La vita intima e la vita nomade in Oriente - 07

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vecchia possidente.
Salvo quest'eccezione la famiglia del contadino turco è simile a
quella del contadino cristiano e, lo dico con rammarico, il primo
potrebbe spesso servire d'esempio al secondo. Con pari fedeltà, il
vantaggio sarebbe del turco, perchè tale virtù non gli è imposta nè
dalla legge religiosa, nè dalla civile, nè dagli usi, nè dai costumi,
nè dall'opinione pubblica, e non può esservi indotto che dalla bontà
della sua natura, alla quale ripugna il pensiero di affliggere la
sua compagna. E non le fa mai pagare il privilegio, di cui non osa
privarla, di esser sola padrona di casa, con cattivi trattamenti o
malumori; non si compensa mai col tormentarla del freno che si impone
per riguardo ad essa. La sua anima semplice e generosa sarebbe incapace
delle piccole vigliaccherie. La tradizione della debolezza della donna
in Oriente non è relegata nel dominio della favola, ed i riguardi cui
ha diritto il debole da parte del più forte sono ancora considerati
cosa seria. Tutto o quasi è concesso alla donna dacchè è ritenuta
debole. Ha il privilegio di arrabbiarsi senza motivo, di mancare
di senso comune, di parlare per diritto e per traverso, di agire a
rovescio di ciò che le si domanda e sovratutto di ciò che le si ordina,
di lavorare quando le pare e piace, di spendere come crede il denaro
guadagnato da suo marito, di pretendersi malata, di lamentarsi senza
alcuna ragione. In forza di quale legge o di quale istituzione, per
effetto diretto od indiretto di quale usanza o di qual principio, gode
essa di tale privilegio? La legge l'abbandona senza difesa al capriccio
del suo signore e padrone, l'uso la condanna; ma la bontà d'animo, la
tenerezza, la generosità naturale dell'uomo garantiscono alla donna
un'impunità quasi assoluta. Il contadino turco ama la sua compagna
come un padre e come un amante; non la contraria mai di proposito e
scientemente e non v'è noia ch'egli non affronti di buon grado per
amor di sua moglie. La donna invecchia presto in questi climi, sotto
l'influenza di un nutrimento grossolano e malsano, e di continui parti,
di cui nè la scienza nè l'arte attenuano i pericoli. L'uomo invece, che
ha una costituzione più adatta a sopportare le fatiche e le privazioni,
rimane quasi eternamente vegeto. È frequentissimo qui il caso di
vecchi di più di ottant'anni che abbiano intorno bimbi che sono la loro
progenitura diretta. Nonostante questa disparità fra l'uomo e la donna,
l'unione stretta sulle soglie dell'infanzia è di regola spezzata solo
dalla morte. Ho veduto donne decrepite, inferme, orribili, condotte
per mano, curate ed adorate da bei vecchi ritti come i pini dei monti,
colla barba d'argento, ma lunga e folta, coll'occhio vivace e limpido.
Un giorno uno di questi splendidi vecchi di cui ho parlato mi aveva
condotto la sua vecchia moglie, cieca e paralitica, colla speranza
ch'io potessi renderle il moto e la vista. La vecchia era arrivata a
cavalcioni su un asino che suo marito teneva per la briglia, camminando
allato. L'aveva poi presa nelle braccia e, depostala su un banco
vicino alla mia porta, vi aveva installato la sua povera compagna su un
ammasso di cuscini, con tutta la sollecitudine di una madre per il suo
figliolo. Dissi alla cieca:
— Dovete voler molto bene a vostro marito?
— Vorrei bene vederci — mi rispose.
Io guardavo il marito che sorrideva melanconicamente, ma senza l'ombra
di un rancore. Si passò il rovescio della mano sugli occhi e disse:
— Povera donna! la sua cecità la rende molto infelice e non sa
abituarvisi. Ma voi le renderete la vista, non è vero, _Bessadea_?
Io scuotevo la testa e stavo per protestare la mia impotenza, ma egli
mi tirò il lembo della veste e mi fece segno di tacere. Gli chiesi
allora:
— Avete dei figli?
— Ahimè! ne ho avuto uno; ma è morto da tanto tempo.
— E come mai non avete preso un'altra moglie, più robusta e che avesse
miglior salute, sì da potervi dare dei figli?
— È presto detto; ma questa povera creatura ne avrebbe avuto
dispiacere, e ciò mi avrebbe impedito di esser felice con un'altra
anche se feconda. Vedete, _Bessadea_, non si può aver tutto a questo
mondo. Io ho una moglie alla quale voglio bene da quasi quarant'anni,
non ne sceglierei un'altra.
L'uomo che mi parlava in questa guisa era un turco. Sua moglie gli
apparteneva come un mobile; nessuno l'avrebbe biasimato, nessuna
legge l'avrebbe punito se si fosse sbarazzato di quel peso inutile
con qualche atto violento. In tal caso gli avrebbero semplicemente
domandato quali fossero stati i suoi motivi per agire a quel modo.
Fortunatamente il carattere del popolo turco corregge ciò che tali
costumi hanno di odioso. Vi ha in lui un fondo prezioso di bontà, di
dolcezza, di semplicità, un notevole istinto di rispetto per ciò che
è bello, di pietà per ciò che è debole. Quest'istinto ha resistito,
e speriamo resista ancora per molto tempo, all'azione di istituti
deleterii, basati unicamente sul diritto della forza e sull'egoismo.
Per comprendere quanto vi abbia di dolcezza e di serenità innate nel
turco, bisogna osservare i contadini di origine ottomana, sia nel
loro campo, sia al mercato o sulla soglia d'un caffè. Il raccolto, le
seminagioni, il prezzo dell'orzo, la loro famiglia, ecco l'argomento
invariabile delle loro conversazioni. Nessuno di essi alza la voce,
nessuno spinge lo scherzo fino a ferire od annoiare i suoi compagni;
niuno mescola a' suoi discorsi delle bestemmie o quelle parole
grossolane che il popolo predilige in altri paesi. Questo squisito
riserbo, questi modi al tempo stesso così nobili e così semplici gli
vengono dall'educazione? No, dalla natura, che è stata prodiga pel
popolo turco; ma tutti i doni ch'essa gli ha dato tendono ad essere
alterati dalle istituzioni. Man mano che ci si allontana dalle classi
nelle quali si conserva il carattere primitivo, man mano che si penetra
nella borghesia, od in istrati ancora più alti, ecco apparire il vizio
che giganteggia, prevale e finisce per regnare solo. Abbiamo visto
testè i sani istinti del popolo turco quali si rivelano nel contadino;
bisogna ora studiare l'influenza esercitata sulle classi superiori
dalla deplorevole costituzione della famiglia mussulmana. Questa
funesta influenza può sovratutto essere constatata ne' suoi effetti,
negli strati medi della società turca, nelle imitazioni servili
provocate dagli esempi della nobiltà.
Entriamo in un harem borghese o di un piccolo gentiluomo di campagna. È
necessario anzitutto che la viaggiatrice privilegiata che vuol visitare
un così triste luogo non si faccia alcuna illusione e si prepari a
superare molte ripugnanze. Imaginatevi un corpo di fabbrica, separato
dalla casa propriamente detta, ove il padrone riceve i suoi ospiti,
ove i domestici maschi hanno soli il diritto di abitare. L'ingresso
di questo fabbricato si apre di solito su una larga tettoia ove le
galline vivono in mezzo ad ogni sorta di detriti e di immondizie. Una
scala in legno, coi gradini guasti e disgiunti, conduce alle stanze
superiori che consistono in un grande vestibolo dal quale si ha accesso
a quattro camere. Una di queste è riservata al padrone di casa che vi
abita colla favorita del momento. Le altre stanze sono occupate dal
rimanente di ciò che qui si chiama la famiglia. Donne, ragazze, ospiti
di sesso femminile, schiave del padrone o della padrona compongono
la popolazione dell'harem. In Oriente non esistono veri letti, nè
camere specialmente destinate al riposo. Grandi armadi racchiudono,
durante il giorno, mucchi di materassi, coperte e guanciali. Venuta la
sera, ognuna delle abitanti dell'harem leva dall'armadio ciò che le è
necessario, fa il suo letto dove Dio vuole e si sdraia vestita. Quando
una camera è piena, quelli che sopraggiungono si collocano altrove,
e, se le camere sono ricolme, le ultime venute vanno nel vestibolo o
sulla scala. Nulla di più sgradevole per occhi europei che l'aspetto
di quelle signore quando si alzano il mattino nelle loro acconciature
della sera precedente, cincischiate e sfiorite per la pressione delle
materassa ed i moti impulsivi del sonno.
Lo scopo principale di un padre di famiglia turco è di avere il maggior
numero possibile di figli e tutto, nella vita domestica, è subordinato
a questa considerazione. Se una donna rimane due o tre anni sterile
è subito allontanata, suo marito la sostituisce con una compagna più
feconda. Nessuno si impiccia dei rimpianti e della gelosia della povera
reietta; ma bisogna aggiungere che, se invece di gemere e di piangere
questa trova modo di disfarsi in un modo qualsiasi della sua rivale,
nessuno si cura del destino di quest'ultima. Perciò io non credo che vi
siano in nessun luogo creature più degradate delle donne turche della
classe media; la loro abbiezione si legge sul loro viso. È difficile
di pronunciarsi sulla loro bellezza per gli spessi strati di belletto
che, applicati senza gusto nè misura, sfigurano le loro guancie, le
loro labbra, le sopracciglia e i contorni degli occhi. La loro figura
è resa difforme dal taglio ridicolo delle loro vesti ed al posto dei
capelli mettono dei peli di capra tinti in arancio acceso; il loro viso
non esprime che stupidaggine, volgare sensualità, durezza ed ipocrisia.
Non hanno la menoma traccia di principi morali o religiosi. I bimbi le
occupano e le annoiano al tempo stesso, ne prendono cura come di uno
scalino di cui si possono servire per ottenere il favore del marito; ma
qualsiasi idea di dovere materno è loro straniera, come si vede dalla
frequenza degli aborti che queste donne si procurano sfacciatamente
ogni volta che la nascita di un figlio non entra nei loro piani.
Circa quindici giorni prima della mia partenza per Angora, il capo
di una confraternita di dervisci, stabilita in una cittaduzza poco
lontana dalla mia dimora, venne a chiedermi un rimedio per sua figlia
che soffriva di vari disturbi che riconobbi come altrettanti sintomi
di gravidanza. Quando espressi il mio parere al venerando personaggio,
mi rispose sorridendo che sua figlia non voleva trovarsi in tale
stato: «Lo voglia o non lo voglia» replicai «se lo è effettivamente,
bisognerà che vi si rassegni». Il vecchio rispose: «Cara signora,
non è possibile, suo marito è partito per l'esercito e mia figlia è
ben decisa a non avere altri bimbi prima ch'egli ritorni.» Lasciai
capire al derviscio che io non lo comprendevo più affatto. Il vecchio
sembrava imbarazzato, e grattandosi l'orecchio, entrava in nuove
spiegazioni, quando uno de' miei famigli che lo aveva seguito per
facilitare la conversazione, si rivolse al vecchio gridandogli,
con aria seccata: «Non te lo avevo detto di non parlare di queste
cose alla mia padrona? I Cristiani d'Occidente non ammettono questi
compromessi e non otterrete niente.» Queste parole mi illuminarono ed
io dichiarai all'uomo venerando che perdeva il suo tempo, come se mi
avesse domandato del veleno; ma dovetti faticar molto a sbarazzarmene.
Ritornava sempre al suo grande argomento della partenza del genero per
l'esercito ed assicurava del resto che il marito conosceva ed approvava
la decisione di sua figlia. Per fortuna sua, e forse anche mia, quel
modello di padre non comprese una parola del mio piccolo discorso,
anzi se ne partì dandomi la sua benedizione, attestandomi la sua tenera
amicizia e pregandomi di riflettere alla domanda che mi aveva rivolto.
Sono transazioni che accadono tutti i giorni e non urtano la coscienza
di nessuno.
Se le madri non provano vera tenerezza per i loro figli, questi se
ne curano ben poco. I ragazzi considerano le loro madri come serve,
dando loro ordini, le rimproverano per la loro pigrizia o per la loro
trascuratezza e non so se si limitano sempre a delle parole. Il pudore,
questo ornamento virgineo della prima età, non esiste nè per i ragazzi,
nè per quelli che li circondano. Tutte queste donne si vestono, si
svestono davanti ai loro figli ed i discorsi più liberi si fanno in
loro presenza. I fanciulli disprezzano le loro madri e questa vita
in comune, che fa loro perdere il rispetto per i genitori, comunica
loro spesso le tristi passioni dalle quali essi sono dominati. La
rivalità del potere che agita le madri è per i figli una sorgente di
animosità, d'invidia, di dispetto, d'orgoglio e di ira. «Mia madre è
più bella, più ricca, più giovane! è nata a Costantinopoli!» Ecco di
cosa si vantano questi ragazzi quando vogliono umiliare quelli che essi
chiamano _fratelli_.
Chi avesse le idee e gli affetti di un Cristiano in seno ad una simile
famiglia, dovrebbe esser molto compianto; ma non sarebbe esposto a
trovarvisi. Il turco, che non è mai escito dalla sua provincia, che non
conosce altra società all'infuori di quella basata sulle istituzioni
mussulmane, che considera come articolo di fede che nulla havvi di
bello e di buono al mondo oltre il suo paese, le sue leggi, le sue
usanze, che ritiene animali immondi tutti gli uomini di un'altra
religione che la sua, questo turco della classe media si compiace della
corruzione in mezzo a cui vive. Egli non ama nessuno intensamente;
non è del resto violento e crudele che in un modo negativo. Purchè
i suoi pasti siano pronti all'ora voluta, egli non chiede nulla di
più alla Divinità. I suoi figli gli sono cari, ma se muoiono egli non
pensa che a colmare i vuoti causati dalla loro perdita. Le sue mogli
soffrono per caso nell'anima o nel corpo, forse egli ne riderà, forse
vi rimarrà perfettamente indifferente. Ignorantissimo, non sapendo
neppure che esistano paesi nei quali il culto delle arti e delle
lettere occupano e deliziano la vita dell'uomo, egli non conosce che i
piaceri sensuali ed il riposo che prolunga e varia finchè può coll'uso
dell'oppio, dell'hascisch, dell'acquavite e del tabacco. Le attrattive
della conversazione sono per lui lettera morta; parla per domandare
o per ordinare quello che gli occorre; poi tace e, siccome tutti
stanno in silenzio intorno a lui, non gli rimane neppure di stare ad
ascoltare ciò che si racconta. Allorchè una delle sue mogli ha perduto
la freschezza della gioventù o, per un motivo qualsiasi, ha cessato
di piacergli, egli si astiene dal chiamarla a sè e presto dimentica
che esista. Se ha veduto al bazar una schiava che gli piaccia, la
compera, la porta a casa sua e la proclama sua favorita. Può essere
idiota, golosa, ladra: lo sa, ma che gliene importa? Non ha illusioni,
e come potrebbe averne? E perchè? Egli sa benissimo che la giovane
donna, ch'egli stringe nelle sue braccia, non prova per lui che odio e
disgusto, sa che essa gli caccierebbe volontieri un pugnale nel cuore
pur di guadagnare dieci piastre, sa pure che il suo amore non è che
una febbre effimera. Ma potrebbe esserne altrimenti? Sonvi altrove
donne, amori, febbri, risvegli diversi dai suoi? Se ne esistono, non
si cura di conoscerli. Egli ignora le gioie intime, ineffabili del
sacrificarsi. Non ha mai confessato nulla che possa nuocergli, dicendo
a sè stesso: Sono stato fedele alla verità! Non ha mai preferito
la soddisfazione di un altro alla sua propria e non si è mai detto:
Sono stato fedele alle mie affezioni! Non ha mai considerato la morte
un'aurora, l'aurora di un giorno eterno, senza nubi. Pure quell'uomo si
crede felice; ma può egli esserlo più dell'ultimo mendicante al quale è
stato concesso nella vita di sapere che significhi amare, consacrarsi a
qualcosa, credere ed attendere?
La famiglia del ricco, del nobile, del turco di Costantinopoli, che
ha frequentato la società Franca, o che ha viaggiato in Europa, non
presenta lo stesso spettacolo d'immoralità o d'ingenua turpitudine,
ma, ohimè, salvo qualche rara eccezione, la seta ed il broccato non
ricoprono ancora che uno scheletro abbietto. Le dame di quegli harem
di primo ordine non indossano, per una settimana o per un mese, la
stessa veste sudicia e spiegazzata. Ogni mattina, levandosi dai loro
letti sontuosi, esse lasciano gli abiti del dì innanzi, cambiandoli con
nuove acconciature. I loro vestiti, i loro pantaloni e le loro sciarpe
escono dalle fabbriche di Lione, e sebbene le manifatture europee non
spediscano in Oriente che gli avanzi della loro fabbricazione, questi
rifiuti fanno ancora un effetto quando avvolgono le forme splendide di
una di quelle Georgiane o di quelle Circasse che popolano gli harem.
Ma che vale l'apparenza, se la realtà, così impiastricciata, non è per
questo meno ripugnante?
Voglio dire una parola a proposito delle due razze che per la nostra
immaginazione inesperta rappresentano il prototipo della bellezza
femminile. Alta, formosa, colla persona ben modellata, uno splendido
colorito, masse di capelli neri e lucenti, la fronte spaziosa e
completa, il naso aquilino, gli occhi neri enormi e spalancati, labbra
vermiglie modellate come quelle delle statue greche di buona epoca,
denti di perla, il mento rotondo, l'ovale del viso perfetto, tale è la
Georgiana. Ammiro di tutto cuore le donne di quella razza; poi, quando
le ho bene ammirate, volgo il capo e non le guardo più, perchè sono
certa di ritrovarle, quando mi piacerà, tali e quali le ho lasciate,
senza un sorriso di più nè di meno, senza la menoma variante nella
fisionomia. Un bimbo può nascerle e morirle, il suo signore adorarla
o detestarla, la sua rivale trionfare od essere inviata in esilio,
nulla ce ne rivela il viso della Georgiana. Non so neppure se gli
anni rechino qualche mutamento a quella bellezza marmorea di cui
m'impazienta l'immobile splendore.
La Circassa non ha nè gli stessi pregi, nè le stesse lacune. È una
bellezza nordica, che mi ricorda le bionde e sentimentali figlie
d'Allemagna; ma la somiglianza non va al di là delle forme esterne.
Le circasse sono in maggioranza bionde; il loro colorito è di una
freschezza incantevole; i loro occhi sono azzurri, grigi o verdi ed
i loro tratti, per quanto fini e graziosi, sono irregolari. Quanto
la Georgiana è sciocca ed altera, altrettanto la Circassa è falsa ed
astuta. Una è capace di tradire il suo signore, l'altra di farlo morire
di noia.
Il farsi belle è la grande occupazione di queste signore. A qualunque
ora voi le trovate vestite di crespo rosso o di raso celeste, la testa
coperta di diamanti, con collane al collo, pendenti agli orecchi,
spille sui loro abiti, braccialetti alle loro braccia ed alle loro
gambe, anelli alle dita. Talora piedi nudi appaiono fuor dal vestito
di crespo rosso ed i capelli sono tagliati quadri sulla fronte,
come usano gli uomini dei nostri paesi, ma sono questi particolari
dell'acconciatura che hanno poca importanza. Gli atteggiamenti del
bel mondo femmineo devono esprimere il più profondo rispetto misto
d'un timore reverenziale per il signore dell'harem. Non appena egli
entra, subito si fa silenzio, una delle sue mogli gli leva gli stivali,
l'altra gli mette le pantofole, quest'altra gli offre la sua veste
da camera, una quarta gli reca la sua pipa, il suo caffè od i dolci.
Egli solo ha il diritto d'indirizzarle la parola e, quando degna di
rivolgersi ad una delle sue compagne, questa china gli occhi, sorride
e risponde a voce bassa, quasi temesse di far cessare l'illusione e
di svegliarsi da un sogno troppo dolce perchè possa durare a lungo.
Tutto ciò non è che una commedia che non inganna nessuno, come non
prendiamo alla lettera le pose d'innocenza e di timidezza delle nostre
educande. In realtà, tutte quelle donne nutrono scarsa simpatia per
il loro signore e padrone. Esse, che sembrano così facili ad una dolce
commozione, che non parlano se non con un debole sussurro, si rimandano
l'un l'altra delle ingiurie grossolane su di un tono acuto e rumoroso
e non vi è eccesso a cui non possano giungere contro quella delle loro
compagne che gode il favore del Sultano. Le schiave favorite sarebbero
molto da compiangere, se non si permettessero delle rappresaglie, ma si
guardano bene dal non concedersele.
Ciò che mi ha rivoltato più d'ogni altra cosa, e non è dir poco, è
l'harem in miniatura dei giovinetti di grandi famiglie. Questi ragazzi,
da nove a dodici anni, possiedono delle schiavette della loro età
presso a poco, colle quali fanno la parodia delle gesta dei loro padri.
Queste giovani, vittime di una costituzione sociale davvero mostruosa,
fanno così un orrendo tirocinio della vita che le attende, giacchè
non v'ha nulla di più crudele d'un ragazzo scostumato e la barbara
depravazione del vecchio licenzioso si ritrova all'altra estremità
della vita. Ho veduto di questi ragazzi, embrioni di pascià, picchiare
a calci ed a pugni, graffiare, ferire tutta una schiera di ragazzine
che ardivano appena piangere, mentre la giovane tigre si leccava la
lingua con un sorriso singolare che mi rammentava certe pagine di
Petronio. Con tutto ciò, voglio ancora ripeterlo, niuno sarebbe più
lontano da sentimenti così odiosi che il turco, quale l'ha fatto la
natura. Dirò di più, quel ragazzo crudele diventerà probabilmente
un uomo abbastanza buono quando avrà l'età per eseguire senza troppo
sforzo il compito sotto il quale, per il momento, soccombe.
Le grandi dame di Costantinopoli non si tengono paghe di vedere il
mondo attraverso alle griglie delle loro finestre; vanno a passeggio
nella città, nel bazar, ovunque loro garba e senz'essere sottomesse
ad alcuna sorveglianza incomoda. Un tempo la maschera procurava alle
veneziane un'estrema libertà; il velo delle donne turche rende loro il
medesimo servizio. Il marito più geloso passerebbe accanto alla sua
sposa mentre questa segue un'avventura, senza poter avere il menomo
sentore di ciò che gli accade, poichè, non solo il velo copre il viso,
non solo il mantello, detto _ferragiah_, copre tutta la persona e le
dà l'aspetto di un involto, ma veli e _ferragiah_ sono tutti della
stessa stoffa, della stessa forma e quasi dello stesso colore; è un
domino che assomiglia a tutti gli altri domino. Le signore turche
possono quindi star sicure di salvaguardare il loro incognito finchè
lo desiderano e l'infedeltà non fa loro correre alcun rischio. Perchè
mai sarebbero allora fedeli? Non per amore dei loro mariti, che
detestano cordialmente, non per rispetto ai loro doveri, giacchè anche
la parola dovere non significa nulla per esse. Profittano dunque, come
loro piace, della libertà che accordano loro le usanze. Invocate la
testimonianza degli europei che hanno abitato a Costantinopoli: vi
confesseranno, se vogliono esser sinceri, che hanno annodato più di un
intrigo amoroso nella strada o nei bazar. La morale che si può trarre
da tutto ciò è che le maggiori precauzioni non valgono nulla, quando è
scomparsa l'idea del dovere.
Dopo tutto ciò che ho detto dell'atteggiamento del mariti orientali
verso le loro mogli, si potrebbe credere che la brutalità sia l'essenza
del loro carattere. La conclusione sarebbe falsa, giacchè il turco,
di ogni età e di qualunque classe della società, ha ricevuto dalla
natura una cortesia, una delicatezza ed una dolcezza di modi che gli
occidentali non acquistano che dopo lunghi studii, sforzi faticosi e
dominandosi continuamente. Un turco non si renderà mai colpevole nè di
una parola, nè di un gesto che possa offendere una donna, e, se tratta
sua moglie presso a poco come un essere irragionevole, in realtà essa
non fa nulla per elevarsi ad una condizione superiore. Vorrei che
vedeste l'attitudine imbarazzata e scandalizzata di un turco che si
trovi collocato fra una signora europea e la sua mandra di odalische.
Si badi che odalisca può esser tradotto letteralmente «cameriera» o
meglio ancora «donna per la camera»!
Bisogna imparare il turco per perdere così le ultime illusioni! Un
turco dunque in un caso simile si mostra più ruvido del solito colle
sue mogli, e le riduce al silenzio appena socchiudono le labbra, le
allontana con un pretesto o coll'altro, ed intanto lancia all'europea
delle occhiate di traverso che rivelano il suo timore e la sua
diffidenza e le ripete ad ogni momento: «Non badate a quello che
dicono, sono turche!» od ancora: «Voi mi trovate ben grossolano con
queste donne, non è vero? che volete, sono turche!» Ah Dio mio! Sì,
sono delle turche, nel senso che voi date a tale parola, vale a dire
delle creature sciocche e degradate; ma chi le ha rese tali? E perchè
il nome che date alle vostre compagne è divenuto il sinonimo di tutto
ciò che vi ha di basso e di incolto nel sesso femminile? Gli è che
voi avete costituito la famiglia coll'unico intento di moltiplicare i
vostri piaceri sensuali. Avete voluto che la donna vi fosse sottomessa
come una schiava; che può dunque essere se non una schiava? Ma forse
io ho già troppo prolungato queste riflessioni generali. Ormai il
lettore sa cosa voglia dire il nome di harem in Oriente e lo posso
ricondurre alla residenza che mi aveva suggerito queste divagazioni,
all'abitazione del nobile mio ospite Mustuk bey.
Il principe del Giaur-Daghda ha ormai varcato i limiti della prima
gioventù. È un uomo d'una quarantina d'anni, alto e ben fatto, con una
fisionomia che sarebbe un po' volgare, se non fosse illuminata da due
begli occhi azzurri, limpidi, sorridenti e penetranti come due spade.
Nulla rivela in lui il feudatario ambizioso ed astuto che resiste senza
posa agli ordini del suo sovrano, pur conservando le apparenze del
rispetto e della sottomissione. In Mustuk bey, o per lo meno ne' suoi
modi e nel suo linguaggio, vi è una certa bonomia. Egli non ostenta il
lusso orientale dei pascià e dei capi della sua tribù; il suo abito,
il suo contegno, la sua casa, la sua tavola, tutto in lui respira la
massima semplicità.
Dietro la casa del bey vi è una piccola corte quadrata, cinta di
fabbricati bassi ad un solo piano. Poichè la corte è rettangolare,
i due edifici che formano i lati occupano una superficie doppia
all'incirca di quella che coprono le costruzioni collocate alle
estremità. Una di queste non è che il muro divisorio fra l'harem e
la casa del bey e vi è praticata la porta d'ingresso. Due porticine,
fiancheggiate entrambe da due finestre, comunicano con ciascuno
degli edifici laterali della corte selciata. Il fabbricato in fondo
non ha che una porta e due finestre, ed è impossibile di entrare in
quel chiostro silenzioso senza ripensare all'interno di un convento
di certosini. Si accede anzitutto ad una stanza piuttosto grande,
mobiliata con materassa e cuscini e che si apre a sua volta su un'altra
camera adoperata come magazzeno e granajo. In ognuna delle celle
disposte intorno alla camera principale, regna e governa una delle
spose del bey. Si sussurra nel villaggio, ed anche nelle città vicine,
che l'universo non è concentrato per il bey in quelle quattro mura
e che altri stabilimenti, analoghi a questo, sono scaglionati ad una
certa distanza sui pendii del monte del Giaurro. A dir il vero, sarebbe
quello un lusso un po' dispendioso.
La gerarchia è sempre rispettata negli harem e, per Sardanapalo che
possa essere, e per innamorato che sia di una o dell'altra delle
sue giovani spose, Mustuk bey terrà sempre circolo presso la prima
sua moglie in ordine di data. Infatti mi condusse da lei, quando,
dopo aver visto che la grande sala fuori dalla cinta sacra era stata
apparecchiata perchè io vi potessi dormire, mi dichiarai pronta a fare
il dover mio con quelle signore.
La «signora in capo» mi sembrò stranissima nell'aspetto e, guardandola,
pensavo involontariamente ad una acrobata pensionata. Questa sultana
era stata bellissima e la sua bellezza non era ancor tutta scomparsa;
il suo colorito presentava una strana mescolanza della secchezza
recatavi dal sole e di una serie di strati di pittura sotto la quale la
pelle originaria non era più visibile. I suoi grandi occhi verde-mare
erano straordinariamente cerchiati: si sarebbero detti serbatoi posti
sotto la glandola lacrimale per raccogliere i torrenti che ne potessero
escire. La sua bocca grande, ma ben modellata, lasciava vedere dei
denti ancora bianchissimi, ma troppo staccati gli uni dagli altri
e che sembravano oscillare nelle gengive, il cui rosso troppo vivo
e la malsana enfiagione evocavano cattivi pensieri. Evidentemente
essa sdegnava le parrucche di pelo di capra, ma aveva tinto in rosso
fulvo i suoi propri capelli. Tutta la sua acconciatura era, non solo
accurata, ma ricercata e colpiva col contrasto offerto dallo spettacolo
de' suoi bimbi vestiti come piccoli mendicanti. Finchè suo marito fu
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