Galatea - 05

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--E a me più di Lei. Sono una ragazza, e non ho la borsa troppo gaia.
La mamma, del resto, non mi lascerebbe fare la bella follia che ha
fatta Lei l'altra sera. Ah, come l'avrei dato volentieri io, quello
scudo!
--Signorina... Le ha fatto piacere? Ne sono contento, più ancora che
degli occhi sbarrati della burattinaia, quando vide il mio biglietto
da cinque nel suo piattellino di stagno. Ma dica, non c'erano dunque
cavalieri, alla rappresentazione di iersera?
--Tutti; non mancava che Lei. Ma non vogliono andare in rovina, quei
là, Due soldi appena, mi capisce? due miseri soldi. E si scusano con
una buona ragione, quei signori: dicono che il burattinaio manda la
moglie in giro tre volte, e che tre volte due soldi fan sei.
--E sei per ognuno dei tre satelliti della contessa, fanno diciotto
soldi in una sera; che scialo!
--I satelliti!--ripetè la signorina Wilson, ridendo senza averne
voglia.--È strano che Le siano venuti in mente quelli.
--Oh, non faccia caso. Volevo evitare Terenzio Spazzòli, il mio divo
Terenzio, che fa bene ogni cosa.
--Buono, quello! E Lei gli è molto amico, non è vero?
--Sì, dopo la trovata del caffè, Le confesso che m'è entrato in
grazia.
--Chi La sentisse, signor Morelli!
--E chi sentisse Lei, signorina, quando mi dice che gli son tanto
amico!--
Questo il dialogo occorso oggi tra me e la signorina Kathleen. Io,
veramente, non avevo dimenticato il burattinaio, venuto la sera del 4
a dar saggio della sua abilità in Corsenna; ma lo avevo creduto uccel
di passo, che dovesse contentarsi di una sola rappresentazione e
portare la sua baracca altrove; perciò, volendo scrivere, ordinar le
mie note, ero rimasto a casa. Non bisogna neanche star troppo ai
fianchi della gente, pensavo; e voi signor Buci, per questa sera
rimarrete in camera, a far ballare eternamente la sedia.
Lo spettacolo dell'altra sera, gran novità annunziata a suon di
tamburo per l'unica via del villaggio, aveva tirato in piazza tutto il
popolo dei Corsennati. La colonia dei villeggianti si era commossa di
desiderio. In campagna par sempre di annoiarsi, e si corre volentieri
a tutti gli svaghi. Mi avevano incontrato, preso in mezzo e condotto a
teatro; cioè a dire in piazza, dove si stava pigiati su certe panche
d'osteria, davanti ad un castello di burattini, illuminato da due
lampade fumose a petrolio. La povertà del burattinaio mi aveva fatto
pena: contando così a occhio e croce i soldi che la sua donna veniva
raccogliendo negli intermezzi dalla "bontà di lor signori", pensai che
quei poveri diavoli non avrebbero intascate due lire; dond'era poi da
detrarre il prezzo di locazione delle panche e il costo del petrolio,
non restando forse una lira alla "fabbrica dell'appetito". Preso dalla
compassione, alla seconda tornata della burattinaia avevo fatto
scivolare un biglietto da cinque lire nel suo piattellino, sperando
che la cosa non fosse osservata da nessuno, in quella mezza oscurità
della piazza. Ma la burattinaia, avvezza a vederci di notte come i
gatti, e costretta a tener d'occhio quei pochi, per timore che i
monelli, scambio di darne, lavorassero a ghermirne, si era bene
avveduta della mia generosità, si era fermata a guardare il biglietto,
poi me, che dovetti parerle un principe travestito. Tutto ciò aveva
dato tempo alla signorina Wilson, che mi sedeva daccanto, di vedere a
sua volta nel piattellino. Quanto a me, non avevo creduto di far
niente di strano. Tra l'altre cose, avrei giurato che Terenzio
Spazzòli dèsse almeno una ventina di lire. Le signore si divertivano
tanto, a quello spettacolo inaspettato! Non bisognava forse pagarle,
quelle buone scappate di risa argentine! Ma niente; due soldi, tre
soldi; fors'anche più "argentini" delle risa sullodate, i due soldi, e
da non poterli spendere niente di più. Anche il mio divo Terenzio
Spazzòli, due soldi? "Buono quello!" e nel sarcastico epifonema della
signorina Wilson l'amico inarrivabile ci ha avuto il suo conto
saldato. In verità, gli egoisti che sanno spendere solamente per sè
stessi, e tutto si mettono sulla persona, non sanno quel che si
facciano.
Ripeto, io non sapevo che ci fosse ieri una seconda rappresentazione.
Credevo che il burattinaio fosse di passaggio in Corsenna, avviato a
qualche borgo più importante e più capace d'intenderlo. Vuol far la
stagione qui? E sia. Ho promesso stamane alla signorina Wilson di non
mancar questa sera, ed ho mantenuta la parola.
Intorno alle otto, grande stamburata per l'unica via di Corsenna. Non
tengo conto dei vicoli e delle traverse, si capisce. Il cartellone,
appeso alla facciata del palazzo comunale, annunzia: _Griselda di
Saluzzo, ovvero sia la Moglie obbediente e il Marito stravagante, con
Fasolino armigero Bolognese_, La favola è patetica, nel Decamerone; sa
Iddio come l'avrà conciata il burattinaio. Ho osservato ier l'altro
che il suo Fasolino è un po' sboccato; per piacere ai volghi,
s'intende, ma non sapendo distinguere tra chi lo paga in applausi e
chi gli da la mancia più larga. Perciò, lasciate un momento le
signore, ho rincorso l'uomo del tamburo, l'ho tratto in un vicolo, e
gli ho raccomandato di dir meno parolacce e di somministrar più
legnate.
--Sarà contento;--dice il burattinaio, a cui brillano gli occhi,
poichè mi ha riconosciuto per quel dello scudo.--Ci ho Fasolino in una
parte tutta da ridere; Fasolino che scampa dai ladri e poi dalla
giustizia.
--Bene, mi raccomando, legnate a tutti, tante legnate da far piangere
gli occhi dal ridere. E badate, voglio veder molti morti accatastati
sulla ribalta.
--Non dubiti, illustrissimo; ci passerà tutta la compagnia.
--Quanto guadagnate?--gli ho chiesto prima di congedarlo.
--Ah, signore, una miseria! Iersera, che Lei non c'era, appena una
lira e venti!--
Poveraccio! Iersera i miei cavalieri hanno dunque lesinato perfino i
due soldi?
--Una lira e venti!--rispondo.--C'è da morire. Io per questa sera ve
ne dò dieci; sì, dieci, ed eccole qua; ma ad un patto.
--Comandi, illustrissimo, comandi.
--Che questa sera non mandiate attorno il piattellino della buona
grazia. Regalo io la rappresentazione, stasera; e resto incognito,
c'intendiamo?
--Non dubiti; che il Cielo la benedica.--
La _Griselda_ ha molto divertito il buon popolo di Corsenna, ed anche
in certi punti lo ha commosso. Non così la colonia dei villeggianti, a
cui pare, e giustamente, che il patetico non faccia buona prova, con
le teste di legno. Del resto, non potendo far dire delle cosacce al
suo Fasolino, il povero burattinaio ha perso la metà dei suoi effetti
di chiaroscuro. Che importa? Ha fatto un maggior effetto, non mandando
in giro la moglie col piattellino di stagno. "Che novità è mai
questa?" si domanda nei posti distinti. È forse ammalata, la povera
donna? Ed io che avevo i miei soldi qui pronti! ed io! ed io! Vuol
rinunziare ad una bella somma, il brav'uomo!"
A un certo punto cresce l'effetto, è sbalorditoio senz'altro. Si
presenta Fasolino alla ribalta, a sipario calato, fra il quarto e il
quint'atto del dramma, e così prende a parlare, agitando in aria un
matterello più grosso della sua testa e lungo quattro volte la sua
smilza persona:
--Colto e rispettabile pubblico, inclita guarnigione, cari ed amati
ragazzi, speranze di Corsenna, _a v'salut_.... sì dico, vi saluto. Ora
si darà l'ultimo atto della _Griselda di Saluzzo_; che, come avete ben
capito, è opera di un _astore_ eminente, dello Schiacciaspie, niente
di meno; e se non _pernunzio_ bene il _suvo_ riverito nome, pensate
che sono un povero diavolo _senza ostruzione_, e l'inglese lo parlo,
ma non lo intendo. Dopo questa produzione dell'immortale Scappavia si
farà la farsa, e ve lo dico perchè non scappiate voi altri; farsa
tutta da ridere, tanto che ve ne piangeranno gli occhi, come si è
degnato di dire un grande _astore_ di mia conoscenza _auricolare_.
Fasolino, che sono poi _me_, sarà in guerra coi ladri _assissini_ e
poi colla giustizia, con trionfo finale dell'innocente, che sono poi
sempre _me_. E questo sia per saluto di ringraziamento a questa
nobilissima città di Corsenna, alla quale si leva l'incomodo questa
notte, per viaggiare da gran signori, col fresco. Rappresentazione
tutta a gratis.... Ma non si grattino, quei ragazzi laggiù, perchè _a
n'sta mia bein_, sì dico, non sta bene in società, alla presenza di un
_inlustre_ personaggio, al quale faccio tanti rispetti, e viva sempre
la sua bella _fazza_, sì dico, la _suva_ degna persona, che ha tanto
buon cuore per i poveri diavoli traditi dall'infame destino. Io non
ero nato, credetelo, per viver così, mendicando la vita a frutto a
frutto nelle campagne, e restando senza frutti quando è la cattiva
stagione. Sono figlio di gran signori, caduti in miseria per causa
della loro generosità, che loro a chi davano e a chi imprestavano, e
quando imprestavano, mi capite, non riavevano più la testa d'un
baiocco. I miei antenati erano padroni di Ravenna; avevano un palazzo
in città ed un castello fuori, chiamato, per l'abbondanza della grazia
di Dio, il castello di Polenta. Ora, come vedete, non conservo più che
il mestone. Col quale _a v'salut_. Macchinista, su il sipario, e
risplenda la reggia di Saluzzo agli occhi dell'attonito riguardante.
Ci abbiamo speso un capitale.--
Il colto pubblico sghignazza; l'inclita guarnigione, assente com'è,
non può partecipare a tanta allegrezza. Io, sentendo l'accenno
all'_inlustre_ personaggio, son rimasto un po' male. Ma un gomito
sinistro sfiora gentilmente il mio gomito destro. Divina fanciulla, se
tu l'hai fatto apposta, sii benedetta; e concedimi il _bis_.
--Chi sarà mai questo personaggio che paga per tutti?--domanda la
contessa Quarneri.
--Eh, s'indovina;--risponde la signora Berti.--Terenzio Spazzòli.--
A lui si rivolgono tutti, con cenni di complimento. Terenzio Spazzòli
sorride, come Buci, senza schiudere i denti. Ah briccone! Ma sia come
ti pare; io non ho bisogno delle mie penne; vèstitene pure,
cornacchia.
Questa sera, finita la rappresentazione, e mentre si ride ancora delle
legnate con cui Fasolino ha accoppato i ladri _assissini_, la vecchia
manutengola, l'usciere che va a citarlo, i gendarmi che vanno ad
arrestarlo, i giudici che vorrebbero condannarlo, la signorina Wilson
mi ha detto:
--Come sono stata felice! E come è delicato, Lei, signor Morelli!
Scommetto che per esser tale del tutto, ha dato questa sera due scudi,
non uno.
--È vero, signorina; ma sa Lei perchè?
--Non mi par difficile intenderlo: per riparare alla mancanza sua
d'ieri sera.
--No, s'inganna. Posso aver mancato verso le signore, rimanendo a
casa; quantunque, a dire la verità, poteva trattenermi benissimo il
pensiero di essere importuno. Ma al burattinaio non ero debitore di
nulla. Fu dunque, e La prego di crederlo, per un'altra ragione.
--Quale?
--Indovini.
--Non ci arrivo. Me la voglia dir Lei.
--Non posso. È una ragione che se uno non la indovina, l'altro non la
può dire.
--Ebbene, proviamo;--diss'ella, dopo un istante di pausa.--Lei ha dato
due scudi, per associar qualcheduno.... via, diciamo pure il nome....
per associar Buci alla sua opera buona.
--Buci, veramente....--mormorai.--Ma sia; diciamo pur Buci; tanto egli
non avrà da saperne nulla; e zitti.... e buci.--
Birichina! come ha saputo accoccarmi anche questa! Ma è una mela
fragrante, dopo tutto, non una palla di guttaperca. Queste sono oramai
per te, divo Terenzio Spazzòli. "Buono, quello! buono, quello!" e
portalo a casa.
Ho scritto tutto? Rileggo, e mi pare che ce ne sia d'avanzo. Non si
direbbe, infatti, che sono innamorato? Eh via, questo poi no. Galatea
è una graziosa ninfa, piacevole a quel dio, e sarebbe un'ottima
compagna per un lungo viaggio. Ma non a te, vecchio barbone che sei.
Godi da saggio epicureo il tuo sorriso di gioventù, il tuo granellino
di dolce follìa; ma guai a fartene un albero! Capisco, finalmente, che
certe ubbriacature passano presto. Son come lo Sciampagna, queste care
figliuole: un po' di spuma, e buona notte. Domani sarà di giorno.
Ma no, poi! perchè questi ragionamenti volgari? Ma no.... Come, no?
non sarà dunque di giorno, domani? Al diavolo le incertezze. Non
vorrei mica essere stregato; non vorrei mica impazzire.


X.
Pelle di Spagna.

_12 agosto 18..._
La gloria è a buon mercato in Corsenna. Per quindici lire buttate via,
son salito in grande estimazione presso le signore. Che buona
occasione ha perduta Terenzio Spazzòli, di apparire un uomo perfetto!
Ora egli ha una macchia nel suo blasone, un'ombra nella sua luce. La
contessa Quarneri non è rimasta ingannata dalla supposizione che alla
signora Berti era piaciuto di fare, e non crede affatto che il divo
Terenzio sia stato il protettore del povero burattinaio, il Mecenate
delle arti, il dator di spettacoli in piazza. Me lo ha detto ella
stessa, la luminosa contessa; e in quella occasione, con bel garbo di
confidenza signorile, ha preso a darmi del voi. Cosa che mi piace, e
non mi piace ad un tempo. Mi piace perchè suona bene; non mi piace
perchè farà credere Dio sa che cosa, quando gli altri osserveranno la
novità del trattamento, che sembrerà un abbandono delle antiche
cerimonie. Ma così voglion le belle, e non c'è da resistere; diamoci
pure del voi.
--Non siamo amici, forse?--mi ha detto.--Specie dopo che come amico mi
avete dato dei versi?--
Ah sì; mi ricordo benissimo che come tale sono stato ammesso
nell'albo, e come tale anche difeso da lei. È infine una gentile
signora. Possiede una cultura molto superficiale, tanto da non sapere,
due settimane fa, che il Leopardi è morto. Ma che? per gustar le
bellezze d'un poeta è forse necessario di conoscerne la vita? Quella è
scritta in prosa, e la contessa non si rovina gli occhi nella prosa;
ecco tutto. Le donne, di solito, non sanno niente di storia
letteraria. Dio buono! e chi ne sa, intorno a loro! Terenzio Spazzòli
conosce la letteratura francese modernissima, per aver letto dei
titoli e qualche pagina dei libri parigini; conosce la russa, per
sentita dire, e solo perchè i romanzi russi son passati dallo staccio
di Parigi. Vuole oggi psicologia nei libri, come qualche anno fa avrà
voluto fisiologia e patologia, psicopatia, patopsichia, od altra
consimile tautologia, senza sapere da dove si cominci. Se nel romanzo
è russo, nel teatro è scandinavo, per moda; deve averglielo suggerito
quel po' di testo che accompagna il suo figurino nel giornale dei
sarti. Ne sanno più addentro, o pretendono a saperne, i tre satelliti
della contessa; uno dei quali è "decadente" e fa delle rime
impossibili. Ha perfino stampato un volumino ino ino, ma di gran
margine, che nessuno ha letto; anzi no, dico male, lo han letto
moltissimi, ma non lo ha comprato nessuno. Onde un'ira feroce,
dissimulata sotto un olimpico disprezzo, contro la letteratura
"alimentare". Che cosa ha veduto di alimentare nel mio _Cigno_, per
dirne tanto male nel salotto della contessa? Se fosse stata un'oca,
pazienza, capirei; ma un povero cigno tiglioso e stoppone, via, non
meritava tanta durezza di giudizio.
La contessa ha dovuto riprenderlo, e so che l'ha fatto con una grazia
tutta sua, che non escludeva la forza. La contessa ha buon gusto; e se
non sa certe cose, che importa! È tanto bella, che avrebbe perfino il
diritto di non saper nulla al mondo. Mi ha invitato da capo al suo
villino, ma non mi sono lasciato prendere. Galatea direbbe, e con
ragione, che mi adatto a fare il quarto. Poi, quei tre compagni mi
annoierebbero. So far bocca da ridere anche ai nemici, ma non sopporto
i noiosi. In larga compagnia, all'aperto, son gocce d'inchiostro che
s'affogano in un secchio d'acqua e non la tingono troppo: in un
salotto, loro tre, su cinque presenti e sedenti, dovrebbero essere una
morte sola, e continua.
L'altra sera la signora contessa ha invitata tutta la comitiva di San
Donato a prendere il tè in casa sua. Anche qui mi sono scusato. Ma qui
ci avevo almeno un'altra ragione, abbastanza ridicola; e imperiosa,
nondimeno, ineluttabile, perentoria. Figurarsi; non avevo ricevuto
ancora dal mio sarto un tutto-vestito di stoffa inglese, che mi è
necessario, e che io ho dimenticato di portare per le mezze parate,
non prevedendo tutti questi perditempi quotidiani. Gli abiti che ho
con me in Corsenna vanno mattamente da un estremo all'altro: o di gran
parata, e non è il luogo, nè l'uso di questi giovanotti; o di tela
d'alpaca e che so io, fatti a giacca, e non possono andare che
all'aperta campagna. Miserie, lo so; ma di queste si vive. E il
tutto-vestito grigio non m'è arrivato che ieri, quando l'occasione era
passata.
Alla signora, per altro, non era passata la collera, per la mia
diserzione, per il mio tradimento, come ha voluto chiamare una
semplice assenza. Ha scoperto anche lei il mio dolce rifugio
dell'Acqua Ascosa. Senza averne la topografia esatta, ci s'è accostata
di molto; e ad un'ora insolita, andando a diporto tutta sola, ha presa
la via del mulino, dove mi ha combinato. Proprio allora, col mio
Teocrito in tasca, andavo a cercare il mio covo. E qui complimenti, si
capisce, maraviglie ed ossequii da parte mia, che non potevo far
altro; qualche bottata da parte sua; finalmente la pace.
--M'hanno detto,--incominciò essa allora con la sua vocina insidiosa
di sirena,--che di là dal mulino c'è un luogo ombroso stupendo, e che
Voi lo conoscete. Volete farne parte anche a me?--
Come dire di no? M'inchino, e l'accompagno. Si risale la strada a
fianco del mulino e della sua ruota, immane mostro che dorme in
quest'ora, mezzo al sole e mezzo all'ombra della sua buca, tutto
vestito d'erba viscida lungo le pale nerastre. Là dietro si passa
sopra un ponticello di legno, che corre tra la ruota e la gola del
bottaccio, mettendoci dall'altra banda su d'un robustissimo terrapieno
a scarpa, levato ad argine tra l'acqua alta e la prateria che va giù a
conca, scendendo sempre e dilungandosi verso il gran viale dei pioppi.
Per un tratto, dove è più profondo il serbatoio, l'argine ha così
larga la cima, che ci si passa comodamente in due; ma più in là, dove
il bottaccio incomincia a restringersi, la ripa si restringe anch'essa
via via; non si può andare tutt'e due di fronte, ed ella è costretta
ad appoggiarsi sulla mia spalla. Ma che dico, appoggiarsi? Vi
s'aggrappa per disperata, come una bella spericolona al braccio del
robusto bagnaiuolo che l'ha in custodia, sulla spiaggia di Livorno o
di Rimini.
Già aveva tremato un pochino al passaggio d'un secondo ponticello che
cavalca la chiusa, donde il bottaccio si scarica quando non lavora il
mulino. Ma qui è un tremar continuo, dovendo andar noi sulla ripa alta
e stretta, coll'acqua profonda a manca e la prateria molto bassa a
diritta.
--Volete forse tornare indietro?--le dico.
--No,--mi risponde, con un brivido che parrebbe far contro alle
parole,--il pericolo ha le sue attrattive.--
Avanti dunque con le attrattive. Ma la impaccia il suo ombrellino da
sole e da pioggia, il suo _en-tout-cas_, com'ella lo chiama, e che
prendo io in governo; la impaccia il suo gran ventaglio, che le
ballonzola sulle ginocchia, e che io metto accanto all'ombrellino,
facendone tutta una manciata; la impaccia la gonna troppo lunga, di
cui non posso io egualmente raccogliere i lembi, e che bisogna lasciar
strascicare sull'erba. Si va a passi lenti e corti, inframmezzati da
lei di piccole strida, e di larghe risate da me per farle coraggio;
mentre ella, così serrata sulla mia spalla, m'involge tutto in un
profumo di pelle di Spagna, soave, delicato, inebbriante davvero.
Basta; come Dio vuole, eccola in salvo. La ripa, su cui si procede, è
sempre angusta per due; ma siamo giunti dove la prateria sottostante
risale, risale sempre più, per venir quasi a filo dell'argine, e non
c'è più pericolo di capogiri. Il sentieruolo, lasciando lo scoperto,
si ficca dentro alla piantata delle carpinelle; ed eccoci inselvati,
coll'acqua susurrona che ci corre daccanto, e, di là dall'acqua, le
falde del monte che salgono, vestite di borraccina e d'eriche nane,
sotto la guardia e l'ombra dei vecchi castagni.
--Com'è folto qua sotto!--esclama la contessa.--Chi sa trovarci è
bravo.
--Non dubitate; ancora pochi passi, e si riesce al chiaro.
--Oh, non mi dolgo già di quest'ombra; c'è così fresco!
--Voglio dire che troveremo più rado il fogliame, e d'ombra ce ne sarà
ancora abbastanza. Queste carpinelle girano tutto intorno, fino al
punto dove la montagna fa uno sprone sull'acqua; laggiù saremo più al
largo, e vi parrà di respirare un po' meglio.--
Eccoci infatti allo sprone. La balza vien giù tagliata a picco, e
sarebbe troppo brulla, come una cava di pietre, se due o tre semi di
fràssino non fossero volati ad allogarsi tra i crepacci, per venir
fuori in giovani piante, che sporgono ad ombrello, e rompono
pittorescamente la nudità della roccia. Il luogo è bello, e le piace;
disgraziatamente non c'è da sedere. Eh, lo so ben io dove c'è da
sedere; ma mi secca un pochino di doverla guidare fin là. Nondimeno,
poichè io non son più padrone di tornare indietro, si prosegue lungo
la sponda del rivo, si scende ancora un poco, dove l'acqua ritorna a
mostrarsi arginata, Eccolo lì, il mio rifugio; passo davanti al mio
arginello erboso e fiorito, ma senza guardarlo, per timore che gli
occhi tradiscano le mie tenerezze.
--O Teocrito!--esclamo dentro di me.--Qui volevo venire, per leggerti.
Pazienza, non è vero? pazienza per me. Quanto a te, vecchio Siracusano
andato ad ammorbidirti fra le graziette Alessandrine, scommetto che se
tu potessi uscir vivo e sano dalle pagine del tuo signor Teubner,
vorresti essere al mio posto e filar qui un graziosissimo idilio.--
Frattanto la contessa ha trovato da sedere. E lì, proprio lì, si ferma
sui due piedi, gridando:
--Ecco un buon posto. Non è forse il vostro, Morelli?--
Io non ho mai saputo mentire senza farmici rosso. E perchè ella mi
guarda, ed io non voglio arrossire, rispondo:
--Sì, è questo per l'appunto.
--Bene; sediamoci dunque. E datemi il ventaglio, vi prego. Se volete,
vi lascerò l'_en-tout-cas_.--
Sorrido dentro di me, parendomi d'essere il quarto satellite, e mi
siedo accanto a lei, col suo ombrellino tra mani.
--È veramente un bel luogo, e molto poetico;--diss'ella, dopo aver
guardato in giro con aria di somma compiacenza.--Ma non da venirci da
soli. Io ci avrei paura, da sola.
--È sicurissimo;--risposi.--Corsenna non è un nido d'aquile; ma non ci
sono neanche avvoltoi, nò sparvieri. Poi, qui dietro, a cento passi,
c'è un casale, con quattro o cinque famiglie di contadini, tutta
bravissima gente.
--Dio sa,--ripigliò la contessa, seguendo il suo filo e non il
mio,--quante coppie felici saran venute qui a dirsi tante belle cose!
Peccato che non ce ne rimanga l'eco.
--Possiamo immaginarcele, contessa. Del resto, si può domandarne a
quelle farfalle che passano, o a quegli uccellini che si rincorrono
tra gli alberi....
--Pensando che noi siamo una di quelle coppie felici, non è così?
Disingannatevi, uccellini del bosco;--soggiunse la contessa, con
accento tra comico e patetico;--il signor Morelli è un solitario, che
si ritrova qui accompagnato per caso.--
E rideva; e risi ancor io.
--Oh, non ci sarebbe da ridere;--soggiunse ella, sforzandosi di far
cipiglio.--Che cos'è questa vostra maniera di fare, Morelli? Perchè
non avete voluto venire a prendere il tè, l'altra sera, e in compagnia
di tutti i nostri buoni amici? Perchè non volete mai rifar la salita
del Roccolo? È tanto breve, lo sapete, essendoci stato una volta. Vi
spiace il nome? Spiace anche a me; lo cambieremo. Anzi, studiateci, e
datelo voi; non ho fantasia, io, e ne sarò felicissima.
--Ci penserò.
--Ah bene. Ma ci verrete, non è vero? Per carità, non mi condannate a
questa condizione spiacevolissima, di vedere in casa mia solamente i
noiosi.
--Scusate, signora; ma se io avessi proprio temuto di far numero con
questi?
--Sarebbe stato un timore indegno di voi;--replicò la
contessa.--Confessate piuttosto, tanto mi ripugna di ammettere che
potesse spiacervi la padrona di casa, confessate piuttosto che i suoi
eterni visitatori vi seccano.
--Ah, quelli poi.... se mi date licenza, mi sfogo. Quelli, poi, mi
fanno perder le staffe. Non ho mai visto più molesti.... come
chiamarli? Lasciamo il sostantivo; certo l'Alighieri non li avrebbe
chiamati mai graziosi nè benigni.
--Bene, bene! Così mi piacete; sincero. Ancor io, son tutta impastata
di sincerità. E vi seccano dunque, come seccano me? Un momento mi è
parso di avervi capito, quell'unica volta che siete venuto a vedermi.
Siete rimasto un'ora, e nessuno di quei signori, che c'erano già da
due ore, si è mosso, tanto che voi ve ne siete andato prima di loro.
Già, fanno sempre così; sospettosi con tutti, ed anche peggio tra
loro. Se resto la sera a casa, suonano le dieci, suonano le undici, e
nessuno si vuol muovere per il primo; cosicchè io sono costretta a
congedarli in massa. È una persecuzione. Qualche volta casco dal
sonno, e non se ne vogliono accorgere. Molesti animali; avete detto
bene, Morelli.
--Veramente, non avevo osato di proferirlo, il sostantivo che li
definisce. Di solito, e senza cercare molto addentro nel sentimento
che destano, io li chiamo tra me e me i vostri satelliti. Se Giove in
cielo ne ha quattro, perchè non ne avrebbe tre l'astro luminoso di
Venere? Non badate, signora; m'è venuto così spontaneo, che avreste
torto a non lasciarlo passare. Il vostro caso, del resto, non è nuovo
nella storia; si è dato il simile, tremila e più anni fa, nell'isola
d'Itaca, ed è toccato alla regina Penelope. Ce ne aveva un bel numero
anche lei, che non le davano tregua. Ma un giorno capitò Ulisse a
casa, e li conciò per le feste. Se uno di questi giorni, imitando
Ulisse, il savio conte Quarneri....--
La contessa mi mozzò le parole in bocca con una matta risata.
--Ah sì, proprio; credereste che bisognasse ricorrere a questa
estremità!
--Non so; siete giudice voi;--risposi, un tantino mortificato.--Del
resto, anche senza chiamarlo, e volendo pure liberarsi dai satelliti
seccatori, si potrebbe annunciarlo come prossimo ad arrivare, e si
vedrebbe l'effetto che fa.
--Resterebbero male, lo capisco;--replicò la contessa;--ma intanto
resterebbero fino all'arrivo; e non arrivando lui, seguiterebbero a
non muoversi.--
Capisco, o mi par di capire, che la luminosa contessa mi faccia questi
sfoghi per chiasso, e che nel fondo sia molto contenta d'esser
seccata. Questi assedii ostinati piacciono alle donne belle, come, se
si leggono bene le storie, dovevano piacere alle antiche città, quando
avevano buone mura e viveri dentro, per durare anche a dieci e
vent'anni d'investimento. Ma la contessa non è ancor sazia di ciance,
e vuol proprio che io pensi al caso suo.
--Non avete altro consiglio da darmi?--soggiunge.--Con tutta la vostra
fantasìa!...
--Ecco, signora, la mia fantasia è una povera cosa, e di consigli non
può offrirvene che due. Il primo, che v'ha dato, era il consiglio
classico; ma non vi è parso buono. Passiamo al consiglio romantico; ma
vi avverto che, dopo questo, io non saprei più che cosa trovare per il
vostro bisogno.
--Sentiamo, sentiamo il consiglio romantico;--gridò ella, battendo le
palme con gioia infantile.--Son veramente curiosa.
--Ci ho gusto, contessa, e spero che questa volta sarete anche
persuasa. Incominciate dal figurarvi che io sia voi; ciò sarà molto
stravagante, e per conseguenza molto romantico. Ho il vostro
_en-tout-cas_; se aggiungeste per grazia somma il vostro ventaglio....
Così, facendomi vento, parlerei in questa forma ai miei satelliti:
"Signori miei dilettissimi, sapete voi che stanotte non ho potuto
dormire? Ho passato il mio tempo pensando a voi altri. Quei cari
giovani! dicevo tra me e me. Perchè, veramente, siete cari, tanto
cari, che io non so quale sia il più caro tra voi....
--Oh, questo, poi!--gridò la contessa.
--O questo, od altro;--ripresi.--Il proemio sia pure a vostra scelta;
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