Novelle umoristiche - 11

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ambizione senza freno e senza limiti constretta in un campo troppo
angusto, la sua insofferenza acerrima della vita mediocre, la sua
pretesa ai privilegi dei principi, il gusto dissimulato dell'azione
onde era spinto verso la folla come verso la preda preferibile, il
sogno d'un'arte più grande e più imperiosa che fosse a un tempo segnale
di luce e strumento di soggezione, tutti i suoi sogni insaziabili di
predominio, di gloria e di piacere insorsero e tumultuarono in confuso
abbagliandolo....»
_Modestia:_ — Cieco! Quanto doveva essere infelice, questo peccatore!
_Réclame:_ — Al contrario, felicissimo: perchè la felicità _è tal cosa
che l'uomo deve foggiare con le sue proprie mani su la sua incudine_;
ed egli, il peccatore, in certi momenti, vedeva bene che _il mondo era
suo_!
_Modestia:_ — Con tutto il rispetto, io non lo credo! In letteratura i
fabbri potranno bearsi a batter le frasi perchè diano faville; ma nella
realtà le faville, se non acciecano, vanno a finire in niente, proprio
come questi sogni letterari!
_Réclame:_ — E che importa se ti paion sogni? Purchè tu ne sia esclusa.
_Modestia:_ — Ma anche lei, signora...; mi permetta dirle che anche lei
ne è esclusa. Non è mica la Gloria lei!
_Réclame:_ — La Gloria è un'illusione, di cui io sono la realtà! Vedi?
Tu stessa non ragioni più, perchè madama Ragione, tua bisavola, è
morta, non solo in arte, da un pezzo!
_Modestia:_ — Però io spero che non tutti i letterati d'Italia
vagheggeranno conquiste d'arcipelaghi o invocheranno il dio Terremoto.
_Réclame:_ — Se non tutti, molti! molti! Perchè al Verbo dei maestri,
i discepoli divengono armento. E se è vero che i discepoli sempre
esagerano i meriti dei maestri, non sola tu, ma anche tutti i tuoi
parenti prossimi e lontani sono spacciati! La Morale e l'Onore si
_suicideranno_ a vicenda, come due amanti infelici; le Virtù Teologali
e Cardinali emigreranno nel centro dell'Affrica, dove non siano ancor
giunti superuomini. Tu dove andrai?... _Quo vadis?_
_Modestia:_ — .... Quanto soffrire, o mio Dio, che insegnasti «Chi si
esalta sarà umiliato»! Dove andrò?... Non troverò nemmeno un letterato
vecchio o non più giovane che mi protegga?
_Réclame:_ — Non dubitare, cara mia, che pur cotesti vecchietti amano
me con animo pronto, sebbene con carne stanca! Quanti ne conosco che
seguono l'esempio di Vittore Hugo!
_Modestia:_ — Cioè?
_Réclame_: — Il buon Vittore diffondeva lui le lodi di sè per i
giornali della Francia.
_Modestia:_ — Ah! lo so, lo so! Tutti i mali vengono dalla Francia.
_Réclame:_ — Non credo. Già secondo quel tuo miserello Leopardi ogni
uomo celebre sempre diventò celebre dando fiato per primo alla sua
tromba.
_Modestia:_ — Oh il mio Giacomo!... Poverello! Ma io lo consolavo
augurandogli la giustizia del Tempo....
_Réclame:_ — Invano! Ai miei cenni egli dubitava che pur questa fosse
un'illusione; egli prevedeva il giorno in cui io avrei proclamato
all'universo l'ultimo e supremo trionfo della scienza e la mia gran
vittoria su tutti i letterati della terra.
Infatti la gloria del Leopardi s'è già estinta nella fredda
considerazione scientifica de' vizi e de' malanni che alla sua poesia
furono come l'_humus_ ai funghi; e il giorno della mia vendetta e della
mia vittoria universale è venuto.
Sin la Fortuna, un dì superba al par di Giuno, mi chiede vita, e
tutti gli dei d'Olimpo rivivono per me, e la Natura che io denudai
alla libidine del Naturalismo, che ho velata di nebbia alle lussurie
dell'Idealismo, mi chiama: le ho concesso oggi, per questi campi,
quest'ora del mio desto riposo.
Odi tu la sua voce che mi saluta?
_Modestia:_ — Non sento niente.
_Réclame:_ — Tu non puoi sentirla. I tuoi sensi non sono usi a
_incontrare il mistero e a rabbrividirne_. Il fatto è che la Natura,
essendo poesia, ha bisogno del mio soccorso, perchè ha bisogno dei
poeti suoi interpreti, che sono miei schiavi.
_Modestia:_ — E i prosatori?
_Réclame:_ — La poesia si fa anche in prosa, scioccherella!, quando la
prosa si mette in versi e nelle porcherie i sensi diventano _strumenti
d'infinita virtù..., atti a penetrare i misteri più reconditi, a
scoprire i segreti più reconditi_. Ma tu non puoi comprendere....
Piuttosto, dimmi: Perchè gli scrittori scrivono?
_Modestia:_ — Per conforto all'amore e alla sventura.
_Réclame:_ — Rispondi bene, o torno a leggere!... «Colui il quale molto
ha sofferto è men sapiente di colui il quale molto ha goduto....»
_Modestia:_ — Basta, basta.... Dirò che scrivono per guadagnare.
_Réclame:_ — In Italia? Nemmeno gli agenti delle tasse dan valore ai
libri!
_Modestia:_ — Non so, allora....
_Réclame:_ — Non mentire!
_Modestia:_ — Dirò che scrivono per la gloria....
_Réclame:_ — Bene!... Ma oggi chi crede più che l'anima sopravviva
al corpo? Dunque gli scrittori, nel dubbio di non poter visitare le
biblioteche in ispirito, fra secoli, a conoscere quali opere vi si
leggeranno, fan bene a rincorrere la gloria, per ogni via, finchè
sono in vita. Aggiungi che oggi la chimica insegna come l'inchiostro
e la carta dei libri moderni, a differenza dei cinquecentisti e
delle pergamene, sono facile preda di microbi, e fra tre o quattro
secoli non saranno intelligibili che i libri in carta a mano: proprio
quelli degli scrittori ricchi, dilettanti. Dunque il tempo commetterà
enormi ingiustizie senza saperlo, alla maniera dei giurati; e così ai
romanzieri e ai poeti val meglio provvedere alla loro fama presente,
finchè sono in vita.
_Modestia:_ — Che disperazione! Non capisco più nulla.... Ma San
Francesco.... Oh! Ora che mi ricordo.... I letterati non sono i soli
artisti italiani invidiati da Giulio Claretie. Mi restano i pittori!
_Réclame:_ — Perchè no? Tu andrai al loro cospetto nel costume di
quelle donne che stanno in chiesa, presso una bara, nell'_Ultimo
Convegno_; e ti farai credere, con cotesto naso, una modella. Poh! con
qualche moina riuscirai forse a ingannarne qualcuno. Tuttavia, credimi,
ti troverai a disagio; perchè, dopo l'invenzione del prerafaelismo
le modelle digiunano. Io poi ho elevato le imagini prerafaelite agli
annunzi d'ogni cosa; a tutti i muri e a tutte le cantonate; sicchè i
pittori riconoscono anch'essi da me la loro insolita fortuna.
_Modestia:_ — Gli scultori, dunque...?
_Réclame:_ — Gli scultori ti odiano. È per colpa tua che essi han da
fare pochi monumenti!
_Modestia:_ — I musici.... Andrò da un musico....
_Réclame:_ — Perchè egli dedichi a te, invece che a sè stesso, le sue
opere? Spera, spera! Per amor mio, fino i sacerdoti di quel Dio che
insegnò: «Chi si umilia sarà esaltato», oggi hanno un conforto alle
passioni antiche della politica e della corruttela: nei loro giornali
possono leggere fra i telegrammi della cronaca artistica «.... Al
duetto di Gesù con la Maddalena, tutto il tempio scoppiò in frenetici
applausi....»
_Modestia:_ — È finita!... Dove andrò, o Signore?...
_Réclame:_ — _Quo vadis?_... Ahi!... Non ti resta che venire al mio
servizio. Metterò qualche volta i tuoi abiti a mia cugina l'Ipocrisia,
e metterò a te gli abiti e la maschera di lei....
_Modestia:_ — Piuttosto morire!
_Réclame:_ — Via! via! Aspetta almeno a quando avrai marito, per fare
come Lucrezia romana, che dopo l'ultimo piacere si tramandò, o per te,
o per l'Onore o per me o per tutti noi insieme, all'immortalità.
_Modestia:_ — No! subito, o morire o fuggire dal consorzio civile!
Andrò al polo nord!...
_Réclame:_ — Come il dottor Cok! E tu cammini a piedi, a piedi scalzi
e senza un soldo in tasca; così quando arrivassi alla terra degli
Esquimesi troveresti ch'essi avrebbero già attaccati ai loro blocchi
di ghiaccio, duri più del marmo, gli avvisi di casa Bertelli e di
casa Suchard; e quando arrivassi nel cuore dell'Affrica, troveresti
i cannibali già intenti a leggere i romanzi italiani tradotti in
francese.
Ma ecco i miei fedeli. — To'! Me l'aspettavo! Sono tutti ubbriachi
fradici. Anche i poeti, che, poverini, han preferito Lieo al Grande
Pan....
Postiglioni, mi raccomando a voi....
. . . . . . .
Addio, Modestia, fatti coraggio!
. . . . . . .
Un urlo straziante, una scossa della vettura.... Che cosa è stato? Ah
niente! S'è gettata la Modestia fra le zampe dei miei puledri, sotto le
ruote del mio cocchio. Una maniera di suicidio che Maupassant trovò per
uno de' suoi personaggi: un plagio; e neanche i plagi commuovono più le
fantasie! Poi, bel gusto ammazzarsi in una campagna solitaria ove non
c'è nessuno a provar raccapriccio! Inutile a sè stessa in vita, neppure
morendo la Modestia ha saputo provvedere alla propria fama. Doveva
finire così!


L'entusiasta punito.

Per l'abuso che ne fecero i poeti, chi ammira più i palpiti e i raggi
delle stelle? Ma l'anima di Carlo Dònnola ancora aveva rapimenti a un
fulgido cielo. Nemmeno gl'innamorati oggidì s'intendono nella bramosia
dell'argento lunare e preferiscono la povertà delle tenebre; ma Carlo
Dònnola beveva il latte della luna con tal gioia che le pupille gli
s'inumidivano come a uno spirituale liquore s'inumidiscono le pupille
d'un ebro. E se in noi fu esausta dall'artificio l'ammirazione per i
fiori, tanto che d'una rosa fresca diciamo «sembra di seta o di cera»,
a Dònnola una viva rosa carnicina sembrava tuttavia di «carne»; e
contemplata e annusata a lungo una bella rosa pallida, egli elevava
il naso elevando gli occhi, come a una visione, e «Dolce signora —
esclamava mestamente — io v'amo!»
Con ciò non si afferma che Carlo fosse ancora vergine alle impressioni
della natura; bensì che era in lui una nativa, particolare attitudine
a sorprendere il bello in tutte le cose, in tutta la vita; ad avvertire
quel che gli altri spesso, mortificati dal brutto, non avvertono e che
egli con sincero entusiasmo e con un sibilo iniziale rivelava per mezzo
degli aggettivi, spiccioli o a coppie, «stupendo! sovrano! — superbo!
squisito! — supremo! sovrumano! — straordinario! sublime!»
Neanche perciò si afferma ch'egli fosse un poeta; giacchè si sa, e
Teofilo Gautier lo dice, che i poeti vedono il bello dove non è:
«_Les poètes prennent habituellement d'assez sales guenipes pour
maîtresses_»: Carlo Dònnola invece vedeva il bello dov'era. Così mentre
altri alle esposizioni artistiche fuggiva dalle sale di scultura, egli
s'arrestava d'improvviso dinanzi a qualche grazioso ninnolo statuario,
il quale all'occhio comune era impercettibile fra tanti orrori; o
ristando dinanzi a ciò per cui inorridivano gli altri, egli solo,
súbito, indicava o la minima parte o la linea lodevole.
Quante volte nelle tele sciagurate di colore e di disegno non vantava
giustamente l'intenzione del pittore? E, non a torto, quando in
cospetto a un nuovo edificio tutti biasimavano l'architettura moderna,
egli notava: — Che bel camino! — Beato lui! A una sinfonia d'imitazione
wagneriana cadeva ogni possa anche nel più classicista ascoltatore e
critico; ma Dònnola riteneva, per zufolarle dopo, quelle poche note che
erano state come una fugace spera di sole tra una nebbia folta o in una
roboante tempesta.
Beato lui! Nei versi e nelle prose di qualche magnifico scrittore
moderno molti si smarrivano a cercare pensiero e sentimento; ma egli,
pronto, afferrava aggettivi e li ripeteva all'altrui meraviglia.
— Sì; bell'aggettivo — confessavano. — E l'idea?
E lui:
— Il verso è per l'aggettivo, e non per l'idea. Simbolismo!
Carlo Dònnola era dunque un uomo d'ingegno, sebbene in fama di stupido.
L'uomo d'ingegno, veramente, è infelice, perchè non meno ammira il
bello di quel che s'offenda del brutto; invece Carlo viveva felice
pascendosi soltanto di bellezza. Quando però venne il dì che lo vidi
soffrire, allora io non dubitai più oltre che la sua fama di stupido
era ingiusta.
*
Si erra pure a dir volubile quell'ammiratore della bellezza femminile
che vedendo oggi una più bella donna, non dispregia per essa la
donna lodata o amata ieri. Carlo non procedeva nemmeno a confronti:
progrediva nell'entusiasmo, perchè la sua fortuna ogni giorno gli
recava innanzi creature in tutto o in parte più mirabili. Gli amici se
ne affliggevano, invidiosi. — _Excelsior!_ — dicevano ironicamente. —
Ma trovata che abbia l'eccelsa, la perfetta, lo vedremo precipitare! —
Nossignori. Carlo Dònnola vide l'eccelsa: Teresa Gurli; la sposò
e continuò a salire. Infatti la conoscenza della perfezione non si
acquista che a gradi; esercizio e pratica bisognano alle indagini e
alla percezione del bello. D'altra parte, il bello e il bene, secondo
i filosofi, sono una cosa stessa, e chi ama l'uno ama l'altro; quindi
nelle donne ammirate, desiderate e amate Carlo non aveva mai conosciuto
se non i saggi che delle loro grazie la legge morale (cioè il bene
entro certi limiti) concede alle donne di porgere al mondo, a tutti:
il resto è o dovrebbe essere per il solo eletto, per il marito. E
divenuto per la prima volta marito, Carlo ebbe imprevedute rivelazioni,
innumerevoli meraviglie, estetiche scoperte, portentose gioie,
straordinarie squisite stupende supreme sublimi esclamazioni.
Io strinsi amicizia con lui appunto in quei giorni che il matrimonio
lo traeva all'estasi. Oramai, come insufficienti, dimenticava gli
aggettivi dall'iniziale sibilante; e non ripeteva più, come esigua,
l'esclamazione «divina» riserbata fino allora per lode sintetica a
qualche esemplare del «femminino eterno»; bensì elevava al cielo, senza
dir nulla, gli occhi sprizzanti una letizia sovrumana. Tale, quale un
uomo antico a cui una dea apparisse senza spaventarlo. Tale, rovesciava
in me le confidenze che gli alleviavano la felicità soverchia.
— Teresa — mi disse una volta — è sterile. Pensa: nessuna deformazione,
nessun danno per la sua bellezza!
— La corporale bellezza di Teresa — un'altra volta mi accertava — è
nulla a paragone dell'anima sua. Se tu sentissi l'anima sua!
E io, da amico sincero, da amico che eccitava l'imaginativa a
comprendere così prezioso tesoro, per poco non gli dicevo:
— Deh! fammela sentire!
*
Or bene, quest'uomo nato a bearsi della vita e degno, degnissimo della
felicità; quest'uomo....
Conviene ripeterlo: Carlo amava anche la virtù: che è la bellezza
dell'animo non caduca, non fragile alle offese dei malanni, non
deperibile alla diuturna ingiuria del tempo; che è il balsamo
conservatore dell'amore coniugale, la maglia di salute per le anime
sensibili a quelle intemperie le quali conturbano lo spirito moderno,
e penetrano e soffiano tra le domestiche pareti, e raffreddano il
sentimento in guisa che la ragione scusi poi l'«incompatibilità di
carattere», la «separazione», il divorzio, il vizio, l'a....dulterio!
Ah quando le malattie non isciupassero troppo presto in Teresa il
formoso corpo per cui Dònnola era assorto a gustarne l'anima, a poco
a poco, senz'accorgersene, egli assisterebbe all'opera distruggitrice,
lenta e assidua, degli anni: scolorate, anzi, le belle forme; pacati i
sensi; sfiorita la giovinezza, più libera risplenderebbe l'intima virtù
che agli occhi almeno del suo Carlo renderebbe Teresa giovanilmente
amabile sino alla vecchiaia.
Ebbene, quest'uomo io lo rividi non un anno dopo il matrimonio e non lo
riconobbi subito.
— Che hai? Cos'hai fatto, Carlo?
Portava abiti alla moda, ma con l'abbandono di un _lion_ che ritorni
verde da una bisca; avrei potuto scommettere che quel giorno non
s'era mutato, lui!, di camicia; e i baffi, erti una volta ad arco, gli
spiovevano simili ai baffi di un cinese.
Rispose:
— Mah!... — E alzò il capo in una vana scossa dal peso enorme che
l'abbatteva.
— Tua moglie.... è ammalata?
— No no. — Disse «no no» a mezza voce, triste, negando insieme e non
negando. Sembrava più confermare che negare.
— Forse — io insistetti per pietà, mentre già sorridevo per conforto —
forse è incinta?
— No no. — Negava e non negava. E m'attristai anch'io credendo
d'indovinare, finalmente.
— Un.... aborto?
— No no —; come dianzi.
Allora con rapida memoria io, che avevo il dovere di confortarlo,
riandai quanti malanni possono colpire una donna; con rapido esame
li paragonavo a quella disperazione abbandonata e quasi muta; nè a
tanta afflizione trovai convenir altra sventura che una che non era da
esprimere se non con una perifrasi misericorde.
— Scusami, Carlo, se insisto...; ma a un amico come me.... Di' dunque:
l'isterismo.... fa certi scherzi..., passeggeri però; di cui si
guarisce....
No, Teresa non era impazzita. Eppure, egli non negava del tutto neppur
questo!
— Ti dirò poi — Dònnola m'interruppe, stendendomi la mano.
Oh!...
Oh Dio! Senza chiedergli più nulla gli strinsi la mano, gli dissi: —
Coraggio —; gli dissi con uno sguardo che avevo compreso tutto!... Sua
moglie lo tradiva.
Lo tradiva! Ma quantunque io leggessi molti romanzi francesi e
italo-francesi, quantunque frequentassi il teatro drammatico, non
sapevo persuadermi che quella donna avesse tradito l'amico mio prima
d'un anno dalle nozze. A poco a poco, dubitai d'aver errato nella mia
interpretazione e ricordai che nel lasciarmi Carlo mi aveva quasi detto
con gli occhi: «Tradimento, sì; ma che tradimento intendi?»
Forse era un'infedeltà di nuovo genere. Poi riflettei su quel suo
negare e non negare a ogni mia precedente dimanda....
Forse Teresa?... E mi convincevo così, adagio adagio, d'una colpa e
d'una sciagura mostruosa a cui fossero parti integrali il morbo, la
figliazione, l'aborto, la demenza, il tradimento, la turpitudine;
sebbene non potessi chiaramente definire qual cosa mai l'indegna moglie
avesse fatta. Quando....
.... Ah sì, povero Carlo!... Non m'ingannavo più! Che colpa! che
sciagura! che orrore! quando ricevetti:
_Petali e corolle
versi
di
Teresa Gurli Dònnola_.


L'agnello.

_Bèee...._
Niveo bioccolo, con le quattro zampe legate in mazzetto; raccolto,
dentro il canestro, nel giaciglio di erba ancor fresca, a quando a
quando l'agnellino alzava il capo, che subito gli ricadeva come in
un abbandono o in un esaurimento di disperazione. Allora sui miti
occhi cristiani cadevano le palpebre; indi, ecco: languido languido lo
sguardo sembrava cercar di nuovo la landa troppo presto perduta e di
nuovo spegnersi a quel fervore di luce, mentre dalla gola riarsa e dal
petto ansioso tornava l'invocazione della perduta madre:
_Bèee_.
Prorompeva il frastuono della musica; rombava, negli intervalli, il
susurrio delle voci e lo scalpiccio della folla; e, per tutto, saluti,
richiami, risa, sorrisi. Allegria.
Sempre triste, il professore Riccardo Biscaglia entrò nella sala. E
allorchè, nell'avvicinarsi là dove suscitavano ammirazione i doni in
mostra per la lotteria, udì pervenire dal cesto la voce di duolo, egli
tese il capo.
Oh come soavi quei due occhi cilestri che sembravano cercare due occhi
fraterni!
Infatti: una fanciulla si avvicinò. Oh come sembrò palpitante il petto
chiuso nella veste bianca allorchè la signorina ebbe scorta la bestiola
che soffriva! Non era un inganno di civetteria; non un pretesto a farsi
notare; spontaneamente, inconsciamente quasi, ella alzava una mano
quasi a indicare ed accusare la tortura delle quattro zampe strette
nel vincolo di seta, mentre al doloroso _bèee_ rispondeva, vòlta alla
madre: — Poverino!
*
E poverino anche lui, il professor Biscaglia; il quale era un
uomo molto triste; sempre triste; prima di tutto perchè essendosi
arrotondata ogni anno più la sua pancia, l'annoso abito delle occasioni
solenni era andato restringendosi così che il _gilet_ gli comprimeva
lo stomaco e i calzoni stentavano ad acquistare in larghezza quel dito
di misura che perdevano in lunghezza; e i piedi, non coperti sino al
collo e al calcagno, apparivano più grandi di quanto erano. Erano così
grandi!
Ma, oltre questi particolari disturbi, rattristava Riccardo Biscaglia
il dolore universale, e l'aveva recato seco pur alla festa di
beneficenza. E a tanto pessimismo il professore non aveva motivi
dallo Schopenhauer o dal Leopardi: non dagli studi; bensì dall'antico
contrasto dell'istinto poetico con la realtà della vita. Se il
Governo rinsavisse e comprendesse che, dopo o avanti la cultura della
terra, ciò che più importa è la cultura delle menti e degli animi, i
professori sarebbero pagati meglio: pagati meglio, si distrarrebbero
anch'essi in modi leciti e onesti e si avrebbero quindi meno poeti di
dolore e meno scapoli. Senza dubbio un aumento di stipendio avrebbe
attenuata in Biscaglia l'antitesi tra il Sancio Panza e il Don
Chisciotte che discordavano entro di lui, quando il primo gli diceva:
— Non prendere moglie, per carità! Tu sei troppo povero per una ricca
e troppo più povero per una povera —; e il secondo l'incitava: — Cerca
e trova la tua Dulcinea ideale: colei che, nè ricca nè povera, e bella,
sana, buona, ti faccia parere men brutta l'esistenza!
Ahimè! Chi può andare in cerca della felicità senza quattrini in tasca?
Ma sconsolato Tartarin, perchè le sue cacce si limitavano a sorprendere
e colpir spropositi nei cómpiti dei discepoli, nè più gloriosa
conquista poteva vantare in un mese che quella delle cento e tante
lire puntualmente riscosse al ventisette, Biscaglia se la prendeva,
più che col Governo, con la mala educazione che corrompe le ragazze.
— È l'educazione del cuore che manca! — diceva lui. — Se l'adulterio
apparisse non una desiderabile offesa alle leggi, ma una cattiva
azione, una crudeltà, egli, per star meglio, avrebbe compiuto fino il
sacrificio di sposare una ricca, e non si sarebbe adirato nemmeno col
Governo, nè rattristato alla fatalità del dolore umano. Questo, è vero,
l'induceva a frequenti sfoghi di versi. Ma a che pro'? Gli editori
non credono più nei poeti, e le ragazze, corrotte e senza cuore, alla
malinconia preferiscono stare allegre.
*
Quella sera dunque Biscaglia era entrato alla festa, solo, con un
solo biglietto per la lotteria, non aspettandosi uno spettacolo che
lo commovesse così dolcemente: la creatura nel cesto e la creatura che
stava a guardarla. Nessuna, nessun'altra di tante signore e signorine
che vi erano, si era fermata compassionando dinanzi all'agnello. Tutte
agognavano i premi di gran prezzo; tutte, tranne quella madre e quella
figlia, civettavano intorno, stupide di mente e di cuore.
— Poverino! Vedi, mamma, com'è carino, com'è bellino? — E poichè anche
la madre disse: — Povera bestiola! —, fu manifesta una affinità di
sentire tra l'animo materno e il figliale e fu certo per Biscaglia che
chi meritasse la pietà della madre meriterebbe anche la pietà della
figlia o viceversa.
.... — Estrazione — gridarono a un tratto. — Estrazione!
Seguì maggior ressa di gente. Più pronte, le signore s'affollavano
intorno al palco donde era venuto stentoreo l'annuncio e dove un
signore in _frac_ scampanellava per avviso ai più lontani.
— Estrazione!
Già si cominciava.
— Numero!...
— Attenti!...
— Cinquantotto!
Biscaglia chinò lo sguardo sul suo biglietto, senza meravigliarsi di
non aver lui il 58 e di udire un altro gridare: — L'ho io! — Era stato
vinto un magnifico vaso d'argento.
— Numero...!: quattordici!
Sì! Biscaglia aveva il quattrocentododici! E intanto il nuovo vincitore
si portava via un'altra bella cosa.
— Numero...!: due!
Il professore scosse le spalle; mise il biglietto in tasca e si mosse.
Già era disgraziato in tutto! Del resto, quand'anche vincesse, bella
consolazione! Non un premio di lotteria l'avrebbe mutato d'infelice in
felice, nè avrebbe diminuito a' suoi occhi il dolore universale.
— Numero...!: ventisei!
Piuttosto invidiava un suo collega, il quale ora ciarlava appunto
con quella mamma e quella bionda figliola così pietose. Gli sarebbe
piaciuto di tentare un po' l'anima della ragazza in qualche poetico
discorso e avrebbe voluto esserle presentato dal collega; ma,
disgraziato sempre, non osava nemmeno accostarsi al gruppo.
— Numero...!: quattrocentododici!
Eh? Che? Quattrocento...? Non era il suo? Sì sì: l'aveva lui, il
professore Riccardo Biscaglia, il 412!
— L'ho io! — E lo mostrava. — Io!
— Bravo! — gridò dal gruppo il collega.
Biscaglia avanzò, rosso in viso, coraggiosamente. Ma diè indietro alla
vista del premio.
L'agnello!
— Un agnello! — esclamarono i prossimi al banco. — Un agnello! —
l'agnello! — Si rideva; si applaudiva.
E Biscaglia salì e quindi discese dal palco; pallido come chi ascende
al patibolo senza speranza di discendere.
— Bravo! — ripetè più forte e contento il collega, a vederlo col cesto
nelle mani.
Fu quel «bravo», venutogli da un uomo di spirito, che assumendo
quasi il valore di una lode meritata per un'ardua prova rianimò il
professore. E di animo ne aveva bisogno: _ella_ era lì dinanzi e
sorrideva un po' triste; diceva con gli occhi: «Perchè l'ha vinto lei
e non io?»; e: «Lei gli vorrà molto bene, è vero?»; mentre la mano
senza guanto, bella, ripassava sul capo dell'agnellino; e gli occhi e
la bocca del professore, che pareva una balia col fantolino in braccio,
non dicevan nulla.
— Sei stato fortunato, tu! — fece il collega; aggiungendo la
presentazione:
— Il professore Biscaglia...; le signore Crocchi.
— La sorte le ha favorito l'innocenza, il candore — disse la mamma.
— Quanto l'invidio! quanto è bellina questa bestiola! — disse la figlia.
_Bèee...._
Allora cesto e agnello per poco non caddero di mano a Biscaglia, tale
fu l'urto che l'amico gli diede col gomito per suggerirgli l'idea che,
del resto, era venuta anche a lui.
— Cosa vuoi fartene tu? — chiese l'altro.
Onde Biscaglia parlò, rosso rosso:
— Se la signorina mi permettesse.... Ella potrebbe averne maggior cura
di me.... Io non ho moglie....
— Ma sicuro! E non ha nè erba nè ovile — disse l'altro.
All'offerta, la figlia guardò la mamma; la mamma annuì; ringraziarono;
e il candore e l'innocenza, avvolti di nuove carezze, passarono dal
professor Riccardo Biscaglia al soave dominio della signorina Irma
Crocchi.
*
Più e meglio che alla follia, Riccardo Biscaglia s'innamorò
assennatamente; perchè era un amore nato da un affetto non cieco:
dall'ammirazione della bontà; perchè più che la bellezza aveva potuto
sul suo cuore quella prima vista della signorina Irma nell'attitudine
compassionevole. La bellezza è caduca; non la bontà, se spontanea; non
la gentilezza, se sincera e nativa. Essere amato da tale donna forse
non sarebbe stato consolazione ad ogni travaglio, ad ogni dolore, ad
ogni fatica, a tutti i danni della vita? A tutti, forse no; per la
fatalità del dolore umano; ma a molti sì. E ahi! Riccardo Biscaglia,
per quell'eterno conflitto che alimentava in sè stesso, vivrebbe e
morirebbe scapolo. Infatti quell'angelo che era la signorina Irma
non poteva essere che troppo povera. Ma egli l'amava. Ma egli aveva
l'obbligo di una visita alle signore che avevano accolto il suo dono.
Deliberò di adempiere a questo dovere, e solo per accertarsi e
mantenere con maggior forza il cervello a posto, chiese a quel tale
collega: — Le Crocchi non han mezzi, eh?
— Han qualche cosa.
Oh! Nè povera nè ricca! Era l'ideale nella realtà!
Ma ci fu dunque il sole
Su questa terra un dì?
Fu il raggio che infrange il nuvolo; fu il faro nelle tenebre
tempestose. Diveniva possibile la conciliazione dell'idea col
sentimento; dell'amore col senno, della poesia con la prosa! Irma
possedeva un cuore — tanto cuore! — e possedeva qualche cosa più di
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