Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 08

Total number of words is 4479
Total number of unique words is 1628
40.8 of words are in the 2000 most common words
57.0 of words are in the 5000 most common words
65.0 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
Heddim è fuggito in Acco, ed ha portato il suo segreto con sè.
Ora, se a Baldovino I le armate di Genova, di Venezia e di Pisa, davano
gli aiuti necessari per espugnare le città forti della spiaggia,
il difetto di stabili milizie terrestri gli toglieva pur troppo di
mantenere saldamente le fatte conquiste. Bene erano state trapiantate
in Palestina le leggi e le costumanze feudali; ma i sostegni del
feudalismo mancavano. Il numero dei vassalli obbligati al servizio
militare, nelle tre grandi baronie di Galilea, di Sidone e di
Giaffa, superava di poco i seicento cavalieri. Le chiese e le città
somministravano intorno a cinquemila sergenti, o fantaccini che si
voglia dire. In tutto, le forze militari del nuovo regno ascendevano
a undicimila uomini; troppo povera cosa per difendere un reame ancora
seminato di rocche in balìa degli emiri, e insidiato a settentrione e a
mezzogiorno da Turchi e Saracini.
Si istituirono allora i cavalieri del Tempio e gli ospedalieri di San
Giovanni, strana miscela di monachismo e di guerra, che l'ardore di
religione fondò e che la ragione di Stato fu sollecita d'approvare.
Arricchiti a breve andare per donazioni in gran copia (si conta che
ottenessero fino a ventotto mila signorie), i cavalieri del Tempio
ebbero modo di assoldare gran gente a piedi e a cavallo. Fu bene e fu
male; bene perchè le difese di Palestina si accrebbero; male perchè la
prosperità inorgoglì il sodalizio e lo trasse fuori di riga. Ma il bene
e il male dei cavalieri del Tempio sono ugualmente fuori dalle ragioni
e dai termini della mia storia modesta.
Come il re Baldovino accogliesse i Genovesi ho già detto, a proposito
della seconda spedizione fatta da essi. Argomentate dunque come egli
ricevesse la terza, nell'anno 1102 dalla fruttifera incarnazione.
Constava essa di quaranta galee ed era comandata dai figliuoli
dell'Embriaco; coi quali erano cavalieri genovesi in buon dato, parte
già illustri per la prima impresa d'Antiochia e Gerusalemme e per la
seconda di Assur e di Cesarea, parte nuovi all'appello della croce
e infiammati dall'esempio degli altri. Tra i primi era il giovine
Caffaro; tra i secondi un gentile scudiero, dai capegli biondi e dal
volto angelico.
Che parea Gabriel che dicesse: ave.
Dopo avere preso terra a Giaffa, che era, come sapete, il porto più
vicino a Gerusalemme e per conseguenza il suo vero scalo marittimo, i
capi della spedizione, cioè a dire i due figli dell'Embriaco, Caffaro
di Caschifellone e tutti i loro gentiluomini d'arrembata, si recarono
alla città santa, con numeroso corteo, per ossequiare il re Baldovino,
amico di Genova, e per sciogliere il voto al Santo Sepolcro.
Colà erano stati già preceduti dal grido delle opere loro. Imperocchè,
dovete sapere che i nostri crociati della terza spedizione erano
vogliosi di fare come i loro predecessori, e così di passata,
rasentando la costa di Sorìa, dal porto di Laodicea verso Tiro, avevano
espugnato due città, Accaron e Gibelletto, non senza grande effusione
di sangue.
Baldovino andò co' suoi gentiluomini ad incontrare la nobile comitiva
fino alla porta di Ebron, detta dagli Arabi _Bab el Hallil_, e, avuta
la lettera dei consoli del comune di Genova, mostrò di farne gran
conto.
— Mi è caro, — diss'egli, — che i Genovesi mi amino, e dimostrerò con
certe prove quanto io sono ad essi riconoscente. Ho notato quanto
valgano in guerra, e vedo ora che i figli non tralignano punto dai
padri. La mia amicizia vi è assicurata, messeri; faccia il buon sire
Iddio che io possa meritar sempre la vostra. —
Fatte queste nobili parole, l'accorto Baldovino volle i gentiluomini
genovesi ospiti suoi nella reggia e usò loro ogni maniera di cortesie.
Molto promise ai capi della spedizione, segnatamente se lo avessero
aiutato ancora a sottomettere altre città della costa. Tortosa
anzitutto gli stava a cuore, per la sua vicinanza ad Antiochia, poi
Tripoli e Biblo, detta allora Gibello, da ultimo Tolemaide, e infine
quanti scali marittimi erano ancora in balìa degli Emiri, dal golfo
di Laiazza fino a quel di Larissa. Egli, in compenso di tanti servigi,
avrebbe dato in perpetuo al comune di Genova una contrada nella santa
città di Gerusalemme; ed una nello scalo di Giaffa, oltre la terza
parte di tutte le entrate marittime dei porti di Assur, di Cesarea ed
anco di Tolemaide, quando questa fosse presa dalle armi cristiane.
E perchè Baldovino correva molto innanzi cogli ambiziosi disegni,
prometteva anche la terza parte delle entrate marittime dell'Egitto,
se mai gli accadesse di conquistare il Cairo (Babilonia, come dicevasi
allora) mercè l'aiuto di Genova.
Del resto, entrando nella chiesa del Santo Sepolcro, il re Baldovino
potè mostrare ai Genovesi qual fosse la sua gratitudine, e non di là da
venire, additando loro il grand'arco dell'altar maggiore.
Caffaro di Caschifellone, il cavaliere letterato che ben conoscete,
lesse la scritta latina che correva per tutta la curva dell'arco,
segnata in lettere d'oro: «_Præpotens Genuensium præsidium_,» come
a dire che la conquista del Santo Sepolcro non avesse più valida
protezione che quella dei Genovesi.
Non è a dire come quella cortesia epigrafica piacesse ai figli di
San Giorgio il valente. La lode consola, come quella che è un premio
alle durate fatiche. Lo ha detto anche il poeta, mettendola di costa
coll'amore di patria: _Vincit amor patriæ, laudumque immensa cupido_.
Baldovino, fatte le sue promesse al comune di Genova, volle mostrarsi
liberale con tutti, e profferì partitamente ad ognuno l'opera sua.
— E voi, leggiadro scudiero? — diss'egli, volgendosi finalmente
al biondo garzone che stava tutto umile in vista, a fianco di Ugo
Embriaco. — Non posso io far nulla per voi?
— Sire, — rispose il giovine, vincendo a stento la sua commozione, —
io vi chiederò una scorta per giungere fino al paese di Thaanach, che
mi dicono essere a mezza via tra Gerusalemme e Tolemaide. A Cesarea,
dove abbiamo toccato terra, mi hanno detto che in Thaanach si trova un
ferito genovese.
— C'era diffatti, e voi me lo fate ricordare. Se non sapete il suo
nome, potrò dirvelo io; è Arrigo da Carmandino, il valoroso Arrigo, il
braccio destro di messere Guglielmo Embriaco.
— Sire, — disse il giovine, con voce da cui trapelava il turbamento
dell'animo, — voi sapete....
— Lo so, e in modo abbastanza nuovo; — interruppe il re. — Me lo ha
mandato a dire il fratello del soldano di Babilonia, mentre passava per
la valle di Gerico, alle spalle del nostro piccolo reame. Egli stesso
ha raccolto il vostro glorioso concittadino, gravemente ferito, entro
le mura di Cesarea, e lo ha campato da morte. Ma che avete, mio bel
giovane? Sareste per avventura un consanguineo di Arrigo?
— Sire, — entrò a dire sollecito Ugo Embriaco, che incominciava a
pentirsi di aver consentito un travestimento, pericoloso anzi che no
per una vezzosa fanciulla, — è appunto un consanguineo di Arrigo da
Carmandino. Ma, di grazia, sire, se avete qualche nuova del nostro
amico e compagno d'armi, che già piangevamo perduto, degnatevi
di darcene ragguaglio, e aggiungerete un nuovo titolo alla nostra
gratitudine. —
Baldovino raccontò allora tutto quello che aveva saputo dal messaggero
dello _Sciarif_. E il suo racconto si accordava benissimo colle notizie
che i suoi uditori avevano raccolte dal conte di Cesarea, il quale
era stato informato, come potete argomentare, dal mercante giudeo.
Senonchè, il conte, a cui poco importavano quei cenni, ne aveva
ritenuto la minima parte; laddove il re Baldovino diceva assai più, e
in parte chetava le angoscie, in parte le accresceva.
— Benedetto sia l'infedele che ha ceduto ad un sentimento di
cavalleresca pietà — disse Caffaro di Caschifellone. — Potessimo almeno
sapere il suo nome!
— Bar Ibn; — rispose il re; — Bar Ibn è il fratello del soldano di
Babilonia.
— Bar Ibn! — ripetè un vecchio guerriero genovese, a cui quel nome
non giungea nuovo. — Non sarebbe egli il Saracino che sotto le mura di
Antiochia....
— Lui per l'appunto; — interruppe Baldovino, a cui tornava in mente la
vecchia disfida; — e rimase debitore alla generosità di Arrigo della
sua vita e della sua libertà.
— Sire, — ripigliò il biondo scudiero, riconducendo a' suoi principii
il discorso, — mi concederete voi dunque la scorta?
— Questo io farò, messere, e di buon grado; — rispose Baldovino; — ma
non già per Thaanach, nella valle di Jesrael, che Arrigo da Carmandino
ha lasciata da parecchi mesi.
— Ah! — esclamò lo scudiero, che si sentiva venir meno.
— Coraggio! — bisbigliò Caffaro all'orecchio del giovane. — Il nostro
amico è vivo e sano; è questo che importa, e a cui bisogna por mente.
— Pur troppo! — pensò Gandolfo del Moro, che, come potevate
argomentare, era sempre il compagno inseparabile di messer Nicolao.
S'ha a dire per altro, a sua lode, che Gandolfo non avea più fatto
cenno dell'amor suo, nè delle sue pretensioni alla mano della fanciulla
degli Embriaci. Era tornato in Genova dalla impresa di Cesarea sperando
che Arrigo fosse morto e che il tempo cancellasse l'immagine di lui nel
cuore di Diana; ma la morte di Arrigo non si era potuta provare e il
tempo non aveva saputo cancellar nulla. Che fare? Diana era stata in
fil di vita; da ultimo aveva smarrita la ragione. Questo almeno pareva
a lui, che non sapeva spiegarsi altrimenti gli atti e i propositi della
bellissima tra le donne. Che dir poi di suo padre? Di suo padre che
l'aveva secondata ne' suoi strani disegni? Che anche a lui avesse dato
volta il cervello? Gandolfo del Moro non ci si raccapezzava, e già
aveva rinunziato a cercarne l'intiero.
Però si era chiuso l'amor suo nel profondo dell'anima, lo aveva
sigillato come la mistica fontana del Cantico de' Cantici. Che cosa
avveniva là dentro dell'amor di Gandolfo? Si trasformava purificandosi,
o si mutava in odio? L'una cosa e l'altra erano possibili del pari.
— Sì, Arrigo è vivo è sano; — proseguiva intanto il re Baldovino, che
non poteva non udire le parole di Caffaro, altro amante senza speranza,
ma di così nobil sentire che non lasciava dubitare un istante di lui. —
Infatti, nel suo messaggio, che v'ho accennato poc'anzi, lo _Sciarif_
mi aggiungeva com'egli andasse col suo prigioniero ed amico verso i
confini d'Egitto.
— D'Egitto! — ripetè Ugo Embriaco, stupefatto. — E con quale intento?
— Questo non reputò necessario di dirmi; — rispose Baldovino; — ma
questo ho potuto saper io, che debbo vigilare ogni giorno sulle cose
del reame. La corona di Gerusalemme è grave a portare; — soggiunse
il re, sospirando; — e Turchi da un lato ed Arabi dall'altro vogliono
esser tenuti d'occhio senza posa. Ora sappiate, messeri, che Mostalì,
il soldano di Babilonia, è morto da oltre un anno, lasciando erede
un fanciullo. Bahr Ibn ebbe tardi l'annunzio di quella morte, lontano
come era; ma certo, appena gli giunse la nuova, il suo primo pensiero
dovette esser quello di tornare nel reame; donde lo teneva lontano
la gelosia sospettosa del fratello, fomentata dalle calunnie del suo
ambizioso visir. Almeno, è agevole di indovinarlo. E morto il fratello,
poteva sperare Bahr Ibn che gli fosse più facile il ritorno? Io penso
che no. Afdhal, che noi abbiamo sì fieramente colpito sul piano di
Ramnula, è tuttavia potentissimo in Egitto. Del resto, — conchiuse
Baldovino, — meglio così. Le discordie e le guerre loro dànno forza
a noi, che coll'aiuto di nostro Signore muoveremo un giorno alla
conquista di Babilonia. E nostro Signore mostrerà di volerci aiutare,
se persuaderà ai nostri amici Genovesi di presentarsi colle loro navi
invincibili alle foci del Nilo.
— Sire, io vi prego di credere che la cosa andrà in tutto secondo i
vostri disegni; — rispose prontamente Ugo Embriaco. — Il Comune udrà la
proposta e farà ogni poter suo per compiacervi. Ma torniamo, se non vi
spiace, a Bahr Ibn. La sorte del nostro Arrigo sta grandemente a cuore
a tutti noi, come al console Guglielmo Embriaco, mio padre.
— Ve lo credo facilmente. Troppo era amato il Carmandino da messere
Guglielmo, il mio glorioso amico. Torniamo dunque allo _Sciarif_. I
miei esploratori lo hanno seguitato fino alla metà del suo viaggio, che
non fu trionfale, siccome egli sperava. Costeggiato sulla via destra il
lago d'Asfalto, penetrò nella valle di Siddim, cercando di far gente
tra quelle nomadi tribù del paese di Moab. Di là si volse a ponente,
per le falde della montagna degli Amoriti, e da Sefat, ove rimase
qualche tempo spiando il momento opportuno, mosse direttamente verso
l'istmo egiziano. Ma Afdhal doveva essere informato delle sue mosse,
e lo arrestò a Kattiè, disperdendo le sue bande raccogliticcie, prima
che egli potesse, come aveva creduto, ottenere l'aiuto dell'emiro di
Gaza. Se debbo credere alle ultime notizie dei nostri emissari, egli
si aggira co' suoi fidi sul pianoro di Aroer, non disperando ancora
d'impadronirsi di Gaza, che per amor suo si rivolterebbe all'Emiro, e
volgendo sempre gli occhi bramosi all'Egitto, dove i partigiani non gli
mancherebbero, ma dove manca in quella vece il coraggio di ribellarsi
al dominio di Afdhal. Gli Egiziani son vili. Vi ricordate di Ramnula?
Afdhal guidava contro di noi un esercito numeroso come quello di
Sennacherib, di cui parlano le Sacre Carte. Ma, salvo i tremila Etiopi,
che tennero saldo colle loro mazze di ferro, tutte quelle migliaia di
cavalieri e di fantaccini si dileguarono al primo urto delle lancie
cristiane. Fiacchi soldati e schiavi abbrutiti, non sanno voler
fortemente; fanno voti per Bahr Ibn, e sopportano Afdhal.
— Sire, — domandò allora Gandolfo del Moro, — voi dicevate che lo
_Sciarif_ si trova ora....
— Nei dintorni di Aroer, a mezza strada fra il lago d'Asfalto e le mura
di Gaza.
— E... — soggiunse timidamente Gandolfo, — a che distanza dalla costa?
— Quattro giornate, per un buon corridore.
— E come mai, così vicino al mare, il nostro Arrigo, non ha cercato di
ritornarsene?
— Lo credete voi possibile? — disse Baldovino. — Gaza e Ascalona sono
in balìa del nemico; e sebbene quegli Emiri si astengano gelosamente da
ogni atto che possa dispiacere a noi, temendo da un giorno all'altro le
nostre vendette, non credo che Arrigo da Carmandino possa fidarsi di
costoro, per andare a chiedere ciò che essi del resto non potrebbero
dargli, una nave per ritornarsene in patria. Ma questo, messeri,
potrete far voi, che avete quaranta galere, armate di tutto punto.
— E lo faremo, per San Giorgio! — gridò Gandolfo del Moro.
Il biondo scudiero diede a Gandolfo del Moro un'occhiata, da cui
trapelavano insieme diffidenza e stupore.
Gandolfo non vide quello sguardo; ma lo sentì, e fu pronto a
soggiungere:
— Sì, Genovesi siamo anzi tutto, e il valore di Arrigo da Carmandino,
è gloria della nostra terra. Quale de' suoi nemici, se pure egli
potesse averne tra' suoi concittadini, non dimenticherebbe in questo
giorno ogni privato rancore, non metterebbe volentieri a repentaglio la
propria vita, e la propria libertà, per rivendicare la sua? Sire, voi
dite saviamente che Arrigo deve esser libero, e che soltanto il modo
gli manca, per ritornar sano e salvo tra' suoi. Bahr Ibn è un infedele,
ma è principe e cavaliere, e non può avere dimenticato il debito di
gratitudine che lo lega al nostro valoroso compagno d'armi. Resta che
noi gli offriamo il modo di uscire dal deserto, andando in traccia di
lui, per condurlo alla spiaggia del mare, o dentro i confini del vostro
reame.
— Ben dite, messere; — rispose il re Baldovino.
— Orbene, — ripigliò Gandolfo del Moro, fermandosi all'ultima delle
fatte proposte, — il pianoro di Aroer non è già troppo distante dai
confini di Giudea?
— Essi giungono finora alle falde della montagna di Giuda; — disse di
rimando Baldovino. — Bèrseba a ponente e Arad a levante sono le ultime
terre del regno.
— Ottimamente, adunque! La vostra liberalità ci fornisce una scorta
sicura per muovere di là in traccia del nostro concittadino?
Il re stette alquanto sovra pensiero, quasi meditasse il miglior modo
di appagare i suoi ospiti ed alleati, ma veramente perchè studiava la
forma più acconcia a togliere l'asprezza d'un rifiuto.
— Troppo numerosa vorrebbe essere la scorta, messeri; — diss'egli
finalmente; — e forse basterebbero a mala pena i cavalieri della
baronìa di Giaffa. Finora, il deserto di Giuda, che si stende da Tell
Arad fino alle spelonche di Engaddi, è infestato da troppo frequenti
scorrerie di Arabi ladroni, ed io non potrei consigliarvi nemmeno di
avventurarvi con poca gente, mal pratica dei luoghi, oltre la valle di
Ebron, nei dominii del nostro fedel barone Gerardo di Avennes.
— Lasciamo in disparte questo disegno; — rispose Gandolfo inchinandosi,
con aria rassegnata; — messere Ugo Embriaco potrà muovere almeno
coll'armata verso le acque di Gaza?
— Per far credere a quell'Emiro che noi vogliamo impadronirci della
città, mentre poi troppo ci costerebbe il doverne custodire il
possesso? — gridò Baldovino, a cui quest'altro disegno piaceva anche
meno del primo. — Voi dimenticate, messer Gandolfo del Moro, che il
nostro intento verso le contrade di mezzodì ha da essere quello di
lasciare che i nostri nemici si indeboliscano da sè e non sospettino
punto di noi; mentre invece dobbiamo volgere tutti i nostri sforzi
a settentrione, dove la strada di Antiochia è meno sicura e dove
abbiamo sempre negli occhi quel bruscolo molesto dell'isola di Arado,
forte baluardo sul mare, che voi soli potrete ritogliere ai nemici di
Cristo. —
Le ultime parole del re andavano più particolarmente rivolte ad
Ugo Embriaco, il quale vi assentì con un cenno del capo. L'impresa
di Arado, o Tortosa di Sorìa come diceasi in quel tempo, era già
concertata tra i fratelli Embriaci e il re di Gerusalemme; nè Gandolfo
del Moro poteva ignorarlo.
— E sia; — diss'egli, arrendendosi a quelle considerazioni di
Baldovino; — ma poichè non dobbiamo neanche permettere che Arrigo
da Carmandino, rimanga più oltre senza il conforto della patria,
io stesso, io solo, se fa d'uopo, andrò in traccia di lui. Una
galea, tolta al numeroso e forte naviglio di Genova, non farà troppo
mancamento alla espugnazione di Tortosa, ed io ho fede che giungerà
ancora in tempo per cogliere la sua parte d'allori. Una sola galea,
nelle acque di Gaza — soggiunse egli poscia — non darà sospetto
all'Emiro di quella terra, segnatamente se voi, sire, vi degnerete
di darmi lettere vostre per lui, nelle quali sia chiaramente espresso
l'intento del nostro viaggio.
— Questo è assai meglio; — rispose il re; — e sarà mia cura che
possiate giungere, provveduto d'ogni più calda raccomandazione,
all'Emiro di Gaza. Questi infedeli, non potendoci combattere
validamente, ci si mostrano ossequiosi oltre ogni dire, e noi riceviamo
spesso da loro donativi ed omaggi. Donde la necessità di rispondere
alle loro cortesie, fino a tanto non si possa fare altrimenti. A
questo proposito, messer Gandolfo, poichè io vi vedo così determinato
all'impresa, vi pregherò di aiutarmi in certi maneggi, pei quali si
conviene un più lungo discorso tra noi. Questa guerra tra il fatimita
Bahr Ibn e il visir di Babilonia giova mirabilmente ai miei fini, non
lo dimenticate.
— Intendo, sire; — disse di rimando Gandolfo; — io farò un viaggio
e due servizi, sarò capo di una spedizione nel deserto di Cades e
negoziatore tra i nuovi Amaleciti.
— Per l'appunto; — rispose Baldovino sorridendo, — e fate assegnamento
sulla mia gratitudine, come io sulla vostra prudenza.
— Sire, farò di mostrarmi alla prova meritevole della vostra fiducia; —
replicò Gandolfo, inchinandosi profondamente.
Così ebbe fine quella conversazione, che il biondo scudiero aveva
ascoltata con molta ansietà.
Gandolfo del Moro, in tutto quel tempo, aveva con ogni studio evitato
gli sguardi indagatori dello scudiero.
Poco stante, il re Baldovino accomiatava i suoi ospiti, lasciando
libertà ad ognuno di andare dove più gli piacesse, e non trattenendo
che Gandolfo del Moro, per dargli le sue istruzioni. E questi, che si
sentiva di punto in bianco cresciuto tant'alto nella stima de' suoi
compagni, si affrettò a seguire nelle sue stanze il re Baldovino.


CAPITOLO XI.
In cui si narra di un astore che si era fatto colomba.

Il biondo scudiero non aveva anche lasciato la sala d'udienza del
re di Gerusalemme. Era rimasto là ritto, colle braccia prosciolte
sui fianchi, cogli occhi fissi, ma senza guardar nulla davanti a sè,
nell'atteggiamento di chi medita, cercando la soluzione d'un dubbio.
Era bello, il giovine scudiero, d'una bellezza fin troppo soave e
delicata per un uomo. La sua carnagione bianca si era leggermente
abbronzata al sole di Palestina, e questo era bene, perchè altrimenti
egli sarebbe apparso un po' scolorito. Ma il pallore del suo volto
prendea lume da due occhi turchini così profondamente espressivi e da
una doppia cascata di capegli biondi così fine e copiosa, che la sua
vista non destava certamente pensieri di compassione amorevole, come
accade sempre ai cuori bennati, quando s'incontrano in un bel viso
che porti le traccie d'un interno dolore. L'armonica leggiadria delle
forme, non potuta dissimulare affatto da una lunga tunica a crespe
i cui lembi gli giungevano fin oltre al ginocchio, tradiva una rara
eleganza, che a Fidia, a Prassitele, e a tanti altri felici adoratori
della bellezza, avrebbe strappato un grido di ammirazione e destato
in cuore il desiderio che quel biondo garzone fosse da Giove mutato in
donna, per offrire il modello al simulacro della più castamente bella
tra le sue divine figliuole.
Senza esser Fidia, nè Prassitele, il giovine Caffaro doveva pensare
alcun che di simigliante, perchè, essendosi a bello studio ritirato per
l'ultimo, come fu sulla soglia, si volse ancora indietro a guardare il
biondo e pensoso scudiero.
Il silenzio che si era fatto d'intorno a lui, scosse dalla sua
meditazione quest'ultimo. Il suo sguardo, tornato d'improvviso alle
cose circostanti, s'incontrò allora in quello di Caffaro.
— Signore di Caschifellone, — disse lo scudiero, facendo un passo verso
di lui, — una parola, vi prego. —
Caffaro tremò tutto a quella inattesa chiamata. Sapete già che il suo
cuore non era di smalto.
— Che cosa desiderate da me, Carmandino... poichè così volete esser
chiamato? — soggiunse egli, con un mesto sorriso.
— E ben fate, messere; — ripigliò lo scudiero; — questo nome ha da
essere il mio per elezione, quando non lo sia per altro modo. Ditemi,
avete notato l'ardore insolito e nuovo di Gandolfo del Moro?
— Sì, e vi confesso, mad... Carmandino, — riprese subito,
correggendosi, il giovine Caffaro, — vi confesso che mi ha colpito di
stupore.
— Ah, voi pure?
— Certo, e non poteva essere altrimenti, vedendo lui, così freddo per
solito, infiammarsi in quella maniera. Ma già, lo ha detto egli stesso,
ogni privato rancore, ogni pena segreta, — e facendo questa giunta alla
frase di Gandolfo, il giovine non potè rattenere un sospiro, — deve
cessare davanti all'obbligo di soccorrere un prode concittadino, un
gentil cavaliere.
— E voi credete, — disse, dopo un istante di pausa, il biondo garzone,
— che quelle parole fossero sincere?
— Non so; — rispose Caffaro, sconcertato da quella domanda; — so bene
che il mio cuore si è commosso a quelle parole, che rispondevano così
giusto a ciò che credo e sento io medesimo. —
Lo scudiero chinò la fronte, confuso.
— So anche un'altra cosa; — soggiunse Caffaro a cui pareva di aver
detto un po' troppo.
— Quale? — dimandò lo scudiero, levando le ciglia e interrogando coi
suoi grandi occhi azzurri il volto amico di Caffaro.
— Che io pure andrò con Gandolfo del Moro; — rispose questi, con
accento deliberato. — Arrigo da Carmandino era il mio compagno d'armi,
il più caro che io m'avessi. Insieme, sulla medesima scala siamo
saliti, abbiamo afferrato il ciglio delle mura di Cesarea. Il destino
ha voluto che io giungessi alla saracinesca, in quel punto che essa
si chiudeva dietro a lui; ma certo, se l'obbligo di volgermi indietro,
per chiamare i compagni, non mi avesse trattenuto un istante, io sarei
penetrato nella seconda cinta con lui, ed avrei corso la sua medesima
sorte. Egli è vivo e sano, coll'aiuto del cielo ed io debbo essere dei
primi a vederlo. —
Lo scudiero era rimasto intento, palpitante, ad ascoltarlo. Ma, come
il giovine Caffaro ebbe finito di parlare, egli si avvicinò, gli
prese ambe le mani e le strinse tra le sue, con effusione di affetto
fraterno.
— Non sarete solo, messere! — gli disse poscia, mentre Caffaro,
fortemente turbato, rispondeva a mala pena a quella stretta amichevole.
— Che dite voi, Carmandino? — chiese questi, come si fu riavuto.
Ma lo scudiero non si pigliò cura di rispondergli direttamente.
— Messere, — riprese egli, — vorrei domandarvi una grazia.
— Quale? Parlate, comandate al vostro servitore, al vostro amico devoto.
— Desidero di avere un colloquio... Non indovinate con chi?
— Non saprei. Porse con Gandolfo del Moro?
— Con lui. Vedete, messere; anche voi correte col pensiero a quel nome;
anche voi sospettate, al pari di me. —
Caffaro non poteva rispondere di no, perchè infatti, anche a lui aveva
fatto senso quel mutamento improvviso del rivale di Arrigo. Perciò,
scambio di rispondere, pensò di sviare il discorso.
— Volete parlare con lui subito?
— Appena egli sarà uscito dalle stanze del re.
— Dove?
— Io vado là, — rispose il biondo garzone, con accento impresso di
solenne mestizia — a pregare sul Calvario, ai piedi del santo sepolcro
di Cristo. Vi aspetterò.
— Sta bene, — disse Caffaro inchinandosi, — io rimango in
vedetta. —
Lo scudiero si allontanò, dopo avergli fatto colla sua bella mano un
cenno d'amorevole addio.
Rimasto solo, il giovane signore di Caschifellone pensò alla novità,
o, se meglio vi torna, alla gravità del suo caso. Amava di schietta e
salda amicizia il suo concittadino Arrigo, e si era invaghito, senza
volerlo, sì, ma perdutamente eziandio, della bella Diana. Come se un
simil contrasto non bastasse ancora alla infelicità di un giovinotto,
anche più maturo e più sperimentato di lui, Caffaro di Caschifellone
era diventato l'uomo in cui la fanciulla degli Embriaci fidasse di più,
non esclusi i suoi fratelli medesimi. Convenite che lo stato di Caffaro
non era il più lieto di tutti, nè, per conseguenza, il più invidiabile.
Che cosa avrebbe egli fatto? Come sarebbe uscito dal ronco? Se Diana,
ritrovato il suo Arrigo, fosse andata sposa a lui, il disgraziato
giovane avrebbe chinato la testa alla ferrea necessità, ma non
disegnava certamente di rimanere a Genova, spettatore della felicità di
Arrigo, del suo ottimo amico. Se Arrigo non fosse tornato tra i suoi, e
Diana avesse dovuto prendere il velo, come infatti aveva accennato di
voler fare, il nostro Caffaro, disgraziato del pari, non avrebbe già
chinato la testa, l'avrebbe perduta senz'altro. E questo si nota per
dimostrarvi che, comunque l'andasse, il nostro povero amico si vedeva
a mal partito. E guardate disdetta! Gli toccava anche di peggio; gli
toccava di essere il confidente, l'aiuto, il protettore di amori che
gli passavano il cuore.
I miei lettori lo avranno osservato qualche volta nella vita; ci sono
degli uomini a cui vanno di giusta ragione tutti i dolori e tutti
i sacrifizi, come rondini al nido. Nessuno si avvede che soffrono;
tutti si volgono a loro per consiglio o soccorso e non c'è caso che
si avvedano di tormentarli. Eppure, tanto è vero che ogni spino ha
il suo fiore, anche qui c'è la sua parte di bene. A quella incudine
così assiduamente martellata si temprano i forti caratteri, che poscia
domineranno il tempo loro, se la fortuna si ricorda una volta di essi,
o alla peggio non ne saranno dominati, se avviene che la cieca dea
passi davanti a loro, senza la limosina d'un sorriso. Nell'un caso o
nell'altro, costoro sono uomini davvero; e chi sa? forse c'è un libro
in cui si tien conto di ciò. E se pure non ci fosse, che importerebbe?
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 09
  • Parts
  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 01
    Total number of words is 4536
    Total number of unique words is 1717
    41.2 of words are in the 2000 most common words
    56.2 of words are in the 5000 most common words
    63.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 02
    Total number of words is 4588
    Total number of unique words is 1708
    41.6 of words are in the 2000 most common words
    58.6 of words are in the 5000 most common words
    66.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 03
    Total number of words is 4519
    Total number of unique words is 1817
    34.0 of words are in the 2000 most common words
    49.0 of words are in the 5000 most common words
    57.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 04
    Total number of words is 4498
    Total number of unique words is 1824
    38.4 of words are in the 2000 most common words
    54.4 of words are in the 5000 most common words
    62.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 05
    Total number of words is 4480
    Total number of unique words is 1703
    38.9 of words are in the 2000 most common words
    55.8 of words are in the 5000 most common words
    64.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 06
    Total number of words is 4492
    Total number of unique words is 1628
    40.9 of words are in the 2000 most common words
    57.7 of words are in the 5000 most common words
    65.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 07
    Total number of words is 4454
    Total number of unique words is 1658
    37.9 of words are in the 2000 most common words
    54.3 of words are in the 5000 most common words
    62.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 08
    Total number of words is 4479
    Total number of unique words is 1628
    40.8 of words are in the 2000 most common words
    57.0 of words are in the 5000 most common words
    65.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 09
    Total number of words is 4475
    Total number of unique words is 1749
    38.5 of words are in the 2000 most common words
    54.2 of words are in the 5000 most common words
    61.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 10
    Total number of words is 4550
    Total number of unique words is 1774
    37.4 of words are in the 2000 most common words
    54.1 of words are in the 5000 most common words
    60.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 11
    Total number of words is 4484
    Total number of unique words is 1681
    38.5 of words are in the 2000 most common words
    55.0 of words are in the 5000 most common words
    63.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 12
    Total number of words is 4475
    Total number of unique words is 1642
    39.1 of words are in the 2000 most common words
    55.3 of words are in the 5000 most common words
    63.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 13
    Total number of words is 4552
    Total number of unique words is 1581
    41.7 of words are in the 2000 most common words
    56.2 of words are in the 5000 most common words
    63.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 14
    Total number of words is 4512
    Total number of unique words is 1672
    38.0 of words are in the 2000 most common words
    55.7 of words are in the 5000 most common words
    63.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 15
    Total number of words is 4510
    Total number of unique words is 1621
    39.1 of words are in the 2000 most common words
    54.2 of words are in the 5000 most common words
    62.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 16
    Total number of words is 4486
    Total number of unique words is 1637
    39.9 of words are in the 2000 most common words
    55.9 of words are in the 5000 most common words
    63.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 17
    Total number of words is 1536
    Total number of unique words is 705
    51.0 of words are in the 2000 most common words
    64.1 of words are in the 5000 most common words
    70.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.