Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 2 - 01

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DIZIONARIO DEGLI SCRITTORI DI MUSICA
C. — K.

DIZIONARIO
_STORICO-CRITICO_
DEGLI SCRITTORI DI MUSICA
E DE' PIÙ CELEBRI ARTISTI
_DI TUTTE LE NAZIONI_
SÌ ANTICHE CHE MODERNE

_DELL'AB. GIUSEPPE BERTINI_
MAESTRO DELLA REGIA IMPERIAL CAPPELLA PALATINA

_In medio omnibus
Palmam esse positam qui artem tractant musicam._
Ter. Prol. in Phor.

TOMO SECONDO
PALERMO
DALLA TIPOGRAFIA REALE DI GUERRA.
1815.


ESAME
DELLE RIFLESSIONI CRITICHE
SOPRA IL DIZIONARIO STORICO CRITICO
DEGLI SCRITTORI DI MUSICA &c.
DELL' AB. GIUSEPPE BERTINI

_Tanti non est, ut placeum tibi._ Martial

Vantavasi Arlecchino in sulle scene di aver fatto molto rumore al mondo,
perchè servito avea alcun tempo di tamburo in un reggimento. _L'autore
di queste riflessioni_ con maggior ragione di Arlecchino può vantarsi di
aver fatti de' rumori nel mondo letterario, or con una _lettera_, poi
con un'altra, come _Musico_: poi con un _Panegirico_, come _Oratore_: e
finalmente con le presenti _Riflessioni_, come _Critico_[1]. I primi ed
ultimi accessi della sua tipomanìa non gli hanno prodotto che sintomi
musici, e da queste sue _riflessioni musico-critiche_ ben può
giudicarsi, s'egli possiede l'arte di far rumore: _Sunt verba, et voces,
prætereaque nihil_. Ma lasciamo da parte queste bagattelle, andiamo al
serio.
Credendosi costui essere un gran barbassoro, alza cattedra di critica,
di logica, di musica, ed in tuono della più ridicola pedanterìa, dà
avvertimenti, spaccia delle massime, profferisce sentenze. Attacca egli
da prima il titolo del mio Dizionario come _meno modesto_ di quello de'
Signori _Choron_, e _Fayolle_ (di cui non ne sa che il solo titolo da me
riferito nell'Introduzione), perchè costoro si contentano di chiamare il
suo solamente _Storico_, ed io ho dato in oltre al mio il nome di
_Critico_. Nel suo Lexicon, _critico impertinente e satirico_ sono
sinonimi, ed in questo senso infatti possono dirsi _critiche_ le di lui
_riflessioni_. Io non starò qui a dar la vera idea di tal nome, poichè
da niuno fuorchè da lui s'ignora. _Veggiamo però_ (sono sue parole )
_quanto in conseguenza dell'intento condotto a fine, possa il nuovo
dizionario del Bertini meritare il titolo che lo decora; e diamo a
questo autore qualche utile avvertimento per la continuazione della sua
opera._ Si ammiri quì la modestia del nostro critico, e la generosità
insieme di comunicare i suoi lumi. Pria che io gli faccia le mie scuse,
di non esser ito in cerca delle sue vaste cognizioni, e gliene renda le
dovute grazie per avermi in ciò prevenuto, favorirà dirmi _ubi litteras
musicas didicit_? Dai bei libri, di cui egli ha regalato sinora il
pubblico intorno alla musica, non dà certo grande idea delle sue
cognizioni musicali, anzichè dà a divedere abbastanza, quanto sia in
dietro rapporto alla conoscenza de' nuovi progressi di quest'arte, e
scienza, e da migliori e più recenti scrittori, cosichè parmi che non
sia egli in istato di darmi _qualche utile avvertimento per la
continuazione della mia opera_, di cui quasi si lagna _di non aver
ancora felicemente che un sol volume_, quasi che io mi fossi seco o col
pubblico obbligato di dare in pochissimi giorni il compimento
dell'opera.
_Esaminiamo dapprima_ (prosiegue egli) _l'introduzione per formar la
quale confessa l'autore essersi servito dell'opera di M. Choron_,
Principes ec. _All'ombra di questo celebre scrittore il Sig. Bertini
spaccia delle opinioni che ci sono sembrate ardite, poco musicali e
niente filosofiche._ In ogni parola non vi scorgete che bile, malignità,
contraddizione. Per far presente a' miei lettori sotto quanti e quali
rapporti può considerarsi la musica, in una nota dell'introduzione a piè
di pagina io li avverto che a formare un tal quadro mi sono servito
dell'eccellente opera di M. Choron; ed egli ciò malignamente rileva,
quasichè accusar mi volesse come _plagiario_, titolo che esclusivamente
a lui cedo, e che a ragione egli merita per le sue _rapsodie musicali_,
o lettere pretese _filarmoniche_. Chiama quindi celebre scrittore M.
Choron, senz'avere altra notizia dell'esistenza di questo autore e de'
suoi scritti, che dal mio Dizionario, ed _all'ombra_ di costui, dice
egli di _aver io spacciate delle opinioni_ a suo parere _ardite, poco
musicali e niente filosofiche_. Se queste opinioni appartengono a M.
Choron, come par ch'egli l'insinui, perchè lo chiama _celebre_? Se non
sono di costui, perchè dire che io le ho spacciate _all'ombra_ del
medesimo? Questo gran maestro di logica non sa abbastanza difendersi dai
parologismi e dalle contraddizioni.
Prosiegue il critico. _Dà egli_ (Bertini) _una nuova definizione della
composizione musicale in questi termini. La composizione è l'arte di far
della musica. Così un inetto autor di rettorica definito avea
l'eloquenza l'arte di far de' discorsi. Questo retore avea certo bisogno
di studiar la logica._ Quì sua industria stà nel gettar un pò di polvere
negli occhi al suo lettore, e sorprenderne l'accortezza. Mette in
antitesi la mia definizione con quella del suo inetto retore, e se gli
riesce dar così ad intendere che l'una e l'altra manchi alle regole di
una buona logica. Vediamolo, mentre egli ne esce con un salto,
protestando che in _quanto alla definizione del Bertini non si prende la
pena di esaminarla_.
Perchè una definizione sia compita ed esatta dee ella indicare il genere
o la specie prossima a cui la cosa appartiene e la differenza che la
distingue da tutte le altre del medesimo genere, o della medesima
specie. Quindi vien bene definita la composizione _l'arte di far della
musica_, perchè si contiene prossimamente nel genere d'ogni sorta di
musica, e mal si diffinisce _l'arte d'inventar dei canti e di
accompagnarli con conveniente armonia_, poichè questa differenza non la
distingue abbastanza da tutte le altre specie di musica, che esser
possono senza veruno accompagnamento. Quì non si tratta di Contrappunto,
che _non è se non un ramo della Composizione_, e l'inganno del nostro
Critico consiste nel confonder questa con quello, come espressamente lo
aveva io avvertito di Sulzer alla pag. XX, del mio Discorso preliminare.
Ma egli senza volersi prender la pena di esaminare, vuol far rumore a
torto ed a dritto.
_Venendo poscia l'autore_ (egli dice) _all'enumerazione delle differenti
parti che compongon la musica in generale, considera l'erudizione
musicale come parte di quella riguardata quale scienza; ed eccoti in tal
guisa confusa la storia colla scienza._
Da che nello scorso settembre uscì nel pubblico il _Prospetto_ del mio
Dizionario, per un principio di quell'urbanità e buona educazione, mercè
la quale tanto riluce nel suo ordine[2], e nella civile società questo
Polifemo della pedanterìa, debaccando da per tutto recava argomenti
della mia insufficienza, e ne deduceva a suo modo le prove da quel
_Prospetto_ medesimo: tra queste l'invincibile era a suo avviso l'aver
io posto la storia nella classe delle scienze. Egli ha avuta una così
dolce insieme e superba compiacenza di questa sua critica, che viene ora
buonamente a ripeterla in queste delicate riflessioni. Ma se letto
avesse il Cancellier Bacone nella divisione, che egli fa delle scienze,
trovata appunto avrebbe la _Storia_ nella loro classe riposta: se letto
avesse il _Discorso preliminare dell'Enciclopedia_, il capo d'opera di
M. D'Alembert, dove egli dà la genealogia e l'enumerazione delle
scienze, vi avrebbe trovata a queste annoverata la _Storia_. _La
Chronologie et la Géographie_, egli dice, _sont les deux rejettons et
les deux soutiens de la science de l'Histoire_ (pag. 57.) E nei suoi
Elementi di filosofia: _Dans la plupart des sciences, telles que la
Physique, la Medicine, la Jurisprudence et l'Histoire_, etc. (pag. 41.)
Eccoti dunque in tal guisa confusa la storia colla scienza. Ma priacchè
egli abbracciato avesse _invitâ Minervâ_ il mestier di Censore, avrebbe
dovuto studiar a fondo il soggetto, misurar le sue forze, disaminar bene
_quid valeant humeri quid ferre recusent_, non avventurare a caso ed a
tastoni la sua critica, ed esporsi così alle risa degli uomini di buon
senso. Ci lusinghiamo, che il passato gli serva di lezione per
l'avvenire, e che si guarisca dalla manía di censurare e di scrivere, o
che s'impegni almeno a far ciò con più di posatezza e di senno.
All'ignoranza egli unisce ancora la mala fede. _Il Sig. Bertini
asserisce_ (sono sue parole) _che il sistema del basso fondamentale e
dei rivolti del Rameau è stato rovesciato dall'ill. Eximeno._ Reca
quindi più passaggi di questo autore, dove parla del basso fondamentale,
e tronca uno di questi rapportandone soltanto quella porzione, in cui
Eximeno trova _Rameau_ degno di lode: in questa maniera vuol egli
mostrar falsa la mia asserzione. Ma il basso fondamentale, che insegna
l'Eximeno è lo stesso, che quello del sistema di Rameau? e nol confuta
anzi chiaramente? Ecco l'intero luogo dell'Eximeno recato a metà dal
Censore. _Sebben errò, al mio parere, il Sig. Rameau nell'origine e
nelle regole del basso fondamentale, è nondimeno degno di somma lode_
ec. E più espressamente nella sua Introduzione, pag. 55: _Il nome di
basso fondamentale è stato inventato dal cel. Sig Rameau: e sebbene
l'origine e le regole da lui stabilite circa questo Basso saranno in
quest'Opera rifiutate, nondimeno s'è ritenuto il nome_ ec. L'Eximeno
tenne parola, rovesciò il sistema nello stesso capitolo citato dal
Censore, e ne serbò solo il nome. A che far dunque tanti rumori? In
quanto alla dottrina dei rivolti, niuno mette in dubbio la loro utilità,
e solo dal P. Sacchi, e dal Bertini, _non sognando_ si sostiene, che il
metodo degli antichi su i rivolti per la facilità e chiarezza, che
maggiore non potrebbe desiderarsi, è preferibile di molto a quello dei
moderni, Rousseau, Rameau, e d'Alembert, i quali colla loro
dimostrazione teorica l'hanno anzi che no inviluppato, reso più
difficile, e per conseguenza inutile. “Le speculazioni, i discorsi, le
dispute, che i moderni ne hanno fatte, e tuttavia ne fanno, quale
vantaggio mai hanno arrecato all'arte? In quale parte per essi o più
perfetto, o più facile è divenuto l'artificio musicale?” (_Sacchi, Lett.
a M. Pichl_). Se il Censore si fosse presa la pena di comparare il
semplicissimo sistema dell'Eximeno intorno ai rivolti a quello
intrigatissimo del Rameau, l'avrebbe trovato tutt'altro di quel che dà
ad intenderlo, e così svanita sarebbe la di lui maraviglia per quel che
dice questo autore in favor de rivolti. Ma egli malignamente confonde
l'una cosa con l'altra, _miscet quadrata rotundis_, e non fa che rumori.
_In questa contingenza Bertini_ (egli prosiegue) _dopo d'aver trattato
il Rameau come trattansi i grand'uomini da chi non è alla portata di
conoscerli, finisce in tali termini, ec._ Come ci entra quì
_contingenza_, sel veda egli che ama usar delle parole oltre al senso
stabilito dalla convenzione degli uomini. E dopo aver riferite le mie
stesse parole, così poi termina: _Ecco per tanto Rousseau, e d'Alembert,
Condillac ed intere accademie tacciate di presunzione e d'ignoranza di
cose musicali_. Quì scambia le accademie di scienze per accademie di
musica, mentre pretende che quelle non ignorassero le cose musicali.
_L'onore di questa critica era riserbato all'autore del dizionario l'ab.
Bertini._ Rameau è l'oracolo del Censore, ed ei dà dell'anatema a tutti
coloro che osano contraddirlo in qualche cosa: _ipse dixit_, e tanto
basta. Rameau è il suo idolo, e egli come Don Chisciotte si crede in
dovere di brandir la lancia in difesa della sua Dulcinea. Chi contende
frattanto al Rameau il titolo di grand'uomo in riguardo a moltissime
cose, ch'egli ha scritto utilissime alla pratica? chi niega esser egli
stato uno dei più celebri musici della Francia? Il dettaglio dei servigj
resi da lui a quest'arte si appartiene all'articolo che di lui verrà
fatto a suo luogo: nel Discorso preliminare non si attacca che il suo
sistema di teoria musicale, il quale non è più che un sistema, del di
cui successo dubitava egli stesso, come può vedersi da due lettere da
lui scritte al P. Martini, a cui l'Instituto di Bologna rimesso ne aveva
l'esame. Da me non se n'è dato altro giudizio oltre a quello che ne han
recato i grand'uomini, e musici filosofi di tutte le colte nazioni,
senza eccettuarne gli stessi di lui nazionali non inferiori di merito ai
d'Alembert, Rousseau, Condillac, quivi da me riferiti. Costoro, dopo un
esame imparziale di quel sistema, non per via di vane declamazioni, e di
pedantesca ciarlataneria, armi usate dal nostro ridicolo censore, ma con
valevolissime ragioni dimostrato ne hanno l'incoerenza, i difetti, e
l'inutilità insieme. Le accademie stesse non sono tribunali infallibili,
e i loro giudizj non sono inappellabili, questi debbono riguardarsi
relativamente ai lumi dal secolo, in cui sono stati profferiti. Gli
elogj e le censure non vanno a numero, ma a peso.
Io so che il buon uomo ha poi le sue ragioni di lodare a torto ed a
dritto il gran Rameau. _All'ombra di questo celebre scrittore_ non va
egli superbo di essere autore di due lettere di ciarlataneria musicale?
e quel ch'è più, ci minaccia anche della terza, e quarta. Come minaccia
eziandio di continuare la luminosa sua critica, e le sue sensatissime
riflessioni. In quanto a me basta di avere così additato _ex ungue
leonem_.[3] Chechè in avvenire farà, dirà, scriverà contro di me, io
profitterò della favoletta del Boccalini. “Un viaggiatore nojato al
sommo dal romor delle cicale, come gli saltò in testa di ammazzarle, non
fece che sviarsi: se egli proseguiva in pace il suo cammino, le cicale
sarebbero morte senz'altro a capo d'otto giorni.”

NOTE:
[1] _Potrebbe dimandarsi, se egli ha fatto dei rumori come Frate? e si
risponderà che ne ha fatti ancora più. E come_ Medico? _ne farà forse
più grandi in appresso. Ma ciò non s'appartiene al presente argomento._
[2] _Un dovere di riconoscenza esigge, che io quì dichiari tutta la
stima e 'l rispetto, che io ho per la religiosa società, di cui è membro
il mio Censore. Ella ha il merito di avere prodotti sommi uomini nelle
lettere, e nelle scienze, e molto io le devo per aver compito nelle sue
scuole tutto il corso degli studj._
[3] _È bene il rilevar quì dei vezzi della buona lingua di questo dotto
pedante._ Nè Rousseau, nè Eximeno, nè altri come loro han pensato ec.


C

CACCINI (Giulio), gentiluomo romano ed uno di quei dotti professori di
musica del secolo 16º, in Firenze, i quali riunivansi per ragionar di
quest'arte presso il Conte Giov. de' Bardi. Il Caccini, siccome era di
vivo e pronto ingegno fornito, prese a perfezionare la maniera inventata
dall'illustre Vincenzo Galilei, e molte belle cose introdusse del suo
nella musica, che non poco contribuirono a migliorarla. Uno dei
principali mezzi fu quello di applicar l'armonia a parole cantabili cioè
a poesie appassionate ed affettuose. Egli sollecitò per ogni dove gli
autori a lavorare a bella posta poesie pel canto, nè tralasciò di
concorrere anch'egli poetando al medesimo fine. Dalle carte di lui
musicali cavò l'_Arteaga_ una sua graziosa canzonetta, perchè rendesse,
egli dice, più noto a' suoi nazionali codesto valentuomo ignorato in
oggi da' poeti e da' musici, ma che merita un luogo distinto fra gli uni
e fra gli altri. (_Delle rivoluz. ec. tom. I. p. 244_) Il Caccini nella
dotta prefazione alle sue _Nuove Musiche_ attesta, che più vantaggio
egli trasse dal commercio e da' suggerimenti degli uomini letterati, che
da' trent'anni spesi nelle scuole musicali e nell'arte del contrappunto,
il quale, secondo lui, poco o nulla giova a perfezionare la musica. Egli
di accordo co' suoi amici il Corsi, il Rinuccini ed il Peri, studiò
tanto sulla maniera di accomodar bene la musica alle parole, che
finalmente trovò l'antico recitativo, ossia la declamazione musicale
usata da' greci, ch'era stato da lungo tempo il principale scopo delle
loro ricerche. Il primo saggio, ch'ei ne diede fu nella _Dafne_ del
Rinuccini l'anno 1594 ch'egli mise in note, e quindi nella tragedia
dell'_Euridice_ in occasione dello sponsalizio di Maria de' Medici col
re di Francia Arrigo IV che ebbe il più maraviglioso successo. Fra le
altre poesie da lui poste in musica furonvi i _Pietosi affetti_ del
Grillo rinomato poeta di quei giorni, cantati avanti il pontefice. Il
Grillo al Caccini in ringraziamento scrive tra le altre cose: “Ella è
padre di nuova maniera di musica, d'un cantar senza canto o piuttosto
d'un cantar recitativo, nobile e non popolare: che non tronca, non
mangia, non toglie la vita alle parole, non l'affetto: anzi gliele
accresce, raddoppiando in loro spirito e forza. È dunque invenzion sua
questa bellissima maniera di cantare, e forse ella è nuovo ritrovatore
di quella forma antica perduta già tanto tempo fa nel vario costume
d'infinite genti, e sepolta nell'oscura caligine di tanti secoli: il che
mi si va più confermando, dopo essersi recitata sotto cotal sua maniera
la bella pastorale del signor Ottavio Rinuccini: — In somma questa nuova
musica oggidì viene abbracciata universalmente dalle buone orecchie, e
dalle corti de' principi italiani è passata a quelle di Spagna e di
Francia, e d'altre parti d'Europa ec.” (_V. Idea del segretario di
Bartol. Zucchi, p. 2_). Il Caccini fu anche il primo a raffinare il
canto monodico, introducendovi non pochi ornamenti di passaggi, trilli,
gorgheggi e simili cose le quali saggiamente e parcamente adoperate
contribuirono a dar espressione e vaghezza alla melodia. Egli era stato
discepolo di Scipione della Palla celebre pel suo tempo: visse alla
corte del gran duca di Toscana e morì in Firenze sul principio del
secolo decimosettimo.
CAFFARELLI (Gaetano), il di cui vero nome di famiglia era Majorano,
nacque a Bari nel regno di Napoli da un povero contadino: fu allievo di
Porpora come Farinelli, cui egli uguagliò in riputazione e in talento,
ma non mai in modestia. Si sa in qual maniera instruì Porpora questo
cantante, di cui detestavane l'insolenza. Per lo spazio di cinque anni
fecegli costantemente imparare la stessa pagina sulla quale aveva egli
notato da prima i più semplici elementi del canto, e quindi dei trilli,
delle note di salto e de' passaggi di diverse specie. Al sesto anno vi
aggiunse delle lezioni di articolazione, di pronunziazione e di
declamazione in fine, dopo di che lo scolare che ancora non credeva di
essere se non agli elementi, restò ben sorpreso allorchè gli disse il
maestro: _Vattene mio figliuolo, tu nulla hai più d'apprendere: tu sei
il primo cantante dell'Italia e del mondo_. Verso il 1730, Caffarelli
portossi in Inghilterra, e sorprese tutti coloro che l'udirono; di
ritorno alla patria cantò egli su molti teatri con un prodigioso
successo. Fu allora che sentendo il merito straordinario di Gizziello,
il quale trovavasi in Roma, prese subito la posta, e viaggiò per tutta
la notte affinchè giungesse, ove l'indomani darsi doveva una
grand'opera. Involto nel suo mantello, entrò di soppiatto in platea, ed
allorchè ebbe inteso Gizziello, _bravo!_, gridò egli, _bravissimo
Gizziello! è Caffarelli che te lo dice_. Lasciò quindi prestamente il
teatro, riprese la posta, a tornò con la medesima prestezza in Napoli.
Egli venne in Francia ai tempi della delfina, principessa di Sassonia,
che molto amava la musica; e cantò più volte nel Concerto spirituale.
Luigi XV incaricò uno de' suoi gentiluomini di camera a fargli un
regalo: il gentiluomo mandò a Caffarelli, per mezzo del suo segretario,
una superba scatola d'oro da parte del re. _E che!_ disse Caffarelli,
_il re di Francia manda a me questa scatola! aspettate signore_ (aprendo
il suo scrigno) _eccone trenta, la menoma delle quali vale assai più di
questa: se pure non fosse adorna del ritratto di S. M., allora..._.
“Amico, ripigliò il segretario, il re di Francia non usa far regali del
suo ritratto che agli ambasciadori...” _Ebbene_, riprese Caffarelli,
_che il re li faccia cantare a questi signori ambasciadori_. Tutto ciò
fu riferito al re, che ne rise moltissimo, e raccontollo alla delfina.
Questa principessa mandò tosto a chiamare il musico, e senza dirgli
parola su la sua insolente richiesta, gli diè in dono un bel diamante, e
nel tempo stesso presentogli un passaporto. — “Questo, gli disse, è
segnato dal re, il che è sommo onore per voi, ma bisogna profittarne,
perchè non vale più di dieci giorni.” In riguardo all'insolente
carattere del Caffarelli grazioso è l'aneddoto che ne rapporta in una
lettera il Metastasio in data del 1749, allorchè trovavasi quel cantante
in Vienna; io lo rapporterò con le stesse parole del poeta: “Questo
valoroso Caffarelli con pubblica ammirazione ha dimostrato non esser
egli meno atto agli studj di Marte, che a quelli di Apollo... Il poeta
di questo teatro è un milanese, giovane vivace, inconsiderato, e non men
ricco di abilità, che povero di giudizio. A questo hanno gl'impresarj
confidata, oltre la cura di raffazzonare i libretti tutta la cura
teatrale. Non so se per rivalità d'ingegno o di bellezza, fra questo ed
il Caffarelli s'è fin dal primo giorno osservato una certa ruggine, per
la quale sono molte volte fra loro trascorsi a motti pungenti, ed
equivoci mordaci. Ultimamente il Migliavacca (che tale è il nome del
poeta) fece intimare una pruova della nuova opera, che si prepara. Tutti
i membri operanti concorsero, a riserba del Caffarelli: o per effetto di
natura contraddittoria, o per l'avversione innata, ch'egli si sente per
ogni specie di ubbidienza. Sullo sciogliersi dall'armonico congresso
comparve nulla di meno in portamento sdegnoso e disprezzante, ed a'
saluti dell'ufficiosa assemblea rispose amaramente, dimandando, _a che
servono queste pruove?_ Il direttor poeta disse in tuono autorevole,
_che non si doveva dar conto a lui di ciò che si faceva: che si
contentasse che si soffrissero le sue mancanze: che poco conferiva
all'utile o al danno dell'opera la sua presenza, o la sua assenza: che
facesse egli ciò che volea, ma lasciasse almen fare agli altri ciò che
doveano_. Irritato più che mai Caffarelli dell'aria di superiorità del
Migliavacca, lo interruppe replicando gentilmente: _che chi aveva
ordinata simil pruova era un solennissimo C......_ Or quì perde la
tramontana la prudenza del direttore, e lasciandosi trasportare
ciecamente dal suo furor poetico, cominciò ad onorarlo di tutti quei
gloriosi titoli, dei quali è stato premiato il merito di Caffarelli in
diverse regioni di Europa; toccò alla sfuggita, ma con colori assai vivi
alcune epoche più celebri della sua vita, e non era per tacer così
presto; ma l'eroe del suo panegirico, troncò il filo delle proprie lodi,
dicendo arditamente al Panegirista: _Sieguimi, se hai coraggio, dove non
vi sia chi t'ajuti_; ed incaminossi in volto minaccioso verso la porta
della camera. Rimase un momento perplesso lo sfidato poeta, quindi
sorridendo soggiunse: _veramente un rival tuo pari mi fa troppa
vergogna: ma andiamo che il castigare i matti, è sempre opera
cristiana_; e si mosse all'impresa. Caffarelli, o che non avesse mai
creduto così temerarie le muse, o che secondo le regole criminali
pensasse di dover punire il reo _in loco patrati delicti_, cambiò la
prima risoluzione di cercare altro campo di battaglia, e trincerato
dietro la metà dell'uscio fece balenar nudo il suo brando, e presentò la
pugna al nemico: ma non ricusò l'altro il cimento, _E fiero anch'egli il
rilucente acciaro, Liberò dalla placida guaina_. Tremarono i
circostanti, e si aspettava a momenti di veder fumare su i cembali, ed i
violini il sangue poetico e canoro; quando Mad. Tesi {006} sorgendo
finalmente dal suo canapè, dove aveva giaciuto fin allora
tranquillissima spettatrice, s'incamminò lentamente verso i campioni.
Allora (o virtù sovraumana della bellezza!) allora quel furibondo
Caffarelli in mezzo a' bollori dell'ira, sorpreso da un'improvisa
tenerezza, le corse supplichevole all'incontro, le gettò il ferro a'
piedi, le chiese perdono de' suoi trascorsi, e le fè generoso sacrifizio
delle sue vendette. Diè segni di perdono la ninfa: rinfoderò il poeta;
ripreser fiato gli astanti: ed al lieto suono di strepitose risate si
sciolse la tumultuosa assemblea. Oggi gl'istrioni Tedeschi
rappresenteranno nel loro teatro questo strano accidente, ec.”
Caffarelli nel 1740, cantò in Venezia, e dicesi per certo che in una
sola serata guadagnò quivi settecento zecchini. Tanti successi e tante
ricompense lo misero in istato di comprarsi il ducato _di santo Dorato_,
di cui ne prese il titolo e legollo poi al suo nipote. Ma non cessò non
per tanto di cantar ne' conventi e nelle chiese, e di farsi caramente
pagare. Alla sua morte che avvenne nel primo di febbrajo del 1783,
lasciò al nipote dodici mila ducati di rendite, fra le quali bisogna
porsi la superba casa che avevasi fatta fabbricare in Napoli, e dove
leggevasi quella modesta iscrizione: _Amphion Thebas, ego domum_: alla
quale un bello spirito sdegnato di cotanta albagia scrisse al di sotto:
_Ille cum: tu sine_.
CAFFARO (Pasquale), uno de' più dotti armonisti del prossimo passato
secolo, nacque a Lecce nel regno di Napoli verso il 1706, studiò
la composizione sotto il gran Leo, nel conservatorio della _Pietà_, e fu
quivi uno dei piccoli maestri di mio padre, col quale restò mentre
visse, amicissimo: io conservo ancora alcune di lui lettere scritte al
medesimo. Caffaro fu il primo a dare una forma elegante all'arie
_cantabili_. La sua famosa aria _Belle luci che accendete_, servì di
modello a tutti i compositori. Al riferir di Langlé suo scolare,
quest'aria ebbe un sì prodigioso successo, che se ne dipinse il _tema_
su i vasi di porcellana della manifattura del re di Napoli. Egli divenne
in appresso maestro della corte e della cappella del re di Napoli, e
maestro del conservatorio della _Pietà_. Oltre più opere da lui
composte, vi ha eziandio molta musica di chiesa ch'egli scrisse a due
cori. Il suo _Stabat_ a quattro voci in canone doppio è celebratissimo,
come lo è del pari il salmo _Confitemini_ ridotto in versi italiani dal
Ch. Mattei e posto in musica a più voci dal Caffaro, il di cui spartito
osservando il gran Iommelli ne rilevò la bellezza specialmente ne'
ripieni, e ne' cori, i quali, com'egli stesso lo attestò al Mattei, non
potevansi migliorare: anzi da costui pregato a porre in note il salmo
_Diligam_, da lui similmente tradotto in poesia lirica toscana,
modestamente gli disse, che bisognava prima far dimenticare quella
musica, per farne uno eguale in quel genere stesso. Il medesimo
Iommelli, giudice assai illuminato e che sapeva render giustizia
all'altrui merito, era solito di lodare la fecondità originale del
Piccini, la gioconda facilità del Sacchini, la vivace novità del
Paesiello, _la dottrina armonica del Caffaro_, l'esperienza teatrale del
Buranelli, la filosofica economia del Gluck, e la giusta misura del
Sassone, il quale meglio di tutti, ei diceva, seppe il _ne quid nimis_
(_Matt. Mem. del Iommelli._)
CAFFIAUX (don Filippo-Giuseppe), francese benedettino della dotta
congregazione di san Mauro, morto a san Germano de' Prati nel 1777, è
autore di un libro cui diè il titolo d'_Essai d'histoire de la Musique_,
4º.
CAJON (Mr.), autore degli _Elementi di musica a una o due voci_, Parigi
1772, in fol. Egli con molto artifizio rubò le lezioni di Bordier, per
comporre gli elementi musicali, che pubblicò sotto il suo nome. “Io non
mi sono dimenticata, dice Mad. Roland nelle sue memorie, il musico
Cajon, tristo uomicciuolo ardito e ciarlone, nato a Macon, dove era
stato cherico corista, e a mano a mano soldato e disertor, capuccino,
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