Galatea - 09

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fiorente per arti gentili. Ma in verità ignoravamo che il suo concerto
musicale fosse di tal forza, come noi l'abbiamo potuto sentire
poc'anzi. Porteremo, o signori, un'eco fedele delle vostre glorie a
Corsenna. Così potessimo sperare che voleste voi portarci il concorso
della vostra valentia, nella occasione di una accademia di
beneficenza, che stiamo preparando colà.--
Anche la mia idea piace, è accettata dal maestro capobanda, e
acclamata da tutti. Da tutti? mi spiego; anche qui mi è mancata
l'approvazione di Galatea, o, se pure l'approvazione c'era, non mi è
stata manifestata nelle forme convenienti.
--Ma che cosa ne sa Lei, dell'accademia?--mi chiese ella poco dopo,
con la sua aria scontrosa.
--So tutto io, signorina; il mio angelo mi dice tutto;--risposi.
--La contessa l'ha informato.
--Prima di tutto, la contessa non è il mio angelo; in secondo luogo
non so niente da lei.--
Le ho resa la botta dell'inglese, ed ella ne è rimasta un po'
sconcertata. Ma non più; si parte finalmente. La contessa mi vuole
nella sua giardiniera, forse in premio della storia del frate e
dell'invito al concerto musicale di Dusiana. Galatea, ch'era già
salita con lei, non ha più modo di andarsene. Quanto a me, non
accetterei; ma ci ho qui i miei tre noiosi; voglio averli sotto mano e
patullarmeli anch'io, se mi riesce. Filippo, per non destar gelosie,
va nell'altra giardiniera colle Berti. La contessa Adriana, in verità,
ci ha perduto molto nel cambio. Son nervoso, irrequieto, fastidioso,
pronto all'attacco, più pronto alla risposta, non lascio passar niente
a nessuno; e mi sopportano tutti, perfino il Dal Ciotto, che due volte
minacciato ricusa il ferro e dà indietro. La contessa, con ammirabile
pazienza condita di grazia, mette pace da per tutto. Ah che giornata!
che giornata d'alti e bassi, come tutte le giornate della misera vita!
Ma per tutti gli Dei infernali, io non sono mai stato così poco
contento di me, come quest'oggi.
--Ricapitoliamo;--ho detto a Filippo, quando finalmente ci siamo
trovati soli al Giardinetto.
--Ricapitoliamo;--m'ha egli risposto.--Quanto a me, ti confesserò che
ho passato una buona giornata, lasciandomi vezzeggiare e osservando la
mia gente. Mi sono trovato bene, come un pesce nell'acqua.
--Ed io come un pesce nell'olio.
--Friggendo, non è vero? Ti ho ben visto qualche volta. E non hai
avuto occasioni di rompere con nessuno?
--Le ho cercate, ma ho fatto fiasco. Ho detto a Enrico Dal Ciotto che
si chiamano decadenti in arte solamente quelli che non sanno star
ritti; ed egli non è andato in collera. Gli ho detto che le cravatte
larghe le portano i petti stretti e mal formati....
--E lui?
--Mi ha risposto ch'era in tutto e per tutto della mia opinione.
--Ah! quello è il più duro dei tre. E gli altri?
--Ho domandato al Cerinelli perchè ridesse; e mi ha risposto: per la
semplicità del contadino; ma Lei, come ha parlato bene, Lei!
--Di bene in meglio. E il terzo?
--Non gli ho detto niente, mi sono disanimato.
--Tasta ancora quell'altro. È forse l'incaricato, il sorteggiato della
combriccola. Quantunque, noi forse facciamo loro un onore che non
meritano, immaginando che abbiano delle idee di battaglia.
--Oh, per questo, non ne dubitare, le avrebbero. Ma io incomincio a
temere che la contessa Adriana li abbia catechizzati, minacciandoli di
ritirar loro la sua grazia, se mai si arrischiassero a leticare con
me.
--Lo saprò;--disse Filippo.
--Tu?
--Io, sì; sono invitato per domattina al Roccolo.
--Ah, bene; e ci andrai sulle dieci, m'immagino.
--Sì, se pure vorrai darmene licenza.
--Io? figurati! Sai bene quel che ti ho detto. E, a parlarti
sinceramente, andando tu, mi liberi da un falso obbligo.
--Che cos'è un falso obbligo?
--Il dubbio sciocco di credersi necessario, il timore vanitoso che la
tua mancanza sia notata e faccia dispiacere alla gente. Per questo
dubbio, e per questo timore, quante volte si va dove non si vorrebbe
andare! quante cose si fanno, che non si vorrebbero fare! Da bravo,
dunque, vai tu.--


XIV.
Il prologo... e l'epilogo.

_18 agosto 18..._
Questa mattina il mio dolce Filippo è uscito di casa alle nove;
avviato al Roccolo, si capisce, dond'è ritornato sul mezzodì, mentre
io finivo di buttar giù il racconto della gran giornata di ieri.
--Tre ore di conferenza! Mi congratulo;--gli dissi.
--No, sai; mezz'ora per andare, con tutto il comodo mio, e mezz'ora
per ritornare; son dunque state a mala pena due ore. La contessa
avrebbe voluto trattenermi a colazione; ma io mi sono scusato, essendo
in balìa del mio ospite ed amico. Per una prima visita ho voluto esser
breve; mi rifarò un'altra volta; sempre che,--soggiunse maliziosamente
Filippo,--non ti dispiaccia la cosa.
--Ma no, ma no; quante volte l'ho a dire, che non mi dispiace, che
anzi mi fa un piacer matto?
--Del resto,--rispose Filippo,--la tua dama è sciocca, quasi tanto
sciocca quanto è bella. Mi ha parlato d'armi a tutto pasto; non
sapeva, non voleva parlarmi che d'armi. Io tentavo di fare qualche
scorreria nel campo letterario, che non è veramente il mio forte; ma
lei, non dubitare, mi levò sempre l'incomodo, ritornando alle armi.
--Avrà voluto tastarti.
--Che! Lo Spazzòli, se mai, le ha fatto ben capire che sono un ammazza
sette e uno stroppia quattordici. Avrà creduto piuttosto di farmi
piacere, mostrando di trovar gusto nelle mie occupazioni favorite.
--Come ha fatto con me, parlandomi sempre di versi.
--Sicuramente. Quella donna, caro mio, è come gli specchi, non sa che
riflettere le immagini a cui si trova di rimpetto. Perciò mi ha detto
di non aver simpatia che per gli uomini animosi, per gli uomini
valorosi, pieni d'onore e di cavalleria; mi capisci? Tutte queste
belle cose erano là, rappresentate, incarnate nel tuo umilissimo
servo. Ah, che burlette! E bisogna aver l'aria di prenderle per buona
moneta. Mi ha domandato poi se mi sono mai battuto per una donna; ed
io penso di averla un po' mortificata, dicendole troppo presto di no.
Chi sa? forse l'avrò consolata, soggiungendo che non mi si era ancor
presentata l'occasione. La donna che amerò è certamente nata; guai a
lei se aspettasse ancora a nascere, perchè vorrebbe ritrovarmi già
troppo stagionato; ma il fatto sta ed è che io non ho avuto occasione
di far niente in onor suo. Qui, come ti puoi immaginare, un'occhiata
fosforescente, oh molto fosforescente. Che cosa vorrà dire? Lo
domanderò questa sera alle lucciole, che di queste cose se ne
dovrebbero intendere. Che bel tipo, la tua contessa! Hai ragione a non
esserti invaghito di lei; come hai torto, lasciatelo dire, a non
invaghirti dell'inglesina.
--Perchè?
--Perchè quella è una fanciulla d'oro.--Con la sua parte di lega,
vorrei rispondere; ma tengo prudentemente la restrizione per me.
--Caro mio,--gli rispondo in quella vece, io temo d'essere un po'
--stravagante e disadatto agli amori. Ricordi quello che disse la
--bella veneziana a Gian Giacomo Rousseau: "Zaneto, lassa star le done
--e studia le matematiche." Ed io medito il buon consiglio, senza che
--nessuna me l'abbia dato. Sai a che penso io? A scrivere il mio buon
--poema, che le sciocche gelosie dei tre satelliti mi hanno in mal
--punto interrotto.
--Facendo venir me a frastornarti dell'altro, non è vero?--soggiunse
Filippo.
--Che dici? Posso ben lavorar di mattina, e far molto; specie se tu
hai sempre l'uso di covare il letto.
--Quando si può, non si deve pretermettere questo piacevole e
saluberrimo uffizio. Alzarsi a bruzzico per lavorare, quando non ce
n'è bisogno, che idea! Peggio ancora, quando nessuno ce lo comanda,
quando nessuno aspetta i frutti del nostro lavoro. I posteri, mi
dirai. Ma io ti dirò che cosa faranno i posteri del tuo poema. Parlo
dei posteri di buon gusto, s'intende, e ricchi abbastanza per farti
onore. Ti faranno rilegare in pelle, con bei fregi d'oro; ed intonso,
mi capisci? intonso. Un libro intonso ha più pregio d'un libro colle
carte smarginate. Anche i pizzicagnoli, sai, li preferiscono intatti.
Ah, mio caro Rinaldo, dai retta, vivi e gusta tutto il prezzo
inestimabile della vita. Le tue vigilie, le tue clausure, non
profittando a nessuno, tolgono molta parte di gioia anche a te. La
gloria, risponderai. Ma che cos'è la gloria? Ne ho domandato ad un
uomo di grande ingegno, e mi ha detto sorridendo: la gloria è il
diritto, acquistato un po' caramente, di sentirsi legger la vita tutti
i giorni che fa Dio, cucinare a tutte le salse, negare la fantasia,
l'arte, l'intelligenza, il criterio, il senso comune, oggi a benefizio
d'uno, domani a benefizio di un altro, e così via, fino a tanto che
non venga un gran postero, armato d'una falce lunga lunga, e ziffe,
faccia di tutti un monte di fieno, per dar nervi e polpe ad un'altra
generazione d'animali.
--Sì, tutto come vorrai;--risposi un po' offeso, ma non sapendo lì per
lì che cosa ribattergli.--Ed hai poi saputo niente di ciò che
importava? Li ha catechizzati lei, i suoi tre cari satelliti?
--Non me lo ha confessato, ma l'ho potuto intendere egualmente.
Parlando di te, dicendo che sei molto gentile, non ha taciuto il tuo
difetto, nobilissimo difetto, di pigliar fuoco per nulla... come lei,
del resto, come lei. Passando ai tre satelliti, ne ha detto anche
bene; poveracci, tanto gentili, attenti, divoti e pronti ad ogni
cenno, ad ogni desiderio; ma ancora un po' gelosi, come tutti i vecchi
servitori, e poco benevoli, ad ogni nuovo venuto; ma non sgarbati,
finalmente, che questo ella non sarebbe donna da tollerarlo; solo un
tantino, un tantino... come dire? Aspretti, suggerii, parendomi che
non dovesse spiacere. Infatti, un sapore aspretto non esclude bontà di
frutto, nè di bevanda; e c'è l'amaro delle cento erbe, che fa bene
allo stomaco. Ci siamo accordati così, voltando la cosa in burletta e
passando. Ma io m'avvedo di esser capitato a tempo; perchè la contessa
non riescirà mica a trattenerli sempre, i suoi cani, specie se tu
sarai sempre aggressivo come ieri.
--Me ne compiaccio, e farò peggio ancora.
--Non dico di no. Ma bisognerà agguerrirsi, prepararsi di tutte armi
all'impresa. Hai sempre sicuro il tuo colpo a venticinque passi?
--Lo credo.
--Mettiti in esercizio, Rinaldo. Ed anche d'armi bianche, per non far
torto a nessuna.--
Oggi stesso ho fatto piantare in fondo al giardino un'asse di quercia,
sulla quale Filippo ha disegnato a grossi contorni di carbone un uomo
di giusta statura, veduto in tre quarti. Nel torace del nostro uomo
abbiamo segnato tre cerchi concentrici, ed uno, tanto per variare il
bersaglio, nel mezzo della testa. Filippo ha messo fuori le pistole,
con una diecina di cariche, ed io l'ho tutto consolato facendogli
quattro centri nella testa e cinque nel costato dell'avversario di
legno. Un colpo solo dei dieci aveva sgarrato di due linee, rompendo
sempre il mostaccio poco raffaellesco che mi aveva disegnato Filippo.
La pistola andava a quel dio. Si venne alla spada. Ma qui Filippo è
troppo più forte di me; non riesco a dargli che due bottonate, contro
dieci che ne tocco da lui.
--Va bene, va bene ad ogni modo;--mi dice egli, soddisfatto abbastanza
dei fatti miei.--Hai bisogno di scioglierti il pugno. Perciò, caro
mio, meno lavoro di penna, e lascia dormire il poema.--
Tra questi passatempi arriva l'ora del desinare. E dopo desinare,
tanto per affrettare la digestione, quattro assalti di sciabola, con
rispettive ammaccature. Qui sono più fortunato; lo tocco cinque volte,
contro sei che ne consegna a me; ed ho anche la fortuna d'essere stato
il primo a toccare, cosa che non m'era avvenuta alla spada. Ne son
felicissimo; e con la furia che metto sempre in tutte le cose mie,
decido di non fare più altro, mattina e sera, che scherma ed esercizio
di pistola. Filippo non desidera altro; è nel suo elemento. Molle di
sudore, mi rasciugo, come Carlomagno dopo le sue cacce d'Aquisgrana;
depongo l'umida maglia, ne indosso un'altra, e tutto il rimanente, per
andare con Filippo al sorbetto serale. Un po' tardi, però, troppo più
tardi del solito; e la cosa è notata dalle signore, con accento di
cortese rimprovero.
--Il mio ospite fa versi;--risponde Filippo;--ed io gli faccio la
corte, leggendoli.
--Ma non tutto il santo giorno;--osserva il commendator
Malteini.--Quest'oggi, passando davanti al Giardinetto, ho sentito
spari su spari; tanto che a tutta prima ho pensato ad una infrazione
dei regolamenti, non essendo ancora aperta la caccia.
--Io avrei il patentino, se mai;--rispose Filippo.--Ma nel fatto, non
si cacciava; ero io, che, non avendo un poema da scrivere, facevo i
miei quattro colpi quotidiani al bersaglio.
--Un bell'esercizio!--disse la signorina Wilson.--Mi piacerebbe tanto!
--Anche Lei, signorina, se crede, potrà contentare il suo desiderio
molto facilmente. Le porterò uno dei miei Flobert.
--Grazie! se la mamma lo permette....
--Per farti poi del male, bambina?...
--Oh, non c'è pericolo, signora, e la sua figliuola può esercitarsi
benissimo. La carica del Flobert è così minuscola, che non c'è nessun
timore di veder scoppiare la canna. Del resto,--soggiunse
Filippo,--non si potrebbe far meglio? Ci abbiamo l'accademia per
l'Asilo da allestire. Che cosa direbbero questi signori d'una gara di
pistola? Si potrebbe anche improvvisare una fiera di beneficenza.
--Sì, sì, una fiera; che bellezza!--gridarono le signorine Berti.--E
tutte le signore ai banchi; che ne dice, contessa?
--Credo bene che si ricaverebbe più denaro, che non dai biglietti
d'ingresso al concerto;--rispose la contessa Adriana.--Per me, ci sto
volentieri.--
L'idea, così naturalmente nata da una indiscrezione del commendator
Matteini, ottenne tutti i voti, parendo quella di tutti. Concerto
vocale e istrumentale, fiera di beneficenza, gara di pistola; perchè
non anche un'accademia di scherma? La giunta veniva da sè; ma parve
che la cavasse dalle profondità inesplorate della sua mente il divo
Terenzio Spazzòli, che, dopo averla proposta, si offerse per mandare a
prendere gli arnesi occorrenti.
--Se permette, ci penso io;--disse Filippo;--tanto, non ho niente da
fare. Sciabole, guantoni; maschere; ci sarà tutto. Così, negli
intermezzi del concerto, si potrà fare qualche assalto. Che cosa ne
dice, signor Dal Ciotto? Le garba?
--Sì, molto;--rispose quell'altro, lasciando cader le parole
dall'alto, come un uomo annoiato.--Quantunque, preferirei la spada. È
arma più elegante.
--Ha ragione; ma non bisogna rinunziare alla varietà, nè all'idea di
contentare tutti i gusti. Ci saranno anche i fioretti. Anzi, se mi
gradisce, mi offro fin d'ora a Lei per il primo assalto.--
Enrico Dal Ciotto fece un gesto cerimonioso d'assenso.
--Benissimo!--esclamò la contessa Adriana.--Tutti dunque a lavoro. E
voi Morelli?
--Un povero poeta, signora.... Che cosa potrebbe far egli?
--Il prologo del concerto, non vi pare! Un prologo in versi; è cosa da
poeti, per l'appunto. Vi sentite?
--Ubbidirò; ma chi vorrà recitarlo?
--Le signorine Berti mi paiono già destinate ad ordinare la fiera. La
signorina Wilson, che non ha ancora aperto bocca, potrebbe
incaricarsene lei.
--Bene, sì, Kitty!--gridano le Berti.--Lo recita Kitty.
--No,--risponde la signorina Wilson,--non mi sento da tanto. Perchè
non puoi recitarlo tu, Adriana?
--Se non vuoi tu, se altre non vogliono, dovrò bene adattarmi a
recitarlo io;--conchiuse la contessa.--Purchè il signor Morelli non mi
faccia dei versi troppo difficili, come usano ora! Ho poca ritenitiva,
e in quello che non capisco mi ci confondo troppo. Ancora, vorrei che
i versi fossero rimati a due a due, per aiutar meglio la memoria.
--Sarà fatto come volete, e come avete il diritto di volere, poichè vi
piace di recitare una mia composizione, che sarà, al solito, una
birbonata.--
L'allusione va al mio Aristarco, che non batte palpebra, ma è verde
dalla rabbia. Oh povero Dal Ciotto! e perchè non gliel han detto a
lui, di scrivere il prologo? Ne avremmo sentite delle belline.
Egli, del resto, si è quasi scelta da sè la sua parte, tra gli uomini
d'arme, e non bisognerebbe incomodarlo per altri uffizi. I suoi due
compagni di satellizio hanno accettato di aiutare le signorine Berti
nella invenzione dei premii umoristici, per la inevitabile lotteria
che accompagna le fiere di beneficenza; ed anzi ne è la chiave di
volta, dove scarseggiano le venditrici lusinghiere, onnipotenti, e le
borse disposte a lasciarsi taglieggiare. Il commendator Matteini
s'incarica di scrivere i numeri nei polizzini da estrarre. Quanto alle
carabattole da mettere in vendita, ne promettono tutti la parte loro;
e certamente vuol essere una ricca mèsse di novità, di archilèi, di
gingilli, di cianciafruscole, di balocchi, di piccole utilità ed anche
di inutilità, per le quali si spoglieranno tutte le botteghe dei paesi
vicini, incominciando da Dusiana. Il concerto, per la parte
istrumentale, avrà il sostegno della banda che ho scritturata io, con
tanta prontezza, levata a cielo dalle signore: ma ci saranno anche i
tre mandolini delle Berti. Non sapevo ancora di questa dote musicale
delle signorine; ma già, qual è oramai la casa signorile dove non
trionfi il mandolino, accanto al pianoforte? E con accompagnamento di
due mandolini, la maggiore delle Berti, deposto per un istante il suo,
canterà due canzoncine spagnuole; magari quattro, se ad ognuna delle
prime ci sarà la richiesta del _bis_.
Abbiamo dunque già imbastito e messo in carta ogni cosa. Ci potranno
essere delle varianti, delle aggiunte, delle sostituzioni, ma nel
complesso ci troviamo ormeggiati. Manca il luogo adatto per il
triplice trattenimento, e a me sovviene la filanda, chiusa da parecchi
anni, che si potrebbe ottenere assai facilmente, in grazia del
santissimo fine. Andiamo per intanto a visitarla: nella morente luce
del crepuscolo vediamo quanto basta per collocare coll'immaginazione
trecento persone entro la gran sala squallida, che si potrà
rinfrescare d'una man di bianco e ornare alla meglio con frasche di
castagno e coi quadri dell'Asilo. La fiera si potrà mettere, per
maggior comodità dei Corsennati, sotto gli archi del porticato; il
tiro di pistola, in fondo al cortile. Tutto bene, adunque, anzi _all
right_, come ho detto stasera, chiudendo i lavori della seduta
preliminare. La signorina Wilson non potrà dire che sto disimparando
l'inglese.
--Hai sentito?--mi bisbiglia Filippo, mentre siamo in cammino per
ritornarcene al Giardinetto.--La spada è arma più elegante. Caro! te
la darò io, l'eleganza! Ma come c'è cascato bene! come ci son cascati
tutti! E bisogna darne merito al commendator Matteini, con quella sua
scoperta degli spari, che a te, m'immagino, sarà parsa a tutta prima
un'indiscrezione pericolosa. Avremo dunque tiro di pistola, assalti di
sciabola, assalti di spada, e senza lasciar credere che la proposta
venisse da noi. Vedrò dunque la spada di questo Dal Ciotto. Ma anche
tu, bello mio, da domattina, devi lavorar bene a rifarti la mano. Ci
hai otto giorni per esercitarti; e tanto faremo, che conteranno per
sedici, magari per trentadue.--

_25 agosto 18..._
Ed anche per sessantaquattro; tanto si è battagliato, dalla mattina
alla sera. Mio povero e caro _Don Juan_, non ti ho più aggiunto un
verso, non ti ho più consacrato un pensiero. Ma già, vedi bene che non
ho avuto neanche il tempo di scrivere una riga nel mio memoriale.
Pure, dei versi, ne ho fatti. Ma quelli, come dispensarmi dal farli?
Avrei voluto veder te, cavaliere garbato, quantunque briccone, se
Donna Elvira o Donna Sol ti avesse ipotecato per iscriverle il prologo
d'una accademia di beneficenza. Sarebbero stati versi diligentemente
torniti, non è vero? versi sonanti, galoppanti a coppie, versi d'_arte
mayor_, colla speranza di averne il premio, di dare il millesimo e
quarto nome alla lista spagnuola del tuo servitore Leporello. Io ho
scritto per niente, vedi; non avrei presa la penna, se ci fosse stata
l'illusione del premio. Ma già, io sono un cavaliere indegno di te;
fors'anche indegno di cantar le tue gesta, a quei carissimi posteri
che danno tanto sui nervi a Filippo.
Questo prologo è stato il lavoro di una mattinata, e temo che sarà una
birbonata senz'altro. Ma non potevo neanche tenermi troppo alto,
lavorar di fine, che avrei dato nel difficile; e il difficile alla
contessa Adriana non piace. Così è stata contenta; contenta lei,
dovrebbero dichiararsi contenti anche gli altri. E poi, subito ai
ferri. Tutti i giorni, dopo aver battagliato quattr'ore del mattino,
prima di battagliare altre quattr'ore del pomeriggio, alternando la
sciabola colla spada, e tutt'e due colla pistola, me ne vado pedinando
fino al Roccolo. È necessario, poichè devo imbeccare il prologo alla
mia recitante novellina. Curiosa declamatrice! e come mi fa disperare!
Quando parla, è naturale; quando recita, mi piglia un tuono e una
cantilena da disgradarne un canonico in coro. Ci ha pure la voce
nasale, che Iddio ci perdoni a tutti. Se almeno si contentasse di
cantare! È il difetto naturale dei martelliani; il metro a cui ho
dovuto attenermi, essendo il martelliano il verso dei prologhi.
Perchè, poi? Forse perchè il martelliano, dal Goldoni e dal Chiari in
giù, pare che si accompagni meglio colla cipria; ed è carità
incipriata quella che fanno le nostre signore nei loro concerti,
accademie, fiere e lotterie di beneficenza. "È carità fiorita" non se
ne dubita nemmeno "che rallegrando il cuore santifica la vita". E i
bambini cari? Oh, ci ho messi anche quelli, mi ci sono dilungato
"sulle bionde testine, speranze di Corsenna; gran terra, le cui lodi
si lascian nella penna; notando solamente, per non parervi senza la
virtù così rara della riconoscenza, che non abbiam ricordo d'un angolo
di mondo così verde e tranquillo, così caro e giocondo". Ah sì,
giocondo davvero! e caro, poi, caro come i miei martelliani.
Quest'oggi, salito al Roccolo per la penultima prova, gran novità; ci
ho trovata la signorina Wilson. Ha aperte le labbra e socchiusi gli
occhi ad un risolino malizioso; poi mi è diventata di sasso. Pure,
vedendo lei, avevo detto subito alla padrona di casa:
--Ah, bene; sono felice che sia qui la signorina Kathleen.--
Ella non ignora che preferisco il nome di Kathleen a quello di Kitty.
Ma neanche questo è bastato a rabbonirla.
--Perchè?--mi domandava frattanto la contessa Adriana.
--Perchè recitando il prologo avrete oggi per la prima volta l'idea di
trovarvi davanti al gentile uditorio. Finora non avete avuto da
recitare che davanti al maestro; chiamiamolo pure così.--
La contessa Adriana non badò più che tanto alla mia sottile trovata.
Badandoci un poco, avrebbe potuto rispondermi: "Vi è venuta ora,
l'idea? Non siete voi, signor Morelli degnissimo, voi per l'appunto,
che non avete voluto nessuno alle prove? neanche i miei poveri
satelliti, che per il vostro capriccio hanno dovuto cangiar l'orario
della prima visita? E ce n'è voluto, sapete, a persuaderli, tanto
erano pieni di stizza!" Così avrebbe potuto rispondermi, la signora
del prologo. Ma ecco che cosa avrei potuto replicarle io, e con un
gusto matto:
--Quei vostri satelliti io non li posso patire. E non già perché vi
fanno la corte, badate, ma perché mi dan noia. Non verrei da voi,
signora mia gentilissima, se non fosse la speranza di farne uscire
qualcheduno dai gangheri. Non voglio che nessuno s'immagini di potermi
metter paura, capite? Per ciò che riguarda voi e la vostra bellezza,
quanto più ci penso, tanto più mi avvedo di amar Galatea. Sicuro,
Galatea; non sapete chi è Galatea? Una gran birichina, che m'ha
scagliato un pomo, e poi è fuggita. _Et fugit ad salices._ E mi fugge,
insieme con lei, anche quel malandrino di Buci; l'ingrato, ch'ella si
tira sempre sull'orma. Dove vanno, ora? Non so; non riesco a
indovinarlo; certo, non vanno all'Acqua Ascosa, dove son ritornato
tante volte, senza aver mai la fortuna di combinarli, dopo quella gita
fatale con voi e dopo il mio stratagemma molto innocente e punto
necessario. Ah, signora, se sapeste come mi avete dato noia con
quell'incontro casuale al mulino, dove io passavo col mio Teocrito in
tasca, e pensando a voi come al gran Cane dei Tartari! Quella
passeggiata fu l'origine di tutte le mie disgrazie. Faccio l'uomo,
m'irrigidisco sotto la maschera, sto sulla mia; ma non sono contento
di me, com'è vero Dio, non sono contento di me. Passar io per un
vostro adoratore! Ma fossi matto! Con tutta la vostra bellezza,
consacro il vostro capo agli Dei infernali. Il punto d'onore mi
trattenne accanto a voi, il maledetto punto d'onore; ed ora anche il
prologo, che bisogna imbeccarvi con tanta fatica, avendo le orecchie
intronate dalle vostre cantilene corali, dalle vostre inflessioni
nasali. Maledettissimo prologo, che la signorina Galatea non ha voluto
recitare!--
Mi avrebbe lasciato giungere fin qua, la signora contessa? Credo di
no. Se mi avesse lasciato parlare così, le avrei detto ancora:
--Perchè (vedete, signora?) voi siete stata la pietra di paragone.
Proprio di questi giorni, legato in apparenza al vostro carro, ho
capito me stesso. E l'altro dì, quando Filippo, ritornato dal Roccolo,
mi ha raccontato che gli avevate fatte tante moine, di quelle che
sapete far voi, neanche una fibra si è scossa in tutto il mio essere,
non un capello si è mosso. L'amico mi ha soggiunto che voi gli diceste
assai bene di me, ma con certe restrizioni intorno al mio carattere; e
l'unica pena che io ne ho sentita è stata quella che di restrizioni
non ne aveste fatte di più. Sappiatelo bene; avevo bisogno di voi per
intendere come sia maravigliosa la semplice bellezza di Galatea. Voi
ci avete la fosforescenza, bellezza di lucciola, a cui è necessario il
contorno dell'ombra. Non dico che non siate bella anche al sole; parlo
così per necessità di compiere il paragone; intendo di dire che alla
vostra bellezza è necessario l'accompagnamento delle abbigliature,
delle acconciature, degli artifizi della moda. Tutto vi sta bene
egualmente, lo so; ma nel fatto non siete che un magnifico figurino,
anzi diciamo uno splendido modello di vimini, fatto a pennello nei
suoi contorni, per uso delle modiste. Quando si è capito ciò, non
occorre più altro. E si capisce in capo a tre giorni; dopo il qual
termine la vostra bellezza non dice più nulla ad uno che abbia
conosciuto Galatea, cioè la donna vera e la ninfa, il frutto
primaticcio che ha sapore in se stesso e non dallo zucchero in cui
bisogna giulebbarne tanti altri, il flore che ha una fragranza sua,
senza bisogno di opoponax e di pelle di Spagna.--
Che orrore! direste. Ma io, arrivato a questo punto vorrei proseguire:
--Notate che vedo e riconosco i difetti di Galatea. Ne ha; oh se ne
ha! Quella sua passione per tutti i giuochi, per tutti i divertimenti!
Bisogno irrefrenabile di moto, lo capisco; ma io, se fossi padrone di
quel cuore, non vorrei tanto moto, non vorrei tutto quel vivere fuori
del guscio, come fa l'argonauta; vorrei meno racchette, meno remi,
meno tuffi in acqua, meno balli, e un po' più di languore femmineo. Ma
è così giovane! più giovane del vero. Infatti, potrà avere vent'anni
d'età; e frattanto il suo pensiero ne ha quindici, con tutte le
mariuolerie, le impertinenze, i dispettucci di una bambina. Ah,
scellerata! non vorrei confessarlo, e l'adoro. Guai a me, contessa, se
queste cose io le dicessi a voi. Ma le scrivo nel mio memoriale, un
libro che apro io solo, che dovrò leggere io solo. E qui, tanto per
pigliarmene una satolla, aggiungo volentieri: _Long live the queen of
my heart! hurrah for Galathea! Galathea for ever!_--


XV.
Per quei cari bambini.

_27 agosto 18..._
La fatica è stata molta, quest'oggi, per condurre a buon fine
l'impresa, come in questi ultimi giorni per prepararla. Diceva bene
iersera il commendator Matteini, mettendo gli ultimi numeri arrotolati
nella gran ruota della fortuna, che il fare della beneficenza non è
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