Galatea - 12

Total number of words is 4673
Total number of unique words is 1687
35.9 of words are in the 2000 most common words
50.3 of words are in the 5000 most common words
56.3 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
--Non ti dirò queste cose, stanne certo.
--Sarà un error di giudizio e un difetto di cavalleria. Ma io voglio
ad ogni modo queste poche ore di tregua, per non aver rimorsi da parte
mia.
--Voglio! Ma sai che è una bella pretesa? In casa mia!...
--L'osservazione è crudele;--rispose Filippo.--Io sarei già alloggiato
alla prima ed unica osteria di Corsenna, se non fosse stato il timore
di uno scandalo.... prima del tempo. Anche questa ti perdono,
mettendola sul conto della tua follìa. A mezzogiorno, dunque, ci si
rivede.--
Così dicendo fece una girata sui tacchi, e se ne andò, lasciandomi
solo, con la mia letteraccia, che aveva gittata sul letto. La levai di
là e la deposi sulla scrivania, per restituirgliela più tardi. Ma
neanche più tardi l'ha voluta riprendere, quando ci siamo riveduti
dopo mezzogiorno, e dopo esserci ritrovati dello stesso umore di
prima.
--Se è per l'insolenza, non dubitare, l'ho avuta e me la
tengo;--diss'egli.--Ma il documento non mi è necessario; in mano mia
potrebbe smarrirsi, e nuocere alla tua riputazione letteraria.
--Lo scherzo è rancido, oramai.
--Allora abbi del nuovo; e non sia più uno scherzo, ma un rimprovero.
Non posso, nè voglio tener io, e forse smarrire una lettera come
quella, dove si nomina una persona.... la quale non ci ha dato il
diritto di servirci del suo cognome con tanta libertà.--
Era una bottata diritta; la ricevevo in pieno petto, e avendola
meritata. Però chinai la testa, senza rispondere.
--Che arma vuoi scegliere?--gli dissi.
--Non ho preferenze.
--Ma sei l'offeso.
--Io!
--Sì, tu; non ti ho scritta la lettera, che ti è dispiaciuta?
--Ebbene, che importa? Tu hai voluto offendermi, ed io non mi sento
offeso al punto di volerne vendetta. Io rido, per tua norma; rido
verde, giallo, pavonazzo, turchino, ma rido. Se vuoi ad ogni costo una
lezione, son uomo da dartela, hai capito? Ma non scelgo io l'arma, non
la scelgo, non la scelgo.
--Chetati, la scelgo io. La nera, ti va?
--Sia pure la nera: ma in questo caso bisognerà andar lontano sui
monti, o tra i monti, ed essendo ben sicuri di non aver gente sulla
linea del tiro.
--Non è necessario di andar lontano;--risposi.--Qui nel giardino, è
più presto fatto.
--Non è possibile.
--Perchè? se ci si tira al bersaglio, mi pare....
--Sicuro,--disse Filippo,--ci si tira al bersaglio, perchè c'è spazio
sufficiente, dalla casa al muro di cinta. Il tuo giardinetto è una
tabacchiera, mio caro. Ma qui, nel caso nostro, non sarebbe più un
bersaglio; sarebbero due bersagli, uno dalla casa al muro, l'altro dal
muro alla casa, col rischio, per colui che fosse dalla parte del muro,
di uccidere Argia, la tua cuoca, o Pilade, il tuo servitore; due
persone che non ti han fatto niente, ch'io sappia.
--Ebbene, alla spada;--conchiusi io, adattandomi ad un ragionamento
che non faceva una grinza.
--Alla spada;--rispose Filippo.
Andai subito a cercare le spade, che avevamo lasciate con le altre
armi nel salottino, e postele in croce ne offersi le due impugnature
al mio avversario. Egli ne prese una, ed io l'altra, muovendo tosto
verso il giardino. Ma egli non pensava a seguirmi; teneva la spada in
mano come una croce, ne guardava l'impugnatura e metteva un sospiro.
--Che?--gridai stupefatto.--Ti dispiace?
--Eh sì! pensando che le ho portate io.... È dura, sai!
--Rinunzia.... a lei.
--No;--proruppe egli, dandomi un'occhiata che pareva volesse passarmi
fuor fuori.
--Perchè, no? finalmente, che speranze hai?
--E tu?
--Capisco,--ripigliai,--che potremmo leticare così fino al giorno del
giudizio.
--All'infinito, dunque;--commentò Filippo.--A te non verrà mai, il
giudizio.--
Gli risposi con una spallata, e gli feci cenno di passare in giardino.
--Per che fare?--mi domandò.
--Per cominciare. Io butterò la mia giacca, tu butterai la tua, e
saremo subito in arnese di combattimento.
--Capisco. Ma i padrini?
--Che padrini d'Egitto!
--Uno, almeno; e si può averlo in mezz'ora. Ti va lo Spazzòli? Son
sicuro che non vorrà ricusarci il favore; almeno per la stranezza del
caso.
--Non voglio nessuno;--risposi.
--Ma tu sei più matto che io non credessi;--gridò Filippo
spazientito.--Va a fartela mettere da altri, la camicia di forza. Un
assassinio? Perchè un duello senza testimoni è un assassinio, mi
capisci? Se io fossi sicuro che tu assassinassi me, non protesterei;
ma perchè tra due rischi c'è quello ch'io ammazzi te, non intendo di
andare in corte d'assise e alla reclusione, per te e per le tue
follie. O un testimonio, o niente duello.
--Ma io di quei di laggiù non ne voglio.
--Ed io ti potrei dire che ci sono soltanto quei di laggiù capaci di
renderci il servizio, in Corsenna. Ma non voglio parerti desideroso di
salvarmi con un sotterfugio dai lampi della tua terribile spada. Mi
hai mortalmente seccato, e non vedo l'ora di farla finita. C'è Pilade,
in casa? Venga lui ad assisterci; gli diremo in pochi salti e brutti
il nostro bisogno, e sotto i suoi occhi c'infilzeremo come due
ranocchi. Ti va?
--Mi va. Ohè, Pilade!--
Pilade non indugiò a comparirci davanti.
--Sei stato soldato, non è vero?--gli dissi.
--Tre anni, nei bersaglieri;--rispose, mettendosi involontariamente
sull'attenti.
--Bene; e non hai paura?
--No, signor padrone; neanche di tre che scappino--
Filippo ride; ma non rido io, invelenito come sono.
--Benissimo;--ripiglio, e veramente poco in tuono colla risposta di
Pilade.--Tu ora ci vedi qui, il signor Ferri e me, desiderosi di
sbudellarci. Sì, e non c'è che ridire. Ci siamo offesi; nessuno di noi
vuol cedere d'un punto; decidano dunque le armi. Tu resterai qui
testimone, per poter dire al bisogno che tutto è passato d'amore e
d'accordo tra noi.--
Pilade balena un istante, ed ammicca. Il mio discorso non finisce di
piacergli.
--D'accordo, sia, non dico di no; ma d'amore.... signor padrone....
--Eh, intendi per discrezione. Voglio dire che siamo rimasti così tra
noi due, e che il duello si fa in piena regola.--
Un momento di riposo sarà necessario. La mano trema; le povere dita
intormentite portano la, penna fuori di riga. E poi, si avvicina l'ora
di andar laggiù.... anzi no, lassù; bisogna proprio dire lassù....
dove gli angeli stanno di casa.


XVIII.
Teste rotte.

_16 settembre 18..._
Ripiglio il racconto, lasciato ieri in tronco per cagione di queste
povere dita. Pilade era rimasto sbalordito, o fingeva. Sì, credo
proprio che fingesse. Quello è un ragazzo che non si sbigottisce di
nulla, e fa qualche volta il minchione per non pagar gabella; ma è un
furbo trincato. Egli dunque stette un poco sopra di sè, a bocca
aperta, come un vero baggeo; poi disse:
--Che discorsi son questi?
--Discorsi da matti;--risposi io.
--E noi siamo due matti;--rincalzò Filippo.--Che ci vuoi fare?
--Scusino;--riprese Pilade, ammiccando;--ma allora... L'ho a dire?
--Parla; hai libertà di parola.
--Allora... perchè non vanno al manicomio?
--Perchè...--risposi io, sconcertato.--Perchè i matti non ci vanno mai
colle lor gambe. E tu assisti frattanto al nostro duello.
--Duello!--esclamò Pilade, facendo bocca da ridere, da quello
scimunito che voleva parere.--Con quelle spade?
--E con che? con un par di stecchini?
--Eh, a tavola, per esempio... dopo aver ben lavorato di forchetta,
perchè no? Ma io volevo dire... volevo proporre... Oh, infine,
sentano, poichè m'hanno data libertà di parola... Io sarò un asino, ma
ho sempre sentito dire che un asino vivo val più d'un dottore morto...
ed anche, se lor signori s'infilzano, di due. Io dunque domando e
dico; se hanno delle bizze da sfogare, c'è egli bisogno di spiedi? Se
hanno da cavarsi il ruzzo dal capo, a che servono? Per rompersi la
testa serviranno meglio i bastoni. Dico a Lei, sor padrone, che na fa
uso così spesso e volentieri, di quei così lunghi lunghi; che fanno
stupire, ed anche, diciamo tutto, anche rider la gente. Ne taglia Lei,
ne taglio io per farle piacere; ce n'è una collezione, in saletta....
--Che dici?--esclama Filippo.--Continua.--
Ma l'altro non approfitta della licenza; si è mosso dal posto, andando
via come un lampo e sparendo dall'uscio vicino; come un lampo è
ritornato all'aperto, con una bracciatella di bastoni di nocciuolo,
ruvidi, rugosi, alti un metro e sessanta; tutti i miei bastoni
babilonesi, che a detta di Pilade fanno rider la gente. E rida la
gente; quando avrà ben riso schiatterà.
--Mi assaggino un po' questi;--dice il servitore, ammiccando da
capo.--Sodi, robusti, maneggevoli, cedono quanto basta, rimbalzano
bene, e dove toccano lasciano il segno. Con questi alla mano si
sfoghino, se ne diano quante vogliono, fino a tanto che potranno star
ritti. Io assisterò, e vedrò di contar giusto.
--È un'idea;--grida Filippo, inuzzolito.
--Le piace?
--A me sì; è semplice e pratica. Ma chiedine piuttosto al tuo padrone;
io non comando.
--Piace anche a me;--rispondo allora, incominciando a levarmi di dosso
la giacca.
Filippo si affretta ad imitarmi. Levata la sottoveste, deposti gli
orologi sopra un sedile, ci troviamo tutt'e due in maniche di camicia,
l'uno di fronte all'altro.
Qui poi bisogna veder Pilade, con la sua aria di papa Sisto dopo che
ebbe gittata la gruccia; bisogna vederlo raggiante, misurare i
bastoni, trovarne due di pari lunghezza, che non ci sia la differenza
d'un millimetro, offrirceli con un gesto largo, prenderne un terzo per
sè, levarlo in alto e piantarsi davanti a noi come maestro di
combattimento.
--Così, come in caserma;--dice egli.--Ma scusino la libertà grande;
con tutta la loro arte di scherma, penso che non faranno prodigi. Il
bastone è l'arma per eccellenza; lo diceva il nostro professore al
battaglione; ma è pure un'arma molto difficile.
--_Mastro Raffae'_, non te ne incaricare;--gli rispondo io.--Vedrai
che in caserma non si è mai fatto meglio di qui; e vorrai, spero,
esserci largo della tua alta approvazione.--
Volendo dimostrargli che la scherma del bastone non è poi l'arca santa
per noi, ci mettiamo in posizione, gli facciamo sotto il naso un
mulinello in piena regola; poi caschiamo in guardia, io di terza e
Filippo di quarta, invitandoci l'un l'altro coi soliti inganni
all'attacco di primo appetito. Ma nessuno dei due si lascia cogliere
alla lustra; vogliamo persuader Pilade che non siamo al bastone quei
novellini che egli s'immaginava, e procediamo per via di finte,
tastandoci, attaccando guardinghi e parando, scaldandoci a grado a
grado nel giuoco, accennando alla testa, alla faccia, sui fianchi,
facendo insomma tutto quello che è necessario tra schermitori
provetti. Intanto, a quel nuovo bisogno di associar le due mani in un
solo lavoro, si sciolgono i polsi, brillano i muscoli, guizzano, si
stendono e si contraggono i tendini, fulminando imperiosi ogni moto
che gli occhi vigilanti avvertano necessario alle membra in orgasmo.
Eccoci al punto buono; si colpisce strisciando qua e là, si para un
po' meno e si risponde di più, si picchia e si ripicchia, ora
alternamente ed ora all'unisono, come due battitori indefessi, quando
menano il correggiato sull'aia, e volano i colpi, rombano in alto,
calano impetuosi i randelli, nè l'occhio discerne più il manfanile
dalla vetta, non vedendo più neanche la gòmbina.
Quello che non si vede, qualche volta si sente; e come! In quella
cieca tempesta di bastonate, me n'è calata una sulle nocche delle
dita, che mi fa vedere, se non altro, le stelle. Inferocisco; mi
caccio sotto al mio avversario, ho la fortuna di guadagnar mezzo tempo
e di assestargliene una di sotto in su, che gli fa sgusciar di mano il
bastone. Ma non c'è da cantar vittoria; il mio avversario si china
rapidamente, abbranca il bastone, sguizza via prima che io passi dal
montante al fendente, torna all'assalto più infellonito che mai. Egli
a me ed io a lui, si picchia così sodo e così lungo, che i poveri
bastoni non ne possono più, gemono, si sfibrano, si sfasciano, a guisa
di canne peste.
--Ne hanno abbastanza?--chiede il maestro di combattimento.
--No;--brontolo io.
--No;--rugghia Filippo.
E vorremmo proseguire; ma Pilade ha posto in mezzo il suo bastone di
comando.
--Si fermino dunque un minuto secondo; dice egli, a mo' di
--conclusione;--e prendano due bastoni nuovi. Questi li hanno
--finiti.--
Si buttano i due avanzi miserevoli, si afferrano le due vette nuove
che Pilade ci porge con nobilissimo gesto, e giù da capo la gragnuola.
Pare che i bastoni nuovi ci abbiano rinnovate le forze. Sicuramente
hanno migliore la presa, e i colpi ci vengono più aggiustati. Vedo io
doppio come un toro infuriato, o Filippo è gravemente ferito? Certo, è
toccato alla guancia, tra l'occhio e l'orecchio destro, e il sangue
gli spiccia da uno strappo che mi pare assai lungo. Vorrei fermarmi, e
faccio intanto un gesto d'angoscia.
--Niente, niente;--grida egli, che ha capito a volo.--È una
graffiatura. Questi bastoni son troppo sottili, cedono troppo, e la
parata non serve sempre a sviare la botta.--
La grandinata ripiglia, e spesseggia. Ne busco la parte mia; ma niente
paura, son quasi tutte sulle braccia, e i muscoli enfiati le
rifiutano. Mi fischiano gli orecchi, dal sangue che mi corre veloce
alle tempia; sento confusamente una voce di donna che strilla, e
Pilade che grida più alto di lei:
--Tornate alle vostre cazzaruole; qui non è luogo per voi.--
Capisco, è Argia che ha sentito il frastuono ed è accorsa sbigottita
sull'uscio. Ma si è subito ritirata, obbedendo alla voce di Pilade,
che è per un momento il vero padrone di casa; e là, in un angolo della
cucina, pregherà il Signore e la Vergine benedetta per una coppia di
matti furiosi. Pilade si è chetato, e bada a noi colla sua solita
flemma; io non odo più altro che il respiro affannoso dei miei polmoni
e di quelli del mio avversario, in cadenza colla rovina dei colpi. E a
poco a poco mi mutan colore le cose; incomincio a veder rosso, sempre
più rosso nell'aria, e in mezzo a quel balenio di randellate che
paiono tante linee intrecciate nell'aria, gli occhi spalancati di
Filippo Ferri, che mi sembrano quelli di un grosso ragno appiattato
tra le fila concentriche della sua tela insidiosa. Sento e non sento
il suo bastone toccar me; sento e non sento il mio toccar lui. Che
importa oramai contare i colpi? Ai lividi si riscontreranno i conti, e
si aggiusteran le partite. Non è più un combattimento, è un
battibuglio, come alle nozze di Pulcinella. Ah sì, io che amo tanto le
legnate dei burattini, ho qui il fatto mio. E ancora io addosso a lui,
e lui a me, come due cani rabbiosi, che non ismettono per morsi che
tocchino, per brandelli di carne che perdano. Quando siamo troppo
sotto misura, balziamo indietro, o io, o lui, per saltarci addosso da
capo; nessuno vuol cedere, nessuno si guarda più tanto o quanto; si fa
a cozzare per cozzare, a colpire per la voluttà di colpire; vanno dove
le vanno, e chi le tocca son sue; è l'inferno scatenato, è il
finimondo, è l'ira di Dio. Poi... poi buio pesto e silenzio di tomba;
non ho più visto, non ho sentito più nulla.
Quando riebbi coscienza di me, ero nella mia camera, lungo disteso nel
mio letto. Mi guardai dattorno istupidito, non sapendo darmi ragione
di niente. Adagino adagino, quasi volessi vedere se ero io e non un
altro in quella postura, provai a muover la testa, e mi venne fatto;
le braccia, e mi sentii dolere dalle spalle alle mani; le gambe, e non
mi parve che rispondessero affatto.
Pilade era là, seduto in un angolo, ed io non lo avevo veduto. Si
alzò, al primo gesto ch'io feci, e venne a raccomandarmi di star
cheto.
--Ma che cos'è?--gli dissi, maravigliandomi un poco di sentir la mia
voce.--Perchè sono in letto?
--Oh, c'è da un pezzo, signor padrone. Non si rammenta di sei giorni
fa?
--Sei giorni!... Ah, sì, sono dunque passati sei giorni? Dove avevo la
testa?
--Nel ghiaccio, signor padrone, nel ghiaccio pesto, e grazie a Dio ce
ne siam fatti fuori.
--Bene...--mormorai;--bene! e... il signor Ferri?
--Anche lui, anche lui. Vadano là, se ne son date di buone. Mamma mia!
Pareva la gragnuola che avesse dato in un campo di zucche.
--Ti ringrazio....
--Scusi, dicevo così per dire. È il primo paragone che m'è venuto in
mente. Ma basta, non si stanchi a parlare, per la prima volta che le è
tornato il giudizio.
--Credi?
--Volevo dire il raziocinio, il sentimento, il che so io.--
Lascio correre l'annaspìo del signor Pilade, mio padron riverito, che
è dopo tutto un buon ragazzo, e che in questi giorni ha dato prove di
aver più giudizio di me. Mi cheto, come egli raccomanda, ed anche mi
addormento, dopo aver bevuto un sorso della pozione che mi offre,
senza sapermi dire che cosa ci sia. Due o tre ore dopo arriva il
dottore, che riconosco benissimo, e che è lieto di sentirmi parlare.
--Animo, via, le cose vanno benissimo.
--Se lo dice Lei.... Ma ci ho dolori da per tutto.
--Si contenti, si contenti. Quelli passeranno in due o tre giorni. Era
la testa, la testa, quella che mi teneva in pensiero; ma ora, sia lode
al cielo, sono tranquillo. Se lo lasci dire, signor Morelli, Lei ha un
cranio a tutta botta.
--E il signor Ferri, come sta?
--Discretamente, dal canto suo.
--Mi par di ricordare che n'avesse toccato una in testa anche lui.
--Dica pure due, con lacerazione cutanea, e non contiamo le
ammaccature. Ma non c'è niente di grave. Il suo amico si duole assai
più d'un colpo al ginocchio; dice, anzi, che non è stato di buona
guerra.
--Ed io, dottore? Che cosa dovrei dir io, che non posso muover le
gambe, tanto le ho peste?
--Oh, gliel'ho detto, non dubiti, ed ha dovuto convenire di aver
torto. Son colpi alla testa, ha osservato lui molto giudiziosamente,
colpi alla testa, ma che non hanno trovato il bersaglio, e son calati
giù a battere dove hanno potuto. Ma che pazzie, signori miei belli,
che pazzie!
--Ha ragione, dottore; ma almeno ci siamo sfogati. S'era fatta una
scommessa; ci eravamo dette delle male parole; capirà....
--Capisco, sì, capisco che hanno la gioventù nel sangue; ed anche,
aiutando il caldo della stagione, sono montati in furore. Ma non lo
facciano più; è insalubre.--
Ci son voluti dieci giorni a rimettermi in gambe, quanto bastava per
scender da letto. Filippo è venuto al settimo giorno in camera mia.
Evidentemente io ho avuta la peggio, se egli ha potuto alzarsi tre
giorni prima di me. Ma io, con una lacerazione al cuoio capelluto, non
ho segni in faccia; egli porta uno sfregio alla guancia destra, fra
l'orecchio e lo zigomo, con una sfumatura di livido. Deve essere stata
una brutta legnata, e ne porterà per un po' di tempo l'insegna.
Gli ho offerta la mano, ed egli l'ha stretta, ma subito pentendosi
d'aver fatto troppo forte. Infatti, mi ha veduto torcer le labbra, per
trattenere un grido di dolore. Queste povere dita, ancor oggi mi
dolgono, e fanno molto a tenere la penna. Il mio scritto è raspatura
di gallina.
Non sì è parlato di niente, come se niente fosse avvenuto tra noi.
Perchè tornare sul passato? Non è storia da dover tramandare ai
posteri, ed è già troppo che l'abbiano a ricordare i presenti.
Soltanto al decimo giorno, quando ho cominciato a muovermi per casa,
gli ho chiesto:
--Ebbene, che cosa si dice in Corsenna?
--Capirai,--mi ha risposto,--sono rimasti tutti un po' male; specie
per il fatto di non saperne abbastanza. Tutti domandano, prendono
lingua dove possono. Io ho inventato qualche cosa, che bastasse ad
appagare la curiosità dei più discreti; quanto agli indiscreti, vadano
a farsi impiccare. Pilade, da quell'uomo di giudizio che è, aveva
incominciato a creare la leggenda d'un nostro alterco, nato da una
questione di scherma; ed io, felicissimo della trovata, ho abbondato
in quel senso. Per tua norma, tu sei partigiano della scuola lombarda,
ed io della napoletana; ci sono queste due scuole, infatti, per la
sciabola, come per il mandolino, e tutt'e due la pretendono ad
insegnarci il miglior modo di romper la testa al prossimo. Cosicchè,
caro mio, se tu anteponi la napoletana alla lombarda, abbi oramai la
compiacenza di tenerti in corpo la tua opinione, perchè sarebbe tardi,
e mi faresti bugiardo senza alcun sugo. T'avverto ancora che non s'è
parlato di bastoni, chè tutt'e due ci saremmo diventati ridicoli, e
questo poi, senza rimedio. Ci siamo invece picchiati ed ammaccati
colle sciabole da sala, nella furia dell'alterco, ed anche un po' per
ismargiassata, non mettendo la maschera. Con questo ho giustificata la
mia graffiatura; quella che si vede, naturalmente. L'altra, che
"interessa il cuoio capelluto", come dice il dottore, è fortunatamente
nascosta, e il mio cuoio capelluto non ha nessun interesse a metterla
in piazza.
--Sei dunque uscito?--gli ho chiesto.
--Sì, ho fatto le mie visite, e per me e per te. Non mi crederai mica
un egoista!--
Sorrido e ringrazio; ma non ardisco chiedergli altro. Frattanto si
affaccia Pilade sull'uscio, e gli fa cenno.
--Che vuoi?--dice Filippo.--Ah, sì, ho capito; vengo subito.
--Segreti?--domando io.
--No, si tratta di una commissione. Vado e ritorno.--
Così dicendo, Filippo esce, e si richiude l'uscio dietro. Potrei
andare ancor io; ma non sono curioso, e rimango. Per altro, il
Giardinetto non è una caserma; è una palazzina di due piani; una
persona di più dell'ordinario si fa sentire, non può passare
inavvertita; ed io odo una voce d'uomo, voce nuova ed insolita, che si
alterna con quella di Filippo. Chi sarà mai? Mi affaccio alla
finestra, e la voce mi vien più distinta all'orecchio. "Si degni di
venir fuori, discorreremo più comodamente" ha detto Filippo; ed esce
infatti, e un signore lo segue borbottando. Chi sarà mai? torno a
dire; chi sarà mai? e che necessità di condurlo fuori?
Chiamo il servitore, e lo interrogo. Voglio sapere chi sia quel
signore, che è venuto a cercare il mio ospite, ed è uscito da casa mia
brontolando.
--Non faccia caso;--risponde Pilade;-è il suo fare, e credo che non
possa parlare altrimenti. Par sempre di sentire un rumor di tuono in
lontananza, quando sembra che voglia far burrasca, e la burrasca non
si decide. Quello è il signor conte Quarneri. Ma per carità, sor
padrone, non mi tradisca; se no, il suo amico mi accarezza la schiena
col bastone. Specie ora che gli ho insegnato a maneggiare quest'arma!
--Il conte Quarneri! il marito della contessa? Che cosa vuole egli da
noi?
--Che ne so io? Dev'essere un altro che ha i nervi.
--È venuto altre volte?
--Sì, a cercare di Lei, e gli ha risposto il signor Filippo che Lei
era ammalato, perciò volesse parlare con lui, che faceva lo stesso;
tanto erano amici. Non gli è parso che fosse la medesima cosa, e se
n'è andato borbottando. Oggi è tornato, ha borbottato dell'altro, e il
signor Filippo lo ha condotto fuori facendo gli occhiacci. Se
quell'altro ha delle idee, se le levi di testa, perchè non mi par uomo
da stargli a petto, no davvero.--
Il conte Quarneri! Che cosa viene a borbottare da noi? che cosa voleva
da me? E sopra tutto, perchè è capitato in Corsenna? Richiamo il
servitore, che era già tornato alle sue faccende.
--Dimmi, Pilade; son venute signore al Giardinetto, dacchè ci siamo
picchiati?
--Sì, sor padrone. La prima è stata la chioccia con tutta la sua
covata; voglio dire la signora Berti, con le tre pollastrine e i due
galletti. Poi le signore inglesi, come dicono, quantunque la mamma sia
fiorentina, e la figliuola di non so dove, ma certamente italiana.
--Ah, c'era anche la figliuola? E com'era?... com'erano?... dolenti?
--Eh, si può figurare! dolentissime.--
Non ardisco domandare di più, intorno a questo argomento. Chi sa?
forse sarà stata dolentissima.... per Filippo.
--Poi, ogni giorno,--continua Pilade,--hanno mandato a cercar notizie
il ragazzo della villa, che viene in paese per la spesa. Naturalmente,
io e l'Argia le abbiamo date sempre buonissime.
--E la contessa è venuta?
--Sì, due volte; la prima volta da sola, e pareva la statua
dell'Addolorata; la seconda volta con quattro signori. A proposito,
quei lì hanno lasciati i loro biglietti di visita. Vuole che vada a
prenderli?
--Non occorre; Spazzòli, Dal Ciotto, Cerinelli, Martorana; li ho tutti
in testa. Fa conto che io li abbia anche in tasca.--
Su queste notizie di Pilade incomincio ad almanaccare, ma senza
riuscire a nulla che mi contenti. Perchè il marito della contessa in
Corsenna? Perchè in casa mia? Che mi faccia l'onore di esser geloso di
me? Ma in che modo gli è venuto il baco? Ah, se fosse com'io
incomincio a sospettare.... No, no; è impossibile; una viltà come
questa, non s'impresta neanche al peggior dei nemici. Frattanto passa
un'ora, ne passano due, e Filippo non ritorna. Che diamine sarà
avvenuto? L'impazienza mi prende, e scendo per uscire. Pilade vorrebbe
almeno accompagnarmi. Ma è inutile; ecco Filippo che ritorna
finalmente, franco, ardito, e, salvo il suo frinzello sulla guancia,
fresco come una rosa.
--Bravo!--mi grida.--Fai la passeggiata di prova?
--Sì, come vedi, e volevo venirti incontro nel viale. Anzi, poichè ci
sei, e Pilade dovrà andare ad apparecchiare la tavola, puoi vigilarmi
un po' tu. Ed ora dimmi;--ripigliai, dopo che il servitore si fu
allontanato,--che cosa vuole il conte Quarneri?
--Come sai? Pilade ti ha detto?...
--No, niente Pilade; l'ho veduto io, il conte; dalla finestra, quando
usciva con te, brontolando.
--Come l'hai conosciuto, se viene per la prima volta in Corsenna?
--Oh, lo conosco benissimo; figurati.... che la contessa Adriana me lo
ha fatto ammirare in effigie.--
È una bugia; ma m'è venuta bene, e Filippo si persuade.
--Poichè lo sai,--dice egli, stringendosi nelle spalle--eccoti il
resto dell'avventura. Il signor conte è capitato in Corsenna, chiamato
da una lettera cieca; la solita lettera cieca che vuol ridar la vista
degli occhi a chi l'avesse perduta. È venuto a cercarti.... Perchè poi
te, e non me, lo saprà chi ha scritto la lettera.... È venuto a
cercarti tre giorni fa, e gli han detto che eri a letto ammalato; è
ripassato ieri, e l'ho ricevuto io, dicendogli la medesima cosa;
soggiungendogli per altro che poteva parlare con me, che ero un altro
te stesso. Ho da parlare con lui; mi ha risposto. E allora aspetterà
per un pezzo, gli ho ribattuto; l'amico mio è appena convalescente, e
non può dare udienza a nessuno. Se n'è andato; credevo che si fosse
persuaso; ma no; rieccolo quest'oggi, e quest'oggi si contenta di
parlare con me, per guadagnar tempo, come s'è degnato di dirmi. E mi
ha mostrata la lettera, in cui gli si dava l'avvertimento salutare, di
guardar bene casa sua, di mettere al dovere certi cacciatori troppo
invaghiti del Roccolo, eccetera, eccetera. Senta, gli ho detto, i
cacciatori son parecchi; sono del bel numero anch'io. Il signor
Morelli, contro cui Le hanno scritto, ci andava per insegnare certi
versi, da recitare in un concerto di beneficenza; non c'era niente di
male, e se non ci ho trovato niente di male io, che cosa vorrebbe
trovarci Lei da ridire, Lei che non c'era?
--E lui? che ti ha risposto?
--Ah, se tu lo avessi veduto, che muso! Come? mi ha gridato,
fermandosi sui due piedi. E chi è Lei, per darmi di queste lezioni?
Sono, gli ho risposto, un gentiluomo che rende giustizia ai meriti
della contessa, e Le confesserò candidamente di esser rimasto preso
all'incanto delle sue grazie.--Lei scherza; ed io non son uomo da
scherzi.--Nemmen io, sa? E non mi rompa la testa per una lettera
cieca che ha ricevuta. Se avesse senno, prenderebbe per un orecchio,
l'un dopo l'altro, tutti coloro che Le vengono per casa, e li
metterebbe inesorabilmente fuori dell'uscio. Inoltre, poichè Le ha
dato noia l'acqua tiepida, non dovrebbe aspettare la calda, e dovunque
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Galatea - 13
  • Parts
  • Galatea - 01
    Total number of words is 4295
    Total number of unique words is 1814
    34.3 of words are in the 2000 most common words
    48.5 of words are in the 5000 most common words
    55.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Galatea - 02
    Total number of words is 4532
    Total number of unique words is 1807
    35.6 of words are in the 2000 most common words
    49.1 of words are in the 5000 most common words
    56.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Galatea - 03
    Total number of words is 4585
    Total number of unique words is 1800
    32.8 of words are in the 2000 most common words
    47.4 of words are in the 5000 most common words
    53.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Galatea - 04
    Total number of words is 4671
    Total number of unique words is 1784
    36.0 of words are in the 2000 most common words
    50.6 of words are in the 5000 most common words
    58.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Galatea - 05
    Total number of words is 4626
    Total number of unique words is 1723
    36.0 of words are in the 2000 most common words
    49.3 of words are in the 5000 most common words
    57.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Galatea - 06
    Total number of words is 4662
    Total number of unique words is 1715
    37.4 of words are in the 2000 most common words
    52.1 of words are in the 5000 most common words
    58.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Galatea - 07
    Total number of words is 4713
    Total number of unique words is 1744
    36.3 of words are in the 2000 most common words
    51.4 of words are in the 5000 most common words
    58.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Galatea - 08
    Total number of words is 4594
    Total number of unique words is 1821
    35.5 of words are in the 2000 most common words
    49.6 of words are in the 5000 most common words
    56.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Galatea - 09
    Total number of words is 4583
    Total number of unique words is 1693
    35.2 of words are in the 2000 most common words
    49.8 of words are in the 5000 most common words
    56.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Galatea - 10
    Total number of words is 4681
    Total number of unique words is 1762
    36.5 of words are in the 2000 most common words
    51.3 of words are in the 5000 most common words
    58.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Galatea - 11
    Total number of words is 4713
    Total number of unique words is 1662
    36.4 of words are in the 2000 most common words
    52.1 of words are in the 5000 most common words
    59.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Galatea - 12
    Total number of words is 4673
    Total number of unique words is 1687
    35.9 of words are in the 2000 most common words
    50.3 of words are in the 5000 most common words
    56.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Galatea - 13
    Total number of words is 4555
    Total number of unique words is 1677
    37.5 of words are in the 2000 most common words
    52.4 of words are in the 5000 most common words
    58.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Galatea - 14
    Total number of words is 1845
    Total number of unique words is 863
    44.5 of words are in the 2000 most common words
    58.7 of words are in the 5000 most common words
    63.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.