Castel Gavone: Storia del secolo XV - 16

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erano in quel trambusto ridotti. Una inferriata diritta ne chiudeva il
vano. Antonio Porro afferrò le spranghe e le scosse con tutto il
vigore de' suoi polsi d'acciaio. Traballarono quelle; ma Antonio,
dalla resistenza che avevano fatta, giudicò che troppi scrolli
sarebbero bisognati a schiantarle, e in quelle strette ogni istante
era prezioso, per la salvezza del suo signore.
Perciò, mentre Galeotto lo venia guardando ansioso, e madonna Bannina
colla sollecitudine dell'affetto e dalla paura stava annodando i
pannilini della sua camera a foggia di corda, Antonio Porro si trasse
indietro alcuni passi, raccolse le membra, strinse le pugna sul petto,
e veloce, impetuoso, come un braccio di catapulta, si scagliò contro
l'inferriata con tutto l'urto delle sue spalle poderose.
Le sbarre percosse si piegarono in fuori, segno che parecchi dei capi
si erano smossi dai loro alveoli di piombo. Un nuovo urto, non meno
poderoso del primo, svelse a dirittura una parte dell'inferriata dal
suo stipite di pietra.
Intanto nelle mura del castello il frastuono cresceva. I soldati di
guardia, udito il rumore degl'invadenti nemici, erano accorsi a
difesa, e per le scale, pe' corridoi, dovunque gli uni negli altri
s'imbattevano, era una pugna cieca e feroce.
Antonio legò saldamente un capo delle lenzuola ad un tronco di sbarra,
che era rimasto infitto nel davanzale, e senza far motto indicò la via
di salvezza al padrone.
--Mio buon Antonio!--esclamò il marchese, con piglio amorevole.
--Andate, messere, andate!
--Raccomando alle tue cure la mia povera moglie!--soggiunse Galeotto,
colle lagrime agli occhi.
E stretta al seno la fedele compagna della sua vita, a baciatala in
fronte, si spiccò dalla camera, per raccomandarsi a quel fragile
sostegno, che dovea porlo in salvo a' piè delle mura.
--Corro al Borgo!--diss'egli, nell'atto di scavalcar la finestra.
--No, messere, non lo fate!--gridò Antonio Porro.--Chi vi assicura che
il Borgo non sia già caduto in potere dei nemici? Prendete la via dei
monti; correte a San Giacomo.
--Addio dunque, Bannina!--ripigliò Galeotto.--Ma no, a rivederci, tra
breve, in Millesimo, se mi sarà dato di giungere fin là. A te il
capitano dei genovesi concederà prontamente il riscatto, che non vorrà
infellonire contro una donna.--
Ciò detto, si aggrappò alla fune e si commise nel vuoto.
La discesa fu agevole e sicura fino a due terzi dello spazio che gli
bisognava percorrere. Ma giunto a poca distanza da terra, o perchè uno
di que' pannilini non fosse saldamente annodato, o perchè la bontà del
tessuto non soccorresse, la fune si ruppe, e il marchese Galeotto
percosse delle membra sui sassi, lacerandosi le piante, il petto e le
braccia, con cui aveva tentato di schermirsi nel buio.
Madonna Bannina, che si era fatta al davanzale per cogliere l'ultimo
saluto del fuggente, udì in quella vece il tonfo ed un gemito.
--Vergine santa! egli si è ferito!--gridò la nobil donna
raccapricciando.--Antonio, per carità, soccorretelo; andate con lui.
Io già non ho mestieri di nulla;--soggiunse, come per indurlo più
facilmente a quel passo.--I nemici verranno; che importa oramai? Sono
una povera vecchia e non ho niente a temere per me. Andate, Antonio,
vi supplico; egli ha bisogno d'aiuto.
Il giovine, che l'aveva intesa alle prime, s'inchinò senza dir verbo,
e d'un salto fu sul davanzale. Poco stante, facendo gran forza di
braccia, si calò fino all'ultimo lembo del suo aereo sostegno.
--Messere,--dimandò egli a bassa voce,--ove siete?
--Son qua, buon Antonio. Hai voluto scendere anche tu? Pon' mente; s'è
strappata la fune.
--Lo so. A che altezza da terra?
--Cinque, o sei braccia, mi pare. Ma bada a te; non ti gittar troppo
in fuori, che potresti ruzzolare dai greppi.
--Non dubitate; conosco il terreno.--
E pigliando le sue misure così a occhio e croce, l'animoso scudiere
spiccò il salto dalla parte opposta a quella donde aveva udito la voce
del suo signore.
Agile e forte com'era, fu a terra senza farsi alcun male, e corse
tosto in aiuto del marchese.
--Orbene?--gridò ansiosa madonna Bannina dal davanzale.
--State di buon animo, madonna. Qualche scalfittura, a cagione degli
sterpi, e nient'altro.
--Ah, sia lodato il Signore! Andate dunque. Essi giungono.--
E toltasi dalla finestra, la nobil donna corse nella sua camera, dove
stette in attesa.
Frattanto i nemici, giunti all'appartamento del marchese, tempestavano
l'uscio di colpi. A breve andare le imposte volarono in pezzi, fu
rotta la sbarra che ci avea posta a ritegno lo scudiero, e Giovanni di
Trezzo fu il primo a dar dentro, colla spada sguainata. Dietro a lui
una frotta di uomini, le cui facce iraconde e le armi erano
sinistramente illuminate dalla torbida fiamma di alcune torce a pugno,
intrise di pece.
Giunto che fu nella camera, e veduta la marchesana del Carretto, che
si alzava con piglio austero dal suo seggiolone per muovergli
incontro, Giovanni di Trezzo si fermò sui due piedi, tolse la spada
nella mano manca sotto l'impugnatura, e, mentre inchinava la fronte,
stese la mano in atto di cortese saluto.
La marchesa rispose con un cenno del capo.
--Che chiedete, messere?--diss'ella poscia, con accento tranquillo.
--Potete argomentarlo, illustre signora;--rispose Giovanni di
Trezzo.--Chiediamo del magnifico marchese Galeotto del Carretto, già
signore del Finaro.
--Egli lo è sempre per diritto ereditario de' suoi maggiori;--replicò
ella nobilmente.
--Non piatirò di titoli con voi. Son uomo di spada, non già di toga.
So che il castello Gavone per opera mia appartiene ora alla repubblica
genovese, e cerco il marchese Galeotto per condurlo prigione, com'egli
terrebbe me, se la fortuna delle armi non mi avesse assistito. Del
resto, non temete, madonna; siam cavalieri e ai prigioni e alle dame
non sarà torto un capello.
--Vi credo, e commetto alla vostra lealtà di soldato tante povere
donne che sono in vostra balìa. Il marchese Galeotto non è nel
castello; statevi pago, messere, di aver prigione sua moglie.--
Giovanni di Trezzo, che sapea far queste cose per bene, s'inchinò
profondamente e non aggiunse parola. Per altro, egli non poteva
capacitarsi di non aver trovato il marchese nelle sue stanze. Lo
scompiglio che si vedeva per la camera, gli dava sospetto bensì d'una
fuga; ma da dove poteva esser fuggito il nemico?
Uno de' suoi soldati, tornando dall'anticamera, gli disse
dell'inferriata rotta e delle lenzuola ancora sospese al davanzale.
--Ah, ah!--sclamò egli,--Il merlo è volato via. Ma la gabbia è nostra;
questo è l'essenziale.--
E pensava, così dicendo, ai trecento scudi d'oro del sole che gli
fruttava l'impresa.
Un alto fragore di combattenti, dall'altra parte dei castello, venne
in quel punto a rompergli il filo dello sue meditazioni e a
distoglierlo altresì dal pensiero di mandar gente sull'orme del
fuggitivo.
Che c'era egli di nuovo? Laggiù si picchiavano di santa ragione. Ma
d'onde erano sbucati i nemici? San San Giorgio e Carretto! San Giorgio
e Fregoso! Eran questa le grida che cozzavano insieme, come le mazze e
le spade, facendo un chiasso indiavolato.
--Vi pigli un canchero!--brontolò Giovanni di Trezzo.--Il premio
sarebbe ancora in sospeso?...--
E lasciata la marchesana del Carretto in custodia a due uomini, corse
colla sua gente dall'altra parte del castello, donde gli era giunto
all'orecchio il fragor della pugna.

CAPITOLO XV.
Qui si racconta delle valentie di due sozi, i quali non erano Teseo a
Piritoo.
Non credano i lettori benevoli che l'autore, avendo nel capitolo
precedente chiamata madonna Nicolosina l'Elena di Castel Gavone,
voglia venire in quest'altro a nuovi riscontri mitologici. Egli ha per
contro già, confessato nel titolo che i due sozi di cui parlerà non
erano da mettersi a paragone con Teseo e Piritoo, que' due famosi
rapitori di donne.
Compagni di ventura, il principe d'Atene e il re dei Lapiti, rubarono
Elena, ancor tenerella di età, la quale toccò in sorte al primo di
loro; e il patto essendo corso tra i due che il perdente fosse dal
vincitore aiutato a trovarsene un'altra, ne conseguì che Teseo
accompagnasse l'amico di là d'Acheronte, per dargli mano al ratto di
Proserpina; il secondo, e credo anche l'ultimo, attentato amoroso, di
cui fosse fatta argomento quella povera dea. Il primo, se ben
ricordate, fu commesso da Plutone, che poi consacrò la sua marachella
con un bravo matrimonio e con un permesso alla moglie di andare in
campagna da sua madre per sei mesi d'ogni anno.
Or dunque, s'avviarono i due amici all'impresa, ma senza aver fatto i
conti con Cerbero. Il quale avventatosi alla gola di Piritoo, lo
strangolò senza misericordia, dando tempo a Plutone di mettersi in
arme e di far prigione il compare, che fu, anni dopo, liberato a
stento da Ercole.
Ognun vede che questi non sono riscontri da farsi con Tommaso
Sangonetto e con Giacomo Pico. L'antichità riverente ci ha fatto due
eroi di Teseo e di Piritoo, forse perdonando, in ricompensa di più
nobili imprese, queste ed altre loro scappatelle di gioventù; laddove
i nostri due sozi, non che di lode, non sono pur degni di scusa.
Epperò si ha da credere, se non c'è sotto un qualche artifizio
acconcio a predisporre l'animo dei lettori, che i nomi de' due
antichissimi eroi siano tirati in ballo per mostrare in che razza di
dottrina è ferrato a diaccio l'autore di questo racconto, oramai
presso al suo termine.
E per non indugiarci più oltre, facciamo ritorno alle due donne,
rimaste così sbigottite al primo indizio della scalata e dello
spandersi dei nemici entro le mura del castello Gavone. Vedremo più
tardi Don Giovanni di Trezzo e sapremo che diavol fosse quell'altro
tafferuglio che lo faceva accorrere con tanta fretta verso le scale.
Madonna Nicolosina, fortemente turbata, era corsa a rifugio nella
cameretta di Gilda. Modesta e linda cameretta, già così lieta dimora
di colei che chiamavano la più bella ragazza del Finaro, dopo la
figliuola del marchese, che era per le grazie della persona e per
l'altezza dei natali celebrata bellissima! Pochi e semplici in quel
breve spazio gli arredi; un forziere di noce intagliato a rabeschi,
nel quale la fanciulla custodiva le cose sue; una scranna, uno
specchio alla parete, una lampada sospesa, un letticciuolo, un
inginocchiatoio, su cui stava un picciol vaso di maiolica, con entro
un mazzolino di fiori, davanti ad un trittico d'avorio, nella cui
tavoletta di mezzo era dipinta la Vergine, e sulle altre due santa
Caterina e san Biagio, patroni del Borgo. Una volta (e non era corso
gran tempo) in quel vaso erano i fiori freschi ogni dì, anche nel cuor
dell'inverno; chè ogni stagione, in questi lidi benedetti dal cielo,
ne porta. Ma, da parecchie settimane, quel culto gentile era stato
posto in oblìo, nè più i fiori erano stati cambiati dinanzi alle
immagini dei santi. Sfioriva nel rimorso e nel dubbio la povera Gilda;
diseccavano i vecchi fiori dimenticati nel vaso.
Il primo pensiero di Nicolosina fu di aprir la finestra e di
spenzolare allo ingiù la lunga e salda appiccatura di lenzuola che
avea preparata la Gilda. Il vento soffiava e i suoi buffi gelati
entravano pel vano della finestra, facendo tremolare la fiamma nella
lampada sospesa. Ma ella non se ne addiede, che in quello stremo
d'angoscia niente più poteva ferirla. Gridò, chiamando i finarini, che
dovevano essere in quell'ora appiattati nella macchia delle roveri:
ma, o non l'udissero costoro, o ancora non fossero giunti, o la voce
loro non vincesse le folate del vento, la povera Nicolosina non
ottenne risposta al suo grido.
Incominciò allora a tremare. Il fragore dei nemici cresceva nel piano
inferiore del castello. Già saliano le scale. Non parevano molti;
erano due al più, i primi accorrenti; ma uno solo bastava ad
atterrirla, a gelarle il sangue nelle vene. La misera donna già si
vedeva dinanzi l'immagine di Giacomo Pico, del suo fiero amatore, non
più ginocchioni, in atto supplichevole, bensì ritto e minaccioso su
lei, prostrata, abbandonata, senza schermo e senza forza, a' suoi
piedi.
Quella orrenda visione la comprese di spavento ineffabile.
Entrando nella camera, aveva chiuso l'uscio dietro di sè. Ma
questa difesa non poteva bastarle. Nicolosina corse allora a
gittarsi sull'inginocchiatoio, e là, a mani giunte, lacrimosa,
con rotti accenti, pregò, supplicò la vergine Maria, tutti i
santi del paradiso, per suo padre, per sua madre, per sè. Pur
troppo non era da aspettarsi più nulla dagli uomini; se una
speranza di salute restava, questa non le appariva più che dal
cielo.
Un passo concitato risuonò allora nel corridoio. Il nemico procedeva
nelle tenebre, ma pronto e sicuro, come uomo che conosceva la via. Non
era un genovese, di certo; lui, dunque, lui? La povera donna levò le
braccia verso l'immagine di Maria; raccomandò, non più la sua vita,
l'onor suo, a quella donna che in suo vivente aveva tanto sofferto. Se
Dio accoglie la preghiera, sotto qualunque nome gli sia rivolta da
creature infelici, per fermo doveva udir quella.
Ma invano ella pregava. Un urto poderoso schiantò il serrame che
riteneva l'uscio alla parete. Il vento che s'ingolfò nella camera
avvertì la povera donna che ogni sua speranza era perduta e che il
nemico era giunto là dentro.
--Ah, ah!--disse una voce sarcastica.--La colombella s'è chiusa nel
nido?--
Nicolosina fremette, si aggrappò colle mani e coi gomiti
all'inginocchiatoio, come un naufrago alla sua tavola di salvezza.

--Per altro,--soggiunse la voce, che non era quella di Giacomo
Pico,--meglio era chiuder la finestra che l'uscio. Con questo freddo
morrebbe a ghiado l'amore, che pure è tutto di fiamma.--
E Tommaso Sangonetto (che era lui il nuovo venuto, come avranno già
indovinato i lettori) andò verso la finestra, per richiuder le
imposte.
--Ohe! che novità son queste?--proseguì, vedendo il nodo delle
lenzuola raccomandato al colonnino che partiva la finestra.--Si
lavorava a tirare il ganzo quassù? Ma bene! Questa non me l'avrei
aspettata. Del resto, per gl'innamorati voglion essere scale di seta,
o nulla. Stia al fresco, il babbione! Chi tardi arriva, male
alloggia.--
Così dicendo, Tommaso Sangonetto, che non pensava una parola di quel
che diceva, e bene aveva indovinato perchè ci fosse quella scala
posticcia sul davanzale, spiccò il nodo e gittò le lenzuola al vento;
indi richiuse le imposte.
--Ah; bene così!--ripigliò.--La lampada non darà più i tratti
dell'impiccato. E adesso, vi volgerete da questa banda, bella schifa
'l poco, donna sgargiante, anima dell'anima mia.
--Tommaso Sangonetto,--interruppe Nicolosina, balzando in piedi, tutta
fiammeggiante di vergogna e di collera,--rispettate la figlia del
vostro signore!--
A quella vista inaspettata, il Sangonetto diede un sobbalzo, che lo
ricondusse tre passi indietro, nella strombatura della finestra, da
cui si era mosso pur dianzi. Madonna Nicolosina! madonna Nicolosina là
dentro! che voleva dir ciò? O non era quella la camera della Gilda?
quella stessa camera in cui era venuto la prima volta a portarle la
nuova del duello e della ferita di Giacomo, e a sfrombolarle in pari
tempo la sua prima dichiarazione d'amore, accolta da lei con tanto
sussiego?
Senonchè, Tommaso Sangonetto non era uomo da perdersi d'animo davanti
ad una donna, nè per una sostituzione di donna. Pensò brevemente,
com'era consentito dall'urgenza dei casi, e disse tra sè: vedi,
Tommaso; o viene Giacomo, che s'è accorto del tiro, e noi si cambia
posto; o non viene.... e allora, che ci posso far io?--
Questo dilemma gli messe l'animo in pace. Quanto alla dignità di
Nicolosina, e a' suoi alti natali, se ne rideva quel poco! Ci aveva in
corpo un fiasco di vino, che doveva dargli coraggio come soldato, e lì
per lì se ne trovava d'avanzo.
--Oh, scusate, madonna!--aveva detto a tutta prima, nel colmo dello
stupore.--Credevo... non mi potevo immaginare...
Ma presto s'era rimesso in sella. Quel suo dilemma ne faceva
testimonianza.
--In fede mia,--soggiunse, dopo un momento di sosta e facendo bocca da
ridere,--qui c'è uno scambio. Non me ne lagno, perdinci, non me ne
lagno. Direi anzi che ci guadagno un tanto, mia bella contessa.
Nicolosina si ritrasse indietro due passi. Gli occhi luccicanti di
quell'uomo le faceano paura.--Sentite, madonna;--ripigliò il
Sangonetto, che aveva notato quell'atto di ribrezzo.--Facciamoci a
parlar chiaro. Per dare indietro che facciate, non uscirete di qui.
Ancora due passi e vi troverete al muro. Non vi schermite dunque
inutilmente; non guastate in vani contorcimenti la vostra serena
bellezza.
--Mio Dio! mio Dio!--mormorò la povera Nicolosina, giungendo le palme
sul seno e levando al cielo uno sguardo atterrito.
--Siete bella,--proseguì il Sangonetto--molto bella, troppo bella, ve
lo dico io, che me ne intendo, e, da vent'anni in qua, non fo che
studiare di questa importante materia. Non vi aspettavate la mia
visita, lo so; ma fuggivate quella d'un altro. Vi basti di averla
cansata e di averci, non fo per dire, guadagnato nel cambio. La Nena
di Verezzi, che ci ha, senza farvi torto, il primo paio d'occhi di
tutto il paese, dice che io sono il più bell'uomo del Finaro. Ah, ah!
che ne dite? Non ha, buon gusto la Nena?--
La misera donna fremeva di paura e di orrore insieme, a vedersi quel
ceffo dinanzi e a doverne udire le sconcie parole. Per fermo egli era
preso dal vino. L'alito impuro dallo stravizzo le offendeva la nari.
Per altro, e non era forse a vedersi in cotesto un aiuto del cielo?
che non avrebbe ardito prima d'allora il ribaldo, se i fumi del vino
bevuto non gli avessero offuscato il cervello? A questo pensiero un
fil di speranza le balenò nella mente, e, vincendo il raccapriccio
ond'era tutta compresa, tentò, col dargli risposta, di guadagnar tempo
su lui.
--Badate;--diss'ella.--Siam vittime di un tradimento e la vittoria di
un istante vi accieca. Ma i vostri concittadini, più fedeli di voi al
loro signore non tarderanno a giunger quassù. Non aggravate la vostra
colpa, Tommaso Sangonetto. Siete un ribelle; non diventate un infame.
Io stessa chiederò la vostra grazia a mio padre, e l'otterrò; ma
uscite; uscite, se vi è cara la vita.
--Ah, ah! bene, in fede mia, questo è parlar da padrona!--replicò il
Sangonetto, ghignando.--La mia grazia! Voi mi vendete il sol di
luglio, mia bella ritrosa. La vostra mi preme, e l'avrò, per amore, o
per forza; m'intendete? o per amore o per forza! Do la mia parte di
paradiso per voi. Siete mia, per dritto di guerra; non vi pensate di
sfuggire la taglia. Vi par dura? Avete il torto. Un po' per uno a
comandare; questa è l'uguaglianza. Eravamo noi i vassalli, noi i
censuarii, soggetti a tributo, noi le mani morte, taglieggiabili a
misericordia. Ora tutto è cangiato. Non ci son più signori.
Repubblica, mi capite? Comanda la repubblica di Genova e noi siamo i
suoi mandatari, ci vendichiamo, occhio per occhio e dente per dente.
Vi siete goduti per secoli e secoli ogni maniera di privilegi e
diritti; parecchi di questi, assai ghiotti pe' vostri padri e mariti.
Vivaddio, ne useremo un po' noi... E non c'è strilli che tengano!--
Nicolosina trovò nella sue braccia una forza di cui in ogni altra
occasione non si sarebbe creduta capace. Tanto può in gentil cuore
l'alterezza offesa e il ribrezzo che un tocco d'impure mani
gl'inspira. E non pure si sciolse da quel braccio che aveva ardito
posarsi su lei, ma colla veemenza d'un assalto improvviso fe' dare
indietro e barcollare un tratto l'insolente ribaldo.
--Ah sì?--sclamò egli, facendosi pavonazzo dalla rabbia e fischiando
le parole come un serpente il suo verso.--Dobbiam fare la guerra?
Facciamola! Tu cederai, smancerosa, ingannatrice lusinghiera,
dovess'io romperti le braccia, come rompo questa lampada che mi dà
noia.--
E gli atti seguendo la minaccia, il prode Tommaso strappò la lampa
dalla sua catenella e la mandò in pezzi sul pavimento.
Poco dianzi avea fatto quest'altra argomentazione tra sè:
--Giacomo non viene; dunque ha trovato il fatto suo; dunque a te,
Sangonetto, e fa conto d'essere andato per la prima volta a Verezzi.
Scivolata per scivolata, questa è la meno pericolosa di certo.--
E intanto che egli, non badando al grido di angoscia di Nicolosina, nè
ad un altro suono più degno della sua attenzione, ha gittato a terra
la lampada, e fatto buio pesto nella cameretta di Gilda, vediamo come
e perchè il suo degnissimo compare Giacomo Pico non corresse a dargli
la muta.
Salito con lui fino al secondo piano del castello, il Bardineto aveva
svoltato da solo verso le stanze di madonna Nicolosina. Il cuore gli
battea forte nel petto, così forte che sembrava dovesse ad ogni colpo
schiantarsi. Lo compresse rabbiosamente col pugno, ma invano; quel
battito gli suonava continuamente all'orecchio, e parea misurargli i
minuti che ancora gli restavano a diventare il più infame degli
uomini. Il tradimento consumato, la nefandità a cui si disponeva, e
senza la quale il suo tradimento sarebbe stato il più inutile tra i
delitti, gli turbinavano senza posa nell'anima, e, come le furie
antiche, istigatrici e punitrici ad un tempo, lo incalzavano e lo
inseguivano, gli toglievano il senno, ma senza levargli altrimenti
dagli occhi l'immagine della sua abbiettezza.
Ma che era egli ciò, contro un'ora di vendetta e di ebbrezza? Fosse
pur venuta a coglierlo in quel punto la morte! Tanto, egli lo
intendeva, che in quell'ora di ebbrezza e di vendetta era pieno il suo
vivere.
Sul limitare della camera di madonna, si fermò titubante. L'uscio era
socchiuso e la luce trapelava dal vano. Il Bardineto si fe' scorrer le
mani sulla fronte, come per cacciarne l'ultima vampa di rossore, ed
entrò.
Il letto a baldacchino, guernito di pizzi d'oro, scorgevasi in fondo
alla camera, ma vuoto, senza alcun segno di posatura recente. Giacomo
Pico, meravigliato di ciò, corse cogli occhi in giro, e là, ai piedi
del letto, ove la cortina pendente dal sopraccielo impediva la via
alla luce dei doppieri, immobile, bianca come uno spettro, di
rincontro al tappeto istoriato che copriva la parete, gli venne veduta
una donna. Immobile, ho detto, ma non come persona morta; che viva, e
agitata da una fiera tempesta di affetti, la dicevano gli occhi
fiammeggianti nell'orbite, le labbra rattratte da un moto convulsivo,
il pugno chiuso sul seno, perfino il tremito del braccio teso che si
appoggiava contro la spalliera del letto.
Giacomo Pico rimase come inchiodato al suo posto. Quella donna era la
Gilda.
Fu un lungo silenzio tra i due, rotto soltanto dall'ansia dei loro
petti frementi. Nessuno dei due abbassò gli occhi davanti agli occhi
dell'altro. Si guatavano fisi, e le occhiate si scontravano, torve
come folgori in un cielo tempestoso. Pure, nè l'uno nè l'altro avrebbe
voluto trovarsi colà; tanto era triste la condizione d'entrambi, tanto
sentivano nel lampo dei vicendevoli sguardi l'imminenza dello schianto
che doveva lacerarli ambedue.
Giacomo Pico tentò di svagarsi, inebriandosi della sua collera. Si
morse le labbra a sangue, diede in un ruggito di fiera e fu per
muovere contro di lei. Ma Gilda non gli diede il tempo da ciò.
--Sapevate di trovarmi qui?--gli disse ella con accento vibrato,
quantunque oppresso dall'ira.
La domanda poteva offrire uno scampo. Ma il Bardineto ricusò il
giovarsene.
--No!--rispose egli furente.
--E allora?....--gridò di rimando la Gilda, mal chiudendo in quella
sua reticenza la furia di mille rimproveri.--Badate, Giacomo Pico; voi
sareste un infame. Per chi venivate voi qua?
--Per lei!--rispose Giacomo, sbuffando a guisa di toro ferito.
--Ah, uditelo, demonii d'inferno!--proruppe ella con voce di
tuono.--Egli ardisce mostrarsi più nero, più malvagio di voi!
--Smettete i paroloni!--replicò il Bardineto.--Non vi ho amata mai;
orbene, sì, questo è il mio torto, di non averlo detto prima! È anche
vostra colpa di non averlo indovinato, di esservi abbandonata nelle
mie braccia come una femmina sciocca. Maledizione, maledizione per voi
e per me! dovevo io imbattermi in due donne, l'una così superba e
l'altra così debole?
--Non proseguire, Giacomo!---gridò la Gilda, impallidendo.--Se ami
qualcheduno o qualche cosa, al mondo, non proseguire!
Ma Giacomo Pico, riscaldato com'era, inebbriato della sua collera, non
le diè retta.
--Ah, voi credevate,--proseguì egli, mentre faceva per la camera le
volte del leone,--che io potessi dimenticar quella donna? che io
potessi acquetarmi a' suoi superbi dispregi? Mal conoscete il cuore
dall'uomo.
--Disgraziato, fermati!--gridò per la seconda volta la Gilda.--Vive
già nel mio seno una vita che ti può maledire!--
E mentre si contorceva nello spasimo, rasciugandosi con una mano il
sudor freddo che le stillava dalla fronte, brancolava coll'altra per
trovare un appoggio. In buon punto la spalliera del letto le sostenne
il fianco spossato.
Il Bardineto la vide e n'ebbe compassione. Ma era detto che le parole
sue non dovessero tornar di conforto a quella povera donna.
--È un acerbo dolore per voi; sì, pur troppo; ed una maledizione ch'io
merito. Ci siamo ingannati ambedue. Io stesso non vedevo in fondo al
mio cuore. È un abisso, credetelo, e più nero che voi non pensiate.
Amo io quella donna, o l'odio? Non lo so. Eppure, ella ha da esser
mia. È una rabbia in me, una feroce voluttà di vendetta. Sono un
traditore per lei, mi capite? un traditore. Voi non potreste dirmi
cosa che io già non abbia detto a me stesso. Traditore ed infame. A
lei la colpa, a lei la pena di ciò! Dove è dessa? dove l'avete
nascosta?
--Non la cercate;--rispose Gilda, con un filo di voce.
--Per l'anima tua, disgraziata, dimmi dov'è? Voglio saperlo,
m'intendi?
--Non lo saprete.... dal mio labbro.... mai! Vi basti di avermi
trovato qui, in vece sua, per salvarla da voi.
--Ah sì! Diffatti, perchè sei tu qui? e se tu sei qui nella sua
camera,--proseguì egli, illuminato da un improvviso raggio di
luce,--perchè non sarebbe ella andata a nascondersi nella tua?
--Ah!--sclamò ella, balzando in piedi e guardandolo in volto con occhi
atterriti.
--Sta bene!--disse Giacomo Pico.--La tua paura ti tradisce. Essa è là.
Ed ora, vedremo se ella mi sfugge.--
Così dicendo, Giacomo Pico andò verso l'uscio. Ma la Gilda, ritrovò in
un subito le forze smarrite.
--Voi non uscirete di qui!--gridò ella con piglio risoluto.
E veloce come la folgore, corse all'uscio, lo chiuse, trasse la
chiave, e, innanzi ch'egli avesse avuto tempo a raccappezzarsi, andò a
gittarla sotto un forziere, che stava in un angolo della camera.
L'arnese era di gran mole e appariva eziandio di tal peso da non
potersi smuovere così agevolmente; inoltre, la Gilda si era aggravata
colla persona contro la sponda del forziere, e, chiuse le mani intorno
agli spigoli, mostrava negli atti e nello sguardo scintillante di
esser pronta a resistere con ogni sua possa. Al solo vederla in quella
sua minacciosa postura, il drago, custode geloso dei tesori nascosti,
non sarebbe parso una favola.
Livido per rabbia impossente, Giacomo Pico ristette alquanto sopra sè.
Gli pareva impossibile che una donna avesse a fare così grave ostacolo
a' suoi disegni, alla sua volontà. Eppure, a tanto era giunta costei;
e Giacomo Pico, nella incertezza in cui l'avea posto l'atto audace e
repentino, cercava inutilmente il modo di romper gl'indugi, senza
macchiarsi in un'altra viltà, percuotendo una donna.
Ad un tratto, parve ricordarsi di qualche cosa. Il pensiero doveva
tornargli molesto oltremodo, poichè egli si cacciò a furia le mani nei
capegli e mise un urlo disperato.
--Maledizione! Sai tu che fai ora?--gridò, avventandosi all'uscio e
scuotendolo vigorosamente.
--Salvo la mia padrona!--rispose la Gilda, notando l'inutile sforzo di
lui.
--No, per la tua dannazione, tu non la salvi;--ruggì il furibondo.--Tu
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