Novelle umoristiche - 01

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Novelle umoristiche
DI
Adolfo Albertazzi

_Humour_: il bell'umore e il buon umore
e il malumore insieme contemperati.
TOMMASEO.

IL SUICIDIO DEL MAESTRO BONARCA. — LA GIOCATRICE. — DONI
NUZIALI. — DALL'ELDORADO. — IL CAPPELLO DEL MARITO. —
EFFICACIA D'UNA GIARRETTIERA. — LA FORTUNA DI UN UOMO. —
UNA «SCAMPANATA». — IL POLSO. — COME FINÌ LA MODESTIA. —
L'ENTUSIASTA PUNITO. — L'AGNELLO. — IL FALCONE. IN ARCADIA.

MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1914
Nuova edizione riveduta e corretta.


PROPRIETÀ LETTERARIA.
I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per
tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda.
Milano. — Tip. Treves.


Il suicidio del maestro Bonarca.

I.
Felicità è una vana parola? — Persona alta e forte; baffi neri e fieri;
voce baritonale e, se bisognava, imperiosa; eppoi: un pennacchio bianco
al kepì; spada al fianco e assisa quasi militare; saluto alla militare
dai subalterni; dominio sul palco in piazza a dirigere la banda nei
giorni di festa; precedenza a tutti nelle processioni e nei trasporti
funebri; direzione dell'orchestra in teatro; autorità di maestro sui
cittadini idonei alla musica; autorità di cittadino notevole; stipendio
sufficiente per una vita tranquilla; tranquillità di scapolo: tutto ciò
dovrebbe pur bastare a rendere felice un uomo!
Che se il maestro Bonarca incolpava i creditori dell'essere caduto in
miseria da tanta sua felicità, egli era ingiusto appunto perchè ogni
creditore, benefattore con o senza usura, corre il pericolo che il
beneficato ponga fine al debito ponendo fine alla vita.
Ah! vana parola è la gloria; e rovinosa passione l'ambizione; e
debolezza la confidenza nel nostro ingegno, non meno che fallaci,
insani sono i sogni dell'anima nostra; e morbo la poesia e la melodia
di cui risuoni l'anima nostra. Infatti quando il maestro Bonarca non
avesse dato ascolto ai cattivi amici e a sè medesimo, non si sarebbe
incamminato mai verso il canal Torbo con il proposito d'affogarvi.
Fu così: In poco tempo aveva composta la _Sposa selvaggia_
(centocinquanta lire al poeta del libretto: prima spesa), e i giornali
cittadini avevano preannunciato il capolavoro (sovvenzioni ai cronisti:
seconda spesa); poi (altre spese) il maestro era andato a Milano,
a Torino, a Bologna in cerca di un editore, di un mecenate, di un
impresario. Quindi aveva avuta la sciagurata idea di assumere per sè
l'impresa al teatro della sua città. Gli amici incitavano; qualcuno
prometteva aiuto e, sebbene il Comune ricusasse la dote teatrale, uno
stimato commerciante accondiscese a firmare l'avallo nelle cambiali di
lui, che sacrificava alla gloria tutte le economie del passato e molte
economie dell'avvenire. E la _Sposa selvaggia_ aveva ottenuta fortuna
quasi uguale a quella desiderata. Se non che i cittadini d'una città
piccola non vanno a teatro tutte le sere; nè i paesani delle vicinanze,
ignoranti che sarebbero accorsi in folla a udir la _Traviata_ o il
_Trovatore_, si lasciaron persuadere da una costosissima _réclame_
e dalla fama dell'opera nuova. Inoltre, ammalatasi la prima donna,
l'altra, chiamata d'urgenza a sostituirla, aveva messo voce e opera
a caro prezzo. E infine, dopo tante angustie che solo un uomo di
coraggio eroico poteva dissimulare; dopo tante contese, vinte a
fatica di polmoni strepitosi e di occhi biechi, con i cantanti, i
suonatori, i pittori, i macchinisti, i coristi che non rimettevano a
dopo il sabato il pagamento della mercede, era avvenuta la catastrofe:
il commerciante dell'avallo contro ogni previsione era fallito e
fuggito. Avevano sparsa nel giorno la tremenda notizia: fuggito con
i quattrini! Canaglia! ladro! assassino! Socio al maestro Bonarca.
Sul quale si riverserebbero l'odio e le calunnie dei creditori; le
cambiali protestate; il disprezzo della cittadinanza; la diffidenza
della patria tutta. L'infelice, per colpa della sua _Sposa_, si vide
perduto; si credè abbandonato; si sentì solo al mondo, solo con la
_Sposa selvaggia_ e col disonore....
Ond'ecco, a pochi passi, il canale e la morte.

II.
Dal ponte il maestro Bonarca guardava l'acqua che trascorreva lenta
e cheta, e della luna, attraverso la tenue nebbia, non riceveva luce
bastevole per rifletterne a specchio l'imagine. Similmente la sua vita
poteva forse trascorrere placida ed uguale, non accogliendo dall'arte
maggior lume che quello sufficiente a una capacità mediocre. Ah sì!
Gli parve ora d'essere rinsavito; di saper con giustezza misurare il
proprio ingegno; di comprendere ch'egli s'era illuso e che l'avevano
illuso; e, a convincersene, riandava ancora una volta, l'ultima volta,
coraggiosamente e disperatamente, l'opera sua. L'adagio della sinfonia
era soltanto una povera nenia; piacevole per il volgo. Nient'altro.
Atto primo. Vi balenava, nell'iniziale oscurità, qualche lucida frase;
v'appariva un pensiero melodico, che cadeva subito come un volo cui
mancò la possa dell'ali; e il duetto...; il duetto sarebbe stato
bello se non avesse ricordato troppo l'_Ernani_. Dunque: a giudizio di
critica giusta, serena, coraggiosa, il primo atto valeva poco, o nulla.
Per fortuna era breve!
Atto secondo. Stringi e stringi.... Vuoto! vuoto! vuoto!
L'introduzione?... Quale le promesse di certi amici. Dopo, la
preghiera; che non commoveva neppure la platea e che appunto per ciò i
critici avevano definita un canto di sirena nordica, senza rammentarsi
che la _Sposa selvaggia_ era affricana. Poi, il coro; elaborato senza
dubbio per quella rispondenza degli ottoni al richiamo degli archi, ma
privo di originalità; lento; fiacco; lungo; eterno. E il terzetto?...
Il terzetto.... Ah il terzetto, vivaddio, no e poi no! Questo era
bello; c'era tant'anima! c'era il cuore del pubblico che sobbalzava
rapito quasi una volta a quello dei _Lombardi_! Bellissimo! Un pezzo
simile sfidava la critica, sfidava la malignità degl'invidi, sfidava
il tempo; nè chi l'aveva scritto moriva! No e poi no! Non morirebbe
quantunque s'annegasse, umilmente, nel canal Torbo!
Un tal pezzo bastava a ribattere l'accusa di vanità al secondo atto;
come la romanza del tenore, nel terzo, bastava a render celebre un
nome!
Sposa selvaggia, addio!
Io morirò per te!
Così soave e così semplice, questa soave e semplice e limpida sorella
della «Casta Diva» attesterebbe al mondo che nella terra di Bellini,
non ostante le diavolerie dei wagneriani e i disaccordi che mortificano
ingegni, anime e gusto; nella terra di Bellini nulla, mai, nessuno,
mai, spegnerà il senso della melodia, l'amore dell'armonia, lo spirito
dell'amore meridionale, il fuoco della nostra passione. Mai e poi mai!
Viva l'Italia!
E morire! Ma il dì dopo, alla notizia, quella divina romanza, che tutti
avevano imparata la prima sera, tornerebbe come invocazione di pietà
alla memoria di tutti, anche dei nemici; e si piangerebbe il giovane
maestro, che una sorte diversa avrebbe condotto a rinnovare l'antica e
pura arte della patria....
Morire!... Morire, perchè il maestro Bonarca anteponeva l'onore alla
gloria; perchè il mondo non dicesse che del commerciante fuggito
con i quattrini il maestro Bonarca era stato complice; perchè egli
riconosceva i suoi debiti e prevedeva che non avrebbe potuto pagarli
mai più; perchè insomma lo superava un destino crudele e non voleva si
credesse da alcuno della cittadinanza onorata e dal sindaco che egli
avesse paura di morire!
Perciò era pronto; tutto era pronto! In tasca, la lettera al questore:
«Mi uccido per ragioni che è inutile rivelare....» (Infatti chi
non se le imaginerebbe?) «Ringrazio i miei concittadini per la loro
benevolenza alla mia _Sposa selvaggia_....»
Erano due righe, ma animose; di un uomo senza paura. Qual rammarico
tuttavia nel pensare che la sua tragica fine servirebbe di _réclame_, e
l'opera presto data alla Scala o al Regio o al San Carlo solleverebbe
il pubblico, entusiasta del terzetto e della romanza, a chiamare il
maestro, che, essendo morto annegato, non potrebbe assistere alla
rappresentazione!
D'improvviso Bonarca si chiese: «Se aspettassi?...» Un'idea gli balenò
nella tempesta dell'anima come suscitata da sentimenti opposti: un po'
di pietà, che finalmente aveva di sè stesso, e il coraggio ch'egli
era convinto di poter spingere fino all'audacia. «Se aspettassi....
a vedere cosa i giornali diranno, domattina, della mia morte?»
Certo, dopo morirebbe più volentieri; sia che i giudizi postumi gli
confermassero meriti e compianto, sia che la pubblica giustizia, fatta
libera dalla morte, lo condannasse senza pietà. Ma non era un'idea da
matto? Per riflettere si strinse il capo tra le palme. E un birocciaio
che transitava, lo vide; e una vecchia, la quale passava con un
cesto al braccio, si volse indietro a riguardarlo. Egli si rivolse
tranquillo e fiero; giacchè la sua idea non sarebbe da matto quando
riuscisse a sfuggire a ogni altro sguardo fino all'ora dei giornali, e
a provvedersi dei giornali. Non esitò più. Dopo tutto, ai condannati a
morte è lecito soddisfare, qual si sia, l'ultima voglia!
Ed essendo impossibile che qualcuno non passasse di là, non vedesse il
_paletot_, non leggesse la lettera e non la portasse in questura prima
della notte, egli si tolse il _paletot_ e lo pose sul parapetto del
ponte; gettò il cappello alla corrente livida, e quasi a scorgere, così
travolta, la sua testa o quella d'un fedele amico, ne distolse subito
gli occhi per non commuoversi; quindi scese lungo la riva in cerca d'un
nascondiglio. Ricordava che alla distanza di forse un chilometro, fra
le canne e i giunchi, era la casupola d'un piccolo mulino abbandonato;
oltre il quale il canale tornava fosso e, per esser diruto l'argine a
sinistra, impaludava il piano. Si avviò per il sentiero all'abitacolo;
v'entrò da una porticella, e al lume d'un fiammifero vide ove mettersi:
su poco strame, dietro un pezzo di macina; nè egli chiedeva più tenero
letto a riposare dalla dura battaglia. Ivi attenderebbe il giorno: per
i giornali manderebbe il primo ragazzo o galantuomo che transitasse
per la via e a cui farebbe credere, ridendo, che gli era caduto il
cappello dal ponte. Freddo gli sembrava assai, ma sopportabile a chi
non temeva il freddo della morte.... Così, nell'attesa, si mise a
pensare a cose che lo distraessero. Le altre sere a quell'ora, se non
aveva teatro, giocava a biliardo col marito di.... «Non pensiamoci!»
(Non voleva pensare a donne, per non intenerirsi).... Ma quel marito,
via!, non giocava mica male; anzi, da competitore formidabile.... E il
delegato Rosta?... Un bravo amico, questo; sincero, sebbene questurino;
giocatore mediocre a suo confronto, eppure vincitore in una classica
partita.... Che meraviglia! Era stato al tempo delle prove.... Oh le
sudate prove della _Sposa_!...; con quei violini che non andavano;
con quella cornetta.... Benvoluto da tutti, però; rispettato; temuto.
Gli artisti di vaglia hanno in sè qualche cosa che fa perdonare ogni
scatto. Per esempio, egli qualche volta era stato feroce; e mai un
lamento. Solo Camandri, il bombardone, aveva detto a un compagno, dopo
la seconda prova: — Se torna a darmi della bestia in orchestra, lo
fracasso con lo strumento. — Ma lui, alla terza prova: — Camandri: è un
_la_! un _la_! un _la_!, corpo di!...; e Camandri, giù gli occhi e il
bombardone a posto; frenato e impaurito da quello sguardo....
Sparsasi la triste notizia fra i suonatori e i discepoli, quanti non
direbbero, con certo orgoglio: — Bravo maestro! Gli uomini di fegato e
di carattere fanno così; non scappano come quel mercante traditore....
— A proposito! (fe' Bonarca) I tre soldi per i giornali? — Li aveva;
aveva il resto dell'ultima lira, che si era tratta di saccoccia per
l'ultimo _cognac_...
Dunque?
Dunque, poichè si fu riacconciata la paglia addosso ed ebbe appoggiato
il capo alla pietra...., a poco a poco, senza perdere il coraggio,
s'addormentò.

III.
«Il nostro valente capobanda, l'esimio maestro, il fortunato autore
della _Sposa selvaggia_, nel quale tante speranze riponevano gli
ammiratori concittadini, l'arte e la patria, ierisera si è miseramente
ucciso gettandosi nel canal Torbo. Povero, illustre amico! Quale fu la
causa che ti condusse al triste passo nel fiore della balda giovinezza
destinata a uno splendido avvenire? Noi, a cui la commozione e l'ora
d'andare in macchina impediscono d'enumerare adesso tutti i meriti
del perduto amico, noi non solleveremo il velo della sua tomba. Noi
rispettiamo il segreto e il desiderio del maestro Bonarca. Solo per
debito di cronaca accenneremo che, appena sparsasi l'infausta notizia,
si è vociferato in città di un amore infelice....»
— Un amore infelice? — esclamò Bonarca, stupito, non comprendendo,
da prima il perchè di quella invenzione. — Infelice in amore lui,
che delle amanti ne aveva avute tre in una volta: una nubile, una
maritata e una nè maritata nè nubile? Infelice in amore un uomo della
sua forza (con quei baffi)? Alla prima rappresentazione della _Sposa_,
quando si voltava indietro a ringraziare il pubblico, non vedeva che,
volendo, tutte le signore dei palchetti, in isplendide _toilettes_,
sarebbero state sue? Ma di fra le righe della necrologia gli venne la
luce; afferrò la ragione della pietosa menzogna; si commosse fino alle
lagrime.
Per la ragione stessa gli parve anche più nobile e felice la trovata
del _Radicale_, che gli dedicava un articolo di due colonne.
. . . . . . .
«Sposa selvaggia, addio!
«Io morirò per te!
«Lui! lui!, il povero compositore, è morto per la sua sposa; e la sua
sposa — noi lo sappiamo — era l'arte. Un artista tanto più è grande
quanto più è grande il concetto che ha dell'arte sua. Povero Bonarca!
Aveva appena colti i recenti allori e non ne godeva; ne soffriva anzi,
perchè gli sembrava di non aver fatto nulla in confronto a ciò che
fecero Rossini e Verdi, Beethoven e Wagner: a ciò ch'egli temeva di
non poter fare! E la bell'anima seguendo la mente alata che volava alla
gloria, su in alto, nell'armonia dei cieli, si è sbigottita, è caduta,
è precipitata nel canal Torbo.
«Io morirò per te!
. . . . . . .
Più breve, sebbene prodigo anch'esso di lodi, il _Vero cattolico_
concludeva:
«Il nostro cordoglio è grande, avvegnachè nemmeno per il maestro
Bonarca possiamo trovare un'eccezione alla regola della religione e
della coscienza. Ripetiamolo a norma dei nostri lettori dilettissimi:
Ogni suicida è un peccatore che o mancando di fede ha patito
l'influenza del demonio, o è soggiaciuto a una improvvisa demenza.»

Proprio così: nell'opinione dei giornali, cioè nell'opinione pubblica,
egli poteva, doveva essersi annegato o per il diavolo, o per il
cervello voltosi sossopra, o per la donna, o per l'arte; non per la
causa vera, nota a tutti. Come dire: che un artista il quale s'ammazza
per i debiti non è artista. E questa era la ragione di quelle menzogne.
Ma artista e grande lo proclamavano tutti; con sincerità evidente,
perchè essendo morto, nessun interesse lo legava a quei giornalisti;
e perciò annegandosi egli compirebbe una corbelleria. E questa era la
ragione del buonsenso.
Ecco l'efficacia d'un giusto conforto! ecco la necessità della logica!
Doveva lamentare d'aver deposto il _paletot_ con in tasca la lettera,
sul ponte. Ma se non avesse deposto il _paletot_, non si sarebbe
convinto della sua postuma gloria. Doveva lamentare di non essersi
annegato subito. Ma se si fosse annegato subito non avrebbe appreso
che annegarsi per debiti è una corbelleria. E, d'altra parte, non
impunemente si scrive a un questore «mi uccido»; giacchè il ridicolo
è anche peggio dell'onta, nè v'è cosa che più muova a disprezzo e a
riso del venir meno per viltà a una faccenda seria come il suicidio.
Ah! che errore non essersi buttato nell'acqua la sera innanzi mentre
passava il birocciaio! Buttarcisi ora, in vista a qualcuno il quale lo
salvasse, sarebbe peggio che peggio! A quest'ora nell'opinione pubblica
egli era morto; cadavere era, quando a mente fredda (e si sentiva tutto
intirizzito dal freddo della notte) rifletteva che alla fine il diavolo
non è brutto come si dipinge e i creditori non sono crudeli quanto
s'imagina; che agli artisti meritevoli della stima universale non mancò
mai, alla fine, un insperato soccorso; che se egli, da quell'uomo
coraggioso che era, avesse vinta l'ultima battaglia, l'avvenire
l'avrebbe consolato di gloria e di quattrini. Morire, misero Bonarca,
quando a' suoi occhi d'artista natura e vita apparivano così belle,
pur nel grigio mattino autunnale, tra i miasmi del padule e nella
desolazione dell'abituro ov'egli era tornato a gemere! Oh la natura!
Udiva il cinguettare dei passeri; un lontano abbaiare; un lontano
scampanare a festa e, giocondo, lo squasso dello sciacquatoio. Oh
ammirare ancora una volta il sole, il verde!
Per vedere, si affacciò alla finestra.... Ma si ritrasse d'urto,
atterrito: due carabinieri, preceduti da un signore nero, in abito
nero.... (Forse l'amico Rosta? Il delegato Rosta? il compagno delle
partite a biliardo?...) si avvicinavano al mulino. Ad arrestar chi?
lui? per i debiti? per simulato suicidio?... con le pertiche? Rosta!
Confuso, spaventato quasi, il maestro s'avvolse nella paglia, si
ritrasse in sè....
Le voci s'avvicinavano sempre più; si fermarono proprio sotto la
finestra, chiarendosi benissimo la voce dell'amico Rosta. Ma non
entrarono.
.... — Che imbecille! poteva ammazzarsi in altro modo. Cinque ore di
perlustrazione, signor delegato: siamo proprio stanchi!
— Certo, poteva impiccarsi!
— O farsi saltare il cervello.
E la voce del delegato amico gridò, forse a quelli delle pertiche:
— Spicciatevi, ragazzi!
Poscia:
— Se avesse posseduto un revolver, caro brigadiere, l'avrebbe venduto
in piazza....
A chi si riferivano tali parole? Per fortuna l'amico s'interruppe di
nuovo a chiedere con voce più alta:
— Si sente? C'è?
Da lungi uno rispose:
— Niente!
Proseguiva il dialogo, mentre proseguiva la misteriosa ricerca.
— Dicono che avesse da dare anche duecento lire al trattore....
— .... E cinquanta alla padrona di casa — fece la seconda voce ignota,
del carabiniere. Allora Bonarca fu certo di chi discorrevano.
Rosta aggiunse: — Sfido! Non ne aveva nemmeno da pagare i debiti
di gioco. A me, mi doveva le ultime tre partite che gli ho vinte a
biliardo.
Ah cane! ah vigliacco! Che voluttà arrivargli addosso con un paio di
schiaffi da rovesciarlo e dirgli: — Eccoti la paga delle tre partite,
questurino mentitore! — Invece, no, non poteva muoversi; doveva restar
lì rannicchiato nella paglia! «Mentitore infame!» Una delle partite,
ne aveva vinta: una sola! per caso! «T'insegnerei io a calunniare i
morti!»
Di nuovo l'amico s'interruppe a chiedere:
— Niente?
Silenzio. Quando risposero, ripeterono:
— Niente!
Il delegato ripigliava:
— In fondo, però, era un buon diavolo. Ebbe il torto di dar retta ai
giornalisti, che per quattro pezzi rubati qua e là e cuciti insieme
alla meglio, gli avevano fatto credere che diventerebbe un Mascagni!
Gridarono: — Non c'è!
Non ci poteva essere: Bonarca già si era ricordato che al mulino
del canal Torbo si pescavano i cadaveri degli annegati. Coloro che
gridavano _non c'è_ erano senza dubbio i suoi becchini.
— Cercate ancora! Cercate!
Il brigadiere frattanto preferiva la _Cavalleria Rusticana_ al
_Nabucco_ e stancava vieppiù il delegato; il quale propose:
— Se andassimo a sedere qui dentro?
Parve a Bonarca che il pertugio dell'abitacolo si oscurasse
all'interporsi d'una faccia e si sentì, con un brivido, perduto. Ma il
brigadiere sconsigliava:
— Non sente che tanfo?
E i tre si mossero verso i ricercatori; lasciando il misero in una
disperazione così grave e violenta che fu per fracassarsi la testa
su la macina. Certo si sarebbe impiccato se si fosse sovvenuto della
cinghia con cui usava reggersi i calzoni.
Ma in verità era un dilemma atroce: egli avrebbe dovuto vivere per
dimostrare che tutti i calunniatori, come quell'amico infame, avevan
torto e che avevano ragione i giornalisti; e vivere non poteva senza
meritarsi il disprezzo universale!
Quando, poco dopo, coloro tornarono indietro.
.... — Vuol scommettere che invece d'annegarsi è scappato anche lui?
— Non credo. Non era uno da farcela così da furbo. Dite piuttosto che
si sarà buttato giù, con una pietra al collo, in altro sito, per non
essere pescato. Del coraggio ne aveva....
Meno male!
— Andiamo, ragazzi! — E i ragazzi — i becchini — trascorsero anch'essi.
Uno sbadigliò:
— M'è venuto appetito.
.... Indi a poco, per finirla, Bonarca uscì di soppiatto; si diresse
non alla parte del borro pieno e profondo, perchè i manigoldi avrebbero
forse udito il tonfo, ma alla parte dove per l'acquitrino o per lo
scolare di poc'acqua, imputridiva una gora. Ivi non era possibile
annegarsi. Se non che ci si affoga anche nel pantano. E d'un salto,
deciso com'era, vi balzò.
Giù.... giù.... Nera e fetida l'acqua gli affluì intorno, alla
superficie; e sotto, adagio adagio, i piedi, e poi i polpacci, e poi i
ginocchi, e poi le coscie erano invischiate, impeciate, prese, strette
dalla tenace poltiglia. Giù.... giù....
Egli tendeva gli occhi ai manigoldi che se n'andavano per l'argine
opposto. Nè poteva fermarsi: se avesse voluto, non avrebbe avuto ramo
o tronco a cui aggrapparsi; nè i piedi incontravano sasso o fondo sodo.
Che morte!
Giù..., sebbene più piano; giù.... Gli premeva il ventre quel brago
in cui forse pascevano i più schifosi vermi; gli fasciava lo stomaco;
gli saliva al petto. Oh Dio!; nè si fermava. Al petto! aveva la pegola
al petto! Gli toglieva oramai il respiro; e se gli arrivava alla gola,
alla bocca....
Che orribile morte! E ancora giù, adagio adagio.... Maledetta la _Sposa
selvaggia_!... Addio, Elena (la maritata)! Addio, Teresa (la nubile)!
addio, Lilì, per sempre!
Non si fermava ancora.... Ancora?
Quando gli parve d'aver toccato fondo, chiuse gli occhi per non
vedere la sua morte, così. Ma a voce alta emise il grido degli estremi
spiriti:
— Oh Dio!
Non chiedeva aiuto, lui! Nè fu udito. Infatti, non voleva morire?
Più forte gemettero gli spiriti vitali: — Diooò oh! E fu un urlo che
finì in modo straziante; atroce, acuto, lungo. Egli però non capiva più
nulla. Non volle capire più nulla. Finchè con l'aiuto di Dio, dopo un
secolo....
— È lui! Corriamo!
— È Bonarca!
— Là! presto! affoga! — Correvano.
— È lui! Chi sa da quante ore!
— È già spacciato! — Arrivavano.
— No; non vedete? Muove la testa come una galana....
— Una corda.... Le pertiche!
— Maestro! maestro!
Senza dir nulla egli intravvedeva a pochi metri il delegato, i
carabinieri, i becchini; e udiva battere il suo cuore, _ton, ton, ton_,
a grande velocità.
— S'attacchi!
— S'attacchi alla pertica!
— Attáccati, amico!
— Forza!
— Coraggio, caro maestro!
Niun dubbio che per essere salvo gli sarebbe bastato afferrarsi alle
pertiche. Ma non voleva morire?
— Coraggio! — Forza! — Bravo!
— Tira!
— Viene!
Salvo? Non doveva morire? Sì, ma che colpa n'ebbe lui?
Gli spiriti vitali si aggrapparono essi a quelle pertiche. Alle
pertiche, prima; poscia a quelle braccia. Egli si lasciò trascinare e
afferrare....
E salvo, ma svenendo davvero nelle braccia dell'amico, balbettò:
— Lasciatemi morire....


La giocatrice.

I.
Con un semplicissimo ragionamento, e chiarissimo, Gianni Limosa avrebbe
dovuto convincersi che il suo affetto non escluderebbe mai dal cuore di
Claudia Verbani l'affetto delle carte; che Claudia giocatrice — eppure
così bella, così giovane, così vedova! — non aveva, nè avrebbe mai più,
tempo, voglia, affanni d'amore.
Il ragionamento chiarissimo e semplicissimo sarebbe dovuto esser
questo: L'uomo può dedicarsi con le sue energie a più vizi in una
volta; dove la donna, con le energie sue, non si dà quasi sempre che
a uno solo, e con l'anima sua in uno solo raccoglie, smarrisce tutta
sè stessa. Ma ogni vizio è una passione; e come, da che mondo è mondo,
la donna ebbe taccia d'incostante in amore, l'amore per la donna o non
è una passione, e quindi non è un vizio, o tutt'al più è passione non
intensa e profonda quanto un vizio: per esempio, il gioco.
Se non che Limosa invece d'essere un filosofo era uno _sportman_
innamorato; perciò non è meraviglia ragionasse, o meglio, sragionasse
così: «Questa donna, che è una signora eccezionale, io l'amo alla
follia e con buone intenzioni: per forza; perchè è onesta; e la
sposerei anche. Disgraziatamente essa non mi ama perchè ha un vizio.
Un vizio? Sì: come Luisella la mia puledra.... Luisella adombrava al
passaggio del treno o d'una bicicletta, e balzava o scappava o voltava
indietro; sudava tutta; tremava; e guai se gliel'avessi data vinta!
Io, traendola alla ferrovia e facendola sorprendere incontro, dietro
o di fianco, con una bicicletta, e intanto frenandola e frustandola
a mio modo, l'ho domata che è diventata un'agnellina. Ma Luisella è
una cavalla, e Claudia una signora. Per questa dunque mi atterrò a un
metodo affatto contrario.»
Ora, la fallacia del ragionamento apparisce manifesta nel credere che
per essere Luisella una bestia e Claudia una donna, l'una ragionevole
e l'altra no, patissero o peccassero in modo affatto contrario e
bisognassero di opposti rimedi.
Ma, salvo il rispetto, in una qualità almeno rassomigliavano: che eran
femmine ambedue.

II.
Gianni Limosa aveva molti meriti: capelli neri a spazzola; barba corta
all'inglese; abiti che rivelavano il tipo, quasi scomparso ai nostri
giorni, del gentiluomo campagnolo, ma abiti di stoffa costosa e di
bella fattura; muscoli temprati agli esercizi del corpo; un naturale
buon umore e bastevole intelligenza e cultura perchè egli non si
confondesse in conversazione alcuna. Dei contadini, fra cui viveva
otto o nove mesi dell'anno senza orgoglio e senza abbassarsi troppo,
o degli amici e delle amiche che trovava ai campi di corse, chi mai se
lo sarebbe imaginato timido e trepidante? Bisognava vederlo tirare ai
piccioni! saltar le _siepi_! guidare Luisella!
Però egli meritava anche scusa, tant'era graziosa e sagace quella
signora Claudia; con certi modi ingenui e volontari da far girar la
testa a ben altri che a uno _sportman_ non filosofo! Nè Claudia stentò
molto a introdurre il povero Gianni in un dialogo per cui egli credè
meglio finirla e confessarsi innamorato cotto.
— Sissignora! Io sono un uomo alla buona, franco, robusto, sano. Non
leggo romanzi, io! E non avrei mai creduto d'innamorarmi fino a questo
punto.
— Di chi?
— Oh bella! Di lei!
Gianni rispose con voce un po' aspra, perchè il cuore gli picchiava
il petto; e con la sinistra accomodava la barba, mentre Claudia,
niente affatto meravigliata, restava con la testa appoggiata al divano
mostrandogli, senza volere, la bianca gola e sorridendo d'un'ironia
lieve, non priva d'indulgenza.
— Povero Limosa! — ella disse poi. — Non conosce neppur tutta la
gravità del suo malanno! Perchè, scusi, se non è sano chi legge
romanzi, non sarà sano neppure chi è innamorato come nei romanzi e come
dice di essere lei.
Egli mormorò:
— Già, mi contraddico; non capisco più nulla!... Tanto più che io amo
non da eroe, ma da onest'uomo; disposto a qualunque sacrificio.
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