Galatea - 07

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dispiacerebbe per me, che li vedrei volentieri andare in collera,
specie se mi danno due giorni di tempo, tanto che arrivi il Ferri, con
tutti gli omonimi suoi. Quanto a loro, se han presa la ramanzina, non
hanno male che non si sian meritato, avendo smascherate le loro
batterie in presenza della contessa. Mi paiono tre ragazzi, con quel
loro cospirare all'aperto, in un sentiero di villa, dove tutti gli
alberi hanno orecchi per udire, e bocche per riferire.
Viva la faccia delle Berti. Quelle non sentono, non vedono quasi, e
non han niente da riferire a nessuno. Passano nel mondo sorridendo e
sperando; beate loro, e madre bofficiona e figliuole snelle, che
cresceranno in bellezza e in rotondità come lei.
La signorina Kathleen mi pare un po' sostenuta. Cara fanciulla! ma che
cosa ne posso io? Se sapesse che non ci ho colpa, e che mi trovo
impegnato in questo negozio per l'onor della firma! Del resto, veda un
po' lei; non è mica Rinaldo Morelli, l'uomo che accompagna al Roccolo
la contessa Adriana, quando ella si risolve di lasciare il caffè di
Corsenna. E infine, lei stessa, la signorina Kathleen carissima, non è
forse tutta fiori e baccelli colla luminosa contessa? Si direbbe anzi
che da iersera le è diventata più amica che mai. Animo, dunque, la
preghi un pochino, e si faccia dir tutto.
Ma forse m'inganno, e do troppa importanza al mio signor me stesso.
Quell'aria della signorina non è di sostenutezza con me; è di
stanchezza, per la fatica del _lawn-tennis_. Infatti, ecco che si
rianima, dopo partita la contessa coi suoi tre satelliti. Terenzio
Spazzòli ha incominciato un discorso di _rowing-club_ e di
_swimming-club_, e lei è tutta intenta alle belle imprese del mare, da
quella gran vogatrice, da quella gran nuotatrice che è. Galatea, ninfa
marina! A Viareggio, dov'ella ha passata l'estate scorsa, ne sanno
qualche cosa: nessuna di quelle Nereidi era più intrepida e più
valente di lei.
Confessiamolo, è una bella cosa, e buona sopra tutto, viver la vita
così pienamente come ella fa. A questo modo vengon su le belle
schiatte, sane, forti, robuste, pari a quelle che hanno lasciato tanto
buon nome nel mondo. E tuttavia, se Kathleen fosse mia moglie, non
vorrei tante cose da lei; nè racchetta, nè tuffi in acqua, nè remo, nè
vela; casa, casa, casa; e tè, magari, quantunque non mi piaccia; e
latte e burro a tutto spiano.
Similmente non vorrei che la luminosa contessa, dato e non concesso
che portasse il mio nome, avesse tre satelliti per accompagnarla tutte
le sere a casa. Piuttosto una mezza legione di carabinieri. Per
compenso le permetterei, crepi l'avarizia, di confessare ai suoi
visitatori quattro anni di più. Sono ancor primavere, che diamine!


XII.
Violino di spalla.

_16 agosto 18..._
Che due giornatacce! Sono stato di pessimo umore, e n'ho avuto le mie
buone ragioni. Io, già, son fatto così; non amo i mezzi termini, nè le
mezze misure. O la pace stabilita, o la guerra dichiarata. Mi seccano
le tregue, e più mi turbano le vigilie, con le loro aspettazioni, coi
loro sospetti, colle loro incertezze tra il sì ed il no. Star sempre
in armi è una condizione sciocca, alla quale non mi saprei adattare,
perchè temerei sempre di far troppo o troppo poco, e sopra tutto di
perdere la pazienza prima del tempo, come sarebbe il caso qui per
l'appunto. Perchè io non li temo, i miei tre fastidiosi personaggi, e
temo piuttosto che mi vogliano stancare, ridersi di me, per trovar poi
qualche gretola e scapparmi via, dopo avermi ben molestato; li voglio
al punto buono, per andar subito a fondo. Hanno certe arie, davanti a
me, da cavare i ceffoni dalle mani di un santo. La pazienza non è il
mio forte, e mi duole che non ne siano persuasi. A buon conto, una ne
ho fatta, che li ha costretti a meditare. Quando c'incontriamo, senza
che ci siano signore di mezzo, non ci salutiamo neanche. Ho
incominciato io; questa voglia me la sono levata, rizzando la testa e
facendo sporgere un pochettino il labbro inferiore, come un arciduca
di casa d'Austria. Tanto meglio per loro, se facendo così li avrò
liberati d'una noia; certo mi son liberato io d'un'altra maggiore. Ma
se credono che io voglia fermarmi qui, la sbagliano di grosso.
Sono io innamorato della contessa? No davvero. Incapriccito? Neanche.
Anzi, diciamo tutto, se alle prime poteva darmi negli occhi, perchè la
bellezza è sempre la bellezza, ora non me ne faccio più nè di qua nè
di là, perchè quella bellezza mi si è mostrata falsa. Nell'anima,
s'intende. L'hanno anche i bottoni, e volere o no si riverbera sempre
all'esterno. Che bisogno c'era di darsi ventisei anni? Ne ha trentadue
per lo meno. E di che si lagna? Si può esser belle a trentasei, a
quaranta, e piacere anche più in là. Finalmente, si ha l'età che si
dimostra. Io non mi vergogno dei miei trentacinque; se ne avessi,
colla faccia d'oggi, quaranta e cinquanta, che male ci sarebbe, per
oggi? Levarsi gli anni è una debolezza che non ammetto neanche nelle
donne; anzi nelle donne meno che negli uomini. Esse, in fin dei conti,
hanno l'invidiabile privilegio di non sentirsi domandare in società la
fede di nascita. Perchè darla falsa a chi non ha domandata la vera?
Questo è stato un punto nero per lei. Resta bella, ma non mi è più
simpatica come prima. Del resto, più mi osservo e mi studio, più
riconosco di non essere stato un solo momento ingannato dalle sue
belle moine. Aggiungiamo che per me quella donna ha la bellezza troppo
vistosa, del genere a cui tutti s'inchinano, essendo ella formata di
quegli elementi che piacciono al maggior numero. Veste troppo bene,
tanto che vi rifà il figurino a capello. Che cosa significa ciò, se
non questo, che il suo personale si adatta a tutte le mode, non
istonando con nessuno dei loro artifizi? La testa è bellissima per la
eleganza dei lineamenti; ma non è forse troppo piccina, tanto ella va
con tutte le fogge di pettinatura? Non è nel complesso un po' bambola?
Quella bocca... le rendo giustizia, e faccio il saluto militare. Ma
quegli occhi lunghi, sotto quelle palpebre tagliate a mandorla, son
proprio naturali? Apparirebbero tanto luminosi, fosforescenti, senza
il sapiente contrapposto del bistro? Non sarà così, ma pare che sia, e
sa di commedia. Proprio come una regina di commedia, la contessa ha
bisogno, dovunque ella sia, di aver tutti a' suoi piedi; non è
contenta, fin che ce n'è uno che non accetti il suo giogo. Ero io quel
tale, in Corsenna; si è rivolta a me, come si sarebbe rivolta ad un
altro, al commendator Matteini, per esempio, prendendo ipoteca anche
su lui.
Vedo queste cose, e ci sto; senza far molto, solo per dar noia a quei
tre, ma ci sto. Non mi prendo l'incarico di accompagnarla a casa, come
fanno loro; ma dove mi trovo con lei, cerco d'invadere, aiutandomi lei
con una grazia che dev'essere crudele per chi ne soffre. Soffrono essi
poi tanto? Animali da esperienze, son forse meno sensibili al dolore.
Non si adattano già a portar la croce in tre? Comunque sia, devo
essere un bruscolo nell'occhio per tutti e tre; me ne persuado al muso
che fanno.
Non intendo Galatea, che è sempre e più che mai pane e cacio colla
contessa. Quando è presente Adriana, la signorina Wilson non rifugge
neanche dal ritrovarsi con me; pare anzi che ci prenda gusto a farmi
parlare, rimanendo in nostra compagnia. Quando non c'è Adriana, non mi
sfugge, ma non mi cerca neanche, e se è lontana ci resta volentieri,
amando meglio di prendere ipoteca sul commendator Matteini. A vederlo,
allora, il più conservato dei conservatori, come fa la ruota! Credo
che non parli più nemmeno di Bologna, "città dell'anima". Che gusto ci
trova, la signorina Kathleen? Ma già, capisco che quella gran diavola
fa per chiasso, sempre bisognosa di moto, di varietà, d'aria, di luce,
sempre aperta l'anima e il cuore, sempre fuori del guscio, come
l'argonauta, _toute en dehors_, direbbero i francesi. È più intima,
più raccolta, più seria, quando è con Terenzio Spazzòli, col quale
ieri ha confabulato a lungo. Hanno un altro segreto insieme, ed io ho
potuto scoprirlo, da certi discorsi che hanno tenuto colla sindachessa
e colla segretaria comunale. Parlavano dell'Asilo infantile e dei suoi
bisogni pecuniarii; domandavano se ci fosse una sala abbastanza vasta
in paese, quella dell'Asilo non parendo abbastanza capace di una
numerosa assemblea. Si tratta d'imbastire un concerto a pagamento, un
concerto vocale e strumentale, il gran da fare di tutte le stazioni,
di tutte le colonie e di tutte le stazioni estive. Mi è giunto perfino
all'orecchio l'accenno d'un prologo in versi, che qualche signorina
potrebbe recitare. Hanno già sotto la mano il poeta? Forse; non è vivo
e sano Enrico Dal Ciotto? Ma vorrei proprio vedere che la signorina
Kathleen si rivolgesse a lui. Questa, poi, me l'avrei per male; sempre
che i martelliani dovesse recitarli lei. Se si tratterà delle Berti,
sia pur chi si vuole il poeta. Ma la musica? qui ti voglio; non c'è
neanche un concertino di trombe, in Corsenna; per avere un pianoforte
e un "maestro al cembalo" bisognerebbe mandare a Dusiana. Basta,
vedremo.
Frattanto, siamo giunti a quest'oggi. Filippo mi ha telegrafato ieri
che si metteva in viaggio; arriverà oggi al tocco. Eccellente amico!
Capiterà con la sua bell'aria marziale di paladino antico. Non è un
letterato, che Dio lo benedica; è un uom di fatti, tagliato alla brava
in un buon tronco di querce, diritto come una spada e netto come il
filo d'un rasoio. In che modo siamo andati d'accordo noi due? Per le
nostre dissonanze, direbbe un osservatore superficiale; e non è vero.
Se all'aspetto non ci rassomigliamo punto punto, credo che abbiamo
comune qualche intrinseca qualità, e che questa ci unisca. Egli è più
rigido, in apparenza, più riguardoso nelle sue maniere, più
abbottonato; ma è poi altrettanto sincero. Abbiamo il nostro guscio
tutt'e due; ma io, meno savio, son troppo spesso e volentieri fuori
del guscio. Altra differenza; io faccio spropositi da cavallo, sempre
nell'idea di andar per le spicce, mentre egli è sempre ponderato e di
buon consiglio; eppure non ne dà mai di debolezza nè di pace. Vecchio
schermidore da terreno, suol dire che la migliore di tutte le parate è
l'andare a fondo.
Curioso cavaliere, che per gloria sua avrebbe dovuto nascere otto
secoli fa! Ricorderò sempre quella volta che andò per conto mio, con
un altro degno collega, a chiedere una spiegazione. Trovò
l'avversario, brav'uomo e d'ingegno, che aveva avuta la colpa o il
merito di darmi una solenne stroncatura per certi miei versi, e gli
parlò in questa forma:
--Perdoni l'incomodo, che sarà breve. Siamo i tali dei tali; veniamo
in nome del signor Rinaldo Morelli, nostro amico, a chiederle in
cortesia tre cose: il luogo, l'arma e l'ora.--
Filippo Ferri è fatto così; tutto d'un pezzo. Sta sulla sua come un
Artabano; ma nessuna sua parola offende. Pochi uomini sono cortesi
quanto lui, nessuno più di lui; ma suol parare andando a fondo. Ha
dolce il sorriso e fiero lo sguardo; solo a vederlo per istrada
bisogna dire: ecco un uomo.
Al tocco ero alla stazione della strada ferrata, distante un'ora da
questo dolce paese. Il treno è arrivato ansimando, come per farmi
capire che non era colpa sua se giungeva con quaranta minuti di
ritardo. La testa di Filippo appariva da un finestrino, e gli occhi
suoi mi balenarono un sorriso che ancora non trapelava dal doppio
festoncino dei baffi. Corsi ad aprirgli lo sportello; si calò giù, e
mi si avventò al collo come un padre. Ma dopo avermi baciato e
ribaciato, si tirò indietro con aria di rimprovero, aria paterna anche
questa, per dirmi:
--Ah cane! Così mi hai ingannato?
--Io!--esclamai.--In che modo?
---Dicendomi che non c'era l'inglesina, perbacco.
--E non c'è, difatti, non c'è.
--Come, non c'è? Non mi hai tu incominciata la tua lettera in inglese?
Ancora un paragrafo di quegli starnuti, e mi toccava di pigliare un
interpetre. Sai bene che d'inglese io non ne mastico, e di tedesco
nemmeno.--
Lo so benissimo. Tra le originalità di Filippo Ferri c'è questa, di
non volersi dedicare a nessuno studio di prossima e diretta utilità.
Per capriccio ha imparato l'ebraico; per prolungamento di capriccio ha
imparato l'arabo e il copto.
--Sai che l'inglese è la mia passione;--gli dissi.
--E le inglesine no?
--No, ti giuro; e quando ti avrò raccontato ogni cosa, vedrai che si
tratta di ben altro. Ora non è il momento.
--Nè il luogo;--soggiunse Filippo.--Lasciami dar la valigia a
qualcheduno.
--C'è qui Pilade, il mio servitore. Hai bagaglio?
--Sì, e che bagaglio! un cassone.
--Consegna il polizzino a Pilade; sarà ritirato e caricato nella
vettura... se pure una vettura basterà. Altrimenti prenderemo un
carro.
--Basterà, che diamine! Ma ci sarà il dazio; vorranno visitare, e così
si scopriranno gli altarini.
--No, non dubitare. È comune aperto, qui; per conseguenza, il tuo
cassone arriverà chiuso nell'alma Corsenna.
--Di' pure il tuo, perchè io l'ho portato per te;--mi rispose Filippo,
mentre uscivamo dalla stazione.--C'è un vero arsenale. Dieci fioretti
coi bottoni, e una coppia di spade; dieci sciabole non affilate, e
quattro col filo; ti bastano?
--Ce n'è d'avanzo. Ma son tutte armi bianche?
--Non mancano le nere: quattro Flobert, quattro Lepage, con le
rispettive munizioni nella valigia; va bene?
--Ottimamente; ci sono così tutti i ferri necessarii.
--Senza contar me.
--Ah, tu sei il re dei Ferri;--gridai, montando in carrozza.
Il bagaglio fu caricato a cassetta, sotto ai piedi del cocchiere e del
servitore, che si aggiustarono come poterono; e i cavalli presero il
trotto. Io ero raggiante di gioia; non avevo più niente da desiderare,
se non forse di giunger presto a casa, per poter raccontare
minutamente a Filippo tutto ciò ch'era necessario di fargli sapere.
Egli non domandò nulla, per quanto fu lungo il tragitto. Di solito non
domanda mai nulla. La sua massima è questa: Si ha da partire? Si
parte; dal piè sinistro, uno, due; è la cosa più facile di questo
mondo, e non so come i coscritti ci sudino tanto.
La strada è piacevole, alberata e fresca, lungo la riva del fiume, e
il tragitto si fa senza molestia. Per me il paese è senza carattere;
ma a Filippo non dispiace, forse perchè egli non ha l'uso di andar mai
in campagna, e lo spettacolo gli riesce nuovo, con tutto quello
sfoggio di verde. Sono contento che gli faccia buon effetto la valle
di Corsenna. Quando incomodiamo un amico, siamo sempre felici ch'egli
non si trovi male nel luogo dove l'abbiamo tirato contro sua voglia, o
contro le sue consuetudini.
--Non credevo che queste montagne fossero così belle;--diceva egli,
guardandosi intorno.--Sta a vedere che m'innamoro dei boschi, e faccio
un idilio ancor io!
--Non dipenderà che da te; c'è tutto l'occorrente.
--Per iscriverlo?
--Ed anche per iscriverlo; ma io non credevo che tu intendessi di dir
questo.
--Castagni!--disse Filippo, girando largo.--Castagni da per tutto. E
lassù, quel nero sui monti?
--Abeti, mio caro, abeti e pini. Corsenna è famosa per il suo _pinus
Pinsapo_.
--Ah! i miei complimenti. E niente _peachpine_?
--Non credo. Ma che ti salta di parlare inglese?
--Non ne far caso; non so che questo vocabolo. Ma capisco che
bisognerà impararne degli altri.
--Che idee! Se ti ho detto che non c'è niente di vero, nelle tue
supposizioni!
--E sia;--rispose Filippo.--Può esser bene come tu dici. Non vedo
infatti la via polverosa.
--Oh, per questo, non ci ho merito; è piovuto stanotte.
--Ed è una gentilezza che mi usa questa poetica valle;--replicò
Filippo, ridendo.--Io non amo il polverio, ed è questa una delle
cagioni che mi fanno odiar la campagna. Le altre sono le mosche, i
mosconi, le zanzare ed altri animali noiosi che ci s'incontrano. Non è
anche la tua opinione?
--Per gli altri animali, sicuramente. Ma ora che c'è l'arsenale, li
metteremo a dovere.
--Quando penso,--disse Filippo, mutando registro e mettendo un sospiro
tanto fatto,--quando penso a tutte le scioccherie che l'uomo ha
commesse, per volersi credere un animale socievole, mi viene la
stizza. Era nato per vivere a coppie, ed ha voluto vivere a branchi,
far tribù, città, popoli, reami ed imperi. Che cosa ci ha guadagnato?
L'ira in casa e la guerra permanente ai confini, o uno stato d'animi
che non aiuta certamente a far buone digestioni, nè in casa nè fuori
di casa.
--Sei diventato filosofo? Mi congratulo.
--Ma sì, che vuoi? Come tutti i guerrieri, per romper la noia d'un'ora
di marcia.
--Non dubitare; siamo quasi alla fine del nostro viaggio. Eccoti
l'alma Corsenna, che s'affaccia alla svolta. Vedi quel torrione là in
fondo? È una colombaia di casa colonica. Quell'edifizio lungo e nero,
che pare un castello o un convento? È una filanda, che non lavora più
da molti anni. Il baco non ha voluto attecchire in Corsenna; e il
villaggio, che s'incamminava a diventare un borgo, è rimasto
villaggio.
--Vedo delle casine, per altro; dei villini sparsi qua e là.
--Certo; e sono l'unica bellezza del paese. Un po' di bianco nel
verde, un po' d'acqua corrente da fianco e da piedi, e la gente
assetata di fresco ci corre ogni estate a rifugio. Vedi quella
palazzina lassù? Pare a mezza costa, di qui; ma per effetto di
prospettiva. È veramente sul colmo d'un poggio. Si chiama il Roccolo,
ed è il rifugio di una bella signora che tu sai, perchè me l'hai
nominata in una tua lettera.
--Per sentita dire;--rispose Filippo.--Di persona non l'ho conosciuta
mai. Il Roccolo!--soggiunse egli.--Che nome! E la signora è forse
Diana cacciatrice? Scherzo, sai; non posso ignorare che si chiama
Armida.
--Ma che Armida! vorrai dire Adriana!
--Diciamo pure Adriana; quanto a me, vorrei proprio dire Armida... e
Rinaldo. Infatti, mi passa per la mente che non essendoci di mezzo
nessuna inglesina, quest'altra....
--Ti dirò, ti dirò;--interruppi io;--appena saremo a casa.
--Ed anche più tardi, bada; io non ho bisogno di saper nulla. Parlavo
così, per chiasso, e per non mostrarci troppo accigliati, quasi
imbronciati, ai naturali del paese. Ma eccone tre, che non dovrebbero
essere indigeni. Tre bei moscardini, in fede mia!--
Diedi una sbirciata ancor io, e vidi poco più su dai cavalli, in atto
di tirarsi da banda, i miei tre famosi satelliti; li vidi in tempo per
rizzar muso quanto ce ne voleva al loro bisogno.
--Quei tre vanno al Roccolo;--dissi a Filippo;--perciò li vedi in
istrada a quest'ora. Son pronipoti dei Proci dell'_Odissea_. Ulisse è
alle acque di San Pellegrino, ed essi non lasciano un'ora di pace a
Penelope. Tu intanto non potevi esser più felice di così, Filippo mio
caro; sei giunto appena, non hai ancora veduta la prima casa di
Corsenna, e ti vien sotto la tribù dei seccatori, per cui ti ho
pregato di venirmi a dare man forte. Vedili là, che passano il ponte.
--Ed è quello che non vorrebbero lasciar passare a te, non è vero?
--Se stèsse a loro, certamente. Ma non han barba da impedirmelo.
--Vorrà essere ad ogni modo un bel passo d'armi;--conchiuse
Filippo.--Intanto, è di buon augurio per me averli veduti alla
prima.--
L'abitato di Corsenna fu presto traversato dalla nostra vettura, e
senza altri incontri di persone della colonia villeggiante. Bene si
affacciavano alle finestre, ai terrazzini, agli sporti delle botteghe
i Corsennati dei due sessi, per conoscere il nuovo venuto, fare i
conti sulle sue valigie, e Dio sa quali supposizioni sul cassone
ond'era accompagnato. Gran gioia la loro, al veder sempre tante facce
nuove, che si scomodano dal piano per salire ai loro quattrocento
sessanta metri sul livello del mare! "Ci vengono per l'aria buona",
dice il campanaro di Corsenna. "E non son mica ignoranti, i medici che
ce li mandano. Vedete noi, di fatti, che arie di salute!" A farlo a
posta, il campanaro di Corsenna è nero, magro, stecchito come
un'aringa affumicata. Ma chi si contenta gode. E il campanaro di
Corsenna è un uomo che si contenta. "Mai peggio di così!" è il suo
intercalare.
Son felicissimo di vedere che il mio villino piace a Filippo anche più
della valle, dei castagni, degli abeti e della strada maestra. Gli
faccio vedere nel mio ritiro campestre ogni cosa; tranne Buci, che non
c'è. Ma già so dove bazzica, quel ghiottone famoso. Non va mica al
Roccolo, lui, dove si vive a petti di pollo e a zabaioni. _Outsides_,
_beefsteaks_, _cutlets_, _pigeon-pies_, _plum-puddings_, sono, io
credo, i suoi piatti favoriti. Ed hai ragione, o cane, e sei
certamente più saggio di me.
Ho posto da alloggiare una intiera famiglia, e son solo, con due
persone di servizio; posso dare a Filippo non una camera, ma due, tre,
quante ne vuole. Ne occupa due, ci dispone tutti i suoi arnesi, e,
mutati abiti, scende in giardino con me, aspettando l'ora del
desinare. Qui, naturalmente, incomincio a raccontargli tutto ciò che
mi è occorso.
--Briccone!--mi dice, dopo essermi stato tranquillamente a
sentire.--Vuoi venire ai ferri, e farmi credere che non sei innamorato
di Armida?
--Te lo giuro! Che ragione avrei per mentire con te? La contessa
Quarneri è bellissima; la vedrai, e l'ammirerai come faccio io, ma
intendendo anche tu che si possa ammirar la bellezza, senza
scaldarcisi più che tanto. Non per niente siamo stagionati e navigati,
ne convieni? Quanto a me, ti confesso che ci discorro volentieri. Ha
una cultura scarsa, il che, dopo tutto, non guasta; ma è intelligente,
ha una parlantina graziosa, e la sua conversazione mi va, senza
bisogno d'altri sentimenti più intimi, e più matti. Non è accaduto
anche a te di trovare delle signore con le quali si discorre bene, e
non si vuol rinunziare alla loro conversazione?
--Non me ne parlare; la preferisco a quella degli uomini più
dotti;--rispose con grave accento il mio amico Filippo.--Ma basti di
ciò. Il tuo caso non mi par molto chiaro, per quanto riguarda le
conseguenze possibili. Non sei innamorato, e vuoi leticare con tre
rivali. Capisco, sì; non perchè siano rivali e ti voghino sul remo,
non perchè tu sia rivale a loro e non li voglia sull'orma; solamente
perchè ti hanno in uggia, come un visitatore pericoloso, e te lo
lasciano intender troppo. E tu non vuoi mosche sul naso; è
giustissimo, e te ne lodo. Ma c'è una signora di mezzo; ci vuol
giudizio, nel condurre questa faccenda. Quantunque, alle volte, la
pazienza si perde;--soggiunse l'amico, tentennando la testa.--Mi hai
fatto fremere, poc'anzi, con quell'"ah sì?" del tuo signor Dal Ciotto.
E fors'anche un po' nasale, come il _naïn_ ebraico, non è vero? Ma tu
hai fatto bene a contenerti, per la prima volta, rispondendogli un
"certamente" altrettanto strascicato e più _naïn_ di lui. Facciamo le
cose a modo; i tuoi moscardini non ci diventeranno mica troppo duri,
per aver aspettato un giorno di più ad esser pescati e fritti. Li
vedrò più da vicino, questa sera, o domani, e me ne prenderò magari un
paio per me.
--Ecco l'uomo che mi consiglia di far le cose con
giudizio;--osservai.--Bella chiusa, signor Ferri!
--Ma sì, una bella chiusa a bastonate, degna del poema villereccio che
tu sei riuscito ad imbastire. Il giudizio, poi, non esclude l'andare a
fondo, quando questo sia opportuno. Io voglio che si facciano le cose
con calma. Tu sei di primo impeto. Non mi hai confessato tu stesso che
se ci avevi in pronto i tuoi ferri, incominciavi subito dal ceffone?
Io no; prima di saltare addosso al mio uomo, me lo voglio patullare
un'oretta, che diamine! Un combattimento senza avvisaglie, è come un
desinare senza i principii.
--Ahimè! li avremo?--dissi io.--La cuoca è spartana, ti avverto,
quantunque si chiami Argia.
--Ma Corsenna non sarà poi senza burro;--rispose Filippo Ferri,
imperturbato.--Dammi del burro; aggiungi... qualche altra cosa; al
resto ci penso io.--


XIII.
Una giornata campale.

_18 agosto 18..._
Ier l'altro a sera ho presentato il mio Ferri. Si era già sparsa la
voce dell'arrivo di un nuovo villeggiante, smontato con un grosso
bagaglio al cancello del Giardinetto. Si chiama così il villino che
occupo io. I Corsennati non brillano per inventiva; hanno veduto
nascere, tanti anni fa, intorno a questa casa campestre un po' di
fiori e d'arbusti, e subito gli hanno trovato il nome; senza stillarsi
il cervello, come si vede.
Con uguale facilità pedestre di raziocinio, vedendo smontare il
forestiero al Giardinetto, e sapendo che al Giardinetto comando io, nè
soffrirei casigliani, hanno concluso che il forestiero fosse mio
ospite. L'importanza del bagaglio li ha pure condotti a pensare che
l'ospite si fermerà qui per tutta la stagione; e questa notizia, corsa
per tutti i villini, ha destata la curiosità universale. Come mai? un
nuovo villeggiante in Corsenna, ed ospite del signor Morelli, di quel
signor Morelli che abbiamo veduto ancora iersera, e che non ha creduto
necessario, nè utile nè opportuno di dircene nulla? Immaginarsi
adunque la curiosità della colonia! Ciò che è nulla e meno di nulla in
Roma o a Firenze (stavo per dire ad Atene) è un gran fatto in
Corsenna. Terenzia e Tulliola, moglie e figliuola di Cicerone,
dovevano esser curiose, nelle loro estati di Pozzuoli e nei loro
autunni di Tuscolo, assai più che non fossero nei loro inverni e nelle
loro primavere del clivo Capitolino.
Perciò seduta plenaria, l'altra sera, al Bottegone di Corsenna; tanto
che si dovettero metter fuori due tavolini di più. E quando sono
comparso in piazza, un po' più tardi del solito per fare più effetto,
tutti gli occhi si volsero a guardare il personaggio che mi veniva da
lato. Tacquero le voci e i bisbigli; si voleva vedere, si voleva
giudicare. Nessuna bella donna arrivò tardi nel suo palchetto a
teatro, che fosse più guardata e più studiata di Filippo Ferri sulla
piazza maggiore, ed anche unica, della nobil Corsenna.
L'ho presentato a tutte le signore, incominciando dalla sindachessa,
per non destar gelosie. Si è preso l'arlecchino, di fravola e di
limone, che è il caval di battaglia, ed anche il ronzino, del nostro
caffettiere; il quale a tutti i complimenti che gli si fanno sull'arte
sua (e qualche volta un po' ironici) guarda i suoi due bigonciuoli
pieni di ghiaccio, e coperti di frasche di castagno, dicendo
modestamente: "si fa quel che si può, per contentare i signori". Preso
il sorbetto, si chiacchiera; le signore vanno a gara per intrattenersi
col mio amico, e in breve la conversazione diventa generale. Filippo
Ferri è sempre cortese, non sa, non può esser diverso; ma quando vuole
riesce amenissimo; e questa volta fa proprio uno sforzo immane di
volontà. Fa lui tutte le carte; parla di cento cose, suscitando il
desiderio di domandargliene mille. Ha viaggiato; conosce due terzi
d'Europa, l'Asia Minore e l'Egitto; è stato a Massaua, all'Asmara, a
Keren; insegna di passaggio, senza averne l'aria, a dir Dogàli e non
Dògali; racconta aneddoti arabi, copti, abissini; mette in ballo le
povere donne di tutti i paesi che ha visitati; alterna storie allegre
e patetiche, fa ridere e fremere, come gli piace, sopra tutto
dilettando le signore, che son tutte felici di averlo conosciuto.
Nell'entusiasmo che il nuovo villeggiante ha destato, sorge, cresce,
giganteggia e trionfa un'idea; quella di star tutti insieme il giorno
seguente, facendo una scampagnata a Dusiana. Ah, finalmente, a
Dusiana! quella gita che i tre satelliti non erano riusciti a fare con
la contessa Quarneri, e che lei, proprio lei, propone ora di fare, per
atto di onoranza festosa al nuovo venuto.
Siamo ritornati al Giardinetto assai tardi. Ma la conversazione era
stata così viva, che l'ora uscì di mente a tutti. Neanche si pensò che
il nuovo venuto doveva essere stanco del viaggio. Ma che stanco, dopo
tutto? Aveva ad essere stanco di cinquantasei miglia di strada
ferrata, un uomo che in tre ore di chiacchiere era corso da Londra a
Vienna, da Vienna a Costantinopoli, da Costantinopoli a Smirne, al
Cairo, a Massaua, al Pian delle Scimmie, passando ancora per venti o
trenta punti intermedii?
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Next - Galatea - 08
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