Novelle umoristiche - 13

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lui era il rancore d'un sopruso patito; il cordoglio come d'un'offesa
atroce, d'uno sfregio ignominioso contro non solo a lui ma a tutta la
sua famiglia, ai suoi figlioli, ai suoi nipoti, ai suoi pronipoti.
L'albero resistente e poderoso, per cento e cento anni ancora dopo la
sua morte attesterebbe, così deturpato ad ogni primavera, l'antica
sconfitta del nonno; significherebbe la rassegnazione, di tanto in
tanto rinnovata, a una lontana ingiustizia e a una remota provocazione
dell'invidia e dell'orgoglio.
Ah come sarebbe stato meglio che l'avesse buttata giù, troncata di
colpo, il fulmine!
Sempre in quei tristi giorni che, solo, scampando allo sguardo altrui,
andava alla quercia a contemplarla, Carlone si ripeteva: — Meglio il
fulmine! meglio una saetta!
E se l'uno o l'altro dei figlioli gli ricordava l'intimazione del
sindaco e diceva: — Bisogna rassegnarsi e potarla — il vecchio ergeva
il capo quasi minaccioso rispondendo:
— No!
— Andremo incontro a dei guai....
— No!
Ma alla mattina dell'ottavo giorno Carlone disse ai tre figli e al
nipote maggiore:
— Prendete le zappe, il piccone e la mannaia. — E quelli compresero che
a tagliarla preferiva abbatterla, e tacquero.
Come i ragazzi volevano seguirli, il nonno, che precedeva per il
sentiero, si rivolse:
— Via! voi altri!... Non voglio nessuno!
Soli loro cinque andarono. Cominciarono ad aprire la buca, ampia,
intorno al pedale che tre uomini non abbracciavano; mentre il vecchio
assisteva immobile con le mani in tasca. Apparvero lombrichi; apparvero
fra la terra gialliccia le prime barbe, molli e scure, che allo scavar
delle vanghe restavano recise con netto taglio, o, tócche, si spelavano
bianche come serpi. Finchè serpeggiando si delineò la prima radice
di un rosso terrigno, grossa quanto un braccio. Scalzata che fu con
i picconi, Carlone recise lui la prima radice in due colpi. E alcuni
passeri che s'inseguivano dalla siepe, non impauriti da quel battere
della scure, volarono su la cima e garrirono tra le frondi più alte e
lontane.
Taciti i figli ripresero ad approfondire la buca: scoprirono a destra,
più giù, un'altra radice più grossa, che il primogenito tagliò. E
poi un'altra. E poi un'altra; e sempre intorno al pedale restavano di
quelle radichette bianche, lisce, umide come serpi, con qualcuna delle
vecchie nera e marcita.... E poi un'altra, rubesta.
Quindi il vecchio, che assisteva tuttavia in piedi, immobile,
all'apparenza impassibile, ordinò al nipote di poggiare la scala e di
salire a legar la corda da ramo a ramo, in giro, nell'alto. La faccenda
fu lunga. Dopo di che, tornarono all'opera.
Uno chiese se venderebbero anche il ceppo; ma il padre non rispose. E
di quelli che frattanto passarono per la strada, fu uno che attese e,
ricambiato un saluto, disse:
— Farete di bei quattrini! Chi ne avesse un bosco!
Esclamò un altro:
— È campata abbastanza, eh, Carlone?
— Abbastanza! — rispose.
Ma a un terzo, ch'era un contadino dell'ingegnere, il vecchio disse:
— Potete andar di lungo, voi. Io non vengo a disturbarvi nei vostri
interessi!
Quegli rispose:
— Avete ragione, avete; — e proseguì.
Dopo un'altra ora la buca era già così profonda che a ogni nuova radice
recisa, tre degli uomini s'attaccavano alla corda e il quarto faceva
forza contro il fusto per tentare se non rimaneva che il fittone.
Indarno: non ancora il fusto sentiva la scossa. Finchè — e fu verso
mezzodì — ebbero certezza che sola la radice maestra rimaneva.
E il vecchio disse:
— La mannaia a me!
Discese lui nella fossa: cominciò a colpire; mentre i figli ai capi
della corda, lontano, tiravano, squassavano.
Cupi, ritmici, precisi e fondi su l'estrema radice di quella vita
gigantesca cadevano i colpi del fiero vecchio. Quando il taglio fu
innanzi, Carlone risalì, venne lui pure alla corda. Ma l'albero non
voleva cedere; invano s'incitavano l'un l'altro.
— D'un colpo! — comandò il vecchio, dando un grido per avviso allo
sforzo concorde....
Cedeva.... S'udì uno schianto di legno che sia troncato: poi, subito
dopo, uno schianto molteplice, diverso, confuso e pieno di tutte le
vette, di tutti i rami, di tutte le fronde che toccarono la terra
madre; e parve che l'immensa pianta si sfasciasse tutta quanta,
cadendo.
Allora Carlone senza dir nulla, col grande fazzoletto rosso s'asciugò,
tra il sudore, due lagrime.

III.
Il dispiacere di Carlone amareggiò anche il curato. Era questi un
buon prete, superstizioso e religioso a un tempo; un po' asprigno e
cocciuto anche lui, un po' interessato, un po' gobbo, un po' sporco,
perchè tabaccando non spazzava il tabacco rimasto dalla presa sul
panciotto più rosso che nero; ma abbastanza affezionato al suo gregge
e al suo ovile e amico a Carlone de' Carli, col quale da anni e in
ogni stagione faceva la partita quotidiana a casa di lui, all'ombra
del moro o sotto il portico del forno o nella stalla. Veramente nei
primi anni di cura la prevalenza del vecchio aveva urtato il parroco
e quasi inanimito a un conflitto di poteri; presto però egli si era
convinto che disgustarsi Carlone sarebbe stato come disgustarsi tutta
la parrocchia e che non potendo contrastare a un avversario, conveniva
preferirne l'amicizia. Carlone inoltre era liberale verso la chiesa;
e il figlio maggiore di lui serviva da collettore nella «compagnia
di San Vincenzo», che s'era estesa per le parrocchie vicine; e tra le
donne della Ca' scura si sceglievano quasi sempre o la «priora» o la
«rettora».
Ma venuto che fu al Palazzetto il nuovo proprietario, súbito il curato
dubitò d'una rivalità fra il vecchio capoccia e l'ingegner Stoia, che
da paladino clericale s'intrometteva nelle faccende ecclesiastiche pur
in campagna, nè dubitò che tra i due litiganti resterebbe lui con la
testa rotta quando non riuscisse a barcamenare. A ciò non era molto
abile, e piuttosto che giovare, nuoceva alla sua intenzione onesta
con far a Carlone troppi elogi del forestiero e a questo troppi elogi
di Carlone: nondimeno volse il mese da che le radici della quercia
eran state messe al sole senza che il conflitto avvenisse. Per poco il
curato non imbaldanziva; non gli pareva più tanto difficile navigare in
buone acque fino ai Santi, il tempo in cui il bravo ingegnere e la sua
ottima signora se n'andrebbero, grazie a Dio, di villa in città.
Ma egli non pensava a San Michele, che viene ai 29 di settembre; o
meglio, non prevedeva che dovesse recargli noie proprio la maggior
festa della parrocchia. Quell'anno non era stata scelta alla Ca' scura
che la priora; e rettora sarebbe la moglie d'un fittavolo. La signora
Stoia non avrebbe perciò ragione di gelosia.
Quando, una mattina, l'ingegnere così bravo ma così petulante, venne in
canonica, ed entrato nel discorso della prossima festa, espose chiaro
e tondo il desiderio che la processione si recasse all'oratorio da
lui fatto restaurare; come a dire che San Michele facesse una visita a
Sant'Anna.
A che il parroco, tendendo la testa e gli occhi quale un cavallo che
adombri, esclamò in quella sua maniera un po' rude:
— Impossibile! Questo, signore, è impossibile!
Di consuetudine, la processione calando dalla chiesa prendeva una
viottola a bivio con la strada comunale (con la strada appunto che
conduceva al Palazzetto) e saliva fino a un olmo, le cui fronde
composte in cupola facevan da tempio a una Madonnina in voce di
miracolosa. E l'olmo apparteneva al figlioccio di Carlone. Imaginarsi
dunque se si poteva mutare itinerario!
Ma l'ingegnere a scorgere la bocca storta del curato, invece di
arrendersi, insistette. Il desiderio pietoso era della sua signora: a
lui pareva che l'Oratorio valesse più d'un olmo. Lasciò comprendere
quanto gli dispiacerebbe dover abbandonare con malanimo quei luoghi
dove si era proposto far del bene; e alle giuste osservazioni che la
gente di lassù era ostinata; che la novità troverebbe oppositori; che
la Madonnina dell'olmo si credeva miracolosa, disse:
— Le imagini davvero miracolose non si tengono sotto un albero! Io
sarei ben lieto, ben fortunato, di sottoscrivere la prima offerta per
una nuova cappella, se lei mi accertasse che questi miracoli sono di
grande importanza.... Quanto agli ostinati, lei li avverta. In caso, se
non basterà, m'incarico io di ricorrere a Sua Eminenza o, magari, alle
autorità civili.
«Misericordia!» pensò atterrito il parroco. «Piuttosto tentare....»
Forse Carlone si persuaderebbe....
Insomma, il curato finì con ritenere e dire possibile quello che prima
gli era parso e aveva detto impossibile.
Per una settimana il poveromo anticipò la visita al vecchio; lo
prevenne più volte nell'offrirgli il tabacco; perdè più d'una partita
senza prendersela con le carte; ma quelle benedette parole: — Dite su,
Carlone: vi dispiacerebbe a voi se invece d'andare alla Madonnina....;
— quelle parole non riusciva a pronunciarle: gli si annodavano in gola
per la certezza di non riuscire a bene; per il timore di far peggio,
e per il dispetto di dover pregare invano quell'ostinato vecchio e
riconoscerne senza profitto l'autorità.
Finalmente il lunedì precedente alla festa il prete andò alla Ca' scura
zoppicando; disse per un gran male ai piedi. Scherzò anche, sebbene
addolorato ai piedi: lui già vecchio e Carlone un giovinotto!
— Basta — concluse con un sospiro mentre raccoglieva le carte dal desco
—; domenica, se Dio vuole, non avremo da passare su tutti quei sassi
come gli altri anni....
Carlone levò gli occhi dalle carte e glieli piantò in faccia a mo' di
chi stando su l'avvertita discopra il tiro.
Pallido, il curato seguitò senza guardarlo:
— Andremo all'oratorio....
Ma aveva appena compiuta la parola che Carlone lasciò cader forte il
pugno sul deschetto, gridando:
— Ah questa volta il suo ingegnere non se la cava! Finchè campo io,
glielo dica a mio nome, non se la cava!
— E c'è da stizzirsi? — ribattè dolcemente il curato, rosso d'ira.
Tacquero. Poi zitti e cheti ripresero le carte e giocarono.
.... Ogni giorno, dopo la partita, Carlone accompagnava il prete fino
alla siepe; quel dì l'accompagnò oltre la siepe, per il sentiero.
Intanto che andavano, l'uno aspettava che l'altro parlasse; e pensavano
entrambi: «Tocca a lui a tornare nel discorso.» E finalmente Carlone si
fermò.
— Ci rivedremo, signor curato. — La sua voce pareva di pentimento.
— Addio — rispose duro il prete.
— E si ricordi — il vecchio aggiunse più forte: — si ricordi di quel
che ho detto.
Ma il prete si rivolse:
— Oh quanto a quello, voi ubbidirete al vostro curato; si sa....
Allora il vecchio venendo a lui e tenendolo per un braccio, eppoi
ponendosi la mano al petto:
— Il mio dovere, sissignore, son qui a riconoscerlo! Nelle cose giuste
io a lei mi caverò sempre il cappello! — e se lo levava. — Ma se lei si
mette a gloriare i birboni, signor curato, mi creda, non c'intenderemo
più!
— I birboni? — il curato esclamò. — Già: chi non fa a vostro modo è
un birbone! Ma, in fin dei conti, chi siete voi che vorreste stare di
sopra alle leggi? di sopra ai superiori? di sopra a tutti? fare sempre
a vostro modo? e chi non fa a vostro modo è un birbone? Chi siete, voi?
Ribattè, umile, il vecchio:
— Io? niente! Sissignore, io non sono niente! Ma la processione non è
solo lei che la fa! e la processione andrà dov'è sempre andata; glielo
garantisce a lei e a tutti gli ingegneri della madre terra, Carlone
della Ca' scura!
Fu in queste parole una semplicità così dignitosa, una tal fermezza
quasi solenne, che il curato ebbe nell'animo un consiglio di prudenza;
e si sarebbe contenuto in modi remissivi, se già prima non avesse
meditate e predisposte le minacce che dovevan servirgli a mezzo
estremo. Come contro sua voglia, queste gli scapparon fuori in fretta.
— Ah sì? Bene, bene! Tutti abbiamo da morire...; voi non siete più
un ragazzo. La morte non guarda in faccia neanche ai giovani; da un
momento all'altro.... Ricordatevi che mettere la disunione in una
parrocchia è come metterla in una famiglia; ricordatevi che al curato
si deve ubbidire come a un padre di famiglia; ricordatevi che le
prepotenze si scontano, presto o tardi, e che un'offesa fatta alla
madre della Santissima Vergine, a Sant'Anna....
— Io non so neanche chi sia Sant'Anna! — proruppe Carlone, di subito
arrossato in volto, preso da un oscuro timore che quei _ricordatevi_
gl'incutevano; e tratto anche lui, contro sua voglia, dai gangheri.
Il prete per contro, a coglierlo in fallo, prese coraggio.
— Bestemmiate! bestemmiate pure, per giunta! All'anima vostra ci
penserete voi....
— Io penso che ho la Madonna per me! che è lei che offende la Madonna!
che nostro Signore castigherà lei, perchè è lei che porta le novità
e la disunione in parrocchia! Ci fu mai niente da dire, tra noi due,
prima d'ora? Prima che lei, per il suo interesse....
— Interesse, voi dite? — interruppe il prete in cui l'altro aveva
toccato il tasto debole e la cui coscienza non era abbastanza
tranquilla. — Vi sbagliate di molto, credetemi! È l'amore dei
parrocchiani; è il timore di far nascere una guerra; è la voglia che
ho di sopire un odio nato da una sciocchezza...: per una quercia!...
Negate che la questione è tutta qui? Negate che se non ci fosse
la quercia di mezzo, non vi parrebbe vero anche a voi di andare
all'oratorio e di fare onore alla vostra famiglia?... Ah, ah, Carlone!
Ci conosciamo da un pezzo noi due!
Carlone fece, incrollabile: — Son sincero. Non la nego io la verità! Ma
torno a dirle che se il signor ingegnere ha avuta vinta la prima, non
vincerà la seconda.... E schiavo suo!
Ora il curato andò lui verso il vecchio; lo trattenne senza sforzo, per
un braccio; gli disse umilmente in tono di preghiera:
— Sentite.... — E mentre l'altro lo guardava con l'occhio di un
cagnotto che non si fidi a chi gli mostra il pane dopo avergli mostrato
il bastone, proseguì: — Vogliamo aggiustarci? A voi! Io vi prometto che
otterrò dal signor ingegnere che si vada prima alla Madonnina e dopo
all'oratorio.... Siete contento?
Il vecchio scosse il capo ripetendo: — Nessuna novità! nessuna novità!
— Bene! — allora il curato gli gridò dietro. — La vedremo, signor
prepotente! oh, se la vedremo!

IV.
Appena dichiarata la guerra, il capitano sagace affretta i preparativi
a combattere e occupa con mosse rapide il campo di battaglia. Invece il
curato di Rioronco se ne stette fino a sera colle mani in mano, irato e
incerto sul da fare. Nemmeno informò subito don Sigismondo, il pretino
ch'era in pratica da cappellano e che essendo tutto dolcezza, tutto
tenerezza, egli giudicava un uomo nato fatto per andare in Paradiso in
carrozza: ossia un buono a nulla.
Niuna meraviglia perciò che Carlone de' Carli, andando e mandando
subito i suoi in giro per la parrocchia, riuscisse meglio al suo
intento e prontamente componesse quel partito che nella storia del
luogo fu poi detto il «partito della Madonnina». Si sa che Carlone
aveva molti amici ligi per interesse e per soccorsi o consigli
ricevuti, e che aveva tre nuore e un genero, i quali alla lor volta
contavano fratelli e sorelle ch'eran mariti o mogli in altre famiglie;
e aveva nipoti già ambiti per amore e per nozze in altre case; così
una metà forse dei parrocchiani, costretti dalla consanguineità o
dall'utile o da vicendevole timore di danni, dichiararono, promisero,
alcuni anche giurarono quella stessa sera che la processione di San
Michele non muterebbe cammino. Si aggiunga che Procolo, il primogenito
di Carlone, dirigeva come si è detto, la «Compagnia di San Vincenzo»;
onde bastò che Procolo facesse passare da compagno a compagno la voce
di resistenza al prete, perchè in poche ore il drappello più vistoso e
più solenne della processione fosse tutto avverso al nuovo itinerario.
E quando, la mattina dopo, il cappellano, la Perpetua, il campanaro,
la moglie del campanaro che con la Perpetua aveva faccende commerciali
d'uova e di polli, il becchino, il falegname che costruiva le casse da
morto e che aveva in moglie la figlia del campanaro, e il crocifero
che serviva da sagrestano e da chierico, quando insomma tutti coloro
che avevano buone ragioni da sostenere il parroco tornarono dalla
missione loro, eran tristi e dolenti. A conti fatti, resterebbero
al «partito di Sant'Anna» una dozzina di «figlie di Maria», il
vessillifero, lo «scalco» che porta il mazzuolo del comando, uno
dei due portatori di lampade e, a seguito, i contadini dell'ingegner
Stoia e pochi più altri! Imaginarsi la rabbia del curato, il quale
era tornato tutt'allegro in canonica poichè la rettora — sperando di
ottener dal prete quattrini a frutto per il marito fittavolo — gli
aveva detto francamente che aveva ragione lui; e che la priora, nuora
di Carlone de' Carli, era stata invano a tentarla; e che lei andrebbe
all'oratorio, o non andrebbe in processione.
Si tenne consiglio di guerra. Il cappellano ripeteva che contrastare
a Carlon de' Carli gli pareva tempo perso ed esortava a cedere,
inasprendo sempre più il curato.
— Perchè non avvisa le autorità? — chiese il falegname.
— Bravo! — risposero a una voce il curato e il campanaro. — Le autorità
proibirebbero la processione per sempre!
— Dia la scomunica a tutti — consigliò il sagrestano: proposta che fece
ridere amaramente. Dopo la quale il consiglio rimase muto a lungo.
Riprese il sagrestano ancora fiducioso nelle minacce spirituali:
— Una bella predica!...
Ma il campanaro, più pratico, oppose:
— Ci voglion fatti, non parole! Io direi che noi facessimo per amore
quel che gli altri faranno per forza....
Alla parola d'amore il cappellano chiese:
— Cioè?
— Che la processione andasse tutta insieme fino alle due strade; e
dopo, una parte alla Madonnina e l'altra all'Oratorio; e dopo....
— Bel consiglio! — interruppe il curato elevando la voce. — Credete voi
che si rassegnino, loro là, a far senza del Santo? Volete che restiamo
noi senza il Santo?
Ma come il campanaro si grattava la testa perchè non sapeva ribattere,
il cappellano raccolse lo sguardo di cielo in terra, ispirato, fervido;
si alzò in piedi.
— Signor curato, lasci fare a me! Bella idea! Accomoderò tutto io! —
E si accomodava il nicchio in testa. — Corro alla Ca' scura.... Vado e
torno!
— A far che cosa? a far che cosa? — domandava il parroco.
— Lasci fare a me!
La Perpetua, che aveva inteso, guardò dalla finestra di cucina al
pretucolo che usciva, e mormorò sorridendo: — Sì, sì: lasciate fare a
lui, povero don Sigismondo!
Ebbene: il cappellanino biondino, roseo e zuccheroso, fu lui che piegò
Carlon de' Carli. Gli piacque nel presentarglisi con l'atto di Ponzio
Pilato e col dire: — Per me, viva la Francia o viva la Spagna, è lo
stesso! — E parlò senza ambagi diplomatiche, senza apparenza politica.
Sapeva che se la domenica prossima accadessero dei guai, il signor
curato, che aveva il solo torto di essere un po' cocciuto, avrebbe
disgusti gravi con Sua Eminenza e con la Prefettura; eran da prevedere
fin processi penali in cui Carlone stesso sarebbe chiamato; ma più
addolorava don Sigismondo il pensiero dello scandalo. La parrocchia
di Rioronco era stata sempre una famiglia sola, a cui Carlone aveva
dato sempre bell'esempio di bontà. Se si bastonassero, perchè gli
animi erano riscaldati molto in quella divisione; se, Dio liberi!, si
ammazzassero, che cosa direbbe il mondo? quali rimorsi non avrebbero
il curato e lui, Carlone?... Ah! solo a pensarci il cappellano aveva le
lagrime agli occhi.
Commosso, il vecchio fece: — Purchè nè io nè i miei, con tutti i
nostri, non andiamo all'oratorio, io per me son disposto a tutto! —
Quindi temendo d'aver detto troppo e di parer debole, aggiunse con
foga: — Anch'io avrei rimorso se succedesse qualche lite; anch'io sarò
sempre per la pace e per il timor di Dio!; ma piuttosto che andare
all'oratorio, don Sigismondo, andrei in galera; andrei (si fa per dire)
all'inferno!
Dio liberi! parlare così quando c'era il modo di accontentare tutti!
Bastava andar tutti insieme fino alle due vie; di dove il partito
di Sant'Anna discenderebbe all'oratorio e il partito della Madonnina
salirebbe per la carraia, all'olmo; e dopo, riunendosi per l'ultimo
tratto, ritornerebbero insieme come prima.
— Lo so, lo so! — disse il cappellano prevenendo l'osservazione
del vecchio. — Resterete per un poco senza il Santo. Ma gli altri
non resteranno senza la «Compagnia»? E voi non potreste onorare la
Madonnina con una bella «fioriera»?
In un contorno e sotto una corona di fiori di tela, che sembrerebbero
veri e freschi, la Madonnina dimostrerebbe al mondo l'amore dei suoi
parrocchiani più fedeli. Non solo! Carlone comprese che quello era
il mezzo per far onore a sè stesso; vide subito che la sua autorità
ne riuscirebbe non diminuita, ma accresciuta; pensò che per tal modo
castigherebbe il curato e umilierebbe l'avversario.
— Faremo così! — disse.
E tosto la voce della pacificazione si sparse; e tutti ne furono
lieti. Gli ardimentosi convertirono l'ardore pugnace in un ardore di
emulazione e in una speranza di maggior festa; gl'incerti, che non
eran pochi, parteggiarono a viso fermo senza paura di danni; le mogli
e le madri che già avevano esortati i mariti o i figli a restare a
casa, o li avevano imaginati feriti o morti, ringraziarono il Cielo
e benedissero San Michele. Tutti, o quasi tutti, furono contenti:
fu tolto da quegli animi semplici l'amarezza della vendetta e della
ribellione; il superstizioso panico di un'offesa religiosa; il peso
della violenza meditata e preparata; il dubbio della sconfitta e della
vergogna.
Inoltre, il giorno di poi, i meglio informati accertarono che
l'ingegnere darebbe spettacolo di fuochi artificiali, di cuccagna e
di palloni; che Carlon de' Carli assolderebbe per conto suo cantori
e musici; e che per la «fioriera» Procolo era andato a Bologna; e che
dalle parrocchie vicine altre «compagnie» verrebbero ad allearsi con
i compagni di San Vincenzo. Insomma: un'aspettazione grande e gioiosa
quale non c'era stata mai.
Che se ci furono de' malcontenti, essi non furono più di tre e per
cagioni intime. Primi: Samuele soprannominato il Moretto e Canuto il
sarto, soprannominato il Sartoretto, che vagheggiavano entrambi una
ragazza meritevole in modestia di star fra le «figlie di Maria» e nello
stesso tempo idonea a far spasimare due innamorati in una volta.
Quei due s'incontrarono a caso la vigilia della festa.
— Tu per chi sei? — domandò con aria di noncuranza il Sartoretto.
Il Moretto, che già conosceva l'opinione della bella, rispose:
— Per Sant'Anna. E tu?
— Anch'io. — Poi il Sartoretto, divenendo spavaldo, aggiunse: — Tu però
faresti meglio a star con quelli della Madonnina.
— Io sto con chi mi pare!
E il rivale proseguendo per la sua strada:
— Oh oh, che aria tira, stasera!
Nient'altro. Una rivalità da non tenerne conto; perchè in fatto di
donne e gelosie, tutto il mondo è paese.
Malcontento anche era rimasto quel contadino dell'ingegner Stoia a
cui Carlone, quando abbattevano la quercia, aveva ingiunto di tirare
innanzi senza pensiero degli affari altrui. Quegli aveva sperato di
venire a dirittura alle mani e, deluso, per vendicarsi e ingraziarsi
il padrone disse al bottegaio che avrebbe da guadagnar soldi chi
schernisse, la domenica, Carlon de' Carli. Uno scherno per cui gli
calasse la boria: non già da fargli del male.
E il bottegaio, che aveva tanto professata e vantata la sua neutralità,
per far quattrini strinse in segreto patto i suoi tre avventori più a
corto di quattrini: Remigio lo zoppo, che aveva indole non del tutto
buona; Anacleto dell'Orto (attenti ai nomi!), un millantatore; e
Silverio detto, per scempiaggine, il Chiù.
È vero che questi avevano promessa fede a quelli della Madonnina, ma di
ciò non è a far gran caso; giacchè anche per simile genia di fedifraghi
o traditori, tutto il mondo è paese.

V.
Mai con più lena il campanaro di Rioronco s'attaccò alla corda delle
sue campane festaiole; mai i parrocchiani d'ogni età e d'ambo i sessi
godettero più di allora in un consenso d'allegrezza, nell'attesa dei
vesperi solenni al dì di San Michele; mai più di quel giorno il Santo
nell'atto di configgere la lancia sul serpente (di stucco anch'esso)
sembrò sorridere dall'altar maggiore e dire a' suoi protetti:
All'inferno il demonio!; sia pace e gioia a voi, uomini e donne di
buona volontà!
Fino il curato era allegro; perchè lo scisma ridotto a quell'innocente
bipartirsi della processione, accresceva magnificenza alla festa;
significava come due prove di fervor religioso in una volta o due modi
di onorare pomposamente il Santo.
Ma pienamente felice era Carlone: libero di timori, libero di rimorsi;
orgoglioso del suo panciotto damascato e della giacca di velluto e più
orgoglioso che la nuora priora fosse tutta vestita di nero col velo
bianco, quando la rettora non aveva che un abito di lana verde. Suo
giudicava il trionfo: tale che aveva permesso a quelle delle «figlie
di Maria» ch'erano rimaste al suo partito di andar con le altre,
bastandogli al fasto della sua parte le tre «compagnie»: quella di
San Vincenzo, con le mantelline rosse, quella di San Martino, con le
mantelline gialle; e quella di San Giorgio con le mantelline celesti.
Poi, gli parve che i suoi sonatori e i suoi cantori avessero più fiato
degli altri quando la processione s'incamminò e lui e la priora si
mossero dal loro luogo con la stupenda «fioriera» da portare alla
Madonna. Così cantando inni e sonando, fra i doppi delle campane e
lo scoppiar dei mortaretti, e fra l'ammirazione degli spettatori, la
processione partiva dalla chiesa.
In questo mentre i due soli carabinieri venuti dalla stazione della
Pieve erano corsi innanzi, all'angolo del bivio; e si eran messi là,
immobili, di malavoglia. Ciò che stava per succedere e di cui tardi
avevan avuta notizia e, più che interrogando, ascoltando le voci della
folla, li teneva perplessi; maledicevano il Governo timorosi d'un
disastro. Ma quando la processione giunse al bivio e sostò, non accadde
che un po' di subbuglio nel separarsi delle due parti e nel comporsi di
ciascuna processione in capo alla propria strada. Alla prima, ubbidendo
a Carlone, precedette uno dei lampadari per far le veci del crocifero
o del portastendardo: súbito dopo si mise la prima «compagnia di San
Martino»; poi i cantori e i suonatori; quindi la numerosa «compagnia
di San Vincenzo», a cui seguirono, come preceduti da quella «guardia
del corpo», il priore e Carlone con la corona dei fiori finti, e dietro
la terza «compagnia» e il seguito delle donne e dei partigiani. Alcuni
di questi s'abbandonavano a una commozione di riso; altri avevan le
lagrime agli occhi. Un po' a stento, eppur bene, si formò la seconda
schiera: le figlie di Maria presero il posto delle «compagnie» dopo
ai cantori e ai suonatori, e nonostante che il cappellano dicesse: —
aspettate! aspettate! — le vergini ripresero l'inno con voci acute e
alte, quasi per sfida, appena udirono dall'altra parte l'intonare della
musica. E si avviarono anche i preti col Santo.
Per tal modo, in mezzo ai curiosi e dinanzi ai carabinieri, passavano
lentamente le due file rivolte alle lor mete diverse. Ma passate che
furono, i carabinieri avanzarono, e certi entrambi del da fare, come
per un accordo che non avevano conchiuso, l'uno si volse a destra e
l'altro a sinistra. Di che, meravigliati a vicenda, dissero a una voce:
— Di qua! —; ciascuno non trovando ragionevole l'errore del compagno.
L'uno era piemontese, l'altro toscano, nè tra quei due bravi giovani
c'era mai stata parola a dire da quando si trovavano nella stessa
stazione e da quando infrangevano insieme il regolamento per far
all'amore a certa cascina dove avevano due belle ragazze, una per uno.
— Per da sì! — ripetè il piemontese. — Noi dovuma stè a j ourdin! I
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