ci verrebbero a fare?
--Eh, che so io?--disse il Maso, impenitente nella sua celia.--Forse
ad assaggiare quel vinello fiorito....
--Zitto là, mascalzone! Oh, magnifici messeri....--
Come è facile argomentare da questo trapasso dell'oste, entravano
allora Giacomo Pico e Tommaso Sangonetto a piedi, lasciando scorgere
dietro di loro messer Pietro e il Picchiasodo a cavallo.
Mastro Bernardo, confuso e giubilante ad un tempo di quella nuova e
non più sperata ventura, corse sollecito per tenere le redini a messer
Pietro, che fu pronto ugualmente a balzar giù di sella.
--Che buon vento, messeri....--andava dicendo frattanto l'ostiere;--e
come va che io sono onorato....
--Mastro Bernardo,--gridò il Picchiasodo, troncandogli i suoi
complimenti a mezzo,--non lo sai tu l'adagio: chi n'assaggia ci torna?
A te, ragazzo; tieni i cavalli.
--Ve li metto al coperto? disse il Maso, pigliandoli per le briglie.

--No, no, tirati là in fondo, ed aspetta,
Il ragazzo afferrò le briglie e, superbo di prestare i suoi servigi a
così nobili bestie, menò i cavalli in fondo dell'aia.
--Che fortuna per l'osteria dell'Altino!--ripigliò mastro Bernardo,
che non aveva posto mente alle ultime parole del Picchiasodo,
profferite a voce più bassa.--E dite, magnifici messeri; poichè il
numero è cresciuto, s'ha egli da metter due polli allo spiedo?
--Ah, ci vuol altro che spiedo! Or ora vedrai;---gridò il Picchiasodo
con aria beffarda.--Per un bicchiere di vino, intanto, non si dice di
no. Almeno....--soggiunse dopo essersi guardato dattorno e aver veduto
le facce rannuvolate de' suoi compagni,--io lo bevo, e posso fare
anche la parte degli altri.
--Vado subito;--disse l'ostiere;--e sarà di quel tale, ve lo prometto.
--Sta bene, e non mi tradire!--aggiunse burlescamente il
Picchiasodo.--Porta il fiasco incignato, che già sappiamo che cos'è, e
non avrà avuto tempo A pigliare lo spunto.--
Mastro Bernardo, tutto nella sua beva, entrò in casa, senza aver
capito nulla di quell'improvviso ritorno, nè pigliato sospetto dalla
presenta del Bardineto, che due ore innanzi era andato via così in
furia.
Più accorto di lui a gran pezza, il Maso aveva odorato l'aria, e
aspettandosi qualcosa di grosso, stava là rincantucciato in mezzo ai
cavalli, con tanto d'occhi a guardare la scena.
--Or dunque, a noi!--sclamò messer Pietro, poichè i quattro arrivati
furono soli sull'aia.
E così dicendo, si tolse di dosso la sua cappa di scarlatto verde,
foderata di vaio, e la gittò sulla sella del suo palafreno.
Giacomo Pico, a sua volta, si tolse la cappa di bigello, e rimase,
come il suo avversario, in farsetto.
E già erano, per tacito accordo, intesi a pigliar campo e metter mano
alle spade, allorquando il Picchiasodo entrò a dire la sua.
--Un momento, messeri, di grazia!--
I due avversarii si fermarono a tempo, e stettero guardando il vecchio
soldato, aspettando che volesse parlare.
Ma il Picchiasodo non aveva da fare un lungo discorso.
--Come si combatte?--dimandò egli brevemente, ma con un certo
sussiego.
--O come?--ripiccò messer Pietro.--Che novità è questa tua? Si
combatte con questa, e chi ne assaggia un palmo rimane sul terreno.
--Un palmo! grazie tante!--mormorò il Sangonetto tra sè.
--Certo,--proseguiva messer Pietro,--se fossimo in campo chiuso, con
giudici e testimoni, il vincitore avrebbe le spoglie, e si potrebbe
anco stabilire il riscatto del vinto; Ma qui non siamo nel caso; ci si
ricambia quattro colpi alla svelta e chi l'ha tocche son sue.
--Così l'intendo ancor io, con vostra licenza, messer Pietro,--replicò
il Picchiasodo.--Ma scusate, io volevo domandare se di questo sollazzo
non ce n'ha ad esser per tutti. In quattro ci siamo incontrati; ora,
dico io, in quattro si avrebbe a combattere.--
Il Sangonetto fece a quelle parole una smorfia.
--Infine!--proseguì il Picchiasodo, con quel suo piglio tra rispettoso
e faceto.--Non mi par bella che due se la godano e gli altri due
debbano stare a vedere. Voi, messer Pietro.... signor conte
degnissimo, ve la farete con chi vi ha provocato, e sta bene; ma noi,
noi due, seguaci delle parti in contesa, per che altro ci troveremmo
qui, a fare il paio, se non per seguire l'esempio?--
Messer Pietro si strinse nelle spalle e crollò il capo in atto di
dire: accomodatevi, io non ci vedo alcun male.
--Animo dunque; a voi, messere dell'archibugio,--disse il vecchio
soldato, volgendosi a Tommaso Sangonetto;--dite la vostra opinione.
--Io?... Ah!...--rispose questi confuso, come se cascasse dalle
nuvole.--Eh, certo, sarebbe una bella pensata! Ma ecco, per incrociare
le spade, ci vorrebbe un _quid_... la _causa agendi_....
--Che diamine m'andate voi latinando?--gridò il Picchiasodo
imbizzarrito.--Sareste voi chierico, per avventura?
--Eh! un pochino;--rispose quell'altro, facendo bocca da ridere, ma
senza averne gran voglia.--Ho scombiccherato qualche foglio di carta
presso un notaio, e mi capirete....
--Sì, capisco alla prima che ci avete inchiostro per sangue, dentro le
vene.
--Oh, mi meraviglio!...--sclamò il Sangonetto; rizzando la testa.
--Orbene, vediamo dunque che cos'è; fuori lo spiedo!--
E così dicendo il Picchiasodo trasse la spada dal fodero.
--Fuori, e sia; fuori dunque!--ripetè il Sangonetto, che già più
sapeva a qual santo votarsi.
E messe mano al suo coltellaccio. Ma qui per fortuna gli venne trovata
la gretola.
--Ecco il mio spiedo!--diss'egli, con aria di trionfo.--Voi ci avete
la spada d'Orlando, e vi fa comodo di metterla fuori; io, colto alla
sprovveduta, non ci ho che un coltello da caccia; vedete!--
Il Picchiasodo rimase lì grullo per un istante a guardarlo. Ma egli
non era uomo da smarrirsi per così poco, e trovò subito uno spediente
da rimediare allo sconcio.
--Oh, non importa!--rispose.--Date a me il coltello; io cedo a voi la
spada d'Orlando.
--Ma....--balbettò il Sangonetto.--Non ci sarebbe generosità....
--Eh via! Non temete; con quel coltellaccio tra mani io mi riprometto
di tagliarvi la punta del naso che avete rossa e lucente come una
ciliegia marchiana.--
Fu questo per Tommaso Sangonetto il caso di vedersi perduto. Con quel
diavolo d'uomo non la si potea vincere nè impattare.
Buon per lui che messer Pietro gli venne in aiuto.
--Anselmo!--diss'egli severo.--Lascialo stare; non c'è bisogno di
combattere in quattro, dove la lite è soltanto tra due.
--Già, diteglielo voi, messere;--ripigliò il Sangonetto, ritornando da
morte a vita.--Che bisogno c'è? Se ci fosse una ruggine tra noi, non
direi di no... si potrebbe anche vederlo, questo taglio del naso. Ma
la ruggine non c'è, come non c'è la ciliegia, con vostra licenza. Del
resto, siamo sacri alla patria. Se foste un nemico.... un genovese....
--Ah! con quelli là ti sentiresti proprio di combattere?--domandò il
Picchiasodo, con piglio sarcastico.
--Ma, sicuramente!--rispose il Sangonetto, facendo l'uomo a sua posta.
--Ci ho gusto, perbacco!--disse a lui di rimando il vecchio
soldato.--Han da tremare, povera gente, quando ti vedranno in prima
fila, colla tua cerbottana da passeri!--
Volea replicare, il prode Sangonetto; ma sì, a farne la prova! Quel
maledetto vecchio lo guardava con certi occhi da spiritato!
Così perdette la ciarla Tommaso Sangonetto, come il Picchiasodo avea
perso l'occasione di misurarsi con lui. Frattanto i due avversarii,
che già stavano colle spade sguainate, si fecero in mezzo dell'aia,
pronti a impegnare il combattimento.
Giacomo Pico ne aveva una voglia spasimata. Così almeno mostravano gli
atti impazienti e le contrazioni del volto. Messer Pietro era a gran
pezza più calmo, e la faccia atteggiata al sorriso dinotava, non pure
il disprezzo del pericolo, ma eziandio la certezza della vittoria. E
la pugna in sè stessa e l'occasione dond'era venuta, parevano cosa da
scherzo per lui. Certo il valentuomo s'era trovato più volte a simili
scontri, fors'anco a più gravi, e quello doveva parergli la cosa più
naturale dal mondo.
Incrociarono le spade. Ma era scritto lassù che il combattimento non
dovesse aver principio così presto.
Un grido li rattenne in quel punto e li costrinse a smettere. Era
mastro Bernardo che compariva sull'uscio di casa, col vassoio de'
bicchieri in una mano e col suo fiasco prezioso nell'altra. Mai fiasco
e bicchieri furono raccomandati a più trepide mani, e ben se ne avvide
il Picchiasodo, che, voltatosi a quel grido improvviso, fu sollecito a
sostenere que' dolcissimi pesi.
--Per amor del cielo, messeri, che vuol dir ciò?--chiese l'ostiere,
con voce tremebonda.
--Animo, via, mastro Bernardo!--entra a dirgli il Picchiasodo, con
quel suo piglio burlesco.--Non si sforacchiano mica le tue botti, nè
la tua pancia, perbacco!
--Oh, Gesummaria! che cos'è stato? Ah capisco, ora!--soggiunse il
povero oste, ricordandosi.--Messer Giacomino.... Ah, maledetta lingua!
Ma spero che non andrete più oltre.... Nella mia osteria!... E che
dirà il magnifico marchese quando saprà che avete fatto uno sfregio a
suo genero.... al magnifico signor conte di Cascherano.... a un
gentiluomo di quella fatta? Nobilissimo signore, per carità, non date
retta alle offese di quel giovinastro. È un matto, credetelo.... e ai
matti non si presta orecchio.--
E intanto che così parlava a frasi spezzate, come voleva lo stato
dell'animo suo, mastro Bernardo, aiutato e costretto dal Picchiasodo,
gli veniva mescendo il vino nel bicchiere.
Giacomo Pico a cui rinfiammavano lo sdegno le allusioni matrimoniali
dell'oste, perdette a dirittura la pazienza al sentirsi dare di
giovinastro e di matto.
--Taci là, vecchio rimbambito!--gli disse, schizzando rabbia dagli
occhi.
--Rimbambito a me? Sciocco presuntuoso.... villan rifatto....
serpicina riscaldata, per amor di Dio, dai nostri signori...
--Ohe, dico, mastro Bernardo, non mi spandere il vino; e' sarebbe
peccato mortale!--gridò il Picchiasodo, affannandosi a rimettere in
equilibrio il vassoio, che andava di qua e di là, secondo i movimenti
impetuosi del vecchio stizzito.
--.... E v'hanno tirato su,--proseguiva mastro Bernardo, montando in
furore,--vi hanno rimpannucciato, messo all'onore del mondo, perchè vi
crescesse la superbia fino al punto di.... Ma vedete un po'
l'ambizione! Credersi degno di sposare la figlia del marchese!... Un
vassallo!... un servitore! Andate là, messer Giacomino; io sarò un
vecchio rimbambito, ma voi....
Messer Pietro gli troncò il filo dell'invettiva. Ed era tempo; chè
Giacomo Pico faceva già l'atto di correre colla spada addosso
all'ostiere.
--Orsù, smetti, alla croce di Dio,--gridò messer Pietro,--e lasciaci
aggiustare le nostre faccende come ci aggrada.--
A quelle parole di messer Pietro, l'ostiere chinò la fronte
raumiliato.
--Magnifico signor conte....--diss'egli;--voi lo volete; obbedisco.
Quanto a voi....--
E qui mastro Bernardo, che avea rivolta l'apostrofe al Bardineto, fece
un gesto di minaccia, che doveva mostrare a Giacomo Pico com'egli,
mastro Bernardo, non fosse per menargli buona così presto la sua pazza
sfuriata.
Il Picchiasodo finì di chetarlo.
--Alla tua salute, degnissimo ostiere! Ma bevi anche tu; questo è
contro la rabbia.
--Alla salute del signor conte!--rispose mastro Bernardo, alzando il
bicchiere, che gli avea messo in mano il vecchio soldato.
E bevve, per contentarlo, ma guardando tuttavia a squarciasacco il
Bardineto, che più non si curava di lui, intento com'era ad impegnare
la zuffa.
Giacomo Pico era agile e destro. Il furore ond'era tutto invasato gli
raddoppiava le forze. La sua lunga spada milanese balenava in alto e
ruotava, scendeva a rovina sulla spada dell'avversario, si ritraeva
veloce e tornava più veloce ancora all'assalto, cercando la via fino
al petto di messer Pietro e non trovandola mai. Il suo nemico,
immobile, sereno, quasi scherzevole, lo teneva a bada con fine
artificio. I movimenti del suo ferro erano così scarsi e misurati ad
un tempo, da lasciar credere ad uno spettatore inesperto che egli non
facesse davvero. Per fermo, tanta era la sicurezza dell'occhio e tanta
la perizia della mano, che l'una e l'altra consentivano a messer
Pietro di baloccarsi un tratto con quella furia del suo avversario.
Opponeva ai colpi il forte della lama; metteva a quell'altro di
continuo la punta della spada sugli occhi, e non profittava mai del
suo evidente vantaggio.
Il Sangonetto sudava freddo, si faceva piccin piccino, e di tanto in
tanto socchiudeva gli occhi, quasi per non vedere la botta che doveva
passare fuor fuori il suo malcapitato compagno.
In quella vece il Picchiasodo rideva. Egli conosceva il giuoco del suo
signore come il fondo del suo borsellino in fin di mese, e quel suo
riso tra beffardo e benevolo diceva chiaramente a tutti gli astanti:
aspettate, or ora vedrete; il buono ha ancor da venire. Frattanto, per
non rimetter nulla de' suoi godimenti, venia centellando il suo
bicchiere di malvasia, e attraverso alla sottil parete di vetro i suoi
occhi si godevano, anzi meglio, si succiavano quella scena deliziosa,
che facea sudar freddo il Sangonetto e tremar le gambe e battere i
denti a mastro Bernardo.
--Poveri a noi!--gli andava dicendo l'ostiere.--Che ne dirà il
marchese?
--Che vuoi ci abbia egli a ridire?--soggiunse il Picchiasodo.--La
ragazza, piuttosto, se ama quel tuo bell'arnese; poichè egli mi pare
un uomo spacciato.
--Ah, messere, e potreste crederlo? Madonna Nicolosina?... Nemmen per
sogno! Se ella avesse pensato mai a quel pazzo da catena, io, non fo
per dire, avrei a saperne qualcosa. Mia moglie è zia della Gilda.... e
per la Gilda non ci sono segreti. Vi giuro, messere, e voi ci potreste
mettere la mano sul fuoco, che la fanciulla pensa a messer Giacomino,
com'io a farmi frate, e le son tutte fisime che s'è messe in capo
costui.
--Tu mi consoli;--rispose gravemente il Picchiasodo;--perchè infine,
dico io, quando si prende moglie, bisogna avere un occhio al cane e
l'altro alla macchia. Menar donna non gli è mica come a fallar la
strada, che c'è sempre il rimedio di tornarsene indietro; una volta
fatto il pateracchio, addio fave! chi le ha, son sue. Or dunque tu
credi che madonna Nicolina.... come la chiami?
--Nicolosina, messere.
--Tu credi adunque che madonna Nicolosina non lo veda di buon occhio?
--Ma neanco per prossimo, starei per dire. Una savia e costumata
fanciulla, che quel che vuole suo padre vuol lei! E poi, come supporre
che una donnina a modo, e della sua levatura, si fosse invaghita di
quel tanghero?
--Eh, quanto a ciò, se ne son viste tante, e il conte di Cascherano
non sarebbe il primo.... Ma vedi il tuo messer Giacomino, come s'è
invelenito! S'affanna per la gloria, il poverino! E se, per caso, le
busca....
--Chi le ha, son sue!--sentenziò mastro Bernardo.
--Ah, bravo, tu mi fai l'eco!--ripigliò il Picchiasodo.--Ma guarda; le
ha tocche davvero e son sue, questa volta.--
Queste ultime parole del vecchio soldato avranno detto al lettore che
Giacomo Pico, dopo essersi lungamente e inutilmente affaticato per
ferire il suo avversario, toccava egli invece una botta.
Si era adoperato per quattro, il povero Giacomo Pico; aveva messo
l'ingegno e le forze, la rabbia e l'amor proprio alla prova, e non era
venuto a capo di nulla. Messer Pietro, come si è detto, parava
facilmente, senza scomporsi, senza riscaldarsi il sangue, e, contento
di mandar vani i colpi del Bardineto, non profittava del suo vantaggio
su lui. Sorrideva, frattanto sorrideva di continuo, come un vecchio
schermidore che avesse a sostenere gli assalti d'un bambino, o d'un
cieco. Ora, egli non è dire come quello eterno sorriso tornasse
molesto al Bardineto, che se lo vedeva sempre sugli occhi, tra un
guizzo e l'altro delle spade cozzanti. E non poter giungere fino a
quel volto! e non poter mutare quel riso sarcastico in un ghigno di
dolore! Venne un istante che egli, pur di cessare quel riso, avrebbe
amato una puntata nel cuore. Fu per dolersene ad alta voce; ma gli
parve viltà e si morse le labbra fino a dar sangue. Messer Pietro se
ne avvide ed ebbe compassione di lui. Intendiamoci, ne ebbe
compassione a modo suo, che tenero non era di cuore, e i tempi del
resto non comportavano certo delicatezza di nervi. A que' tempi si
dava il nome di misericordia ad una foggia di pugnale, e quello di
grazia ad un certo colpo che finiva l'avversario. Così, e non
altrimenti, fu compassionevole il cuore di messer Pietro, il quale,
cessati gl'indugi, pigliò a sua volta l'offesa, si serrò addosso al
nemico, e, sviato un maledetto fendente, che, giusta l'intenzione del
feritore, doveva spaccargli la testa, corse veloce con un soprammano
al costato di Giacomo Pico. Questi che troppo si era logorato le forze
nei molteplici assalti, perdette il tempo, e giunse alla parata che
già la punta nemica lo avea colto al sommo del petto.
La spada aveva forato il farsetto di cordovano come fosse di tela, e
tornando rapida indietro aveva aperto la via ad uno spruzzo di sangue.
Balenò un tratto il ferito, agitò con moto convulso le braccia, e
mugghiando ferocemente stramazzò sul battuto.
Il Picchiasodo, com'era stato il primo ad avvedersi del colpo, così fu
il primo ad accorrere verso il ferito.
Egli da tergo e il Sangonetto da piedi, lo sollevarono riguardosamente
da terra e lo adagiarono sopra una panca, che in fretta aveva tirato
innanzi mastro Bernardo.
--Ah, povero il mio Giacomo!--sclamò il Sangonetto, notando il pallore
che di repente invadeva la fronte e le guancie del Bardineto.--Egli è
morto!
--Eh, non tanta fretta a cantargli il deprofundis!--gridò il
Picchiasodo.--Scusate, veh, messere dell'archibugio; io penso che voi
non ne abbiate mai visto, de' morti.
--Sono stato alla guerra anch'io;--rispose il Sangonetto, mettendosi
in gota contegna;--e la mia parte....
--Sia pure;--interruppe il Picchiasodo;--voi dunque capirete che, per
sincerarsi della morte di un uomo, bisogna dargli la prova. Ohè,
mastro Bernardo, qua il vino!
--Eccolo, messere!,--disse l'oste, raccattando sollecitamente il
fiasco e un bicchiere da terra.
Il Picchiasodo prese il fiasco, e versò gravemente nel bicchiere
quattro dita di malvasia.
--Da bravo, a voi;--disse poscia al Sangonetto, che sorreggeva il
ferito;--sollevatelo un pochino, e mettetegli la mano sulla ferita,
che non versi altro sangue; mastro Bernardo porterà un pannilino
inzuppato d'acqua, d'aceto, di quel diavolo che vorrà.--
L'ostiere corse dentro ad eseguire il comando. Intanto il Sangonetto
rialzava tra le sue braccia l'amico, e guardava stupefatto il
Picchiasodo, non intendendo che diamine volesse egli fare di quel
vino.
Il vecchio soldato lo levò subito di pena. Accostato il bicchiere alla
faccia del Bardineto, gli messe l'orlo tra i denti e gliene fece andar
giù una sorsata.
--Guardate; questa è la prova del vino. La scuola antica porta così.
Ippocrate, capitolo quarto! Se il morto beve, gli è segno che vive.--

Per dar ragione ad Ippocrate, o, per dir più veramente, al suo
burlesco discepolo, che inventava di pianta, il ferito riaperse gli
occhi e diede in un gemito.
--Ah, lo vedete?--soggiunse il Picchiasodo, con aria di
trionfo.--State di buon animo, messere dell'archibugio. Levategli il
farsetto; chiudete per bene le labbra della ferita; fasciatelo
strettamente con questo pannilino; date un altro bicchiere al medico
(grazie, mastro Bernardo; questo lo bevo alla salute di tutta la
brigata), e sarà accomodata ogni cosa. Vediamo un po', giovinotto;
provatevi a respirare.--
Giacomo Pico, a cui erano rivolte le ultime parole del vecchio
soldato, trasse un respiro senza troppa fatica.
--Lo dicevo io; non gli è nulla.... un buco che si stopperà
facilmente! Io n'ho una mezza serqua seminati sulla pelle, e fo conto
di tirare innanzi dell'altro.--
Frattanto messer Pietro, ricacciata la spada nel fodero, e dato un
altro genovino all'ostiere, che non lo voleva a nissun patto, e che
forse perciò, mentre si tirava indietro colla persona, sporgeva
tuttavia la mano per prenderlo, si mosse alla volta del suo palafreno
e fu in sella d'un balzo.
--È tardi, e dobbiamo guadagnare il tempo perduto;--diss'egli al
Picchiasodo, che fu pronto a seguirlo.
Indi, accostando il cavallo alla panca su cui era adagiato Giacomo
Pico, e fatto della mano un cortese saluto al suo avversario, gli
disse:
--Messere, io vo' aiutare al vostro risanamento, più efficacemente che
non abbia fatto Anselmo Campora, detto il Picchiasodo, capo de' miei
bombardieri. Se voi foste stato più calmo quest'oggi, avreste di
leggieri capito che chi viene per tornarsene subito indietro, non è
certamente uno sposo.
--Che? come?--farfugliò il Sangonetto.
--Ah!--sclamò in pari tempo il ferito rizzando il capo e volgendo al
suo vincitore uno sguardo da cui trasparivano in pari misura la
curiosità e lo stupore.
--Sicuro;--ripigliò il cavaliere;--e avrei amato dirvelo, se non mi
aveste sbarrata la strada e afferrate le redini del cavallo, cosa che
non mi ha mai fatto impunemente nessuno. Ma basti di ciò. Avete
incrociato il ferro con Pietro Fregoso, capitano dei genovesi
all'impresa del Finaro. Se la vostra mala, sorte vi fa cadere in balìa
dei nemici, ricordate che la tenda del capitano è un fraterno rifugio
per voi, e che non vi bisogna riscatto.--
Con queste parole si accomiatò messer Pietro dall'osteria dell'Altino;
indi, spronato il cavallo, si mosse verso l'uscio di strada.
Fu quello un colpo di fulmine a ciel sereno. Giacomo Pico sbarrò gli
occhi, volle parlare, ma la commozione fortissima gli fece nodo alla
gola. Balbettò alcune parole vuote di senso, e ricadde svenuto nelle
braccia di Tommaso Sangonetto, che era rimasto mutolo, guardando ora
il Fregoso, ora il Picchiasodo, ora l'ostiere.
Quest'ultimo, che pur dianzi, tutto ilare in volto ed affaccendato
negli atti, si sprofondava in riverenze alla staffa di messer Pietro,
fece tre passi indietro, a quella improvvisa rivelazione; inarcò le
ciglia, strabuzzò gli occhi, spalancò la bocca ad un grido, e rimase
là sbalordito, come se avesse visto la tregenda, o il diavolo in carne
ed ossa.
Il Picchiasodo diede alla sua volta di sprone, per farsi alla manca di
messer Pietro Fregoso, e si trovò per tal guisa a pari di quel
simulacro della melensaggine.
--Orbene, mastro Bernardo;--gli disse, appoggiandosi sulla staffa
verso di lui e assestandogli un buffetto sotto il naso;--che è ciò?
Hai forse perduto la scrima?--
Il povero ostiere, che era stato cagione di tutto quel guaio e si
vedeva canzonato per giunta, alzò sdegnosamente le spalle e torse gli
occhi da lui.
--Sta di buon animo, via!--proseguì il Picchiasodo.--Ho il tuo
ricapito e fo conto di ritornare. Tienmene in serbo un fiasco di
quest'ultimo, che abbiamo a bercelo tra noi due, ciaramellando da
buoni compari sul gotto.--
E ridendo a più non posso, Anselmo Campora, detto il Picchiasodo, capo
dei bombardieri dell'esercito genovese, uscì alla sua volta di là.
--Ah sì, a ciaramellare!--ripetè mastro Bernardo stizzito.--Mi si
tagli piuttosto la lingua!
--_Amen_!--soggiunse il Sangonetto, poichè furono soli.--E intanto,
vediamo di aggiustare questa mala bisogna.
--Ah, messer Tommaso, tutto quel che vorrete;--gridò mastro
Bernardo;--comandate, son qua. Maledetti! e dire che avevano un'aria
così candida! Mangiavano e bevevano con tanto gusto!
--E tu hai bevuto più grosso di tutti, Bernardo; e non hai capito che
coloro tiravano a scalzarti. E non basta; fors'anco pigliavano
cognizione dei luoghi, e tu....
--Ah, non me ne parlate, messer Tommaso! Parevano così innamorati del
paese! Segnatamente quel capo dei bombardieri.... oh, san Biagio
benedetto! Ma già, del senno di poi son piene le fosse; ed ora
bisognerà pensare a quello che si potrà dire di questo affaraccio.
--Già!--soggiunse Tommaso.--E che cosa diremo? Ah ecco? che il nostro
Giacomino aveva odorato il tradimento e non seppe portarselo in pace.
Capisci? Non gli è di buona guerra venir qua, sotto colore
d'ambasciata, per esplorare il terreno, e cavare i calcetti alla
gente. Per altro, innanzi di presentare la nostra invenzione,
bisognerebbe sapere che cosa è avvenuto al castello tra i due genovesi
e il marchese Galeotto.
--Sicuro, bisognerebbe saperlo;--disse mastro Bernardo;--ma come si
fa?--


CAPITOLO V.
Dal messaggio di Pietro Fregoso e di ciò che ne seguisse al castello
Gavone.

In quella che Tommaso Sangonetto sta almanaccando insieme coll'oste
dell'Altino, per trovar modo di sapere le cose avvenute e di foggiarvi
su una credibile invenzione, andiamo noi per la spiccia e vediamo che
ambasciata portasse messer Pietro Fregoso alla corte di Galeotto,
marchese del Finaro.
I due cavalieri genovesi (oramai l'arcano è svelato e l'incognito non
serve più a nulla) presentatisi alla porta di san Biagio e debitamente
fermati dalle scolte, si erano annunziati messaggieri dalla possente
repubblica e portatori di lettere d'alto rilievo al marchese. Il
comandante della porta, veduto il sigillo coll'arme di Genova, avea
dato loro il passo e la compagnia d'un drappelletto di balestrieri,
che, parte per onoranza e parte per custodia, li condussero oltre.
Così orrevolmente scortati, sotto gli occhi di un popolo curioso che
si affollava sul loro passaggio e della loro venuta non pronosticava
niente di buono, erano riusciti alla porta settentrionale del borgo;
d'onde, per una ripida strada serpeggiante sulla costiera del monte,
erano saliti in vista del castello Gavone, dove i marchesi del
Carretto, terzieri del Finaro, avevano corte e dimora.
Si è già detto che il castello Gavone era murato a cavaliere del
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