Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 12

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gran sodalizio. Ma è dei giovani soltanto il sottomettersi a certe
prove.
— Amico, — disse il Gran Priore, con un accento misto di familiarità e
di diffidenza, — tu non potresti entrar già nella schiera dei Fedàvi.
Son questi i giovani che noi educhiamo dalla prima adolescenza a
tutte le imprese più disperate, conducendoli alla luce per la via
dell'errore. Credono al paradiso di là, al paradiso del Profeta, e noi
dobbiamo avvezzarli a grado a grado. Ma tu ben potresti entrare nel
numero dei compagni, dei _rèfili_, in attesa di meritare coi servigi il
grado di Dai, o di maestro iniziato.
— I _rèfili_! — esclamò Gandolfo. — Che cosa significa ciò?
— E tu perchè mi fai questa domanda? — disse a sua volta Abu Wefa,
fermandosi a un tratto e piantandogli addosso lo sguardo scrutatore. —
Hai forse disegnato di rubare un segreto a me? Bada bene, Cristiano, un
segreto non si vende che a prezzo di un altro segreto.
— E sia, — rispose Gandolfo. — Ho infatti a parlarvi di cosa grave, e
se voi mi giurate....
— Ti avevo capito alla prima; — interruppe Abu Wefa; — ti avevo letto
un arcano negli occhi. Sta bene; — proseguì allora, abbassando la
voce. — Questa notte fa di andare a dormire più lunge che potrai dai
tuoi compagni di viaggio. Un mio Fedàvo verrà a cercarti. Seguilo, e
parleremo... ci intenderemo.
— Lo spero; — disse Gandolfo.
Dov'era andata in quel punto la vostra vigilanza messer Caffaro di
Caschifellone?
Anche il nostro giovine Arrigo non doveva accorgersi di nulla. Quel
giorno aveva dato un sobbalzo, vedendo tra i suoi liberatori Gandolfo
del Moro, e a tutta prima non gli era venuto fatto di intendere le
ragioni della sua presenza colà. Ma l'uomo generoso è così facile a
creder generosi i suoi simili, che Arrigo si era pentito di quel suo
primo e istintivo moto di stupore, e aveva perfino abbracciato il suo
antico rivale.
Tutto il restante della giornata fu consacrato al riposo e alle feste
dell'amicizia. Bahr Ibn era triste di dover lasciare l'amico suo che
bene intendeva di perdere, e per sempre. Ma lo _Sciarif_ era forte e
seppe nascondere il suo rammarico.
Anche il Gran Priore degli Assassini annunziò che doveva partire
la mattina seguente. Le sue schiere già erano in ordine e non c'era
nessuna ragione d'indugiare più oltre. Abu Wefa disegnava di andare un
tratto verso levante, fino alla valle di Siddim; di là avrebbe condotto
la sua gente sull'altra sponda del lago d'Asfalto, e proseguendo verso
settentrione, lunghesso la sinistra del Giordano, sarebbe andato a
gittarsi con rapide marcie tra il regno di Gerusalemme e il principato
d'Antiochia. Laggiù, in quelle gole alpestri che sono alle spalle di
Tripoli, il Gran Priore voleva piantarsi saldamente e procacciarsi
anche lui la sua parte di regno.
— Che farai tu? — chiese Abu Wefa a Bahr Ibn dopo avergli accennato il
suo disegno. — Non seguirai l'esempio? Aspetterai qui nell'inedia una
fortuna che non verrà mai?
— Vedrò; — rispose Bahr Ibn, che era rimasto pensoso. — Intendo anch'io
che il guerriero non può stare a lungo senza speranza di pugna.
— Ah, lo vedi anche tu? Non hai udito, del resto? I tuoi amici Genovesi
vanno all'assedio, o, come essi dicono, alla espugnazione di Tortosa.
Qual campo di gloria per te! Oggi amici, e sta bene; domani avversarii,
la cosa va da sè. Pensa, o discendente del Profeta, che il tuo posto, è
dove si combatte per la difesa dell'Islam. —
Abu Wefa lavorava, così dicendo, per l'usurpatore Afdhal. Dopo aver
negato il suo aiuto a Bahr Ibn, cercava di allontanarlo dal confine
d'Egitto.
Giunse la notte, invocata, sospirata, da Arrigo di Carmandino, che
affrettava il nuovo giorno coi voti. Gandolfo del Moro la desiderava
invece per un'altra ragione e l'avrebbe anzi voluta due cotanti più
lunga. Fatta ogni cosa secondo i consigli di Abu Wefa, il nuovo Giuda
si recò dal Gran Priore. Tremava un pochino, il degno messere Gandolfo.
Neanche ai ribaldi è dato di fare il male con animo tranquillo, e
Gandolfo sapeva benissimo di commettere una ribalderia più nera della
notte in cui sperava di nasconderla.
Il colloquio durò fino all'appressarsi dell'alba; ma assai prima che
finisse, il Gran Priore aveva dato i suoi ordini, e un drappello di
Fedàvi, rapiti poc'anzi alle delizie del paradiso, montava animoso in
arcioni, volgendo i passi a ponente.
Nel congedarsi dal Gran Priore, Gandolfo gli disse:
— Mio signore, è un presente da re, quello che io ti ho fatto. La perla
d'Occidente non conosce rivali.
— L'hai tanto levata a cielo, — rispose Abu Wefa, — che io sono curioso
davvero di conoscerla. Se ti accade di toccar terra nelle vicinanze di
Tripoli, vieni a cercarmi. Ti darò in cambio una perla d'Oriente.
— Accetto, quantunque io sappia di perderci troppo.
— Stolto! E perchè allora non l'hai tenuta per te?
— Se fosse stata mia! — esclamò Gandolfo, fremendo. — Se avessi avuta
forza bastante per rattenerla in mia mano!
— Sii paziente, adunque, — disse di rimando Abu Wefa, — se non ti è
dato ancora esser forte. Addio, Cristiano; o piuttosto, a rivederci.
Capisco che anche con voi sarà facile intenderci, se portate qua le
vostre collere, i vostri amori e le vostre gelosie d'Occidente. —
Gandolfo chinò la testa raumiliato e partì.
Tornava al suo letto con un rimorso nuovo nell'anima. Avrebbe dato metà
della sua vita per non aver scelto quella forma di vendetta. Si coricò,
ma non gli venne fatto di prender sonno; e poco dopo, quando Caffaro si
accostò al suo giaciglio per risvegliarlo, balzò in piedi fieramente
turbato, come quell'altro dovesse leggergli il suo tradimento negli
occhi.
— Dio mio, che brutta cera! — avrebbe voluto dir Caffaro.
Per altro si trattenne in tempo, ricordando che messer Gandolfo non era
mai bello, non solo ai primi raggi del sole, ma neanche quando cadeva
il crepuscolo.
Questi intanto, per vincere il rimorso, si sdegnava con sè medesimo.
— Alla fine che c'è di strano? Mi vendico. Forse che non potrò più
vendicarmi? E non ho sofferto abbastanza? Avrei dovuto vedermi sempre
quella coppia di felici davanti agli occhi? Per Dio, siamo infelici un
po' tutti. L'abbia un altro e la tenga. Una donna di più, una donna di
meno, la Cristianità non andrà mica a soqquadro! —


CAPITOLO XV.
Una triste novella.

I nostri viaggiatori partirono dal castello di Kanat a giorno
inoltrato, perchè Bahr Ibn non sapeva staccarsi da Arrigo di
Carmandino. Gli amplessi fraterni di quei due nemici, così fatti
per amarsi l'un l'altro, si ripetevano, e non senza accompagnamento
di lagrime. Non si è impunemente salvata la vita ad un uomo, non si
è ricevuto impunemente un gran benefizio da lui, non si è vissuti
impunemente un anno insieme, compagni di tutti i giorni, partecipi
di tutte le gioie, di tutte le ansietà, di tutti i pericoli. Bahr Ibn
era d'indole altera, e, giusta la natura degli Ismaeliti, traente al
feroce; ma si sa che appunto in quelle anime vergini di ogni coltura
allignano più facilmente gli affetti gagliardi e vi mettono più
profonda radice. Era un amor di guerriero, quello di Bahr Ibn per
Arrigo di Carmandino. Si aggiunga che lo _Sciarif_, guerriero fin
dai primi anni dell'adolescenza, sbalestrato dal destino in sempre
nuove avventure, non aveva amato mai d'altro amore, ed espandeva
nell'amicizia un ardore, che lasciava indovinare com'egli avrebbe amato
una donna, il primo giorno che si fosse imbattuto in quella che doveva
destargli le vampe del desiderio nel sangue.
— Ci vedremo noi più? — chiedeva Bahr Ibn, tenendo ancora tra le sue la
mano di Arrigo.
— Chi sa? Speriamo.
— In campo.... combattendo! È dolorosa! Perchè non son io nato
Cristiano, o tu Mussulmano? —
Caffaro di Caschifellone, che era l'erudito della brigata, entrò a dire:
— Ho letto nei poeti antichi di due guerrieri, che, scontratisi in
battaglia, e riconosciutisi per vecchi amici, giurarono di cansarsi
sempre, d'allora in poi, perchè il campo era vasto e ognuno aveva
allori da mietere, senza bisogno di tinger le mani nel sangue
dell'amico.
— Questo è bene; — disse Bahr Ibn, e quantunque io non pensi di
muovermi così presto verso i luoghi dove mi sarebbe più facile
incontrarvi nemici, giuro d'imitare questo nobile esempio. —
In tal guisa si separarono i due amici, che imitarono senza saperlo i
due omerici avversarii, Glauco e Diomede, scambiando l'uno coll'altro,
in segno di affetto, le loro maglie d'acciaio.
Arrigo da Carmandino ardeva di giungere alla meta del suo viaggio. La
meta non era Tortosa, ne la galea di Caffaro, già lo argomentate; era
il pozzo di Rehobot, dov'egli aveva ad incontrarsi colla bella Diana.
Ma il cammino era lungo, e per quanta sollecitudine mettessero tutti
a secondar l'impazienza del nostro innamorato, ci vollero tre dì per
giungere a mezza via, cioè a dire alle strette di Cades.
Li aspettava colà un doloroso spettacolo. Il suolo appariva, non pure
calpestato di recente, come se vi fossero passati molti uomini, ma
altresì scompigliato per modo da lasciar argomentare che ci fosse
avvenuta una zuffa. Il sospetto, affacciatosi tosto alla mente di
tutti, fu avvalorato dalla vista di alcune macchie di sangue, che
avevano rappresso in più luoghi l'arena.
— Sire Iddio! — gridò Caffaro. — Qui s'è sgozzato qualcheduno.
— Luogo infame! — rispose l'Arabo che guidava i viaggiatori. — Le
strette di Cades hanno sempre voluto le loro vittime.
Caffaro tremò istintivamente, pensando all'altra parte della carovana
che avevano lasciato indietro.
— È fortuna, — soggiunse, per farsi coraggio, ma senza ottenere
l'intento, — che Abd el Rhaman sia rimasto al pozzo di Rehobot, ed
anche in numerosa compagnia, chè non aveva l'aria di volersene andare
così presto! —
Gandolfo del Moro non intendeva nulla di ciò che vedeva. Qual nesso
era a trovarsi fra quelle tracce d'una mischia recente e la partenza
notturna dei Fedàvi dal castello di Kanat, se l'impresa da lui proposta
doveva tentarsi al pozzo di Rehobot? Forse il vecchio Abd el Rhaman si
era avventurato colla sua gente fino alle strette di Cades? Ma allora,
perchè non si vedeva nessuno dei suoi? Gandolfo non sapeva neppur lui
che pensare; ma incominciava a tremare in cuor suo, tra il dubbio d'una
vendetta troppo piena, e quello di un colpo fallito.
— Andiamo! — disse Arrigo, a cui quella scena stringeva il cuore. — Sia
pace agli estinti, e corriamo dove i nostri ci attendono. Mi avete pur
detto che quello è un luogo sicuro? —
Arrigo avrebbe voluto aver l'ali, o almeno poter divorare la strada
d'un tratto. Ma questo, anche ammettendo che i cavalli potessero
rispondere alla sua impazienza, non potea farsi senza la certezza di
trovar provvigioni lungo il cammino. Infame deserto, che non dava un
fil d'erba ai cavalli, ne un sorso d'acqua ai viandanti assetati! Era
stata di certo una maledizione del cielo, che aveva disteso quelle
pianure sterminate di sabbia.
Va, povero Arrigo, misura le agonie del cuore al passo troppo lento del
tuo corsiero, dono fraterno del generoso _Sciarif_. Tu giungerai sempre
in tempo per piangere la morte d'ogni tua dolce speranza.
Tutto era tumulto e desolazione al pozzo di Rehobot, dove gli uomini
del _Krebir_ si erano ridotti, coi cammelli e colla compagnia degli
arcadori genovesi, dopo il luttuoso evento, che era costato tanto
sangue e la perdita del biondo scudiero.
Ai piedi della tomba di Sidì al Hadgì, e nel centro della sua tenda
di cuoio, i cui lembi si vedevano largamente sollevati, il cadavere di
Abd el Rhaman, ravvolto in un bianco lenzuolo, posava su d'un picciolo
tappeto. Due gruppi d'Arabi lo vegliavano, rappresentando in quel luogo
le _neddabat_, o piagnone, che avrebbero certamente compiuto il loro
funebre uffizio, se il vecchio _Krebir_ fosse morto così vicino al
paese, da potervi essere trasportato.
— «Dov'è egli? — cantava il primo gruppo. — Il suo cammello è qui; son
qui, la sua lancia, il suo scudo e la sua scimitarra; ed egli non è più
con noi.
— «È morto nel suo giorno; — cantava di rimando il secondo gruppo. — È
morto combattendo pe' suoi.
— «No, non è morto; la sua anima è con Dio, un giorno lo rivedremo,
il valoroso _Krebir_, il difensore dei cammelli, il protettore dei
viandanti.
— «No, non è morto, non è morto! Egli ha lasciato a Gaza i suoi figli,
forti come leoni, rapidi come gazzelle. Essi sosterranno nel suo dolore
la donna, di cui è vuota la casa e gelido il cuore.» —
Gli Arabi della scorta erano assorti nel funebre uffizio, allorquando
giunsero al pozzo i reduci dal castello di Kanat. Vedute appena
all'orizzonte le palme di Rehobot, Arrigo da Carmandino e Caffaro
di Caschifellone avevano dato di sprone ai cavalli ed erano giunti
all'oasi, precedendo di due ore la comitiva. Ma Arrigo, che aveva
un cavallo migliore, e una impazienza più grande, precedeva di forse
mezz'ora l'amico.
Riuscito d'improvviso davanti al monumento di Sidì al Hadgì, e veduta
la funebre scena, Arrigo da Carmandino rimase muto a guardare,
e istintivamente chinò la fronte, mormorando una preghiera pel
trapassato, che si vedeva disteso sotto la tenda di cuoio. Arrigo non
conosceva nessuno di quegli uomini e non era conosciuto da nessuno;
perciò non sapeva a cui volgersi, e niuno degli Arabi gli era andato
incontro, per tenergli la staffa.
Uno di essi, finalmente, si mosse dal crocchio e avvicinatosi al
cavaliere gli disse:
— Mio signore, donde vieni e che cosa domandi?
— Vengo dal castello di Kanat; — rispose Arrigo, — e precedo i Genovesi
che hanno lasciata qui una parte della carovana di Gaza. —
L'Arabo non aspettò che il cavaliere rispondesse alla seconda
richiesta, e corse al pozzo gridando:
— Cristiani, venite qua, è arrivato uno dei vostri. —
Alla chiamata si presentarono parecchi arcadori genovesi, che un gruppo
di palme nascondeva agli occhi di Arrigo. Uno di essi, vecchio soldato,
lo riconobbe da lunge.
— Messere Arrigo! — gridò egli, accorrendo. — Sia lodato il cielo! Voi
tornate, almeno!
— Almeno! — ripetè Arrigo, turbato. — Che vuol dir ciò? I nostri
compagni mi seguono e nessuna sventura li ha colti. Ditemi invece; è
qui con voi un giovane scudiero, che porta il mio stesso nome? —
L'arcadore chinò gli occhi a terra, e si pentì, ma troppo tardi, di
essere corso il primo a salutare Arrigo.
— Ah, mio signore! — mormorò egli confuso. — Se voi sapeste....
— Orbene, parla, in nome di Dio! — gridò Arrigo, cui la reticenza
dell'arciero avea dato una stretta violenta al cuore.
— Siamo stati assaliti; — riprese il soldato. — Abd el Rhaman è morto.
— Ma lo scudiero? Madonna Diana, insomma?
— Oh, v'intendo, messere. Noi tutti l'avevamo riconosciuta sotto quelle
spoglie virili. Messer Arrigo, noi siamo stati colti alla sprovveduta
e legati come cani, prima che potessimo opporre una valida resistenza.
Due dei nostri compagni son morti; cinque feriti.... gravemente feriti.
— Ma lo scudiero, disgraziati! lo scudiero, vi domando!
— Calmatevi, messer Arrigo, calmatevi! Lo scudiero.... madonna
Diana.... oh, perdonateci! Noi non ne abbiamo colpa; noi abbiamo fatto
quanto era in poter nostro, per salvarla da quei ribaldi.... —
Caffaro giungeva in quel mentre, e proprio a tempo per raccogliere
Arrigo tra le sue braccia. Se egli non era, il povero Carmandino
precipitava di sella senz'altro.
— Che cos'è avvenuto? — domandò egli a sua volta, indovinando una
disgrazia irreparabile.
— Ah, signore! — gridarono gli arcadori, facendosi intorno a lui
lagrimosi. — Gli Assassini....
— Orbene, avanti! Gli Assassini?...
— Ci hanno assaliti, tre giorni or sono, ci hanno colti a tradimento,
senza che noi potessimo pure difenderci.
— Qui? Con tanta gente della nostra carovana, e con quell'altra che
vedo ancora qui trattenuta?
— No, alle strette di Cades.
— Ah! — gridò Caffaro, rammentando le traccie del sangue. — Il cuore me
lo aveva pur detto! Ma come? — proseguì, interrogando i suoi arcadori.
— Perchè vi siete discostati dal pozzo di Rehobot? E come va che ci
siete tornati?
— Signore, non siamo noi che abbiamo voluto muoverci di qua.
— Forse Abd el Rhaman?
— No, neppur egli. Fu lo scudiero, fu madonna Diana, che moriva
d'impazienza, non vedendovi ritornare al giorno indicato. Abd el
Rhaman, inquieto anche lui la sua parte, finì col cedere alle istanze,
e ci condusse a due altre giornate verso levante, fino alle strette di
Cades. Dovevamo ripartire la mattina, per alla volta di Kanat, quando,
nel cuor della notte, ci giunsero due pellegrini affamati. Erano
due Assassini, travestiti da poveri viandanti. Li abbiamo accolti,
dissetati e sfamati. Essi, in ricambio, hanno tagliato le corde dei
nostri archi, e chiamati su noi, mentre dormivamo, i loro compagni,
appostati in gran numero tra i lentischi della collina. Signore, è
stata un'orrida notte! Due dei nostri, il bravo Rubaldo Vecchio e il
povero Ottone di Busalla, son morti nello scontro; altri cinque sono
feriti, e senza aver potuto salvare il biondo scudiero.
— E il _Krebir_?
— Eccolo là; i suoi uomini lo hanno riportato al pozzo di Rehobot, per
dargli sepoltura. Il generoso vecchio ha pagato colla vita l'error suo
e quello di madonna Diana. —
Arrigo da Carmandino s'era in mal punto riavuto e udiva il racconto
della sua grande sventura.
— Dio! — gridò egli furente, alzando le pugna al cielo. — Questo premio
era serbato ai vostri campioni? —
Caffaro fu pronto a dargli sulla voce.
— Non imprecate, Arrigo. Son gli uomini, i colpevoli, e gli uomini ci
renderanno conto della loro malvagità. —
Le parole andavano ad Arrigo! ma lo sguardo si era rivolto a Gandolfo
del Moro, che era giunto poco dopo di Caffaro.
— Messere, — disse Gandolfo, impallidendo, — voi dubitate di me?
— Lo avete detto; — rispose Caffaro, che non sapeva mentire.
Gandolfo del Moro abbassò la fronte e un sudor freddo gli stillò dalle
tempie. Ma tosto si scosse e oppose un piglio risoluto ai sospetti di
Caffaro.
— È orribile ciò che voi pensate, messere! — diss'egli di rimando.
— Orribile, in verità! — ripigliò Caffaro. — Io stesso non ardisco
fermarmi col pensiero sulla scelleraggine dell'uomo, che ha potuto
ordire un tradimento sì nero.
— Avete ragione: — replicò Gandolfo. — E perdono alla vostra commozione
il sospetto caduto su me. Invero, chi potrebbe odiare Arrigo da
Carmandino se non son io quel desso? E tuttavia, pensateci meglio,
messer Caffaro. Avere amato Diana.... Oh, non mi guardate con quegli
occhi torbidi, Arrigo; il mio amore sfortunato non può essere un'offesa
per voi! Avere amato Diana degli Embriaci, — proseguì Gandolfo,
rivolgendo il discorso a Caffaro di Caschifellone, — vorrà forse dire
che io potessi darla in balìa dei nemici? Il fiero e geloso amatore che
io sarei stato, se avessi fatto una vendetta così sciocca! — soggiunse,
accompagnando le parole con un amaro sorriso. — Un male ho fatto, pur
troppo; e me ne pento, ma tardi. Son io che ho consigliato l'impresa di
venire in traccia di Arrigo; son io che mi sono proposto a capitanarla.
Ma dite, alla croce di Dio, potevo io forse prevedere che madonna Diana
sarebbe venuta con noi? E sono io forse che l'ho consigliata a non
seguirci oltre il pozzo di Rehobot? Eppure, sì, la colpa è mia, perchè
tutto il male è venuto dal mio primo disegno. Ma giuro a Dio che ci
ascolta, e possa io cadere qui fulminato se mento, non è in me altra
colpa fuor questa. —
In quel punto Gandolfo del Moro avrebbe voluto essere esaudito, cader
fulminato davvero; tanto profondamente sentiva egli l'orrore del suo
delitto, e così vivo era in lui il desiderio di sottrarsi allo sguardo
scrutatore dei compagni.
Frattanto, egli avea messo tanto ardore nella sua discolpa, che Caffaro
rimase perplesso, e dubitò del suo dubbio.
— Impossibile! — mormorò egli, rispondendo a sè stesso. — Bisognerebbe
supporre una malvagità troppo grande nel cuore di un uomo. —
Mentre questo dialogo avveniva tra loro, gli Arabi della scorta, e i
loro compagni dell'altra carovana proseguivano la funebre cerimonia.
Finite le lamentazioni, presero il cadavere, lo lavarono accuratamente,
e lo involsero in un bianco lenzuolo, inzuppato nell'acqua e profumato
di belzuino. Poscia, quattro di loro, che erano i più autorevoli nella
carovana dopo l'estinto, sollevarono dalle quattro cocche il tappeto
su cui era disteso il cadavere e lo portarono più lunge, dove era già
scavata la fossa per accoglierlo.
— «Non c'è che un Dio!» — cantava gravemente il più vecchio, che faceva
le veci di sacerdote.
— «E il nostro signore Maometto è il suo profeta, — rispondevano gli
altri in coro.
Giunti sull'orlo della fossa, il vecchio intuonò il _salat el gienaza_,
ossia la preghiera della sepoltura:
«Lode a Dio, che dà la morte e la vita;
«Lode a lui che risuscita i trapassati;
«A lui ogni onore, ogni grandezza; a lui solo il comando e la possanza;
imperocchè egli è sopra ad ogni cosa.
«Sia la preghiera rivolta anche sul profeta Maometto, sui congiunti
suoi ed amici. Mio Dio, vegliate sovr'essi e accordate loro la vostra
misericordia, come l'avete concessa ad Ibrahim (Abramo) ed ai suoi;
imperocchè a voi solo appartengono e la gloria e la lode.
«Mio Dio, Abd el Rhaman era un vostro servo, il figlio del vostro
servo. Voi lo avete creato, voi gli avete largito i beni di cui ha
goduto, voi lo avete fatto morire, voi solo dovrete risuscitarlo.
«Noi veniamo qui ad intercedere per lui, o mio Dio; liberatelo dai
mali del sepolcro e dalle fiamme dell'inferno. Perdonategli, abbiate
misericordia di lui; fate che il suo posto sia onorato ed ampio;
lavatelo con acqua, neve e grandine, purificatelo dei suoi peccati,
come si purifica una veste bianca dalle brutture che hanno potuto
insozzarla. Dategli una casa più bella della sua, parenti più amorevoli
e una moglie più perfetta che non avesse in vita. Se era buono, fatelo
migliore; se era cattivo, perdonategli le sue colpe. O mio Dio, egli si
è rifugiato presso di voi, e voi siete l'ottimo rifugio degli uomini. È
un povero che viene ad implorare la vostra liberalità, e voi siete così
grande, che non lo castigherete e non lo farete soffrire.
«O mio Dio, rafforzate la voce di Abd el Rhaman, allorquando egli vi
renderà conto delle sue opere, e non gl'infliggete una pena superiore
alle sue forze. Noi ve ne preghiamo per intercessione del vostro
profeta, dei vostri angeli e santi. _Amin!_»
«_Amin!_ — risposero tutti in coro.
— «O mio Dio, — riprese il vecchio, — perdonate ai nostri morti, ai
nostri vivi, ai presenti e ai lontani, ai piccoli e ai grandi, ai
padri, agli avi nostri, a tutti i figli e a tutte le figlie dell'Islam.
«Coloro che voi fate risorgere, risorgano nella fede, e coloro di noi
che fate morire, muoiano da veri credenti.
«Preparateci ad una buona morte; la quale ci dia il riposo e la grazia
di venire al vostro cospetto.»
— «_Amin!_» — ripeterono in coro tutti gli astanti.
Finita la preghiera, fu calato nella fossa il cadavere, colla faccia
rivolta verso la Mecca. Larghe pietre scheggiate gli furono piantate
dattorno, ed ognuno degli astanti gli gettò sopra un pugno di terra.
Gli uomini che avevano scavato la fossa ragguagliarono il terreno sulla
tomba, e per custodirla contro gli sciacalli e le jene, la copersero
tutta di rovi.
— Andiamo, — disse il vecchio congedando i compagni; — andiamo fidenti
in Dio, e lasciamo l'estinto ad aggiustare i suoi conti con Azraele.
Cessino i pianti; è un delitto di ribellarsi ai comandi di Dio, e la
morte è un comando di Dio. Accetteremmo noi il suo volere, quando ci
arreca la gioia, e lo ricuseremmo quando ci reca il dolore? —
La turba comprese l'invito, e colle mani sugli occhi si allontanò,
volgendosi indietro ad ogni tratto, per mandare il suo ultimo saluto
a colui che essa non doveva riveder più, fino al giorno dell'estremo
giudizio.
Caffaro di Caschifellone ed Arrigo di Carmandino erano rimasti muti
spettatori di quella funebre scena; questi oppresso, istupidito dal
suo dolore, senza trovare, senza ardire neanco di cercare una via
di salvezza; quegli abbattuto, stordito dalla improvvisa rovina,
desideroso di trovare quella via, ma ancora senza il soccorso di una
buona ispirazione.
— Che facciamo? — diss'egli finalmente. — Se Abu Wefa ha detto il vero,
egli doveva incamminarsi verso settentrione. Tentare di inseguirlo
noi, pochi e stranieri in questi deserti, sarebbe follia. Se tornassimo
indietro per chiedere il soccorso dello _Sciarif_? Egli vi ama, Arrigo;
egli non negherà questo aiuto all'amico.
— Andiamo! — rispose Arrigo scuotendosi, come uomo che esca da un sonno
profondo. — Ma che otterremmo noi, se Dio non ci assiste? Io giuro, —
soggiunse impetuoso, — di consacrare il restante dei miei giorni al
tempio di Cristo, se madonna Diana sarà restituita incolume ai suoi
cari. —
E alzò gli occhi pieni di lagrime al cielo, prendendolo a testimone del
suo giuramento.
Caffaro di Caschifellone chinò il viso e sospirò. Fieramente
innamorato, quantunque senza speranza, egli sentiva più d'ogni altro la
gravità di quel voto.
Deliberato il ritorno, e lasciata una parte dei loro uomini intorno ai
feriti, Arrigo e il suo fedele amico Caffaro si rimisero prontamente
in cammino. Gandolfo li seguiva a malincuore, e avrebbe desiderato
andarsene a Gaza. Ma come fare? Come entrar loro del suo disegno? Qual
pretesto addurre, senza che sospettassero di lui? Andò dunque con essi,
ma coll'animo in soprassalto, come chi teme ad ogni piè sospinto di
trovarsi sull'orlo d'un precipizio.
Ripassarono le strette di Cades, dove Arrigo pianse, Caffaro sospirò,
e Gandolfo raccapricciò. Il biondo scudiero era ricordato in tre guise
diverse.
Giunsero finalmente in vista di Kanat, senza abbattersi in anima nata.
S'inoltrarono nella pianura; e nessun drappello di scorridori li fermò,
nessuna vedetta diede il segnale del loro avvicinarsi alla gente del
castello.
Una sicurezza così grande parve strana a Caffaro, e più ancora ad
Arrigo, il quale, nella sua dimora a Kanat, e, prima di Kanat, nelle
lunghe corse per quanto andava oltre il deserto, era stato testimone
ogni giorno di quella vigilanza sospettosa, che gli Arabi avevano
comune colle gazzelle, loro compagne in que'sterminati silenzii. E un
vago sentimento di nuova paura corse per tutte le fibre del cuore di
Arrigo.
Così soli e non trattenuti, nè salutati da alcuno, giunsero ai piedi
del castello, che ben videro allora essere affatto deserto.
Si dice castello, ma era veramente una rozza costruzione di quattro
mura, rincalzate da quattro torrioni sugli angoli. La presenza di
un pozzo aveva fatto scegliere quel luogo per la fabbrica di un
fortilizio, e la sua eminenza sul piano gli avea meritato il nome di
Tell al Kanat. Abbandonato dagli assassini, che ne avevano fatto come
una guardia avanzata del loro mobile impero, e dallo _Sciarif_ che vi
avea posto temporanea dimora, il _Tell_ ridiventava una stazione di
viandanti, dato il caso poco probabile che ne avessero a passare da
quelle parti, o una ladronaia, come era stato dapprima, cioè a dire
un luogo di rifugio, un covo di Arabi predoni, a cui poteva servire
ugualmente, per tale uffizio un castello abbandonato, o un mucchio di
rovine.
I nostri viaggiatori erano preparati alla partenza di Abu Wefa, che
già aveva lasciato trapelar loro il suo disegno di muovere verso
settentrione; non così alla partenza dello _Sciarif_, che aveva
mostrato di resistere agli inviti del Gran Priore, come questi alle sue
domande d'aiuto.
Interrogarono cogli sguardi l'orizzonte; galopparono per tutti i
versi, cercando le traccie dei viatori. Ma la rena, smossa dal vento,
non serbava le impronte. La sfinge del deserto era muta, e custodiva
gelosamente l'arcano.
Arrigo vide allora la sua Diana perduta e per sempre. Si augurò d'esser
morto, non che a Cesarea, sotto le mura di Gerusalemme, smaniò,
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