Novelle umoristiche - 02

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— Bravo! E quale sarebbe il sacrificio più grande?
— .... Rinunciare alla mia libertà!
Il modo con cui fece l'offerta e il tono che aveva imposto alle parole
un peso maggiore a quello stesso ch'egli v'attribuiva, ottennero dalla
signora una risata schietta.
— Dio mio! Ma il sacrificio della propria libertà è il più piccolo, il
più semplice, il più naturale per l'amore, cioè per il matrimonio! È
necessario; se no, il matrimonio non sarebbe un legame!
— Ebbene — disse rosso in volto Limosa —, io farò di più: rinuncerò
ai cavalli, alla caccia, alla campagna; andrò nel bel mondo; leggerò
dei romanzi; cercherò duelli; farò della politica; ascolterò concerti
wagneriani; ballerò la season....
— Inutile, povero Limosa!
— Perchè lei non mi amerà mai? mai?
Che impeto nella dimanda! che passione, che disperazione nel secondo
«mai!»
Allora Claudia abbassò il capo, coprendosi la faccia con le mani,
ascoltandosi e riflettendo; indi scosse il capo a viso scoperto.
— Io — disse — potrei rinunciare a tutto: ai cavalli, al mondo, ai
romanzi, ai concerti, alla _season_....; a tutto, fuorchè alla mia
libertà!
— Come? — esclamò pieno di gioia Limosa, dopo aver riflettuto anche
lui. — Voi, dunque?... Voi..., lei.... Amandomi lei non rinuncerebbe
alla sua, alla nostra libertà? Voglio dire che se poteste non
rinunciare alla vostra libertà, voi forse...?
Non solo Claudia, ma nessun altro ci avrebbe capito nulla; o avrebbe
capito che il cervello a quell'infelice gli aveva dato la volta.
Tuttavia la signora strinse le ciglia quasi dubitasse d'un'offesa e
attendesse un opportuno schiarimento.
— Sì! — egli dichiarò. — Non son io che lei odia; non è l'amore che lei
odia: è il matrimonio!
E pareva aggiungere: «Quando tutto l'ostacolo stesse qui, non ci vedrei
tante difficoltà a superarlo.»
Ma la signora con voce e attitudine convenevoli alle parole, eppure
quasi benigna:
— Io non odio nulla e nessuno, amico mio; solo, non ho voglia d'amare,
perchè più mi piace viver libera; nè una donna come me intenderebbe
l'amore senza il sacrificio assoluto e.... legale della propria
libertà. Chiaro?
A ogni parola la faccia di Limosa era andata acquistando una linea di
mestizia; sicchè all'ultima rassomigliava, lui, a Iacopo Ortis, ma in
barba corta all'inglese.
— .... Perciò, amico mio..., lasciate.... (dolcemente ella cedette al
_voi_).... lasciate questo discorso; e piuttosto facciamo una partita
a scopa.
Il naso sul mento e il mento sul petto, Gianni, quando rispose, disse
con un sospiro che venne fuori dal broncio:
— Non conosco le carte!
— Nemmeno avete imparato a conoscerle? — ella domandò tra
compassionevole e ironica, secondo la sua usanza.
Allora egli proruppe:
— Per l'addietro vi dicevo: non so giocare; oggi, signora, vi dico:
nemmeno conosco le carte! e me ne vanto!
— Oh oh!... Ma dunque che fate assistendo alle nostre partite? a che
pensate?
La passione lo rese eloquente e furente.
— A voi penso! Io vi guardo; vi studio; vi esamino; vi giudico; entro
in voi; scappo disperato; mi perdo.... Oh che martirio amarvi e vedervi
con le carte in mano! Un supplizio! Diventate cattiva e debole; perfida
con chi vince; lusinghiera con chi vi fa vincere....
— Limosa!
— Quante volte soffro io più di voi a vedervi palpitante, tremante,
pallida in attesa d'un colpo di fortuna! Quante volte vi ho sorpresa
con occhi pieni di fiamma interrogare, invitare, accarezzare un
compagno più brutto del demonio! Quante volte ho dovuto augurarmi
d'essere io il _re bello_, che vi rallegrava, o l'_asso di bastoni_ o
_il bagattino_!
— O l'_angelo_, o il _diavolo_, bugiardo che siete! — esclamò giuliva
la signora. — Conoscete fino i tarocchi!
Ma l'altro seguitava a infuriarsi:
— Quante volte ho pianto, ho quasi pianto a vedervi consumare in tal
modo gioventù, bellezza, salute, intelligenza, anima! Ma io che vi
amo tanto, io giudico che anche questa è una colpa, perchè è questo
esecrabile vizio, questa obbrobriosa catena che v'impedisce di amare e
di rinunciare alla vostra libertà. Vergogna!
A questo punto Gianni s'aspettava che ella rispondesse un «grazie» per
canzonatura, o che inferocita lo mettesse alla porta; tanta foga egli
aveva data all'invettiva. Al contrario, fredda e severa, Claudia parlò:
— Il vostro rimprovero è ingiusto. Non mi offende: mi affligge; e non
vi perdonerei se non vi credessi innamorato perbene e troppo inesperto
nell'amore onesto.
Bel colpo!; che Gianni ricevette senza ribattere.
— Sapete voi perchè gioco? — ella continuava.
Cosa poteva saper lui, che non sapeva neanche perchè si fosse
innamorato così?
— .... Gioco perchè l'alcoolismo in una donna è turpe; perchè se sono
religiosa, non sono bigotta, non ipocrita nè egoista; perchè (e qui la
bella voce s'inteneriva), perchè quando mio marito m'ebbe abbandonata
sola al mondo, io, che l'amavo perbene, non gli sarei sopravvissuta e
mi sarei lasciata struggere dal dolore se non avessi trovato scampo
e consolazione in una passione onesta. Inebriarmi? Schiodar Cristi?
Mai! Il mio Vittorio m'aveva insegnato lui il _faraone_, il _macao_,
il _tresette_, i _tarocchi_, la _scopa_!... — E sgorgarono le lagrime;
piovvero lagrime sul fazzoletto.
— Perdono, perdono! — scongiurava Limosa, pari a un eroe da romanzo,
afferrandole una mano e coprendola di baci; mentre si chiedeva: «Debbo
mettermi in ginocchio?»
— .... Perdonatemi! — riprese. — La colpa è proprio della mia
inesperienza! Se io fossi avvezzo a innamorarmi, non invidierei le
carte e non desidererei per me quel che date a loro; mi negherei il
diritto di ingelosire; riconoscerei il mio torto di amarvi tanto; mi
persuaderei ch'è pazzia voler persuadere una donna che.... che.... Mi
fate impazzire! Parola d'onore, impazzisco!
In fatti si stringeva il capo tra le mani. Onde, al suo solito modo,
Claudia un po' s'affliggeva e un po' godeva.
— Allontanatevi, amico — ella consigliò buona buona. — Guarirete.
— Allontanarmi? Ma se per venire dalla mia villa alla vostra non ho
cavallo che corra abbastanza! Se fin Luisella mi sembra una tartaruga!
— Distraetevi.
— Già, mi distrarrò! — egli disse alzandosi e sospirando. — Mi
distrarrà o il vino, o la religione, o.... una rivoltella!
— Limosa! Gianni! — gridò impaurita la signora trattenendolo. — Che
discorsi sono questi? Fermatevi, Gianni, per carità!
Egli la guardava tra minaccioso e meravigliato che ci fosse da
spaventarsi in quella maniera. Finchè lasciò trarsi per il braccio,
dolcemente.... Dove?... A un tavolino.
— Sedete! Ubbidite!
Ubbidì.
— Ora — ella conchiuse ridente, bellissima — v'insegnerò io, signorino,
come si gioca a scopa!

III.
Ma studiando indefessamente, sin quasi ad ammalare di neurastenia, otto
giorni dopo Gianni aveva imparato anche gli altri giochi d'ingegno e
d'azzardo che appassionavano la signora Verbani, e s'era deliberato a
questi termini: «O io rovinerò lei, o lei me; e verrà il giorno che,
per rimorso, o per gratitudine, o per necessità, Claudia maledirà le
carte e un prete benedirà il nostro amore.»
Con Luisella, la puledra, Gianni Limosa non sarebbe venuto mai a un tal
patto:
«io accopperò te; o tu, me.»
Intanto gli amici vecchi e brontoloni, che dalle ville intorno si
recavano dalla Verbani per le partite diurne e notturne, cedettero ogni
primato al nuovo competitore e, invidiando, assistettero ai singolari
certami per cui boni da cento lire sostituirono nelle poste quelli
da dieci. Benevola, pur troppo, e d'accordo col proverbio (_fortunato
in amor...._) la fortuna assisteva Gianni Limosa, a cui sarebbe parso
meglio rovinarsi; poichè vincendo temeva guadagnarsi anche l'antipatia
della signora. E alle occhiate di sfida e di corruccio sempre
rispondeva con occhiate dimesse, a rassegnazione e a doglianza, come
a ripetere: «Io v'amo!» Ella aveva talvolta sorrisi di scherno e lampi
d'odio. Ma poscia la fortuna si stancò di favorire chi non la curava,
anzi l'incolpava di danni; e Claudia vinse; vinse tanto, in poche
settimane, che la somma, sebbene profusa in beneficenza, scandalizzò la
compagnia e il mondo intorno.
Godeva Gianni di quelle voci avverse; ne accrebbe la gravità vendendo,
quasi per bisogno, due cavalli; inoltre un giorno, senza bisogno,
chiese quattrini in prestito a uno di quegli amici ostili. Repugnanza
e rimorso non tardarono quindi ad abbattere la gentile colpevole, e le
partite a scopa moderate a poche lire tornavano alla memoria di lei
come, dopo il fallo, il bene della virtù perduta. Ah retrocedere! Ah
limitarsi alle pure briscole!
Ma Gianni, ch'era sano, robusto e caparbio, procedeva nelle scope, e
peggio.
— Quest'inverno vado a Montecarlo — le disse un giorno.
— Non voglio! — ella esclamò. — La _roulette_ è stupida.
Ah sì? Egli tacque dicendo press'a poco con gli occhi:
«La _roulette_ è stupida? E la _briscola_ no? e il _macao_? e la
_scopa_? e la _bestia_? e io? e voi? Non comprendete dunque il vostro
lungo delitto? il mio lento suicidio? Non potremmo fare qualche altra
cosa di meglio?»
Seguì un giorno nuvoloso; di un nuvolo coerente e indifferente, in
quella tinta grigia, di latta, onde par greve sino la luce; e solo, a
quando a quando, snebbiava un po' di pioggia; minuta, silente, inutile
pioggia. Mortificate, le piante del giardino non muovevan foglia; senza
tremito eran le frange degli abeti; senza voci gli alberi e il tetto;
senza volo gli uccelli; senz'anima la vita; senza vita l'universo;
senza l'universo.... Una giornata insomma o da briscola o da suicidio.
Ebbene, chi lo crederebbe?...
Claudia mormorò:
— Non ho voglia di giocare, oggi!
E a Gianni, riavutosi dallo stordimento repentino, non parve vero
d'esclamare:
— Facciamo qualche altra cosa!
— Chiacchieriamo.
Egli tacque.
— Non andate a Erba, quest'anno?
— No: _Gringoire_ s'è azzoppato.
— E Luisella?
— Non è da corsa a galoppo: l'ho allevata al trotto; e non la sciuperò
mai in un ippodromo.
— È buona..., lei?
— Oh sì!
— Senza vizi?
— Un tempo adombrava delle biciclette: adesso, più.
— Bella, è bella — dovè ammettere un po' a malincuore Claudia. Indi
chiese: — Siete venuto qua con lei? con la _charrette_?
— Sì.
Che capriccio le veniva? Andò alla finestra; disse:
— Se non piovesse..., vorrei conoscere anch'io le virtù di Luisella.
— Facciamo una trottata! — gridò Gianni.
Il cielo, a sua consolazione, si rischiarava; non sgocciolava più.
— Posso fidarmi?
— Di Luisella? Garantisco!
— E di voi?
Da uomo leale Gianni tacque prima di portare una mano al petto; ma poi
rispose: — Sì.
.... Andarono per la diritta via, che la puledra, con trotto uguale,
ampio e sonante, sorpassava recando nella _charrette_ il signore e la
signora.
Provava questa il piacere d'un sollazzo fanciullesco e quegli d'un
rapimento giocondo; e l'uno sussurrava e l'altra ascoltava vezzose
apostrofi: — Biondina...; birichina...; capricciosa...; cattiva, etc.;
— mentre l'aria, risentita dell'autunno e rinfrescata dalla recente
pioggia, al veloce incontro suscitava nel loro sangue brividi di
delizia.
— Yop! Via, Luisella!
Luisella volava.
— Mi comprendete, oggi? — chiese Gianni, a un punto, con nuova dolcezza.
E Claudia:
— Comprendo il piacere d'aver domato così bene questa bella bestia.
— Oh c'è una gioia più grande: domare un angelo!
— Difficile impresa per un uomo!
— No: per un asino come me, che ha soggezione di voi anche oggi!
Gianni s'adirava.
— Un altro non si sarebbe messo una mano al petto....
— E io, allora, non mi sarei fidata. Dunque, buono! e.... sperate. Da
bravo! Dicono che Amore faccia miracoli.
Divina creatura! Quando parlava sul serio, non si poteva crederle; ma
quando scherzava, persuadeva.
Rassegnato, tratto tratto Gianni si specchiava negli occhi di lei,
ove gli pareva vedersi più vivo e più bello, o attendeva a vedere come
l'aria lusingava que' fini capelli biondi. Intanto Amore preparava il
miracolo.
Ecco: modestamente la signora, fra quelle carezze, e arditamente
Luisella, guardavano innanzi per la strada diritta e libera, mentre
Gianni guardava da un lato; e non si sa quale delle due prima,
Claudia.... — oh Dio!...: una bici.... — vide; e Luisella, a tal
vista — una bicicletta! — sbalzò, per voltare indietro...; voltò. Un
indefinibile, duplice grido: l'urto della ruota a un paracarri: la
fredda, rigida sensazione d'un istantaneo volo, d'un rapido rovescio,
d'una botta tremenda a terra per cui l'anima s'insaccasse e profondasse
nel corpo e il corpo si schiacciasse.... Tutto ciò in due secondi! La
catastrofe d'un sogno mortale; la realtà d'un salto mortale!
Dal cielo in terra! Gesummaria, che disastro! In terra, fermi, inerti,
tutti e due; anzi, tre, con la _charrette_ senza stanghe.
.... Nè prima Gianni ebbe certezza di non essersi rotto nulla, che si
vide appresso, morta, Claudia; vide quel della bicicletta accorrere a
loro; vide già lontana lontana correr via, maledetta!, Luisella; poi
non vide più che la signora, morta!
— Claudia! Claudia! — invocava disperato, anelante, bianco di terrore
in faccia, e tutto inzaccherato. Ma il ciclista giungeva avvertendo: —
Io medico! medico, io! —; e affannoso anche lui, colui s'inginocchiò
a slacciare il busto della poverina e a richiamarla in vita; mentre
Gianni, che non aveva mai vista una donna svenuta, si strappava i
capelli e ripeteva: — Morta!
Ma ecco il miracolo: rinvenne: sospirò: emise un gemito lungo....
— Rotta! — fece lo straniero nel deporla con cura.
Gianni lamentava: — Claudia! Claudia! Ah sì! la poverina s'era rotto
un braccio! Ora bisognerebbe descrivere l'animo di Limosa, in cui
combattevano e si confondevano la voglia di ammazzare il ciclista
a pugni, e dolore, amore, disperazione, speranza; bisognerebbe
rappresentarlo nell'angosciosa attesa della carrozza mandata a prendere
alla villa per un contadino; ma sarebbe cómpito arduo non meno che
rintracciar le parole italiane, francesi, tedesche con cui quel medico
straniero pregava la pericolata che facesse il piacere di ricuperare i
sensi per non ismarrirli di nuovo, subito dopo. Tre volte ella tornò in
sè a gemere, da sul cuscino, ch'era caduto con loro dalla _charrette_;
finchè alla quarta rimase, più dolente e piangente, in vita.
Adagiatala, quando Dio volle, su la carrozza — poichè il forestiero
raccomandava di portarla al luogo più vicino — la trasferirono senza
scrupolo a Villa Limosa. Del resto, il medico ciclista la credeva
moglie del signore. E con gran premura accertò Gianni che, fuori del
braccio, _votre femme_ non aveva patito danno notevole; e si compiacque
a fare lui, benissimo, la fasciatura; e lasciò qualche consiglio pel
collega italiano che arriverebbe dal paese; e dimandò, a solo compenso,
la firma nell'_album_ dei ricordi. Infine, lieto d'essere stato utile,
saltò in bicicletta e buon viaggio! — Al diavolo!
Era a quel che aveva detto e a quel che si seppe poi, un medico di gran
nome; il quale per provare i benefizi della ginnastica e per convincere
della sentenza _mens sana in corpore sano_ faceva il giro del mondo in
bicicletta.

IV.
Il giorno dopo Claudia chiamò Gianni e gli disse:
— Iddio mi ha castigata, amico mio!
A che, triste, l'amico:
— Ci ha castigati tutti e due; purtroppo!
— Avrei preferito — essa aggiunse — rimetterci il braccio che offendere
il mio buon nome. Pensate: sono in casa vostra!
Ribattè Limosa:
— E io? tocca a me rimediare!
— Io — soggiunse la signora — sperava di non rimaritarmi se non di mia
spontanea volontà.
— E io — ribattè Gianni — non voleva sposarvi prima di esser certo di
tutto il vostro amore.... Claudia — pregò —, me ne date almeno un poco?
Ella tacque; poscia rispose:
— Sono così dolente della percossa che non ho più forza di sentir
altro. Lasciate che mi ricuperi l'anima, che possa riflettere, che mi
ricordi.
Più tardi lui tornò da lei; ed ella gli disse come se dicesse una cosa
buffa:
— Mi ricordo che quando mi parve d'andar per aria e invece andavamo in
terra, sentii che con voi morivo volentieri.
Ah! quale allora il cuore di Gianni! Ella lo amava! lo amava sul serio!
Così, finalmente, un purissimo bacio fu suggello alla promessa fede di
quelle due anime oneste.
Dopo il quale, Gianni corse nella scuderia a veder Luisella; e, a
vederlo, Luisella, ch'egli aveva bastonata a furia, nitrì senza rancore
e senza rimorso.
Se la puledra avesse perduto il vizio, Claudia si sarebbe mai accorta
di amarlo fino a sentire di morir volentieri con lui?
No. Dunque il grave odio, l'ardente ira da cui il giorno prima egli era
stato infiammato contro Luisella, non solo per la caduta di Claudia ma
per la ricaduta d'essa, la puledra, nell'antico fallo (e se non fosse
stata una bestia, certamente l'avrebbe uccisa), ora divenne fervida
e carezzevole riconoscenza. Gianni Limosa abbracciò al collo la sua
cavalla.

V.
Appena in grado di levarsi la signora partì per la città ad affrettarvi
i preparativi delle nozze e la riparazione dello scandalo: questo
tanto più ingiusto in quanto che era seguito a una disgrazia grave. Ma
incrudelivano nelle chiacchiere i vecchi compagni di gioco; e quindi
una nuova ragione per Limosa a detestare le carte. Egli, in quel
mentre, rimeditava la purissima luna di miele anticipata; le ore di
felicità trascorse al letto dell'inferma quando, parlassero o stessero
cheti, sì dolci cose s'erano dette.
Era un fenomeno stranissimo: pareva a Gianni che Claudia si adattasse a
lui con le parole, gli sguardi, i sorrisi, le intenzioni del pensiero
e dell'animo; nè avvertiva che lui s'adattava a lei, s'ingentiliva,
poetizzava sè medesimo; e parlava a voce sommessa; e camminava in punta
di piedi....
Come ebbero risoluti tutti i problemi della felicità avvenire e scelti
i luoghi da stare durante le quattro stagioni, e i viaggi da fare, e
i metodi da tenere nell'educazione dei figlioli maschi e femmine, e
contenuti i trasporti d'amore, per divagarsi si eran dati alle Letture.
Limosa leggeva _I tre Moschettieri_, ritrovandosi non in Porthos, a
cui rassomigliava un poco, ma in D'Artagnan; ed ella trovando lui in
Aramis, al quale non rassomigliava affatto. Oh la beatitudine di quelle
ore!; la gioia di comprendersi a vicenda, di conoscersi ogni dì meglio!
Inutile dire che le carte non eran state desiderate dalla signora, la
quale avrebbe dovuto giocare (ohibò!) con un braccio solo e sul letto;
e che il buon Limosa alle carte quasi non ci pensava più. Pensandoci
diceva tra sè: «Se mi sbagliai nel metodo di correggere Luisella, che
è una bestia, non sbagliavo certo per Claudia, che è un angelo. Nessun
dubbio che dalla mia abnegazione era già nata la pietà, e che dalla
pietà sarebbe venuto l'amore. Luisella però — che sia benedetta in
eterno! — l'ha fatta innamorare e guarire del vizio in un colpo solo.
Adesso posso star sicuro che di gioco non se ne parlerà mai più.»
Infatti chiodo scaccia chiodo, o un diavolo scaccia l'altro.
Compiuti dunque i preparativi, subito Claudia telegrafò: _Sono pronta_;
e Gianni, che era pronto da un pezzo, accorse....
*
.... I testimoni e i congiunti più stretti hanno accompagnati gli
sposi alla ferrovia, ammirando la disinvolta esperienza nella sposa,
la semplicità d'uomo un po' inesperto in certe cose di circostanza, ma
sicuro di sè, nello sposo. E senza lagrime si affrettan gli addii; sono
giocondi gli auguri di buon viaggio.
_Tatà_.... Un fischio.... Partenza!
Nè il treno è ancor fuori della tettoia che già lo sposo tira le
tende della carrozza, forse perchè il sole a loro festa dardeggia i
cristalli, o perchè non gl'importa, a Gianni, della veduta esterna.
Or come la sposa lascia cadere il mazzo di fiori, che effondono una
fragranza soverchia, lo sposo mormora:
— Finalmente soli! liberi! Sei mia, Claudia! Legàti per sempre! Oh
Claudia!
Ella sorride in un modo, in un modo....
Ma ecco: si alza, si svincola; e mentre col braccio risanato trattiene
lui e l'impedisce, dalla tasca del mantello trae fuori un pacchetto, e
mostrandolo vittoriosa, gloriosa, irresistibile:
— Facciamo una partita?


Doni nuziali.

I.
.... — Gioielli, no; che a te come a me non piace il lusso; e neanche
alla sposa, speriamo. Dunque?
— Ma niente, zio.... Non si disturbi!
— E tu dàlli! Torno a dirti che non voglio sfigurare in faccia a
nessuno. Cosa daranno i parenti della sposa, quelli così signori? E i
testimoni?
— Ma....
— Eh eh! Me l'imagino: chi la spilla, chi le boccole, chi il monile....
Vedrai...: sciocchezze, grandezze! moda! fumo, insomma! Ma se io avessi
preso moglie (non l'ho presa perchè le donne costano), primo patto:
fuori di casa i parenti della sposa, i parenti alla moda!
— Già!, chi potesse....
— Niente regali! nessun obbligo, con nessuno! Perchè, si sa, i parenti
che non hanno più cuore che quattrini, presto o tardi ti fan scontare
le carezze e i regali. Ma io....
— Oh sì! lei è buono; mi ha sempre voluto bene.... — interruppe
Terpalli.
— Mio dovere. Dunque?
— Non so....
— Al corredo ci avrà pensato la mamma della sposa; alla mobilia ci hai
pensato tu. Scommetto anzi che hai provveduto a tutto, da bravo omino;
che non vi manca proprio nulla!
— Ho fatto il possibile...; ma provvedere a tutto.... capirà....
— Ti bisognano tovaglie e salviette? Hanno aperto un bel negozio in via
Garibaldi....
— No: grazie; ne abbiamo.
— Seggiole?... Tende?...
— Grazie....
— Che imbroglio, Signore Iddio! Parla! Di' su! spiegati!
— Faccia lei!... Quel che vuole....
— Quel che voglio? Io non voglio niente, io! L'orologio? l'hai.
Vestito, sei vestito.... A meno che non ti bisognasse.... Oh! Vuoi un
bel lume?
— Piuttosto...; giacchè lei è così buono, se crede...; se non le par
troppo...; anche la Gigia gradirebbe «un servizio da caffè».
Pareva avesse invocata una cosa dell'altro mondo!
— Un servizio da caffè? — esclamò lo zio.
— Prendete il caffè voi altri?... Non vi dà ai nervi?
— Ma.... per gl'invitati; per qualche amico che capiti, alle volte....
— Bene bene! Vada per il «servizio »; conforme, però, alle mie povere
forze; se vi contenterete....
Contentissimo, Gustavo Terpalli invitò lo zio alla colazione nuziale;
lo scongiurò che non mancasse.
Poi quando egli fu giunto di corsa dalla fidanzata, ed ebbe detto a
lei e alla madre del casuale incontro con lo zio Tarabusi, tutti e
tre scoppiarono in una risata gioconda. Infatti, da che aveva avuta
notizia del prossimo matrimonio, lo zio sfuggiva il nipote — al quale,
scontroso e timido, rincresceva andare a cercarlo — e per risparmiarsi
il dono di nozze si sarebbe nascosto sotterra; quantunque fosse
pieghevole ai rispetti umani e sempre dubitasse di apparire avaro come
era.
— Figuratevi con che aria mi diceva «me ne rallegro!»; con che inchini
ha risposto all'invito della colazione, e con che bocca mi ha detto (e
Terpalli boffonchiava): «Grazie! Vedrò..., potendo.»
La fidanzata rideva sino alle lagrime e le sembrava vedere quella
faccia nuda e tonda simile a quella d'un comico, e il lungo soprabito,
e gl'inchini....
— E figuratevi come è diventato rosso a udire chi sono i vostri
parenti. Ah ah! signori!... signoroni!
— E il regalo? — domandò la mamma.
— L'ha proposto lui!
— Lui?
— Lui? Che cosa?
— Eh! dopo mia lunga tiritera..., per non cascare in cose di troppo
costo..., ha offerto.... un lume!
La Gigia battè le mani.
— Io invece mi son fatto coraggio e gli ho domandato un «servizio da
caffè».
— Bravo! — esclamò la Gigia. — È meglio! molto meglio!
Ma la madre scosse il capo.
— No. Era meglio il lume.
— Scusi — ribattè Gustavo —; ieri sera non diceva anche lei che
il «servizio da caffè» ci sarebbe necessario? Chi deve pensare a
regalarcelo?
— Una bella lampada nel salottino ci vuole: l'ho detto sempre —
insisteva la vecchia. — Adesso è fatta....
— La compreremo.
No e sì. Comprerebbero piuttosto due candelabri. Sì e no. Ma l'orologio
avvertì Gustavo che era trascorsa l'ora, perchè aveva perduto tempo con
lo zio.
— Addio, Gigia; addio, mamma....
E via.
.... Povero e bravo Terpalli! La buona volontà, la nativa tendenza ai
protocolli e ai libri mastri, la mano calligrafica e il bisogno gli
consentivano poco più di mezz'ora ogni giorno e di un'ora ogni sera
agli amorosi colloqui con la sposa e con la suocera. Oggidì quanti
giovani potrebbero enumerarsi che stiano dalle nove alle quindici in un
ufficio comunale; poi dalle sedici alle diciotto e quindi dalle venti
alle ventidue in un ufficio privato, ove senz'astio, tranquillamente,
sommare rendite e spese d'un conte milionario? A un uomo che si
sottoponga a così disumano lavoro e che non scorga al suo termine
una oasi o un giardino fiorito, non la gloria, non la ricchezza, ma
sempre cammini con passo uguale per una pianura uguale sempre, per un
deserto lungo una vita intera, a un tal uomo non basta il conforto di
fumare qualche sigaro. Troppo poco! Era destino che Gustavo Terpalli
si ammogliasse. E, per economia, egli smise anche il vizio di fumare;
e guai per lui se non fosse incappato in una donnina savia: Ma in fatto
di mogli la fortuna, che in altri generi talvolta sembra parziale per i
birbanti, è imparziale e davvero cieca con tutti. Terpalli aveva potuto
chiamarsi fortunato e restare un onesto ragazzo quand'era venuto ad
alloggiare in casa d'una umile vedova, la cui soave figliola sentiva
volare il tempo senza speranze di nozze e di vita.
Proprio la ragazza adatta a lui! Egli era magrolino e timido d'animo
come di baffi, che radi radi sotto il naso acquistavano un po' più
di vigore solo agli angoli della bocca; e la Gigia era piccolotta e
grassoccia, molto timida fuori di casa, e con un po' di peluria anche
lei agli angoli delle labbra. Finchè, un bel giorno, alla dimanda della
vedova: — Perchè non prende moglie, signor Terpalli? —, egli aveva
risposto guardando alla figliola:
— Ci penso spesso, all'ufficio. E lei? (Non osava dire «signorina».)
La ragazza era arrossita sino alla gola ridendo commossa, eccitata dal
suo stesso pensiero che le occhiate patetiche e fuggevoli del giovane,
nei dì addietro, non dissimulassero un inganno; e, poverina, per trarsi
d'impaccio e giustificare quel riso disse una stupidaggine:
— Se ci penso.... all'ufficio?
Parve una canzonatura; per cui Terpalli, un po' permaloso, aveva
scosse le spalle e tenuto il broncio quasi una settimana. Dopo,
si pacificarono con nuove occhiate; e poi la dimanda alla madre, e
l'assenso.
Ed era una consolazione a vederli, quei ragazzi; così di rado la
fortuna aiuta con indulgenza e prontezza due cuori a intendersi
e ad appagarsi pienamente l'uno dell'altro. Che se l'amore buono
è interpretazione, chiaroveggenza reciproca, presentimento e
consentimento, è telepatia, l'amore della Gigia e di Gustavo Terpalli
era un perfetto amore. Pensava l'uno durante le ore d'ufficio:
«Cosa farà adesso?... Adesso ripulisce i miei panni; aiuta la mamma
a spolverare». Oppure: «Cuce per il corredo; discorre con la sarta».
Oppure: «Attende al desinare.... Batte il prezzemolo.... Ohi ohi!:
affacciatasi per caso, un momento, alla finestra, un giovanotto la
guarda...; e lei, via!; scappa. È un angelo!»
E l'altra pensava:
«Cosa farà?... Mette lettere a protocollo; registra un _atto_;
_esaurisce una pratica_; sbriga un importuno.... Oh Dio! Scrive per il
conte, di nascosto, tanta ha voglia di spicciarsi stasera.... Ma se lo
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